sabato 17 maggio 2014

V Domenica del Tempo di Pasqua 2014 - anno A


Nella Quinta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù Risorto rivela ai discepoli che sta per salire alla Casa del Padre dove va a preparare un posto per loro. A Filippo che gli chiede quale sia la via, risponde:
“Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio”.
*
Questo gioioso tempo di Pasqua spalanca oggi davanti a noi il Cielo. Gesù sta preparando i suoi apostoli alla passione, a non scandalizzarsi della croce, e di ciò che seguirà, se vogliono “restare” con Lui. Tra i discepoli si percepisce un senso di disagio, di sconforto, anche di incomprensione: “Signore, dove vai?”, aveva chiesto Pietro. Gesù comprende quest’ansia dei discepoli e dice: “Non sia turbato il vostro cuore… Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore… Io vado a prepararvi un posto!”. Gli apostoli non si accontentano di questo. Vogliono – come noi – sapere dove va, conoscere la via. E Gesù risponde (si noti: l’”Io sono”, proprio della divinità): “Io sono la via, la verità e la vita”. La nostra piccola testa – pur con il grande dono della ragione – resta inquieta, non si fida, non vuole staccare il piede dal suolo che calpesta, anche se c’è un posto già preparato. Il grande mistico S. Giovanni della Croce esclama: “Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai… Per venire a ciò che non sei, devi passare per dove non sei” (Salita al monte Carmelo, 13,11). E questa è davvero scienza troppo alta per noi (cf Sal 139,6): fidarsi di un altro, affidarsi ad un altro, anche se è Dio! Il Signore ci vuole rendere partecipi della vita divina, della “conoscenza divina”, ci vuole introdurre nell’intimità divina, dove è possibile chiedere ed ottenere ogni cosa, nel nome di Gesù. È davvero grande e bella la parola di oggi che ci annuncia un posto preparato per noi nella comunione di amore della Santa Trinità e un cammino sicuro per raggiungerlo.
(don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)
*

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 97,1-2
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto prodigi;
a tutti i popoli ha rivelato la salvezza. Alleluia.
 
Colletta

O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l'eredità eterna. Per il nostro Signore...
 
Oppure:

O Padre, che ti riveli in Cristo maestro e redentore, fa' che aderendo a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a te, siamo edificati anche noi in sacerdozio regale, popolo santo, tempio della tua gloria. Per il nostro Signore...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  At 6, 1-7
Scelsero sette uomini pieni di Spirito Santo.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola».
Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.
 

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 32
Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo.
Oppure:  Alleluia, alleluia, alleluia.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.

Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. 


Seconda Lettura
  1 Pt 2, 4-9
Voi stirpe eletta, sacerdozio regale. 

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo
Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso».
Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo.
Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.


Canto al Vangelo
  Gv 14,6
Alleluia, alleluia.

Io sono la via, la verità, la vita, dice il Signore:
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Alleluia.

   
   
Vangelo  Gv 14, 1-12
Io sono la via , la verità e la vita.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».


