giovedì 8 settembre 2011

Guglielmo di Saint-Thierry - La natura del corpo e dell'anima


Guglielmo di Saint-Thierry


LA NATURA
DEL CORPO E DELL’ANIMA



PROLOGO


Teofilo a Giovanni, salute!


1. Tra i greci è celebre il responso di Apollo Delfico: «Uomo, conosci te stesso». La medesi­ma cosa afferma anche Salomone, o meglio Cristo, nel Cantico dei cantici: «Se non ti conosci, esci». Chi infatti non dimora, contemplando la sapienza, nella realtà sua propria, necessariamente esce, per vana curiosità, in una realtà che gli è estranea. L’uomo, che è dotato di ragione, se non è aiutato dalla grazia a fatica può giungere col suo pensiero a conoscere se stesso; e anche questo non gli giova a nulla, se non si eleva dalla conoscenza di ciò che egli è alla conoscenza di colui dal quale ha origine, e che è sopra di lui. Errore deplorevo­le è dunque per l’uomo, e deplorevole insipienza, di­sperdere le proprie forze intellettuali nel mondo ester­no, in cose estranee, quando la natura, o meglio il creatore della natura, Dio, gli ha assegnato, nella sua stessa realtà, un compito tanto grande nel quale impe­gnarsi.


2. Esamineremo dunque per quanto possibile, con cura, dentro e fuori, nell’anima e nel corpo, il nostro microcosmo, cioè l’uomo, questo piccolo mondo, così da innalzarci, per mezzo dell’intelligenza di ciò che in noi si può vedere e percepire, sino all’Autore di tutte le cose, visibili e invisibili. Diremo dapprima qualcosa sulla natura del corpo, poi parleremo di ciò che è proprio dell’anima. Devi sapere, ad ogni modo, che quanto leggi non è mio. Io ho raccolto qui, in un solo scritto, passi tratti in parte da libri di filosofi e di medici, in parte da libri di dottori della Chiesa. Non mi sono limitato a riportare il loro pensiero, ma ho riferito quanto hanno detto o scritto così come da essi è stato esposto.




LIBRO I

LA NATURA DEL CORPO UMANO


[Gli elementi]

3. Ogni corpo animale è “te­traformato”, vale a dire è composto da quattro costi­tuenti. Una cosa è infatti ciò che è “tetraformato”, altra cosa sono i costituenti da cui risulta. Questi sono i quattro elementi. Ciascuno dei quattro elementi ha soltanto una qualità che gli è propria. Il fuoco è caldo, l’aria è umida, l’acqua è fredda, la terra è secca. Il fuoco, poi, essendo mobile, per il movimento assume secchezza, e quindi è caldo e secco. L’aria, che si trova sotto il fuoco, assume da esso ciò che gli è proprio per natura, cioè il calore; quindi è calda per il fuoco ed è umida per se stessa. L’acqua, trovandosi sotto l’aria, assume da questa l’umidità mentre è fredda per se stessa. La terra, che si trova al di sotto dell’acqua, assume da questa la freddezza, mentre è secca per sua natura. Secondo Ippocrate, se il corpo animale fosse costi­tuito da uno solo degli elementi, non proverebbe mai dolore, poiché, se il corpo fosse semplice, non ci potreb­be essere alcuna causa di dolore.


4. Ma la terra, dopo essersi trasformata in fango, diviene acqua; l’ac­qua, condensata e trasformata in fango, terra, e riscalda­ta e trasformata in vapore, aria. L’aria, condensata e concentrata, acqua, e via di seguito: è in tal modo che i corpi [composti] si corrompono.


[Gli umori]

Da questi quattro elementi si formano nel corpo animale quattro umori, chiamati a causa di ciò loro figli. Come gli elementi sono necessari per il mondo, così essi lo sono per il corpo animale, fornendo­lo in giusta misura delle sostanze necessarie per la sua vita e la sua salute, sempre che siano distribuiti in modo appropriato e secondo l’ordine naturale e non siano corrotti per vizio o incuria. Altrimenti, come l’acqua addensata si tramuta in terra e la terra trasformata in fango in acqua, così anche gli umori, se si sono corrotti l’un l’altro per reciproci influssi, corrompono e distrug­gono il loro corpo, al quale avrebbero dovuto assicurare una vita ordinata.


[L’eucrasia]

5. La complessione propria del corpo animale risulta dalla prima e naturale mescolan­za in esso degli elementi; se questa è un composto ben bilanciato, di modo che i contrari non si combattono né si distruggono a vicenda, ma gli elementi caldi vengono temperati dai freddi, i freddi dai caldi, e così gli altri, ne risulta una buona complessione, e con l’accordo naturale si ha l’eucrasia, vale a dire il buon temperamento delle quattro qualità. Fin tanto che questo temperamento naturale si conserva, il corpo umano non può essere aggredito da alcun morbo. Questo se, come si è detto, è eucratico, cioè di buona complessione. Se però viene meno tale temperamento, il corpo necessariamente si altera. Ma di questo parleremo in un altro momento. Ora dobbiamo vedere da dove hanno origine i quattro umori e come sono nutriti.


[La prima elaborazione del cibo]

Qualunque sia la sua provenienza, ogni cibo è costituito, come si è mo­strato sopra per il corpo animale, dai quattro elementi. 6. Il Liber graduum mostra quanti e quanto diversi siano i modi, rispetto al calore e alla freddezza, alla secchezza e all’umidità, nei quali la natura degli elementi si combina in ciò che è commestibile.

Allorché si assume del cibo, la bocca, con l’aiuto dei denti e della lingua, lo riduce in minute particelle. La lingua lo distribuisce e i denti lo fanno a pezzi e lo triturano. Il cibo coli preparato viene mandato nello stomaco attraverso la gola e l’esofago, risultando gu­stoso per un palmo appena. L’esofago è un organo lungo, tondeggiante, concavo e internamente villoso. All’interno ha infatti dei lunghi peli, alcuni posti trasver­salmente, altri diretti in alto verso la bocca. I peli volti verso l’alto per loro natura attraggono il cibo, quelli posti trasversalmente lo comprimono, e così lo tramuta­no in succo, e a poco a poco lo fanno scendere verso la bocca dello stomaco.


[Lo stomaco e la digestione]

7. Lo stomaco ha due bocche, una situata nella parte superiore, l’altra nella parte inferiore, che vengono chiamate anche “porte”, perché di tempo in tempo si aprono e si chiudono. La bocca superiore dello stomaco, ricevuto il cibo, si chiude fino a che questo non venga digerito. Lo stomaco, dopo aver assorbito con tale digestione ciò che trova adatto al proprio nutrimento, attraverso la porta inferiore trasmette agli organi sottostanti ciò che rima­ne. Esso compie tutto questo per mezzo di quattro sue facoltà naturali, la appetitiva, la contentiva, la digestiva, la espulsiva. Anche altre parti del corpo posseggono queste facoltà, soprattutto quelle quattro che sono chiamate “parti fondamentali”: cioè il cervello, a cagio­ne della facoltà animale e sensoriale, il cuore, a cagione della facoltà spirituale, il fegato, a cagione della facoltà naturale; gli organi genitali, a cagione della facoltà generativa.


8. La facoltà appetitiva e quella digestiva determina­no l’appetito; la facoltà contentiva, che opera fra di esse, serve alla digestione in quanto trattiene il cibo perché non ritorni là donde è sceso, lo comprime, e un po’ alla volta, parte dopo parte, lo spinge giù, secondo l’ordine conveniente alla digestione.

Le funzioni di queste facoltà dello stomaco, appetitiva, contentiva ed espulsiva, si esplicano, così come si è detto a proposito dell’esofago, per mezzo di certi villi che si estendono in senso longitudinale e trasversale per lo stomaco; di essi non mancano anche alcuni visceri che si trovano più in basso sotto lo stomaco. Tutto questo avviene con la prima digestione, che si compie nello stomaco. La digestione di qualsiasi cibo è un’ebollizione determinata dal calore naturale.

Ciò che viene fatto passare attraverso la porta inferiore [dello stomaco] è ricevuto dall’intestino duodeno, così chiamato perché è lungo dodici dita. Avve­nuta la digestione, e per suo mezzo la trasformazione della sostanza digerita, segue l’espulsione della feccia.


9. Altri intestini ricevono ciò che viene espulso: tre tenui che stanno sopra, attorno alla bocca dello stomaco, tre grossi [che stanno] più in basso. Vi è, sotto, un intestino chiamato tenue, nel quale, dopo la digestione che si è detto avvenire nello stomaco, ciò che è stato espulso da questo discende e rimane finché, per una seconda digestione, il succo è meglio depurato e affina­to. Ciò che è affinato e puro viene inviato al fegato attraverso le vene dette mesenteriche.

