sabato 4 luglio 2015

Bergoglio raccontato da un amico. Teologia del popolo



Pubblichiamo stralci dall’introduzione al libro di Juan Carlos Scannone, «Il Papa del Popolo. Bergoglio raccontato dal confratello teologo gesuita e argentino» (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2015, pagine 148, euro 12).
(Bernadette Sauvaget) Negli ultimi tempi Juan Carlos Scannone ha accolto con naturale discrezione e grande cortesia una schiera di giornalisti e registi televisivi venuti a intervistarlo sul Papa proveniente — come lo stesso Pontefice disse la sera della sua elezione, il 13 marzo 2013 — «dall’altro capo del mondo», con l’idea di riformare profondamente la Chiesa cattolica. La prima giornalista a bussare alla porta del Colegio Máximo dove egli vive, a circa trenta chilometri dal centro di Buenos Aires, è stata una francese, inviata speciale del quotidiano cattolico «La Croix» in Argentina, terra che se viene vista dall’Europa appare lontana. Il Vaticano non è stato da meno. Ha fatto giungere sul posto, e anche tempestivamente, un inviato del suo organo di stampa, «L’Osservatore Romano». Il risultato di questo colloquio è stato un articolo dal titolo Bergoglio, il mio allievo, che ha suscitato grande attenzione.
Qualche tempo dopo, infatti, Juan Carlos Scannone ha ricevuto una lettera che ha destato sorpresa. Il retro della busta riportava, scritti a mano, un’intrigante F. e un indirizzo che lasciava indovinare, senza troppe possibilità d’errore, l’identità del misterioso mittente: Casa Santa Marta, Roma, ecc. Nella sua missiva, Papa Francesco (poiché proprio di lui si trattava) ringraziava «Cacho» (l’affettuoso soprannome dato a Juan Carlos Scannone) e gli raccomandava, in modo arguto, di raccontare soltanto «le cose buone» e non «le cattive». 
Della stessa generazione, i due uomini, che si sono sempre dati del tu, hanno di fatto una lunga storia comune. E che talvolta è stata movimentata. Si conobbero alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso. Uno, Juan Carlos Scannone, diventato in seguito filosofo e teologo di fama in America Latina, fu professore di greco dell’altro, un giovane seminarista promettente di nome Jorge Mario Bergoglio che, dal 13 marzo 2013 con il nome di Francesco, è il 266° Papa della Chiesa cattolica romana. 
Una quindicina di anni più tardi, sul finire di un’epoca feconda, agitata e tragica, il rapporto gerarchico si è invertito. Nel 1973 l’ascesa folgorante di Bergoglio in seno alla Compagnia di Gesù lo fece diventare provinciale dell’Argentina, e dunque superiore di Scannone. Sei anni più tardi, al termine di un difficile provincialato, dovuto principalmente alla terribile dittatura militare che si era abbattuta sull’Argentina, il futuro Papa divenne rettore del Colegio Máximo, che ospita le facoltà di teologia e filosofia dei gesuiti in Argentina. 
L’intellettuale Scannone e l’uomo di governo Bergoglio, un “leader nato”, come lo descrivono quelli che l’hanno frequentato, nel corso di tutti questi anni hanno condiviso molte cose. Che cosa hanno in comune? In primo luogo “l’argentinità”, questa sorta d’identità meticcia, radicata nell’America Latina, ma ereditata dall’Europa. Nel continente latino-americano l’Argentina, terra di accoglienza a causa di una vasta immigrazione proveniente da Spagna e Italia agli inizi del XX secolo, è il Paese più “europeo”. 
Questo “altro capo del mondo”, culla di Papa Francesco, è sempre stato guardato dai Paesi vicini, infatti, con un pizzico di sospetto e di irritazione. Ciò che dunque accomuna Bergoglio e Scannone è una cultura e una spiritualità gesuita, una mescolanza di rigore intellettuale e di pragmatismo umano. Questo habitus religioso è probabilmente una delle chiavi di lettura fondamentali per comprendere il modo singolare e anticonformista che Bergoglio ha di essere Papa. 
Per età questi due uomini di Chiesa hanno in comune anche la stessa cultura. Nati e formatisi entrambi prima del concilio, hanno vissuto dall’interno la rivoluzione del cattolicesimo del Vaticano II. Ciascuno col proprio carisma, l’uno teologo e filosofo, l’altro arcivescovo e cardinale, hanno supportato anche le evoluzioni della Chiesa cattolica post-conciliare. Per l’America Latina quello è stato un periodo fecondo, durante il quale la teologia latino-americana si è emancipata dalla tutela europea. 