*

La fede è l'antidoto al turbamento

Commento al Vangelo della V Domenica del Tempo di Pasqua 2014


Che cosa oggi "turba il nostro cuore", sottraendoci la pace e la gioia? Gesù aveva appena annunciato agli apostoli che sarebbe morto. Come loro, anche noi ci “turbiamo” quando la morte appare sull'orizzonte della nostra vita.
Ma la prima grande notizia è che, celato in ogni evento e relazione che odora di morte e ci impone di abbandonare progetti e desideri per rimetterci in gioco, c’è Cristo. Ciò significa che la storia di ogni giorno ci annuncia il Mistero Pasquale di Gesù. 
Ma, come per gli apostoli, saperlo non basta; il tradimento, quello altrui e il nostro, e poi la morte, beh questo ci “turba” sempre, il nulla che potrebbe spalancarsi davanti, e precipitarci dentro evaporando; e smettere di essere, di respirare, di pensare, di gioire, di fissare il volto della donna che ami, di litigare e far pace con tuo figlio. 
Per questo ci “turba” ogni annuncio della fine: i peccati degli altri, il male nel mondo, le ingiustizie.  Non importa se poi Gesù ha detto ai discepoli che sarebbe “tornato e li avrebbe presi con Lui”. Quello era il futuro, il presente era spalancato sulla precarietà, e il “cuore” era preda del “turbamento”.
Più avanti il Signore li avrebbe incoraggiati ancora dicendo che “non li avrebbe lasciati orfani”. Ecco, il punto è qui. Come il figliol prodigo, abbiamo lasciato la “casa di nostro Padre”, la nostra, cercando di essere in altri luoghi, e ci siamo risvegliati “orfani”.
Il demonio ci ha ingannati, come fece con Adamo ed Eva nel Paradiso. In quella “casa” ci siamo sentiti limitati, non potevamo raggiungere l’identità che il padre della menzogna ci prospettava: essere come Dio, quello sì che ci era piaciuto.
E ci siamo incamminati sulla “via” della “menzogna”, dimenticando, passo dopo passo, la “verità”. Ma senza di questa la “vita” perde senso, e si converte in una condanna, come accadde ai progenitori una volta precipitati fuori dal Paradiso. 
Per questo non siamo mai tranquilli, ci manca sempre qualcosa; ogni luogo che ci costruiamo con fatica, o che gli altri e gli eventi ci presentano, non ci sembra mai il nostro, ovunque ci sentiamo in trappola. Siamo “orfani”, e non possiamo sopportare che ci venga strappato neanche un frammento di quello che crediamo di avere tra le mani.
Il “turbamento” degli apostoli nasceva qui, come accade a noi quando la storia solleva il velo sulla “verità”, e cioè che esiste la morte perché esiste il peccato, il tuo e il mio. Ci eravamo illusi che fuori della “casa del Padre” avremmo trovato la “vita”. Ma la superbia genera sempre altri peccati, e la morte impregna di sé l’esistenza.
Gesù era stato chiaro, proprio nel momento in cui Giuda, immagine d’ogni superbo, aveva intinto il boccone con Lui ed era uscito nella notte. Il calice era colmo, e ora il male traboccava, tutto il male del mondo, i peccati di ogni generazione tingevano di nero ogni centimetro della terra, come una colata di lava che arrivava a Cristo. Quella notte era preparata per Lui, perché tutte le tenebre che spengono la vita degli uomini, fossero vinte dallo splendore della sua risurrezione.
Ma per risorgere doveva “andarci” dentro a quella notte, lasciare che il tradimento lo inchiodasse sulla Croce e lo deponesse nella tomba. Per Gesù quel momento era la sua “glorificazione”, ma per gli apostoli, ancora ciechi e illusi di poter “dare la vita” per qualcuno, era solo il momento in cui il loro Maestro sarebbe “andato via”, e loro non avrebbero “potuto seguirlo”.
Era il momento in cui stavano sperimentando il “turbamento” dell’orfano, il vuoto che si spalancava dinanzi. Era lì a un passo la “verità”, le conseguenze dei loro peccati; e il “cuore”, il punto più intimo di noi stessi, la sede della nostra volontà, dove siamo noi stessi e liberi, non ha retto l’urto. E’ un terremoto troppo forte la “verità”, la menzogna ha eroso le fondamenta e gli apostoli, come ciascuno di noi, non avevano “cuori” antismici per resistergli.
“Erano con Gesù da tanto tempo, ma ancora non lo conoscevano”. La “conoscenza” di Gesù, infatti, è l’unico pilone capace di restare in piedi nonostante le scosse devastanti che sfregiano la vita, perché apre alla “conoscenza del Padre”, che significherebbe cessare di essere orfani.
Come Filippo, anche noi vorremmo vedere il “Padre”; era quella l’unica speranza rimasta al figlio prodigo, ad ogni superbo che è uscito dalla “verità” per sparire nella menzogna. Certo che vedere il Padre “ci basterebbe”, perché significherebbe essere di nuovo accanto a Lui “nella sua casa”, e lì sì che si mangiava, che c’era vita e pace…
Per questo l’annuncio inesausto della Chiesa risuona anche questa domenica per tutti noi “turbati”: Cristo è risorto! E’ “tornato” vivo da quell’oscurità e ora è rivestito di una luce che nessun peccato potrà oscurare. 