Bisogna notare che nella digestione vi sono dei cibi che provocano delle trasformazioni ma non si trasforma­no, come il succo di scamonea, altri sono trasformati e non trasformano, come il pane, altri si trasformano e trasformano, come le cipolle e l’aglio, che sono cibo e medicina assieme.


[Il fegato e gli umori]

10. Il fegato, che riceve questo succo attraverso le vene di cui sopra si è detto e attraverso la vena detta porta, lo trasforma nella sua natura, digerendolo ulteriormente. Tutto ciò che vi è in esso di igneo, lo assorbe, per proprio nutrimento, la bile rossa; tutto ciò che è aereo, il sangue; ciò che è acquoso e umido, la flegma; ciò che è solido e terroso, la bile nera (melancolia). Questi quattro umori, che si forma­no nel fegato e dal fegato sono distribuiti in tutto il corpo, se circolano secondo la giusta regola della natura si aiutano l’un l’altro, anche se hanno qualità diverse, e cooperano alla determinazione dello stato di salute, che è uno solo.

La bile rossa, calda e secca, con il suo calore affina il sangue; con essa il sangue si diffonde senza difficoltà, ed essendo affinato può somministrare un adeguato nutrimento a quelle membra delicate che richiedono un alimento delicato.


11. Il sangue, d’altro canto, essendo caldo e umido, tempera con la sua umidità la secchezza della bile. La flegma, che è fredda e umida, con la sua freddezza serve a moderare il calore del sangue e con la sua umidità viene a equilibrare la secchezza della bile nera, con la quale ha in comune appunto la freddezza.


[Gli umori e il microcosmo]

Nota come questi “figli” degli elementi seguano la via dei loro padri. Gli elemen­ti infatti operano, nel grande mondo, allo stesso modo in cui operano i quattro umori in quel mondo minore che è l’uomo, cioè il microcosmo, come sopra è stato detto, traendo l’armonia dalla loro diversità, e per mezzo di questa armonica diversità producendo la bel­lissima unità del loro ordine.


[Il sonno e i sogni]

Il vapore provocato dalla dige­stione, salendo leggero e soave tocca dolcemente il cervello e ne comprime i ventricoli, tanto da far assopire tutte le sue attività. Questo è il sonno. 12. In esso, mentre vengono meno tutte le altre facoltà dell’anima, soltanto la facoltà naturale continua ad esse­re attiva, e opera allora nel modo più intenso, in quanto tutta la natura è a sua disposizione. L’anima, intanto, quieta nell’interiorità, essendo escluse tutte le funzioni dei sensi, riconsidera in sé le cose passate, presenti e future; questo è il sogno.


[Origine dei quattro umori]

Allorquando i quattro umori sorgono e si formano nel fegato, nessuno di essi è secreto nella sua propria forma, ma secondo la forma propria del fegato stesso, che ha l’aspetto di un organo sanguigno: tutti del pari si presentano quindi indistinta­mente con un aspetto simile a quello del sangue. Essi si diffondono ciascuno attraverso le proprie vie, cioè attra­verso le vene e le arterie, per nutrire e sostentare tutto il corpo. E si generano in questo modo.

13. Dapprima i cibi, stando in mezzo allo stomaco, diventano chiari, cioè come la flegma; più in basso, vicino al fegato, si forma una sorta di sangue acquoso; una volta cotto nel fegato esso diventa sangue; quando questo è ulteriormente cotto diviene bile rossa, e se è troppo cotto bile nera.


[La bile rossa]

La bile rossa esce dal fegato e si diffonde per molte vie nel corpo; attraverso una vena discende infine nei visceri inferiori con una certa corro­sione, provocando la fuoriuscita per evacuazione delle feci rimaste. In questa funzione, costringere la natura prima che insorga lo stimolo nuoce alla salute; così come nuoce alla salute, allorché insorge lo stimolo, differire tale necessità naturale.

La bile rossa, entrata nello stomaco attraverso un altro piccolo passaggio di una vena, vi determina la digestione e l’appetito. Essa si diffonde anche nelle altre parti del corpo, e la vescica del fiele ne raccoglie i sedimenti.


14. Il fiele ha la funzione infatti di purificare il sangue dalla bile rossa perché questa, rimanendo nel sangue, non lo infiammi. Quando essa è pre­sente in quantità eccessiva, infiamma tutti gli organi e provoca le peggiori malattie.


[Il sangue]

Il sangue, uscendo dal fegato attraverso due vene, delle quali l’una è chiamata concava l’altra porta, si diffonde in ogni parte attraverso le vene e le diramazioni dei loro piccoli vasi.

C’è una vena che penetra nello stomaco, da dove, se ne trova, porta alimento al fegato. Un’altra entra in un lato dello stomaco, portandovi alimento dal fegato, così che il ventricolo dello stomaco, digerendo tale alimento, possa nutrirsi.

Un’altra, che giunge sino alla milza, toglie dal fegato le impurità del sangue. Ma prima di arrivare a questa si dirama in diverse parti del corpo perché il sangue possa portare nutrimento alla carne. Questa vena è chiamata dai medici panagras. 15. Proprio del sangue è infatti nutrire il corpo. È anche proprio del sangue imitare una qualità dell’aria, della quale come già si è detto possiede la natura, in quanto può subire come questa moltissimi mutamenti. Se è grosso e torbido, è segno che ha troppo calore e troppa umidità; se è sottile e acquoso, è segno di freddezza del fegato; se è rosso e fetido è segno di un’infezione della bile rossa e di una sua putrefazione; se è spumoso di flatulenza; se è coagulato e acquoso, è segno di eccessiva flegma e di un difetto della facoltà espulsiva. Ciò che doveva essere espulso attraverso l’urina o il sudore o in altri modi è rimasto nel sangue.


[La flegma]

16. La flegma è un alimento semicrudo, per questo è fredda e umida. Talvolta, allorché difetta il sangue, serve anche da nutrimento del corpo, e cotta si trasforma in sangue. Se la flegma viene emessa liquida e senza sapore, è naturale; se è dolciastra, è contaminata dal sangue; se è salata, è contaminata dalla bile rossa; se è acida, dalla bile nera; se è vitrea e coagulata, lo si deve al freddo. I diversi tipi di flegma si conoscono dai loro effetti in questo modo. Se la flegma naturale è eccessiva, si riduce, per l’abbondanza di umore nello stomaco, il desiderio di mangiare e di bere; come l’acqua suole attenuare il sapore di qualun­que cibo con cui sia mescolata, essa attenua i sapori dei cibi e delle bevande. Se predomina la flegma dolce, ogni cibo assume un sapore dolce e viene digerito rapida­mente; se quella salata, ne segue un minor desiderio di cibo e la bocca diventa amarognola, mentre aumenta il desiderio di bere. Se la flegma è acida, viene ridotto invece il desiderio di bere e stimolato quello di mangia­re, perché il cibo non digerito si raccoglie nella parte inferiore dello stomaco, lasciando vuota la parte supe­riore, che sente il desiderio di cibo. La flegma vitrea distrugge i cibi e le bevande, causando rigidità per il freddo eccessivo.


[La purgazione degli umori]

17. Questi quattro umori tendono verso le parti superiori del corpo, qui spurgano per una purga naturale: la bile rossa dagli orecchi, la bile nera dagli occhi, la flegma dalle narici e dalla bocca. L’urina invece è il residuo della depurazione del san­gue. Il sangue e la flegma, che per la loro umidità e abbondanza circolano ed espellono le proprie scorie piú facilmente, le eliminano per mezzo dei reni e della vescica e non hanno organi di raccolta propri, come invece la bile rossa, che ha la cistifellea, e la bile nera, che ha la milza. La bile nera ha infatti la sua sede nella milza, dove scola dal sangue del fegato e da dove viene poi mandata alla bocca dello stomaco per stimolare l’appetito.


[Le facoltà e le loro funzioni ]

18. Dalla digestione epatica si sviluppa questa distribuzione degli umori. Dall’effervescenza di questa stessa digestione si sviluppa poi del vapore, che genera lo spirito detto “naturale”, il quale vivifica il fegato, rendendolo atto a tutte quelle funzioni, quali che siano, richieste dalla facoltà naturale.

Tre sono le facoltà che regolano il corpo (la facoltà è l’attitudine ad operare di un organo che lo rende capace di compiere la sua funzione). La facoltà naturale risiede nel fegato, quella spirituale nel cuore, quella animale nel cervello. Ciò che è regolato dalla natura e dall’anima è animato, ciò che è regolato dalla sola natura è inanimato. Qui non ci occupiamo di quanto è inanimato. In tutto ciò che è animato, è necessario sia presente una facoltà dell’anima e della natura, che lo renda capace di compiere la propria funzione. Possiamo conoscere questa facoltà grazie alle sue attività.


