sabato 4 luglio 2015

Le parole del viaggio papale




(Silvina Pérez) Periferie, detenuti, popolazioni indigeni, ammalati: otto giorni con una fittissima agenda di incontri, visite e discorsi, sia sul piano politico che pastorale. Incontrerà i più deboli, ma anche migliaia di giovani, famiglie, il clero e le diverse categorie sociali. E non solo. Dalla A di “Aymara” alla S di “Sumaj Orcko”, le parole chiave che aiutano a capire le culture latinoamericane, il momento che vivono e la loro profonda religiosità. 
Ecuador
CHICHA — È una bevanda derivata principalmente dalla fermentazione non distillata del mais. Ha le sue origini dall’impero inca, considerata la birra delle comunità indigene. Viene realizzata tramite la bollitura e successiva fermentazione del cereale. Il risultato è una bevanda dolce a bassa gradazione alcolica (generalmente dall’1 al 3 per cento). Originariamente veniva ottenuta masticando il mais appena raccolto e sputato all’interno di un recipiente di terracotta, procedimento che spettava unicamente alle donne. Gli enzimi contenuti nella saliva trasformano l’amido di mais in zuccheri semplici, che poi danno luogo al processo di fermentazione. Una volta fermentata, la chicha veniva colata, imbottigliata e lasciata riposare all’ombra per un certo periodo prima del consumo. Questo processo è tuttora praticato dalle popolazioni andine. 
DOLLARIZZAZIONE — Nel 1999 è stato il primo Paese latinoamericano a non onorare parte del debito estero, che ammontava a oltre 15 miliardi di dollari. Per fare fronte alla grave crisi economica, l’ex presidente Mahuad adottò il 9 gennaio 2000 la dollarizzazione dell’economia, precisando che da quel momento la moneta nazionale, il sucre, sarebbe stata legata al dollaro con un cambio fisso. Il default dell’Ecuador invece avviene nel 2008. A sette anni da allora, il Paese ha cambiato pelle. Secondo i dati del 2013 del Fondo monetario internazionale, l’Ecuador ha l’ottava maggiore economia dell’America latina con un Pil che nel 2012 è stato di circa 150 miliardi di dollari. Nel settore agricolo il Paese si distingue per la produzione di banane, di cui è il maggior esportatore al mondo. Altri prodotti di punta dell’agricoltura sono il cacao (ottavo produttore al mondo) e le patate. L’Ecuador è il più piccolo dei membri dell’Opec, ma il petrolio rappresenta in ogni caso il 20 per cento delle entrate pubbliche e il 96 per cento dell’export. L’attuale quadro macroeconomico presenta una situazione generale favorevole, malgrado il difficile contesto internazionale.
GIUSTIZIA AMBIENTALE — La creazione di meccanismi di controllo ambientale sarà la proposta che il presidente Rafael Correa presenterà alla Conferenza sul cambiamento climatico il 21 del prossimo dicembre a Parigi per cercare di definire criteri unificati nella difesa nei rapporti tra l’umanità e la natura. Secondo Correa, i Paesi del sud del mondo hanno un debito finanziario con il mondo ricco, ma allo stesso tempo sono creditori di debito ecologico, poiché inquinano meno e sono oggetto di depredazione e delle conseguenze del cambiamento climatico, mentre hanno in più di un caso implementato piani di sviluppo rispettosi dell’ecologia. Una delle questioni ambientali più controverse che il presidente Correa affronta nel suo Paese invece è quella dello Yasuni National Park. Situata nel cuore dell’Amazzonia ecuadoriana, la riserva Yasuni ospita diversi popoli indigeni, tra cui le etnie huaorani, tagaeri e taromenane. Yasuní è un antico termine quechua, vuol dire “terra sacra”. È difatti uno dei siti terrestri nel quale si concentrano le maggiori biodiversità: 150 specie di anfibi, 121 di rettili, 600 di uccelli, 204 di mammiferi, tra i quali tapiri e giaguari. La superficie della zona è divisa in blocchi cui corrispondono concessioni di sfruttamento petrolifero. 
PATRIA GRANDE — L’idea bolivariana di una patria grande è un modello di integrazione auspicato da Simón Bolívar (1783-1830), acclamato come il libertador, il quale sognava di unire tutte le ex colonie in una grande confederazione nei primi decenni dell’Ottocento quando scoppiò la lotta delle colonie spagnole e portoghesi per la loro indipendenza. I mandatari dell’Ecuador, Bolivia e Paraguay sono tutti presidenti con accentuazioni diverse, ma con un tratto in comune: percorrere le vie dell’integrazione verso la configurazione di un’Unione sudamericana e della patria grande latinoamericana.
