venerdì 3 luglio 2015

Il creato e la storia

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Un’enciclica per la casa comune
Piero Stefani

Papa Francesco - Laudato si’ – 1
Laudato si’. Sulla cura della casa comune.1 Che la seconda enciclica di papa Bergoglio abbia un’esplicita matrice francescana risulta palese fin dalla titolazione. Né forse è superfluo sottolineare che l’italiano insolito come titolo di un’enciclica era inedito anche per il Cantico di Francesco: il santo era, infatti, giunto al volgare solo alla fine della propria vita, dopo aver composto vari inni in latino. Anche in questo caso va comunque tenuta presente la triplice motivazione fornita da Bergoglio per la scelta da lui compiuta dell’inedito nome di Francesco. Essa fu giustificata lungo tre assi portanti: povertà, pace, creato.
Sui primi due temi il papa è tornato più e più volte, rimaneva da approfondire il terzo. Tuttavia sarebbe riduttivo non prendere in considerazione la titolazione integrale.
Il titolo completo dell’enciclica contiene in sé una forte polarità. La prima parte, rifacendosi al Cantico di frate Sole, pone l’accento sulla gratuità della lode rivolta dalle creature al loro Creatore; la seconda è invece tutta incentrata sull’impegno che gli esseri umani devono assumere nei confronti di quanto è stato loro affidato. Contemplazione e azione, si potrebbe dire.
Tuttavia concludere in questa direzione non coglierebbe l’aspetto drammatico di una lode che s’innalza nonostante la consapevolezza che la cura della casa comune sia in larga misura più un dover essere che un essere. Le creature umane hanno ampiamente compromesso il «giardino» affidato da Dio alle loro cure.
Il clima dell’enciclica è ovviamente assai lontano da quello dell’Emilio di Rousseau (mai citato); ciononostante si sarebbe tentati di evocarne il celebre incipit: «Tutto è buono quando esce dalle mani dell’Autore delle cose; tutto degenera tra le mani dell’uomo». O, per meglio dire, molto è degenerato; con tutto ciò la catastrofe non è inscritta in modo fatale nel destino dell’umanità. Il «dover essere» può ancora trasformarsi in essere.
Comune a chi?
Quando ci si rifà alla Bibbia per parlare di cura del creato, è consueto parlare di «giardino». L’uomo è posto nel giardino perché lo lavori e lo custodisca (cf. Gen 2,15). In ebraico entrambi i verbi (‘avad e shamar) hanno risonanze che rimandano al rapporto con Dio, rispettivamente nel culto e nell’osservanza della sua volontà e della sua alleanza. Il dramma della prima coppia è di non aver rispettato il significato profondo contenuto in quei due verbi.
Papa Francesco opta però per un’altra immagine. Si tratta non di piante, ma di dimora. «Casa comune» in Laudato si’ non allude affatto a sensi politici (come avvenne per esempio all’epoca di Gorbaciov); l’espressione piuttosto richiama la parola greca oikos che è etimo comune di due termini chiave per comprendere l’intera enciclica: «ecologia» ed «economia». La scelta della casa in luogo del giardino si comprende su questo sfondo.
Il perno attorno al quale ruota l’intera enciclica sta nel fatto che la cura della casa comune implica in maniera inscindibile sia l’aspetto relativo al creato sia quello connesso alla società vista soprattutto in relazione alle sue componenti più deboli. Non è certo un caso, come ribadisce più volte papa Francesco, che siano i poveri i primi a patire le conseguenze più devastanti dei disastri ambientali. Alberi e dimore sono legati inscindibilmente tra loro.
Rimane però da sondare l’aggettivo che contraddistingue il titolo. «Casa comune» comporta interdipendenza reciproca, dunque esistenza di relazioni intese come componenti costitutive della realtà. Ciò spiega il primato attribuito alla fratellanza sia rispetto al creato sia rispetto alla società.
Ritornando ai primi capitoli della Genesi, è opportuno notare che la negazione di esserne il custode (shamor) contraddistingue il maldestro tentativo da parte di Caino di tener celato quanto da lui compiuto nei confronti del proprio fratello (cf. n. 90). La «conversione ecologica» implica la presenza di una triplice relazione rispetto a Dio, al prossimo e alla terra (cf. nn. 66. 221). Particolarmente significativa al riguardo è una citazione del patriarca ecumenico Bartolomeo («con il quale condividiamo la speranza della piena comunione ecclesiale», n. 8), al quale ci si riferisce assumendolo sia come «autorità» sia come «precursore». Tra le varie frasi patriarcali riportate vi è anche quella secondo la quale occorre: «Accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo per condividere con Dio e con il prossimo in scala globale» (n. 9).
«Comune» significa tanto il fatto incontrovertibile di essere di fronte a una realtà che riguarda tutti, quanto la constatazione che attorno a questo tema sono coinvolte molte competenze di scienziati e teologici, filosofi, organizzatori sociali, economisti ecc. (cf. n. 7). Si apre quindi la domanda a che titolo il vescovo di Roma sia nelle condizioni di farsi carico di questo problema comune in una lettera enciclica contraddistinta dalla mancanza di destinatari specifici.2
La casa è davvero comune, ma in base a quale autorità il papa è nelle condizioni di parlare a tutti?