19. Nel nostro aver fame, trattenere il cibo, digerirlo ed espellerlo, si esercita la facoltà natura­le; nell’aver sensazioni e nel movimento volontario, la facoltà animale; nell’inspirare ed espirare, la facoltà spirituale. La facoltà naturale è comune alle piante, alle bestie e agli uomini; la facoltà spirituale alle bestie e agli uomini; quanto alla facoltà animale, essa opera in modo simile in alcuni animali ma non in altri. La fantasia e la memoria, infatti, possono essere possedute in maniera perfetta soltanto da un animale dotato di ragione.

La facoltà naturale ha tre funzioni, si articola cioè nelle tre facoltà di generare, di nutrire e di accrescere. La generativa risiede nello sperma, la nutritiva si espri­me nel processo vegetativo, la accrescitiva nel processo per cui ciò che è piccolo aumenta sino a divenire grande. 20. Ciò è opera principalmente del sangue, che ha la facoltà di nutrire e di far crescere. Lo aiutano in questo, depurandolo dalle sue scorie, la cistifellea, la milza e i reni. Il fiele attirando a sé la bile rossa, perché non lo surriscaldi; la milza assorbendo le sue scorie; i reni scaricando le scorie acquose del sangue nella vescica perché siano eliminate; in modo analogo gli intestini ricevono dallo stomaco i residui solidi del cibo che devono essere eliminati.


[Gli spiriti e le loro sedi]

Tutto questo è opera dello spirito naturale, che nasce nel fegato e ne potenzia e regola la facoltà naturale, proteggendone le attività, così come fanno lo spirito spirituale nel cuore e lo spirito animale nel cervello. Tre infatti sono gli spiriti, che regolano e vivificano le tre facoltà. E come lo spirito naturale ha la sua origine e la sua sede nel fegato, così lo spirito spirituale la ha nel cuore.


21. Il cuore è il principio del calore spirituale ; con lui collaborano il polmone, i pannicoli e i muscoli del petto. I muscoli sono una combinazione di nervi e di carne. Grazie al loro movimento si inspira aria, che serve a raffreddare [il cuore], mentre il calore viene eliminato sotto forma di vapore per una sorta di processo digestivo dello spirito.

Lo spirito è la facoltà delle facoltà, che permette a queste di esercitare le proprie attività. Lo spirito infatti è una forza dell’anima grazie alla quale le facoltà svolgono le loro funzioni: quella naturale nel fegato, quella spirituale nel cuore, quella animale nel cervello. Queste tre facoltà, questi tre spiriti, hanno origine nei tre organi principali, fegato, cuore, cervello, e da essi si diffondono in tutto il corpo.

Lo spirito spirituale, o la sua facoltà, si origina nel cuore e ne provoca la dilatazione e la costrizione. La dilatazione si ha quando il cuore si dilata, e [con esso] si dilatano anche le arterie, per attrarre aria, quella che serve come anche aria superflua, e il sangue sottilis­simo dalle vene.


22. Se il calore del cuore non venisse temperato in tal modo, brucerebbe sia la sua sede sia gli organi che le stanno vicini. Per questo, perché di continuo attrae a sé l’aria per il suo nutrimento, si dice anche che il cuore riposa nel seno del polmone come nel seno di una nutrice. Se il passaggio per il quale si effettua questa aspirazione per qualsiasi ragione si ostruisce, il cuore ricorre sempre ad esso, sino a quando vi trova un po’ d’aria di cui nutrirsi. Se questa viene del tutto a manca­re, il cuore muore. Per questo i medici dicono che l’uomo non può vivere più di sette giorni senza cibo, né più di sette ore senz’aria. La facoltà spirituale, dun­que, è quella che vivifica ogni organo e dalla quale viene la vita a tutto ciò che nel corpo ha vita. Questo è lo spirito spirituale.


23. Esso, come già più volte si è detto, formatosi nel cuore, attraverso le arterie pervade tutte le membra del corpo, potenziando e regolando la facoltà spirituale e proteggendone le attività.

Le arterie che fuoriescono dal cuore, e che facendo circolare per ogni parte dell’organismo lo spirito vitale servono al cuore, sono villose, hanno cioè dei villi internamente ed esternamente: i villi esterni si stendono in senso longitudinale, così da attirare il calore e lo spirito dal profondo del cuore, e allora anche le arterie si dilatano. Gli altri villi, interni alle arterie, essendo posti trasversalmente comprimono lo spirito e ne espel­lono il vapore superfluo. Questa è la prima digestione dello spirito spirituale. Lo spirito poi, attraverso le arterie dette giovanili, che salgono sino al cervello lungo i lati destro e sinistro del collo, entra nel cervello. Le arterie giovanili entrano infatti nel cranio.


24. Il cranio è la sede del cervello, ossia la scatola del capo, nella quale è contenuto appunto il cervello. Sia per i vapori, perché lo spirito possa passare attraverso le piccole aperture [che rimangono] tra le giunture delle ossa, sia per permettere il passaggio alle vene e alle arterie che vi devono penetrare, è formato da molte ossa. Le arterie giovanili, che portano lo spirito vitale e penetrano nel cranio fino alla sede del cervello, sotto il cervello si diramano formando come una rete, affinché lo spirito, riscaldato da questa rete, venga di nuovo digerito.

Lo spirito spirituale, fermandosi qui, si purifica per digestione. Da questa digestione si forma lo spirito animale, che poi fuoriesce attraverso due arterie che si incurvano al di sopra della rete, e defluisce sino al ventricolo dei lobi cerebrali anteriori. 25. Qui è raffi­nato e depurato ulteriormente, ed espelle i sedimenti da cui si è liberato attraverso il canale del palato e delle narici. Questa è la sua terza digestione.

Passa poi ai ventricoli dei lobi posteriori, attraverso il passaggio che si trova nel mezzo fra quelli situati davanti e quelli che stanno dietro, e lí produce la memoria e il moto, come nei lobi anteriori la fantasia e la sensibilità. I lobi situati davanti costituiscono la parte anteriore del cervello, collocata nella parte anterio­re della testa, quelli che stanno dietro la parte posteriore del cervello, posta nella parte posteriore della testa. Ciascuno di essi ha, quasi domicilio personale, un ventricolo, entro il quale è contenuta la sua facoltà; in mezzo ad essi si trova il ventricolo medio, che contiene la ragione e l’intelletto.


[Le funzioni del cervello]

26. Si deve notare che il cervello esercita alcune attività direttamente, altre per mezzo di suoi agenti. Direttamente permette l’esercizio della ragione, posta nel mezzo, come regina e signora, per la quale appunto ci distinguiamo dalle bestie, della fantasia, la cui sede è nei lobi anteriori, e della memoria, che ha sede nei lobi posteriori. Permette invece l’esercizio della facoltà animale, cioè della sensibilità, che ha sede nei lobi anteriori, per mezzo dei cinque sensori, e del movimento, che ha sede in quelli posterio­ri, per mezzo di nervi che fuoriescono dai lobi posterio­ri.

Abbiamo detto che esercita direttamente la ragione, la memoria e la fantasia. Ora, sembra che anche negli animali bruti esistano la fantasia e la memoria, così come la sensibilità e il movimento (altrimenti il cane non riconoscerebbe il suo padrone, e l’uccello non ritornerebbe al suo nido). Si deve però sapere che in essi non vi è né memoria né fantasia, ma un potere dei sensi, o una capacità di servirsi delle attività dei sensi, tanto maggiore quanto pii la loro anima è estranea alla ragione, ed è consegnata e fissata tutta al suo corpo, tutta occupata soltanto dai sensi e dai movimenti. Per questo gli animali hanno movimenti pii vivaci e le loro membra risultano pii idonee al movimento.


[L’anima spirituale]

27. Alcuni filosofi, che attribuivano all’anima una natura corporea, hanno detto che questo spirito spirituale è appunto l’anima. Ma ciò è falso. L’anima è una sostanza spirituale fatta ad immagine di Dio, del tutto simile a Dio, che in un certo senso si trova nel suo corpo a quel modo in cui Dio si trova nel suo mondo, vale a dire essendo ovunque nel corpo e ovunque tutta intera: tutta nelle attività naturali, tutta in quelle spirituali, tutta in quelle animali. Essa opera con semplicità nelle attività naturali, con maggior semplicità in quelle animali, in modo affatto semplice in quelle spirituali. Compie alcune attività naturalmente; alcune attivamente e passivamente, come un animale; alcune per se stessa e secondo se stessa, cioè in modo spirituale. 28. Dunque, sia la facoltà naturale, sia quella animale, sia quella spirituale non sono l’anima, ma strumenti dell’anima.


