giovedì 2 luglio 2015

DICHIARAZIONE DI IMPOTENZA


di Mario Adinolfi
C'era una volta chi diceva che piazza San Giovanni non cambiava nulla. Prima ancora c'era chi diceva, a evento in corso, che era "una manifestazione inaccettabile". L'autorevole personaggio che regalava queste dichiarazioni è Ivan Scalfarotto, membro del governo e annoverato tra i colonnelli renziani più influenti. Per inciso Scalfarotto ha legato il suo nome al noto ddl sedicente "antiomofobia" che all'articolo 1 rende passibili di pene fino a sei anni di carcere quelli che, come chi scrive, si espongono e si battono affinché sia evitato all'Italia il disastro dell'approvazione di una legge sul "matrimonio" omosessuale, con tutte le conseguenze che tale norma porterebbe con sé di cui abbiamo abbondantemente scritto su La Croce in questi mesi.
Ebbene, Ivan Scalfarotto tramite un "colloquio" con Francesco Bei di Repubblica informa il popolo italiano che ha iniziato uno sciopero della fame per l'approvazione del disegno di legge sulle unioni civili omosessuali. Lo chiama proprio così "ddl sulle unioni civili", Scalfarotto non ama chiamarlo ddl Cirinnà, anzi dicono stia soffrendo parecchio il primadonnismo della senatrice che fa da relatore alla legge che di fatto istituisce il matrimonio omosessuale "con un altro nome, per ragioni di realpolitik" (la confessione che l'operazione sia proprio questa è dello stesso Scalfarotto in un'intervista sempre a Repubblica, autunnale anziché estiva). Dunque per riprendersi un po' la scena e gli onori dell'associazionismo Lgbt che lo ha sempre un po' snobbato, Scalfarotto si inventa la mossa pannelliana che ha portato fortuna a molti.
Bei su Repubblica si impegna a dipingere il quadro idilliaco, stende tutto il tappeto rosso di cui è capace. Scalfarotto che "si aggira in Senato sconfortato" perché ci sono gli emendamenti al ddl Cirinnà; Scalfarotto che è "mite" e "non alza mai la voce"; Scalfarotto che "ha deciso di mettere in gioco il suo corpo"; Scalfarotto che "beve solo due cappuccini al giorno" e lo fa da tre giorni ma ha aspettato a farlo sapere perché voleva vedere se riusciva a "resistere senza mangiare". Una meraviglia di articolo, di quelli che i politici al governo sognano ogni giorno. Violini e aureola da martire.
Poi Bei si fa prendere magari un po' troppo la mano, consente il parallelo con Gandhi, scattano citazione classica e immaginifica equiparazione a "la Grande anima". E vabbè, lì si finisce nel grottesco. Nonostante tutto lo sforzo dell'articolista di Repubblica per rendere il momento solenne, scappa da ridere. Facciamoci seri, perché qualcosa da spiegare a questo punto c'è.
Gandhi si batteva contro chi deteneva il potere in India, nella fattispecie il regime inglese. Gli scioperi della fame, ovunque nel mondo, sono attuati da chi non ha potere contro chi lo detiene. Non posso non ricordare Bobby Sands e gli altri prigionieri irlandesi che lo sciopero della fame lo fecero sul serio, altro che cappuccini, sempre contro il potere inglese e ne morirono. Lo sciopero della fame non può farlo un membro del governo: è ridicolo, grottesco ed è impressionante che Francesco Maria Bei, che peraltro è un giornalista attento, su Repubblica non sottolinei questa clamorosa contraddizione. Non puoi essere parte di un esecutivo, membro del partito che detiene tutto il potere, peraltro pure molto vicino al presidente del Consiglio, a tutti noto come colonnello renziano e poi metterti a fare il "pannelliano". La doppia parte in commedia non può essere recitata. Perché è una dichiarazione di impotenza. E allora la decisione da prendere non è la pagliacciata dello sciopero della fame da una posizione di governo. La decisione da prendere è l'assunzione di responsabilità, la confessione della propria condizione di impotenza e conseguentemente le dimissioni dall'incarico nell'esecutivo. Questo farebbe un politico serio.