Cristo è “andato” nel buio della morte, ma non ci ha lasciato “orfani”. E’ questo annuncio così stolto per il mondo che ogni figlio prodigo e perduto può rientrare in se stesso e convertirsi, tornare a casa, perché ogni passo deposto dal Signore sul cammino che lo ha condotto nel regno della menzogna e della morte, ha trasformato in una “via” di luce ogni via di perdizione. 
Cristo è risorto, è “tornato” con le chiavi del “posto” che “ha preparato” per noi in Cielo. “Nella casa del Padre”, infatti, “ci sono molti posti”, uno per ogni peccatore scacciato dal Paradiso, uno per ogni figlio orgoglioso spintosi nella notte a cercare di saziare l’insaziabile concupiscenza, “se no ce lo avrebbe detto”, e Gesù non ci inganna.
Ma come facciamo a credere a questo annuncio così sconvolgente? ”Fede” in ebraico si dice “emunah”, da cui deriva la parola “amen”; significa “essere stabili”, “appoggiarsi stabilmente”. La “fede”, dunque, è l’antidoto al “turbamento”, perché offre un sostegno stabile in mezzo alla precarietà.
Non è un sentimento, ma è profondamente esistenziale: quando Gesù ci dice “avere fede in Dio e in Lui” significa che oggi, di fronte alle situazioni difficili, quando ti sentirai senza “un posto” dove essere, “non turbarti”, cioè non scappare, ma “appoggiati in me”, resta in me, e scoprirai il tuo “posto” proprio in quello che pensavi che ti togliesse la vita e l’essere. 
E’ proprio lì, che Gesù “torna e ci “prende con sé” dove Lui “è”. Ma Lui dov’è? Non si tratta di un luogo fisico, ma di una relazione. Il “posto” di Gesù “è nel Padre e il Padre è in Lui”: il suo “essere” dipende dal Padre, al punto che “le parole che dice non le dice da se stesso”, e “il Padre che è con Lui compie le sue opere”. 
Allora possiamo scoprire il luogo dove essere con Gesù dalle “parole” e dalle “opere” del Padre che parla e compie in Lui. Per questo “fin da ora” possiamo “conoscere il Padre”; già qui nella nostra vita lo “possiamo vedere” parlare e operare in Cristo. 
Innanzitutto nella liturgia che celebriamo, nella Parola proclamata e scrutata, nei sacramenti a cui ci accostiamo, nella predicazione degli apostoli, nella comunione che sperimentiamo nella Chiesa. Qui il Signore ci dona i “souvenir” della “casa” che ci attende. Come gli esploratori che scesero nella Terra di Canaan e da lì riportarono le primizie di quel lembo di mondo meraviglioso, così Gesù che è “andato dal Padre”, “torna” anche oggi dal Cielo per consegnarci le primizie del Paradiso. 
Qui siamo gestati alla fede, per “credere in Lui”, cioè appoggiarci in Lui rimanendo nel suo amore, per “compiere anche noi le opere che Lui compie, e farne di più grandi”. Ma come è possibile, noi faremo opere più grandi di quelle di Gesù? Sì è possibile, perché quando ha annunciato questo Lui non era ancora “andato al Padre”.
Ma ora che “è andato” ed è “tornato”, è per noi “via” attraverso la morte, “verità” che cancella la menzogna”, e “vita” più forte del peccato. In Lui possiamo compiere opere celesti, le opere della fede adulta che può compiere solo chi ha dentro la vita eterna: l’amore che cantava San Paolo, paziente, benigno, che cerca il bene degli altri, che tutto sopporta, non si gonfia e rispetta sempre, che ci fa donare all’altro, aprendoci alla vita, perdonando, scusando, prestando senza chiedere che ci sia restituito, non esigendo nulla ma lasciando l’altro libero di sbagliare, anche di farci del male.
Così scopriremo che il nostro “posto” coincide davvero con quello dove Gesù “è”: perché il suo “posto” siamo noi, come lo è suo Padre. Gesù è amore puro, che lo fatto dimorare in ogni uomo, anche nel peggior peccatore. Sì, il “posto” preparato per noi è la Croce dove il Signore ci sposa a sé e ci consegna al prossimo. 
Anche il nostro “posto” è, infatti, una relazione d’amore: crocifissi con Cristo, i cristiani sono a casa propria ovunque; al lavoro, in famiglia, in un letto di ospedale, durante la chemioterapia, al banco di scuola, alla fermata dell’autobus, perché in ogni “posto” è piantata la Croce, sulla quale siamo chiamati a salire con Cristo, la pietra rigettata dal mondo, che Dio ha costituito pietra angolare. 
Ora sì che “conosciamo la via” che Gesù ha percorso per andare al Padre: proprio ciò che sino ad ora ci ha “turbato” risplende di “verità”; è necessario il cammino nella notte, attraverso la “via” del rifiuto, per entrare nella “vita” che non finisce; è necessario questo “posto” così precario per gettare le fondamenta nel “posto” preparato per noi in Cielo.
E’ necessario perché il mondo “veda” il Figlio crocifisso e risorto per amore in noi, e così conosca il Padre e il destino eterno di pace e felicità per il quale ogni uomo è stato creato.