[Il cuore e lo spirito vitale]

Ma ritorniamo al nostro argomento. Tutti i principi delle attività spirituali hanno dunque origine nel cuore e provengono dal cuore. Esso, come si è detto, è ardente per il calore naturale, e per questo stesso calore attira a sé tutto ciò che può temperarlo. Per la sua forma sembra quasi avere due orecchiette; quella di destra riceve una vena proveniente dal fegato, attraverso la quale trae a sé il sangue; dall’orecchietta di sinistra fuoriesce una grande arteria, che con le sue molte diramazioni distribuisce ovunque lo spirito vitale.

Va anche notato, a proposito delle arterie, che esse vengono a intrecciarsi intimamente, per tutto il corpo, con le vene, e per mezzo di pori che la natura provvida ha creato in esse, e dei quali abbondano, sono in comunicazione le une con le altre. Le arterie portano alle vene lo spirito vitale, le vene alle arterie il nutrimento naturale, e non manca mai nelle arterie un sangue ricco di nutrimento, né nelle vene lo spirito animale. Ma ritorniamo ora allo spirito.


[Lo spirito spirituale e il movimento del corpo]

29. Abbiamo detto che lo spirito spirituale, una volta passa­to nei lobi posteriori del cervello, vi dà origine alle attività della memoria e del movimento: della memoria direttamente esso stesso, e del moto per mezzo di suoi agenti, che sono i nervi. Allo stesso modo, nei lobi anteriori del cervello suscita direttamente la fantasia, la sensibilità, invece, per mezzo di suoi agenti, i cinque sensi. Delle attività spirituali dello spirito è difficile trattare; è invece agevole dire qualcosa di quelle che lo spirito compie per mezzo dei suoi agenti nel corpo o attorno a questo, cioè delle sensazioni e dei movimen­ti.

Trattiamo anzitutto del movimento. La facoltà del movimento, che ha origine nel cervello, muove diretta­mente essa stessa ciò che le si trova vicino. 30. La natura provvida, poi, ha posto appunto nel cervello sette paia di nervi, i quali, fuoriuscendo attraverso opportune aperture, comunicano il movimen­to agli organi del capo, del collo e a quelli che si trovano sotto di questi sino al diaframma, che divide a metà la cavità viscerale. Tali nervi, essi stessi direttamente, oppure per mezzo di ulteriori diramazioni nervose che da essi si dipartono, comunicano il movimento a ciò che deve muoversi e controllano ciò che deve essere control­lato. I cinque sensi, infatti, forniscono a ciascun organo la sua capacità di muoversi e di sentire: al cervello, alla lingua, alla gola e agli altri organi, fino al diaframma, come si è detto.

Questa facoltà, cioè la capacità motoria che procede dal cervello, ha origine, come si è detto, nel cervello. Di conseguenza, se la capacità del movimento volontario si trasmettesse attraverso i nervi che, fuoriuscendo da esso, giungono a tutte le parti del corpo, sino alle piante dei piedi, e da esse ritornano, l’essere vivente risultereb­be molto lento e tardo nei movimenti. Per questo la natura ha provveduto il cervello di un oppor­tuno organo ausiliare, che si estende sino alle estremità inferiori e porta ovunque in esse la forza, ricevuta dal cervello, per l’attività motoria e la sensibilità.


31. I nervi per loro natura determinano il movimen­to, i muscoli con i nervi la sensibilità. Sono organi delicati che subito vibrano per gli umori estranei; nessu­na parte del corpo che non sia controllata da essi prova sensazioni dolorose. Il dolore che sentiamo in una lesione delle ossa, delle unghie o di parti simili, non insorge propriamente nell’osso e nell’unghia, ma nei punti in cui questi si congiungono con la carne e i nervi.

Poiché, come si è detto, i nervi si estendono dall’alto al basso per tutto il corpo, potrebbero, per la loro stessa lunghezza, rompersi facilmente, e la sensibilità e la motilità ne resterebbero indebolite. Per questo il corpo è stato fornito di un nervo, che in lingua araba si chiama nucha, il quale scende dal cervello, dalla parte terminale dei lobi posteriori, attraverso le vertebre del dorso, cioè le ossa della spina, fino alla parte inferiore del corpo. 32. Viene perciò chiamato anche cervello del dorso o della spina. Sempre per questa ragione è anche rivestito, a somiglianza del cervello, di membrane protettive che lo riscaldano e lo nutrono. Il cervello, che è chiuso dentro il cranio, é fornito infatti di due membrane poste fra esso e la materia dura del cranio. Una di queste è molto morbida e leggera, e lo riscalda; per questo è chiamata dai medici “pia madre”. L’altra è più resistente, e lo protegge dalla durezza del cranio; per questo è chiamata “dura madre”. Anche il cervello del dorso, la nucha, ha una pia madre e una dura madre. In più ha anche altre due membrane, formate da legaménti, che coprendolo servono a proteggerlo.


33. Non vi è alcun pericolo se, lesi per qualche accidente tutti questi elementi protettivi fino alla pia madre, la nucha rimane illesa. Se però la nucha viene a soffrirne o è spezzata, tutte le membra che si trovano al di sotto [della ferita] perdono la sensibilità e la mobilità, mentre quelle che stanno al di sopra conserva­no integre le proprie funzioni. Di modo che, se la lesione si verifica nella prima vertebra che sta sotto il cranio, tutte le membra situate presso o sotto ad essa vengono private della sensibilità e del movimento.

Dalla nucha dunque, per mezzo di nervi che si dipartono in ogni direzione, vengono forniti la sensibili­tà e il movimento a tutte le membra situate al di sotto o attorno [ai punti da cui si originano queste diramazio­ni] . Il movimento volontario si estende in tal modo dal cervello per tutto il corpo.

I lobi posteriori del cervello, dai quali procede il movimento, sono più piccoli dei lobi anteriori, in quan­to l’operazione degli anteriori è più elevata e complessa, ed essi contengono pii strumenti operativi che non i lobi posteriori. 34. Gli anteriori sono inoltre pii molli dei posteriori. Questi devono essere pii duri per sopportare più agevolmente il movimento; gli ante­riori invece pii molli, perché i nervi della sensibilità, che fuoriescono da essi, possano essere dei recettori molto sensibili. Questi sono sette paia; pochi sono invece i nervi che fuoriescono dai lobi posteriori e cau­sano movimento e sensibilità.

Ad essi, e a tutti quelli che fuoriescono dal cervello, la natura conferisce infatti movimento e sensibilità, un movimento particolarmente agile e una sensibilità parti­colarmente acuta ed elevata. Ma poiché il movimento e la sensibilità in genere del corpo procedono dai nervi dei lobi posteriori e dal loro prolungamento, la cosid­detta nucha, il movimento e la sensibilità sono attribuiti in particolare a questi.


[Lo spirito animale e i cinque sensi. L’occhio e la vi­sta]

Dobbiamo ora passare alla facoltà animale, o spirito animale. Poiché questa facoltà si manifesta soprattutto nei ben noti cinque sensi del corpo e nelle loro attività, dobbiamo esaminare questi sensi con maggior attenzio­ne.


35. Trattiamo anzitutto della vista, il cui piccolo ma mirabile organo, l’occhio, ha una struttura che con grandi difficoltà ha potuto essere studiata e compresa dalle menti penetranti di alcuni filosofi e medici. Quanto gli occhi siano più importanti di tutti gli altri sensori lo fa vedere la natura stessa, che li ha collocati davanti alla sede della ragione e più vicini [degli altri] ad essa, come organi di quel senso che le si accorda, assomigliandole nel potere, e le è il più necessario per discernere le cose che ci circondano e cadono sotto la nostra attenzione.

Organi degli occhi o strumenti che trasmettono la vista dal cervello sono: il nervo ottico, gli umori e le tuniche, di cui diremo poi.


36. Il nervo ottico fuoriesce da sotto la pia madre, dal cervello stesso, dove nasce e trova alimento. Perché nell’uscire dal cranio non venga leso, a causa della sua delicatezza, dalle ossa di questo, si prolunga ricoperto dalla pellicola della pia madre. Esso giunge fino agli occhi, per fornir loro il potere della vista, e si salda con l’umore di mezzo, il cristallino.

Tre sono gli umori e sette le tuniche che produco­no o aiutano a produrre la vista.