A corollario della vicenda Scalfarotto, tutto sommato marginale ma indicativa, vanno segnalate un paio d'altre cose. La prima: il sistema mediatico è totalmente prono alle istanze Lgbt. Abbiamo segnalato qui qualche giorno fa l'operazione del Corriere della Sera tramite Maria Teresa Meli, sempre con l'obiettivo di accelerare l'approvazione del ddl Cirinnà; oggi Repubblica si inventa quest'altra forma di pressione ricattatoria sull'opinione pubblica pur di arrivare all'obiettivo che evidentemente sta a cuore a tutto il sistema della comunicazione. Il livello di insistenza dei principali giornali su questi temi si innalzerà in densità nelle prossime settimane. Bisogna attrezzarsi per resistere e svelare le operazioni ridicole come questa costruita attorno a Scalfarotto.
La seconda: piazza San Giovanni ha cambiato tutto. Lo ammette persino lo stesso Scalfarotto tra una pennellata complice di Bei e un'altra, lamentandosi della mancata mobilitazione degli "eterosessuali" che la pensano come lui. Anche qui il giornalista avrebbe potuto porre un'obiezione al sottosegretario: ma non è che voi siete solo un piccolo club e che il sentimento popolare degli italiani è interpretato da quella piazza che si è spontaneamente riunita, organizzata in appena diciotto giorni da un comitato di signori poco noti? Perché così è andata. Il successo di piazza San Giovanni ha dato coraggio ad un popolo diffuso e la battaglia si è fatta concreta. Il risultato di battere il ddl Cirinnà, su cui fino a due settimane fa nessuno avrebbe mai scommesso e anche nelle parrocchie e nella gerarchia ecclesiastica di respirava un clima di rassegnazione, appare a portata di mano. Tanto è diventato raggiungibile l'obiettivo da costringere a un membro del governo a una dichiarazione d'impotenza, alla ridicolaggine di uno sciopero della fame da una posizione di maggioranza. Tutto questo lo si deve a piazza San Giovanni.
E sappia Ivan Scalfarotto che potrei facilmente sfidarlo sul terreno dei cappuccini, ho più riserve da consumare, durerei di più. Ma la sfida è in realtà pienamente e assolutamente democratica. Sul piano del consenso, il membro del governo si riduce al ridicolo di fare il finto gandhiano quando invece è un esponente del "regime inglese", perché sa di non averne da un punto di vista popolare. Sa di essere circondato da freddezze, le misura, se ne lamenta. Noi abbiamo ancora addosso il calore umano, prima di tutto democratico e intensamente umano, sprigionato da piazza San Giovanni. Noi non siamo al governo, non abbiamo il potere, ma quando abbiamo visto che poteva realizzarsi il disastro dell'approvazione del ddl Cirinnà, non abbiamo chiesto a un grande giornale di farci un articolo sdraiato. Abbiamo convocato il nostro popolo in piazza e abbiamo stupito l'Italia. Perché l'Italia è un popolo composto da tredicimilioninovecentonovantamila mamme e tredicimilioninovecentonovantamila papà che allevano dieci milioni di figli minori, li mandano a scuola, li difendono e li crescono dentro un istituto di società naturale che si chiama famiglia. Questa Italia non vuole che la famiglia sia umiliata e tradita. Questa Italia è piazza San Giovanni. L'Italia di Ivan Scalfarotto, l'Italia che imita i radicali senza averne neanche la statura politica di oppositori, l'Italia che si fa impressionare da un articolo ridicolo di Repubblica, è l'Italia che sta in una terrazza, neanche troppo grande.
Da una parte c'è un popolo, dall'altra c'è un club. Un club rumoroso che ha tutte le leve del potere a disposizione: sta al governo, ha i mass media tutti al proprio servizio, gode di finanziamenti pubblici a profusione italiani ed europei. Eppure tutto questo potere adesso trema davanti alla mobilitazione popolare. Il potere si rifugia nel ridicolo del travestirsi da contropotere. Ma il re è nudo, disse il bambino.
Se solo Ivan Scalfarotto fosse venuto a guardarla la gente in piazza, invece di definirla "una manifestazione inaccettabile". Avrebbe visto, quanti bambini...