Bergoglio e Scannone, ciascuno a modo proprio, hanno partecipato a questo movimento. Avviata dal teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, la teologia della liberazione, interessata alla sorte dei poveri e degli oppressi, si è affermata durante gli anni settanta. Su questa scia è nata a Buenos Aires una corrente teologica specifica, la teologia del popolo, che rivendica la sua appartenenza alla grande famiglia della teologia della liberazione. 
Come filosofo e teologo Juan Carlos Scannone ne è una delle figure eminenti. Ancora oggi questa teologia del popolo ispira fortemente Papa Francesco. Per comprendere il suo pontificato e la riforma che intende effettuare, è necessario fare questa lunga deviazione attraverso l’America Latina e le sue teologie, il suo cattolicesimo popolare e la sua scelta preferenziale per i poveri. 
Di tutto questo Juan Carlos Scannone è certamente attore e testimone privilegiato. Indiscutibilmente egli è uno dei migliori “decrittatori” di Francesco e del pontificato di questo Papa riformatore. Del resto gli stessi gesuiti non si sono sbagliati. Lo hanno invitato a far comprendere meglio gli assi portanti del pensiero e dell’azione di Bergoglio. Da aprile 2014 a marzo 2015, padre Scannone ha diviso il suo tempo tra Buenos Aires e Roma. Invitato dal direttore Antonio Spadaro, ha abitato nel corso di questo anno presso la prestigiosa rivista italiana dei gesuiti, «La Civiltà Cattolica». Ed è là che l’abbiamo incontrato, in questo palazzo un po’ antiquato, costruito da un facoltoso russo nel XIXsecolo vicino al Pincio, i giardini che si affacciano su Roma e circondano Villa Borghese. Grazie all’amichevole mediazione del gesuita Pierre de Charentenay, precedente redattore capo della rivista francese «Études», che dopo un lungo soggiorno nelle Filippine ha raggiunto il team della «Civiltà cattolica», padre Scannone ha avuto l’amabilità e la generosità di accettare il progetto che gli proponevamo, quello di questo libro di colloqui. Proprio mentre si apriva in Vaticano il sinodo sulla famiglia, una delle tappe importanti del pontificato di Francesco, padre Scannone ci ha dato appuntamento per questi colloqui. 
Dotato di brillanti capacità intellettuali, Scannone fu inviato in Europa nel 1959 per completare la propria formazione presso il grande teologo Karl Rahner, a Innsbruck in Austria. Considerato sovente un teologo, egli preferisce definirsi un filosofo «al servizio della teologia e della pastorale». Teologicamente, i punti di riferimento di padre Scannone sono per lo più tedeschi, in particolare Karl Rahner e Hans Urs von Balthasar, ma filosoficamente, egli si nutre del pensiero francese, quello di Emmanuel Lévinas, di Paul Ricoeur, Maurice Blondel e, attualmente, quello di Jean-Luc Marion. Fine conoscitore dell’opera di Ricoeur, che incontrò nella regione parigina, presso la sua casa di Châtenay-Malabry. Riaccompagnandolo, il filosofo francese gli aveva mostrato la chiesa protestante riformata che frequentava ogni domenica.
Finora l’opera di padre Scannone è stata conosciuta nel mondo ispanofono. Egli stesso si presenta come appartenente alla corrente della teologia della liberazione e della teologia del popolo, la “scuola di teologia di Buenos Aires”. In questo solco, ha prima lavorato con l’amico Enrique Dussel all’elaborazione di una filosofia della liberazione. Avendo a cuore la scelta preferenziale per i poveri, Scannone ha dunque considerato filosoficamente il cattolicesimo popolare latino-americano, che egli descrive con gli strumenti di Marion, come un “fenomeno saturo”. Più recentemente ha lavorato a una filosofia e a una teologia inculturate e alla nozione dell’interculturalità e del dono. Disponibile e concentrato, preciso fin nei minimi particolari, Juan Carlos Scannone nel corso dei nostri incontri non ha schivato nulla, neanche le domande difficili sulla controversa questione dei due gesuiti Orlando Yorio e Franz Jalics, rapiti nel 1976 dalla dittatura militare.
Con una finezza intellettuale e una profondità spirituale insostituibili, il filosofo e teologo fornisce il materiale necessario per comprendere l’itinerario che ha portato il suo ex allievo a diventare Papa, offrendoci la chiave di lettura essenziale dello straordinario pontificato di Francesco.
L'Osservatore Romano