L’umore che sta in mezzo, chiamato cristallino, che, come si è detto, è fondamentale per la visione. La sua forma è tondeggiante, perché non sia facilmente offeso, appiattita però da una parte, perché la vista sia diretta in modo sicuro e fermo. Sotto di esso o dopo di esso, cioè dietro, si trova l’umor vitreo, nell’ordine che segue: anzitutto, sotto e attorno ad esso si trova la retina, chiamata così perché costituita da vene e arterie dispo­ste in forma di rete.


37. Suo compito è raffinare il sangue che giunge sino ad essa, perché una sostanza sanguigna troppo spessa non leda il cristallino. Questo è lo stru­mento proprio della vista e prende il nome dal cristallo per la sua purezza. L’umor vitreo non trae dalla retina il sangue di cui si alimenta attraverso vene e arterie, delle quali manca qui qualsiasi sistema, ma in modo naturale, trasformandolo nella propria natura; in tal modo forni­sce alimento e nutrimento al cristallino.

Fra la retina e l’umor vitreo vi sono ancora due tuniche, cioè la secondina, chiamata cosi perché occupa il secondo posto, e la sclerotica (scliros), cioè una tunica dura, che sta a difendere gli occhi, dalla parte interna, da un eccesso di umori o da altre sostanze superflue che possono giungervi. Sopra queste tre tuniche c’è l’umor vitreo, cioè simile al vetro. Con questi organi si con­giunge il nervo ottico, non unico ma doppio, affinché ciascun occhio abbia il suo, che gli fornisca lo spirito e il potere di vedere.


38. Dietro l’umor vitreo vi è una quarta tunica, che per la sua tenuità è detta tela di ragno, tale da attrarre facilmente gli umori e, per la sua leggerezza, da addol­cirli entrambi. Sopra questa è posto infatti il cristallino. Dietro ad esso l’umor acqueo (evagaidos), cioè un umore albugineo, simile all’albume dell’uovo, che nutre il cri­stallino dall’esterno con la sua umidità e impedisce che l’aria lo essicchi. Dietro a questo si trova la tunica uvea, fatta come un acino d’uva, che contiene le lacrime. Dopo di questa vi è la cornea, dura come il corno, per difendere l’umor acqueo da urti dall’esterno. Anch’essa contiene dell’umore cristallino, perché gli occhi di conti­nuo sforzati per guardare il mondo esterno non si asciughino e la vista non si indebolisca, come accade nei pesci, che non chiudono mai gli occhi e per questo incappano nelle reti. 39. La settima tunica è la congiuntiva, che contiene e congiunge tutte le altre parti dell’occhio. Si tratta di quella parte bianca che si vede negli occhi. Essa non copre ma circonda l’uvea.

Il nervo ottico, poi, che proviene dal cervello, è ca­vo, per portare spirito sufficiente alla vista; esso, quan­do arriva agli occhi, si dilata così da circondare tutta la tunica vitrea. Lo spirito della vista, che esce dal cervello, urta contro questa tunica e irradia l’occhio. Ne segue che il cristallino, il quale è luminosissimo e chiarissimo, ed è lo strumento principale della vista, si adatta subito ai colori.


40. Lo spirito della vista, chiarificato nella cavità dei nervi, ne esce e giunge sino al cristallino che è chiaro anch’esso, e poi esce fuori e si mescola all’aria del giorno. Questi due elementi, mentre si combinano assieme, si trasformano entrambi facilmente e molto rapidamente. L’aria e lo spirito infatti si mescolano facilmente con i colori delle cose viste. Inoltre lo spirito, che esce dal cristallino e si trasforma, subito modifica il cristallino. Quando la mente, che si trova nel ventricolo del cervello, sente questa trasformazione, e con i colori distingue le cose esterne: per mezzo dei colori essa coglie anche forma, massa e movimento dei corpi.

L’aria luminosissima del giorno viene in aiuto allo spirito così come il cervello al nervo. Infatti il nervo prende dal cervello la sensibilità e il movimento e agli organi ai quali giunge. In modo simile l’aria esterna, che è visibile, è veicolo dei mutamenti dei colori, mutamento che lo spirito trasmette alla mente.


41. Ogni sensazione trasforma in certo mo­do colui che sente in ciò che è sentito, altrimenti non c’è sensazione. Questo si verifica nell’occhio allorché la luce esterna si congiunge allo spirito interno, cosa che avvie­ne senza che passi alcun lasso di tempo. Così dunque si determina nell’occhio la vista.

La vista, se è acuta e forte, vede perfettamente le cose lontane e quelle vicine: vede le cose lontane perché è forte, e in quanto è acuta distingue bene ciò che deve vedere. Invece una vista forte e poco acuta vede le cose lontane perché è forte, ma non perfettamente, appunto perché è poco acuta. Una vista debole e acuta vede da vicino perfettamente. A causa della sua debolezza non vede lontano, ma vede perfettamente per la sua acutezza. Una vista debole e poco acuta non vede da lontano per la sua debolezza, né perfettamente per la sua poca acutezza. Questo per quanto riguarda la vista e l’occhio.


[Il naso e l’olfatto]

42. Per quanto riguarda il naso, le due narici sono necessarie per due ragioni.
Servono per respirare e per odorare, servono inoltre ad espellere i residui solidi che provengono dal cervello. Queste due vie permettono agli odori di giungere sino ai lobi anteriori del cervello, ma non determinano l’olfatto. Strumenti dell’olfatto sono due peduncoli, molto simili per forma a delle mammelle. Essi sono situati accanto alla dura madre e si estendono attraverso un foro di questa sino al cervello, mentre inferiormente scendono fin quasi alle narici, e in questo modo determinano l’olfatto. Il vapore dei corpi odorosi, liberatosi
e mescolatosi con l’aria, attraverso i fori delle narici viene aspirato da quelle protuberanze e trasmesso al cervello. Aspirato dai ventricoli del cervello, viene tra­sformato da questi nella propria natura. La mente sente questa trasformazione, e così si esercita l’olfatto.


43. L’aspirazione dell’aria è necessaria al cervello, poiché l’aria determina in esso lo stesso effetto che la respirazione determina nel cuore. Quando il cervello si dilata, viene aspirata sino ad esso dell’aria per raffreddarlo. Quando invece si contrae, viene espulso il vapore superfluo. E quando, per la dilatazione, l’aria viene inspirata dal polmone, dalle narici e dalla gola, si esercita anche l’olfatto. L’odore di ciò che va colto con l’olfatto si sente in questo modo: per mezzo delle predette protuberanze, come si è detto, il vapore libera­tosi da un corpo odoroso e mescolatosi all’aria è aspira­to sino al cervello.


[L’orecchio e l’udito]

L’udito è determinato da una coppia di nervi che si dipartono dal cervello e si dilatano nelle orecchie. Le aperture delle orecchie sono coperte da cartilagini per due ragioni: perché non vi entri qualcosa che impedisca l’udito, e perché sia aiutato il suono che, quando giunge a queste cartilagini, vi si raccoglie per entrare con forza nelle aperture. 44. Come si è detto, quei due nervi si dilatano nel foro delle orecchie e lo rivestono completamente. Questo rivestimento ha per l’udito la funzione che ha il cristalli­no per la vista.

Il suono è una percussione dell’aria. L’aria, toccata o percossa, giunge alle orecchie, ed entrandovi gradata­mente si trasforma. La vibrazione dell’aria prossima [alla sorgente del suono] mette in movimento quell’aria che è più vicina ad essa, questa quella che le sta accanto, e così di seguito. Per tale movimento in successione il suono penetra dentro le orecchie, fino a giungere a quel rivestimento nervoso di cui già si è detto, e qui, per un processo naturale, il rivestimento stesso subisce una trasformazione conforme alla natura dell’aria che è stata toccata. In effetti, rivestimento e aria sono simili, perché entrambi di natura aerea. Questo mutamento è trasmes­so per mezzo dei nervi alla mente, essa poi distingue la natura del suono inviatole, e così si ode.


[La lingua e il gusto]

45. La lingua, che è l’organo del gusto e della parola, ha vicino a sé delle vene che le forniscono di continuo la saliva . Queste si originano, alla maniera delle arterie, dalla base della lingua. Da esse emana una secrezione flemmatica che è chiamata salivare. Dal cervello scende un nervo che si dirama nella lingua per darle il senso del gusto. Questo sorge così: quando quel che deve essere gustato giunge alla lingua e viene a contatto con essa, per un processo naturale la lingua subisce una trasformazione conforme alla natura di ciò che viene gustato. La trasformazione stimola il nervo, e per suo mezzo tra­smette alla mente il gusto perché essa lo distingua e lo giudichi. Questo è il gusto.