È un dato di fatto che egli si presenti come la più riconosciuta autorità morale a livello planetario; ciò però non esclude la presenza di altre considerazioni legate al suo doversi presentare come rappresentante di una determinata tradizione religiosa le cui visioni di fondo non sono condivise da tutti. La casa comune è, per così dire, fornita di molte ed eterogenee cappelle e anche di sale contraddistinte da simboli non religiosi.
La questione ora sollevata è interna alla stessa enciclica. Il secondo capitolo dell’enciclica («Il Vangelo della creazione») inizia infatti con il chiedersi perché inserire in un documento rivolto a tutti gli uomini di buona volontà un riferimento alle proprie convinzioni di fede. L’interrogativo sorge in quanto si è consapevoli del fatto che alcuni rifiutano l’idea stessa dell’esistenza di un Creatore (cf. n. 62).
In altre parole, la «casa comune» sembra rappresentare una dimensione più universale dell’idea stessa di creazione. Tuttavia si deve anche affermare che, per il credente, riferirsi alla creazione significa aver a che vedere «con il progetto di amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato» (n. 76).
Ponte verso la riconciliazione
Papa Francesco si è sentito quasi in dovere di giustificare il suo ricorso alla visione biblica della creazione. Una delle ragioni che lo ha sospinto a farlo è una situazione paradossale eppur oggettiva: visto dalla parte del credente l’effetto – la «casa comune» – è più universalmente evidente di quanto sia la sua causa prima, il Creatore. L’edificio, a differenza dell’Architetto, è riconosciuto da tutti. La realtà più profonda risulta meno condivisa di quella superficiale.
Parte di questo paradosso era presente già nella Bibbia. Nel suo assetto canonico, essa si apre con i grandi racconti universali della creazione (cf. Gen 1-11), tuttavia il suo sviluppo storico-narrativo la porta presto (da Abramo in poi, cf. Gen 12) a occuparsi sia di un popolo particolare – i figli di Israele – sia di una terra particolare – quella di Canaan. Anzi è proprio a questa terra che va riferita la quasi totalità dei «precetti ecologici» contenuti nel Pentateuco (cf. nn. 67. 71). Già in quei testi antichi nasce il problema se la Bibbia prospetti una visione dell’universale a partire da un particolare, oppure se quel particolare (vale a dire l’esistenza stessa del popolo d’Israele) vada visto come un momento d’articolazione dell’universale. Questa polarità può essere detta in altri modi: a prevalere è la parola della rivelazione che giunge dal «di fuori» a Israele e che interpreta e giudica il mondo e la storia o, al contrario, le parole della Scrittura costituiscono solo un riflesso particolare di una sapienza universale che si manifesta innanzitutto nell’ordine del mondo?
All’epoca del concilio Vaticano II la storia sembrava prevalere sulla creazione (per così dire, il cuore del messaggio biblico partiva dall’Esodo e non già dalla Genesi); oggi il discorso, anche per pressioni dovute alla sofferenza del pianeta, sembra essersi capovolto. Ciò dovrebbe indurre a riflettere sul peso avuto da circostanze storico-culturali sull’ermeneutica biblica.
Tra l’altro, il primato dell’Esodo aveva prodotto riflessioni e prassi relative alla terra orientate alla conquista di spazi di libertà da parte dei diseredati (si pensi alla «teologia della liberazione»), mentre oggi, all’interno della casa comune, la ripetuta predilezione per i poveri non li individua come soggetti attivi per una trasformazione degli assetti socialmente iniqui pur chiaramente denunciati.
La lotta dal basso è ormai posta fuori dall’orizzonte. Ciò non significa, ovviamente, che non ci sia un’inequivocabile difesa dei poveri e una robusta denuncia dell’ingiustificabile sperequazione dovuta alla «divinizzazione» del mercato. Tuttavia in Laudato si’ non ci si deve attendere alcun accento «esodico» simile a quello che si leggeva nella Populorum progressio di Paolo VI (1967): «Una cosa va ribadita di nuovo: il superfluo dei paesi ricchi deve servire ai paesi poveri. La regola che valeva un tempo in favore dei più vicini deve essere applicata oggi alla totalità dei bisognosi del mondo (...) Diversamente, ostinandosi nella loro avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili» (n. 49; EV 2/1094).
«Laudato si’, mi Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore/ Et sostengono infirmitate et tribulatione». Papa Francesco cita questo passo del Cantico di frate Sole per ribadire la convinzione secondo la quale l’attenzione al creato non può disgiungersi da quella riservata alla società: «tutto è collegato» (n. 91).
Anche se non vi è alcun richiamo esplicito in tal senso, un riferimento come questo potrebbe costituire una specie di ponte tra l’enciclica e il prossimo anno santo riservato alla misericordia. Pentimento, perdono, riconciliazione sono temi considerati da papa Francesco di portata davvero globale.
1 Lettera enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune. Datata 24 maggio (festa di Pentecoste) è stata pubblicata il 18 giugno. Per il testo integrale cf. Regno-doc. 23,2015.
2 La prima enciclica di Francesco, Lumen fidei (29.6.2013) era per esempio rivolta «ai vescovi ai presbiteri ai diaconi alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici». Cf. Regno-doc..13,2013,385.
Il Regno