Bolivia
AKULLIKU — Significa «l’atto di masticare foglie di coca» in Aymara e Quechua. Durante la colonizzazione, gli spagnoli portarono schiavi africani per coltivare la coca, che poi distribuivano in razioni agli indios che lavoravano nelle miniere d’argento. È un costume tradizionale fortemente radicato in Bolivia. Le Ande sono la catena montuosa più popolata del mondo, in nessun altro luogo si trovano milioni di persone residenti a oltre 3.500 metri sul livello del mare. Per esercitare attività produttive come la coltivazione della patata, il mais e la coca gli uomini delle montagne hanno storicamente adattato il loro organismo alla Cordigliera. Per sfuggire all’ipossia, e cioè la mancanza d’ossigeno, le popolazioni andine hanno masticato foglie di coca per combattere il freddo, la fame e il mal di montagna.
AYMARA — Termine che letteralmente significa “antenati”. Sono i discendenti dei costruttori dell’antica città di Tiahuanaco, presenti in maggior misura nell’Ovest andino dei due dipartimenti di La Paz e Oruro. Evo Morales è stato il primo indigeno a diventare, nel 2006, presidente della Bolivia. È al suo terzo mandato, rieletto a ottobre 2014 con quasi il 60 per cento dei consensi. Guiderà il Paese fino al 2020. Morales è un indigeno aymara e la cerimonia per il suo giuramento come presidente si è svolta presso le rovine preincaiche di Tiahuanaco, a 71 chilometri da La Paz. La località è stata scelta perché rappresenta le “radici” delle culture andine e amazzoniche. Durante la cerimonia con la popolazione indigena e i rappresentanti politici e istituzionali indossava abiti tradizionali aymara. 
QUECHUA — Il 45 per cento della popolazione boliviana è formato da gruppi indigeni (la Costituzione ne enumera 37): questi usano lo spagnolo come seconda lingua e restano largamente fedeli alle antiche lingue locali. I quechua discendono dai coloni arrivati con la conquista dell’impero inca e prevalgono al centro-sud, nel triangolo descritto dai tre dipartimenti di Cochabamba, Chiquisaca e Potosí. 
STATO PLURINAZIONALE INDIGENISTA DI BOLIVIA — Si tratta del primo tentativo a livello continentale di funzionamento di un modello costituzionale indigenista. Nato a partire dalla riforma costituzionale del 25 gennaio 2009, archivia la fisionomia dell’architettura istituzionale della Repubblica di Bolivia per dare spazio al nuovo Estado Plurinacional de Bolivia in spagnolo, Bulibya Mamallaqta in quechua, Wuliwya Suyu in aymara e Tetã Volívia in guaraní. Rispetto ad altri Paesi latinoamericani, la Bolivia si caratterizza per una più alta quota di analfabeti. Il suo sistema scolastico pubblico è stato rifondato con la Ley de educación — approvata nel dicembre 2010, ha riordinato il ciclo scolastico di base di otto anni e uno superiore di quattro — che assegna grande spazio all’insegnamento delle lingue indigene. 
SUMAJ ORCKO — Nominativo quechua del Cerro Rico, uno dei giacimenti d’argento più ricchi al mondo. Gli incas furono i primi a scavare in Cerro Rico — che vuol dire “collina ricca” — e anche gli spagnoli trovarono qui le ricchezze con cui costruirono il loro impero. Sono cinque secoli che i minatori rischiano la vita sulle Ande boliviane a cinquemila metri di altitudine. L’orario è lungo e il lavoro è pesante. A Cerro Rico lavorano tra i 15.000 e i 16.000 minatori che estraggono argento, stagno, zinco e piombo. Appartengono a piccole cooperative: il vantaggio è quello di avere diritto a un’assicurazione in caso di malattia, mentre in caso di morte la famiglia del defunto riceve una quota mensile. Fattore questo di notevole importanza, considerando che il 90 per cento degli uomini che lavorano si ammalano di silicosi e muoiono in un’età compresa tra i 55 e i 60 anni. Nel 2010 la cima della montagna ha cominciato a sgretolarsi, e il governo boliviano ha cercato di chiudere alcune delle miniere per questioni di sicurezza. Il caso emblematico è quello di Moropoto, chiusa all’inizio del 2014: i minatori, però, hanno continuato a lavorarci. Non vogliono andare via da una miniera che ha dato lavoro a varie generazioni. Più in generale, il governo vorrebbe trasferire 13.000 lavoratori in nuove miniere a 4.000 metri, ma loro si rifiutano. In tutto il Paese, i minatori sono 140.000, e sono molto organizzati. In Bolivia le cooperative dei minatori hanno un grande potere politico e preferiscono avere pochi controlli lasciando la montagna e i lavoratori in una situazione di scarsa sicurezza.