[Il tatto]

Il tatto è simile agli altri sensi, poiché si esercita trasformandosi nella sostanza di quel che viene toccato. Questa trasformazione viene trasmessa per mezzo dei nervi alla mente, e in questo modo la mente la percepisce. Tutti i sensi hanno un proprio organo, tranne il tatto. 46. Il tatto infatti è presente in tutto il corpo, fuorché in quelle parti che sono prive di nervi, come i peli, le unghie e simili. Queste sono sensibili soltanto dove si congiungono col corpo, poiché non può esserci sensibilità in assenza di terminazioni nervose. Per concludere l’esame dei sensi, possiamo dire che niente nel corpo soffre se non è dotato di sensibilità, e niente ha sensibilità se non è governato dai nervi.


[Gli umori e le età dell’uomo]

Bisogna inoltre osser­vare, a proposito dei sensi, che essi corrispondono ai quattro umori, di cui sopra abbiamo parlato a lungo. La vista, infatti, è per natura analoga al fuoco, l’udito all’aria, l’olfatto al vapore, il gusto all’acqua, il tatto alla terra. Non c’è dunque da meravigliarsi se anche ciascu­na età dell’uomo corrisponde a un particolare umore. Così l’adolescenza fino al venticinquesimo o al trentesi­mo anno di età è simile al sangue, che fornisce nutri­mento all’organismo per mezzo dell’umidità e del calo­re. Tutto ciò che cresce, infatti, cresce grazie all’umidità e al calore. 47. E l’uomo, fino a questa età, cresce in forze, in altezza, si allunga e si allarga.

Segue poi la gioventù, assimilabile alla bile rossa per la secchezza e il calore. Il suo calore, infatti, asciuga l’umidità propria dell’adolescenza; per questo la gioventù è secca, perché con la diminuzione dell’umidità segue la secchezza. La gioventù, che conserva il corpo perfet­tamente integro senza alcuna diminuzione di forze, dura fino al trentacinquesimo o al quarantesimo anno. Poi subentra l’età dell’invecchiamento, fredda e secca, che è assimilabile alla bile nera. Fredda perché è ormai completamente asciugata l’umidità della gioventù che è il nutrimento del calore. Essa ha termine intorno al cinquantacinquesimo o al sessantesimo anno. A questa succede la vecchiaia, per sua natura molto secca e fred­da, ma occasionalmente umida per difetto di digestione e abbondanza di flegma.


[La dignità dell’uomo]

48. Quanto abbiamo detto concerne le parti esterne dell’uomo, ed oltre a queste anche alcune altre che si trovano all’interno del corpo umano e non sono del tutto accessibili ai nostri sensi. Esse sono conosciute con la ragione e con l’esperienza dai medici e dai filosofi, che messisi a inda­gare il valore della natura umana hanno potuto giungere sino a questo punto. Costoro hanno tuttavia svilito nel modo pii assurdo la natura dell’uomo, quando hanno ritenuto di dover annoverare fra le parti del suo corpo ciò per cui egli è immagine di Dio incorruttibile ed è superiore a tutti gli altri esseri animati: l’anima razionale. Si sono limitati a magnificare e proclamare la bellezza esteriore dell’uomo, ricordando come per sua natura egli solo, fra tutti gli esseri animati, ergendosi verso il cielo attesti di avere qualcosa in comune col cielo stesso; come in tutto il suo corpo, considerato nella lunghezza, ci sia un’equilibrata unità fra le diverse membra, come queste si corrispondano con bella simmetria da un lato e dall’altro, come tutto il corpo risulti armonicamente costituito nel peso, nella misura e nel numero. Passiamo a parlare dell’anima.


49. [Prima però si osservi ancora che] nel corpo umano, l’equilibrio nel peso è testimoniato dalla parità delle membra, e la sua misura può essere verificata con un accurato esperimen­to di misurazione. Dicono i medici che, posto un uomo a giacere supino con le braccia e le altre membra distese, se si puntasse un compasso nel centro dell’ombelico e gli si facesse compiere un giro completo, tutte le sue parti risulterebbero della stessa lunghezza, uguali, e la traccia della misurazione non presenterebbe alcuna irregolarità. Quanto al numero, la cosa è abba­stanza chiara. Per non parlare delle membra esterne, il cui numero non può essere ignorato da alcuno, è fuor di dubbio che anche gli organi interni risultano essere in numero esatto.


50. Anche le ossa sono state contate da coloro che si occupano di queste cose, e risultano essere duecentoquarantuno in ogni corpo umano. Così per i nervi: si è trovato che i nervi che fuoriescono dal cervello sono sette coppie; dalla nucha escono trentadue coppie e un nervo singolo Che cosa dire di più? Non vi è dubbio che le vene, i muscoli e ogni altra parte del corpo sono in numero preciso.

Ma ora, come si è detto, passiamo a parlare dell’anima. Esporremo in breve non il pensiero e le opinioni su di essa dei filosofi o dei medici di questo mondo, ma quello che hanno appreso da Dio e hanno insegnato agli uomini i Padri cattolici.




LIBRO II
LA NATURA DELL’ANIMA



[Le definizioni dell’anima]

51. L’anima, a quel che dicono i filosofi di questo mondo, è una sostanza semplice, una forma naturale, un organo delle membra, distinto dalla materia del corpo cui appartiene, e che possiede la facoltà di dare la vita. Secondo i nostri filosofi, invece, cioè secondo i dottori della Chiesa, l’anima è una sostanza spirituale particolare, creata da Dio, che dà al suo corpo la vita, razionale, immortale, che però può volgersi sia al bene sia al male. Si dice che è una sostanza particolare in quanto nessun altro spirito riceve la carne, un corpo, per soffrire o gioire con esso delle sue passioni. Quanto al fatto che vivifica il suo corpo, s’intende che lo fa in un modo meraviglioso e ineffabile.


[La distinzione fra organi fondamentali e organi acces­sori]

52. Per quel che riguarda il corpo, sappiamo che vi sono tre obiettivi in vista dei quali sono state fatte le singole parti che troviamo in noi: alcune ci permetto­no di vivere, altre di vivere bene, altre ci offrono l’opportunità di accedere ai beni futuri. In tre organi, come si è precisato nel libretto precedente, cioè nel cervello, nel cuore, nel fegato, si raccoglie tutto quanto in noi è tale che senza di esso non si può pensare esista la vita umana. Tutti gli altri organi sono beni aggiunti in sovrappiù, che la natura ha dato all’uomo perché possa vivere bene; tali sono gli organi di senso e numerosi altri che di fatto non risultano per noi vitali: quanto alla maggior parte di essi, l’uomo continua a vivere anche se, per un qualsiasi caso, vengono a mancare.


53. Fra di essi ve ne sono però certi, come il ventre, il polmone e alcuni altri, che la natura ha aggiunto a quelli indispensabili per l’esistenza e che servono in sottordine alle operazioni vitali; queste, senza il loro aiuto non potrebbero essere condotte a termine. Il polmone raffredda il fuoco che si trova nel cuore ventilandolo con l’aria che attrae. Se non lo facesse, il fuoco del cuore brucerebbe il cuore stesso e tutto quanto gli sta vicino. Il ventre cede alle viscere quell’alimento senza il quale la nostra natura verrebbe subito meno. Vi sono poi moltissimi altri organi che a loro volta prestano aiuto a questi, servendo ad essi ciascuno a suo modo. La forza vitale non defluisce infatti in noi in modo semplice da un solo organo, ma è l’anima dataci da Dio che mette la natura in grado di comunicare le sue risorse e le sue energie vitali alle numerosissime parti del corpo, e di fare di esse tutte un’unica realtà vivente organica, mirabile e pressoché impenetrabile.


[Gli organi fondamentali. Il cervello, il cuore e il fegato]

54. Trascurando tutti quegli organi, molti e differenti l’uno dall’altro, che la natura ha inventato per rendere la vita sicura e piacevole, limitia­moci agli organi principali, che sono quelli fondamentali per la formazione della vita: il cervello, il cuore e il fegato.

Vediamo prima il cervello, la cui grande importanza nella regolazione della vita è messa in chiaro proprio dal fatto che non può subire la minima lesione senza che ad essa segua subito la morte. Quel tessuto nervoso e mem­branoso che lo ricopre, entro cui il cervello è racchiuso, e che i greci chiamano hymen, risulta essere la fonte e la causa di tutti i moti volontari. Da qui, tramite lo spirito vitale della volontà che ne discende per mezzo dei nervi che da esso procedono, spirito che si diffonde attraverso questi nervi per tutto il corpo, ha origine la varia e complessa regolazione dei movimenti, molto rapida e in grado di diversificarsi e di adattarsi ad ogni sorta di attività. 55. Così vengono regolati il movimento rotatorio del collo, l’inclinazione e l’elevazione del capo, la mobilità delle mascelle, il rapidissimo moto delle palpebre e degli occhi, le diverse operazioni delle mani.