*
18 maggio 2014
di ENZO BIANCHI
Non è facile interpretare le densissime parole di Gesù contenuti nei cosiddetti “discorso di addio” del quarto vangelo (cf. Gv 13,31-16,33). Ogni versetto è una rivelazione, svela e fa conoscere l’identità di Gesù e il vincolo di comunione da lui stabilito con i suoi discepoli. Soprattutto, queste parole non sono direttamente quelle pronunciate da Gesù, quando era sulla terra con i suoi, ma sono parole del Kýrios, il Signore vivente perché risorto dai morti e ormai nella gloria di Dio.
In quella sera dell’ultima cena fraterna Gesù ha parlato, ma le sue parole accolte dai discepoli, da essi memorizzate e custodite nel cuore, sono state vissute e ricordate dopo gli eventi della resurrezione. È dunque in questa luce pasquale che Gesù parla ai suoi, quale Figlio del Padre nella gloria, che dice: “Io non sono più nel mondo, con loro” (cf. Gv 17,11).
I discepoli sono nel mondo, in mezzo all’oscurità dei cuori e all’ostilità dei nemici di Gesù, alienati al “principe di questo mondo” (Gv 12,31; 16,11; cf. 14,30), Satana. Ci sono molte ragioni per essere tentati di non credere, di non aderire al Signore Gesù. Ci sono molti eventi che scuotono e sembrano togliere la speranza e raffreddare l’amore reciproco.
C’è paura! Ma ecco che Gesù viene dai suoi e parla loro: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Il Signore sa che una grande minaccia alla fede è la paura, per questo invita i discepoli a non temere e a restare saldi, mettendo la loro fiducia in Dio e anche in lui, il Figlio. Si tratta, da parte dei discepoli, di esercitarsi a questa fiducia, accogliendo sempre il dono della fede da parte di Dio e aderendo al Signore con forza rinnovata, con stupore, aumentando la convinzione della fede attraverso un sempre maggiore ascolto della sua Parola, una maggiore conoscenza del suo mistero, un maggior amore che è desiderio di conformità alla sua volontà.
La fede in Dio è anche fede in Gesù, anzi proprio la fiducia che i discepoli pongono in colui che hanno ascoltato, visto e palpato (cf. 1Gv 1,1), può essere anche fede nel Dio che nessuno ha mai visto (cf. Gv 1,18). IlKýrios chiede fede in lui, perché egli, il Cristo Gesù, è Dio, accanto a Dio Padre. Certo, egli è assente visibilmente dalla sua comunità, se n’è andato da questo mondo, ma per preparare una dimora per i discepoli; presto verrà di nuovo e li prenderà con sé per sempre. Non è infranta la comunione vissuta durante la vita itinerante in Galilea e in Giudea, anzi questa comunione sarà ancora più piena e i discepoli potranno essere sempre là dov’è il loro Signore.
Gesù va ormai collocato nel seno del Padre, è nel Padre: questo è il luogo di cui i discepoli conoscono la via, perché Gesù più volte ha mostrato ai suoi che per andare a Dio occorreva andare a lui, per vedere Dio occorreva vedere lui, per conoscere Dio occorreva conoscere lui. Sì, ormai per gli uomini c’è una possibilità di conoscere quel Dio che tutti cercano come a tentoni (cf. At 17,27), quel Dio che nessuno ha visto né può vedere (cf. 1Tm 6,16), quel Dio che, invisibile e presenza elusiva, si è mostrato pienamente in un uomo, in una vita d’uomo, in azioni e parole d’uomo: suo Figlio Gesù. È lui l’esegesi, la narrazione del Dio invisibile (exeghésato: Gv 1,18), l’immagine che gli uomini hanno potuto contemplare, quel corpo di uomo fragile e debole che hanno potuto palpare e nel quale hanno potuto vedere i segni della passione e morte.
I cristiani non sempre hanno capito questa rivelazione di Gesù ma, attratti da un teismo religioso, non vogliono comprendere che devono guardare Gesù e conoscere lui per conoscere qualcosa di Dio. In verità Gesù dice ai suoi che tutto ciò che lui ha rivelato e narrato di Dio va creduto, mentre tutto ciò che di Dio lui non ha detto non deve essere creduto. Di fronte a tante immagini perverse di Dio fabbricate dai credenti stessi, e di cui ci dà ampia testimonianza l’Antico Testamento, Gesù afferma che solo chi ha visto lui ha visto il Padre.
Non è possibile una conoscenza di Dio disgiunta dalla conoscenza di Gesù, e su questo dobbiamo interrogarci: chi è Dio per me? Dove lo cerco? Che volto gli do? Che luce proietto sul suo volto? È un Dio manufatto, un idolo opera delle nostre immaginazioni e proiezioni, oppure è semplicemente Gesù, il Figlio di Maria che solo lo Spirito santo ci poteva dare e di cui ci danno testimonianza i vangeli?
*