Paraguay
AYOREO TOTOBIEGOSODE — Sono l’ultimo gruppo indigeno in isolamento rimasto, al di fuori dell’Amazzonia, che rischia di estinguersi a causa della deforestazione provocata dalle attività delle aziende zootecniche nella foresta del Chaco, al confine tra Paraguay e Bolivia. Sono una delle 20 etnie indigene del Paraguay. La loro terra registra il tasso di deforestazione più alto al mondo. Gli ayoreo, nel loro isolamento, sono tra le popolazioni più autosufficienti del pianeta, ma se la loro terra non verrà protetta andranno incontro a una catastrofe. Il contatto ha portato con sé malattie, miseria e un’immensa sofferenza alle famiglie. Reclamano sin dal 1993 la restituzione di 550.000 ettari di terra. Attraverso la Pastorale indigena, la Conferenza episcopale del Paraguay ha inviato un testo al governo per tentare di suggerire una soluzione.
GUERRA DELLA TRIPLICE ALLEANZA — Senza dubbio il conflitto più sanguinoso degli ultimi due secoli di storia latino-americana fu combattuto dal 1865 al 1870 contro le forze congiunte di Brasile, Argentina e Uruguay. La popolazione paraguaiana passò da un totale di circa un milione e mezzo di persone a poco più di duecentomila, delle quali solo 25.000 uomini. Tragedia che ha creato in larga parte l’epica della donna paraguayana: furono infatti loro, le donne, in un Paraguay rimasto senza uomini, a ricostruirlo pezzo dopo pezzo. Un protagonismo diventato leggendario, ma che in realtà ha radici antiche e complesse. Secondo don Giuseppe Zanardini, salesiano da 35 anni in Paraguay, dove è oggi uno dei massimi antropologi, «quando gli spagnoli arrivarono nel 1537 fondarono Asunción come base militare. Il rapporto con gli indigeni fu tutto sommato pacifico e furono moltissimi i soldati che ebbero figli con donne guaraní. Ma qui si creò una situazione abbastanza unica rispetto alle altre colonie: i figli crescevano nei villaggi indigeni, parlando la lingua locale, allevati dalle madri e dall’insieme della comunità, mentre i padri rimanevano lontani. Così è nato il Paraguay meticcio e questo è il motivo per cui la lingua guaraní è oggi quella del 90 per cento della popolazione. Lì si è forgiata anche una identità femminile molto forte. La donna come guida della famiglia, responsabile della crescita dei figli ma anche del sostentamento economico».
ITAIPÚ — È la più grande centrale idroelettrica al mondo per generazione di energia ed è considerata una delle sette meraviglie di ingegneria civile del XX secolo. Costruita tra il 1975 e il 1991 lungo il fiume Paraná, sul confine tra Brasile e Paraguay, è gestita da una joint venture tra compagnie dei due Paesi confinanti. La centrale, la cui realizzazione è costata 25 miliardi di dollari, è costituita da 20 generatori con una potenza totale di 14 gigawatt e copre da sola il 90 per cento del fabbisogno di energia elettrica paraguaiano e il 25 per cento di quello brasiliano. Ed è proprio questo dato alla base di recriminazioni dei paraguayani per il prezzo considerato troppo basso a cui i brasiliani pagano quell’elettricità. Nel 2013 la centrale ha prodotto 98,6 miliardi di chilowattora, più dei 98,1 terawattora delle Tre gole in Cina, anche se quest’ultima centrale ha 8.000 mw di potenza in più. L’elettricità prodotta da Itaipú è stata determinante per lo sviluppo del Brasile (di cui lo scorso anno ha coperto da sola il 17 per cento della domanda elettrica) e soprattutto del Paraguay (di cui nel 2013 ha coperto il 75 per cento della domanda di elettricità).
PACHAMAMA o MAMA PACHA — È la Dea Terra dei popoli andini del Sudamerica, tuttora venerata dalle genti che si riconoscono nella cultura inca, o da altri popoli abitanti l’altipiano andino, quali gli aymara e i quechua. È la dea della terra, dell’agricoltura e della fertilità. In occasione della visita del Papa l’artista paraguayano Koki Ruiz ha costruito un enorme altare utilizzando una miscela di mais, noci di cocco, zucche e semi, che sarà utilizzato durante la messa dell’11 luglio. L’altare, spiega Ruiz, rappresenta la generosità della natura e «il nostro mix di culture, che parlano attraverso i semi della Madre Terra». Oltre a più di 30.000 spighe di grano, sull’altare ci saranno anche 200.000 noci di cocco su cui sono stati incisi messaggi e auguri del popolo paraguayano diretti al Pontefice.
PARAGUAY — Significa «il fiume che porta al mare» nella lingua dei guaraníes, una delle popolazioni seminomadi precolombiane che abitavano la regione coltivando mais e manioca. La sua attuale capitale, Asunción, venne fondata nel 1537 dagli spagnoli, divendo la base di partenza delle missioni gesuite tramite cui diffondere cristianesimo e civilizzazione in quest’angolo di America.
L'Osservatore Romano