Così vengono regolati, quando si cammina, i movimenti coordinati delle gambe e dei piedi e i movimenti di tutti gli altri arti, che si compiono sotto la direzione dallo spirito vitale della volontà come per una sorta di mecca­nismo naturale, allentando e tendendo i loro nervi.

La facoltà in quanto tale possiede nella sede del cervello una sorta di movimento, che le è proprio e che trasmette i suoi ordini; questo poi opera per mezzo di uno spirito adatto allo scopo in modo specifico, secondo un preciso piano della natura, nelle singole membra.


56. Analogo discorso vale anche per il cuore. Se si estingue il suo calore naturale, subito, raffreddandosi il corpo, sopravviene la morte. Da ciò appare evidente che anche il cuore è una fonte e una causa della vita.

I canalicoli e le molte e diverse arterie che fuoriescono da esso e che nascono le une dalle altre, somministrano a tutto il corpo lo spirito igneo che dà la vita.

Era però necessario che la natura fornisse un ali­mento al calore del cuore, il fuoco infatti non può mantenersi da se stesso, deve essere alimentato con esca o materia idonea. Perciò dei rivoli di sangue, che sgorgano dal fegato come da una fonte, tramite le vene scorrono ovunque per il corpo assieme allo spirito caldo; viene in tal modo evitato che, [raccogliendosi e diffon­dendosi il sangue e lo spirito] ciascuno per suo conto, la natura si corrompa per un’affezione che sorgerebbe da un’altra affezione. Ogni eccesso risulta in realtà un’affezione corruttrice.


57. Così, attraverso questa struttura sapiente ed esatta, che serve ad alimentare la vita e ad assicurare la crescita secondo natura, la virtù [vitale] si mostra subito congiunta con l’anima razionale. Nel suo primo rivelar­si, questa si manifesta in modo alquanto oscuro, ma in seguito, con lo sviluppo della natura e la pratica dei buoni studi, in modo più palese. Chi scolpisce nella pietra una figura d’uomo, dapprima abbozza la forma della figura, poi precisa e rifinisce la figura nelle sue linee. Anche Dio, Autore della natura e Creatore del corpo e dell’anima, forma così l’uomo a sua immagine e somiglianza, dapprima in modo più oscuro, in modo più evidente e perfetto alla fine dell’opera.


58. Durante la scultura del suo organo, la bellezza dell’anima si mostra dunque in proporzione alla perfezione di questo: imperfetta quando esso è imper­fetto, risulterà perfetta quando esso sarà perfetto. Essa sarebbe perfetta sin dall’origine, se nella sua origine la natura non fosse stata corrotta dalla malizia. Per questo veniamo al mondo come gli animali, e l’immagine del nostro Fattore non può risplendere in noi subito, ma soltanto dopo grandi e lunghe fatiche: l’uomo è condot­to alla sua perfezione attraverso un lungo percorso, per mezzo delle facoltà materiali e animali dell’anima.


[L’uomo partecipa di ogni forma di esistenza]

Ogni uomo ringrazi, non quanto dovrebbe ma quanto può, il suo Creatore, che già quando viene all’esistenza gli conferisce la perfezione di ogni creatura, donandogli con la sua onnipotenza l’esistenza come alle pietre, la facoltà di riprodursi come alle erbe e alle piante, la vita dei sensi o animale come agli animali; a tutto ciò viene poi ad aggiungere anche la vita razionale, quale è quella degli angeli.


59. Anche se, in un modo o nell’altro, le erbe e gli alberi sembrano vivere, e i bruti e ogni animale avere un’anima, è certo però che tutti questi esseri, quale che sia il loro modo di vivere, non hanno anima e non assurgono in questo alla dignità della condizione umana. Anche nei semi, in effetti, appare una qualche attività animale, che tuttavia non si sviluppa sino ai moti della sensibilità. Anche li, sebbene non ci sia un’anima, c’è vita. Osserva bene che, per darle origine, è stato neces­sario il concorso dei singoli principi di tutti gli elementi. La consistenza è data dalla terra, la linfa dall’acqua, la capacità di crescere dall’aria, quella di germinare dal fuoco.


60. Le cose inferiori sono sempre affette da quelle superiori, secondo l’ordine naturale stabilito. Passato il freddo invernale, con il ritorno delle stelle per il movimento rotatorio del cielo, il calore che proviene dalle regioni superiori riscalda dapprima l’aria, che gli è prossima e per luogo e per natura. Questa, che sta al di sotto del fuoco tanto quanto sta al di sopra dell’acqua, per mezzo delle radici degli alberi e dei germogli attrae dalle viscere della terra le acque. L’elemento igneo, che per natura attira tutte le cose, trae a sé l’aria riscaldata, e attraverso il midollo dell’albero, mentre il fuoco aspira l’aria, l’aria aspira l’acqua e questa la terra, così come facciamo noi quando cerchiamo di aspirare per mezzo di una cannuccia l’acqua da un livello inferiore. Se uno di questi quattro elementi, che si fondono e si temperano armonicamente nel dar vita all’albero, difetta o abbonda fuor di misura, l’albero dapprima si ammala e poi, come snervato, muore.


61. Gli animali bruti, dato che si muovono spontaneamente e sono dotati di sensibilità, sembrano avere una vita pii elevata di quella delle erbe e degli alberi. Essa non giunge tuttavia alla perfezione, che consiste nella grazia della ragione e dell’intelligenza. Nell’uomo solo, quindi, vi è un’anima veramente perfet­ta, in grado di svolgere ogni attività. Di qualsiasi altra cosa che partecipa della vita, soltanto impropriamente diciamo che ha un’anima: in essa non vi un’anima perfetta, ma vi sono unicamente delle operazioni pro­prie dell’attività animale, che risultano presenti anche nell’uomo quando la sua esistenza è appena agli inizi.

I bruti, in effetti, sono completamente vincolati ai loro sensi, e sono in grado di agire soltanto in rapporto ad essi. Per questo nei moti legati ai sensi sono pii irruenti degli uomini, che controllano i sensi con la ragione. [Essi si comportano di fronte agli stimoli sensibili] come un fiume che, scorrendo tranquillo, acquista pii impeto quando trova un qualsiasi ostacolo che gli impedisce di avanzare.


[L’anima umana]

62. Lo spirito dell’uomo opera invece in modo molto diverso. Esso ha il controllo dei sensi e giudica la loro attività. La ragione è come una regina che se ne sta seduta nella rocca al centro della sua città, con le porte dei sensi aperte da ogni parte. Distingue ciascuno dal suo volto e dal suo aspet­to, il familiare che porta cose familiari e l’estraneo che porta cose estranee; lo accoglie e lo assegna a quel settore del sapere che gli compete; distingue i singoli per origine, per parentela e per gruppo famigliare e assegna a ciascuno la propria dimora nella memoria. Per sua natura l’animo è una realtà meravigliosa. E in contatto con le facoltà dei diversi sensi, e per mezzo delle diverse facoltà riceve nel modo appropriato le conoscenze di ciascuno di essi.

Nessun uomo dotato di senno può dubitare che l’animo sia qualcosa di diverso dai sensi stessi. Se fosse tutt’uno con questi, potrebbe operare soltanto assieme a un unico senso. 63. Ma poiché non è composto, poiché è semplice, può dar luogo alla particolare sensibilità dei diversi sensi, e risultare diver­so pur essendo unico e unico anche nella diversità. esattamente, dato che non si può trovare alcuna diversi­tà in ciò che è semplice, l’animo non è una cosa in quanto ha esperienze tattili, qualcosa d’altro in quanto sente gli odori, qualcosa d’altro ancora in quanto gusta, e così via per gli altri sensi. Si faccia caso dunque a quanto sia lontana la sensibilità dell’uomo, che è dota­to di ragione, da quella dell’animale bruto.


[L’unione dell’anima con il corpo]

E cessino anche tutte le congetture e le vane argomentazioni di coloro che vogliono racchiudere la facoltà dell’intelletto in certe parti del corpo. C’è chi sostiene che la facoltà che guida l’uomo si trova nel cuore; chi invece afferma che l’animo ha la sua sede nel cervello; e ciascuno porta le sue congetture d’ordine medico a sostegno di quel che afferma.


64. Quando si fanno congetture relative al corpo, bisogna riferirsi a questo o a quel tipo di costituzione corporea; ma quanto all’animo, si deve ritenere che esso governi tutte le singole parti del corpo unendosi ad esso o esercitando su di esso il proprio potere in un modo misterioso. Se quelli che sostengono che la sede dell’anima è il cuore ci mettono davanti la Scrittura, dove si dice di Dio «che scruta i cuori», da parte nostra aggiungeremo che «Dio scruta» anche «le re­ni». Chi si rammenta del cuore deve ricordare anche le reni, e dunque deve porre la sede della sostanza intellettuale o in entrambi, cuore e reni, o non porla né nell’uno né nelle altre.

L’Autore della natura volle che vi fosse un vincolo e un contatto ineffabile e incomprensibile fra la sostanza intellettuale e quella corporea. La sostanza intel­lettuale non sta dentro il corpo, ciò che non è corporeo non può infatti essere contenuto in un corpo o circon­dato da un corpo, né può trovarsi, per la stessa legge di natura, all’esterno di esso.


65. L’animo si accosta alla natura [corporea] in un modo sovrarazionale e inintelligibile. Lo si pensa, per quanto è possibile fare considerazioni a tal riguardo, come adattato ad essa e operante in essa, non come posto in essa e circondato da essa; e neppure posto fuori di essa, quasi la circondasse. In un modo che non può essere detto né inteso è capace di permeare comple­tamente la natura [corporea] e di farle compiere le sue operazioni.

La natura intellettuale non si trova in una determi­nata parte, ma tutta intera in tutto. Non si trova all’interno, nelle cavità dei corpi, e non ne è espulsa per l’abbondanza della carne o di qualsiasi altra materia. Produce invece i suoi effetti in tutto il corpo come se esso fosse uno strumento musicale .


66. Coloro che sanno suonare uno strumento musi­cale, se trovano uno strumento valido per la loro arte, la esercitano nel modo migliore. Ma quando lo strumento è rovinato dal tarlo o dall’età o danneggiato per un caso qualsiasi, non suona o dà un suono falso, anche se l’artista nulla perde della sua arte. Così l’animo, che possiede tutto lo strumento corporeo e con le sue operazioni intellettuali suole entrare in contatto con le singole parti di questo, in quelle che si trovano in condizioni naturali porta a termine le operazioni appro­priate, in quelle invece che sono inferme risulta lento nel suo operare o inattivo.


[L’importanza delle mani ]

Per questo la natura com­pone e adatta lo strumento costituito dal corpo umano in modo tale che la ragione possa servirsene in ogni cosa. Osserva ad esempio come il corpo sia fornito di mani, che non troverai in nessun animale irrazionale. E rileva che grande armonia ne segua in quello strumento che è il corpo umano.


67. Tutte le bestie hanno le membra anteriori prov­viste di piedi, mentre gli uomini hanno mani. Sono molte le funzioni vitali, di pace o di guerra, per le quali la natura ha costruito le mani, ma di esse ha dotato il nostro corpo anzitutto per una precisa necessità della ragione.

Se l’uomo ne fosse privo, la sua bocca dovrebbe essere conformata in funzione del modo di cibarsi proprio dei quadrupedi. Il collo dovrebbe allungarsi per raccogliere il cibo da terra, il naso si ridurrebbe come quello dei bruti, davanti alla bocca sporgerebbero labbra callose, pesanti, spesse, adatte a strappare l’erba, le parti carnose attorno ai denti sarebbero solide e dure, come nei cani e negli altri animali che si cibano di carne. Cosi, se il nostro corpo fosse privo di mani, succederebbe che la nostra bocca non potrebbe articola­re la voce, poiché la sua conformazione non sarebbe adatta a proferire suoni. Perciò l’uomo necessariamente belerebbe o muggirebbe o latrerebbe o emetterebbe qualche altro verso da animale.


68. Di fatto, invece, mentre la mano serve alla bocca, la bocca presta la sua opera alla ragione e per mezzo suo all’animo, che è una realtà spirituale e incor­porea. Questo è un dono che l’uomo non ha in comune con gli animali irrazionali, un dono che gli è stato dato in sovrappiù. Come un plettro, l’animo tocca le parti della bocca che costituiscono l’apparato vocale, e dando cosi forma ai suoni esprime con la parola i suoi moti interiori. [Agisce] come un cantante che, privato per qualche affezione della propria voce, volesse tuttavia far conoscere la sua musica, e la modulasse serven­dosi di altre voci, proponendola al pubblico per mezzo di un flauto o di una lira.


69. In tal modo l’animo, che scopre diverse verità intelligibili ma essendo incorporeo non ha modo per se stesso di esprimersi con mezzi materiali, è in grado di manifestare i moti dell’intelligenza per mezzo dei sensi del corpo.

Ma le mani posseggono un’altra prerogativa ancora ben degna della ragione. Un grande dono è infatti potersi esprimere per mezzo della scrittura, poter in qualche modo proporre per mezzo delle mani, dopo averli messi in rapporto con i caratteri corrispondenti, i suoni elementari del linguaggio, un dono che viene ad aggiungersi alla grazia della ragione. Sia le mani sia la bocca servono dunque alla ragione. Le mani scrivendo per chi verrà o per chi è assente, la bocca formulando in parole con la massima facilità e prontezza tutto quello che la ragione suggerisce nell’interiorità.


[La parola e la ragione]

70. Lo spirito, spinto fuori dai polmoni, dove si raccoglie, attraverso la trachea, la fa vibrare con la forza del proprio impulso e colpendo l’aria produce una risonanza. Poi, seguendo la forma di tale organo, fatto come un flauto, per i movi­menti circolari di alcune membrane viene spinto da queste a muoversi circolarmente e risonando giunge in alto, dove le mascelle, i denti e la lingua, che operano quasi come un plettro, danno in modo rapidissimo ai suoni le forme più diverse e opportune. Le labbra, aprendosi e chiudendosi in modo preciso, compiono la stessa operazione delle dita di un suonatore di flauto, che con l’aria soffiata attraverso i fori di questo forma­no, di molti e diversi suoni, un’unica melodia. In tal modo la natura umana articola le parole; la loro disposi­zione è però opera della ragione.


71. Come si è detto, se alle labbra toccasse il compito pesante e laborioso di provvedere all’alimenta­zione, l’anima, che nella sua interiorità è muta, non potrebbe esteriorizzare la propria ragione attraver­so questa capacità degli organi di articolare la parola, e non potendo comunicare fra di noi non potremmo esercitare la ragione. Di fatto, invece, accollandosi tale compito, le mani hanno permesso che la bocca fosse libera e adatta a servire alla ragione. L’animo, che esprime i suoi moti parlando, percepisce i moti altrui con l’aiuto delle orecchie, degli occhi e degli altri sensori, ed è in grado di accogliere entro di sé tutte le sensazioni che penetrano in lui da ogni parte. Ha le sue penne, con le quali le annota nella memoria; con pii diligenza alcune, che perciò permangono in essa a lungo, con meno attenzione altre, che si cancellano prima.


[L’animo umano immagine di Dio]

72. A immagine di colui che lo ha creato, il quale fa muovere ogni cosa restando immobile in se stesso, l’animo insito [nel corpo] è un’unica potenza, e agendo per mezzo dei singoli organi di senso esamina rapidamente tutto ciò che si presenta. Ode per mezzo delle orecchie, vede per mezzo degli occhi, e così via. In questo però è molto diverso da colui di cui è immagine; Dio non entra in contatto con la realtà attraverso potenze diffe­renti, è assurdo pensare a una ricezione e alla complessa operazione del recepire nella semplicità della divinità.

Non si richiede d’altronde che l’immagine non man­chi di nulla di ciò che si trova nel suo esemplare. In tal caso si dovrebbe parlare di identità e non di immagine. Riguardo a ciò che è dato osservare attorno alla natura divina e alla sua incomprensibile essenza, non è dunque necessario che colui che ne è immagine imiti in tutto il suo esemplare. Se la natura dell’immagine potesse com­prendere il suo esemplare, senza dubbio sarebbe supe­riore a ciò che comprenderebbe. 73. Piuttosto, il fatto che l’animo razionale non può essere perfettamen­te conosciuto da se stesso sembra essere il riflesso, per una precisa somiglianza, dell’incomprensibilità della na­tura divina.


[La dignità regale dell’uomo e le passioni]

Chiediamo­ci poi che cosa indica la stazione eretta del corpo. La figura eretta dell’uomo, protesa verso il cielo e che guarda in alto, sta a significare la potestà e la dignità regale dell’anima razionale, è segno del potere dato dal creatore all’uomo su tutti gli esseri che guardano in basso, della grande affinità che egli ha con gli esseri superni. S’intende, se custodisce la dignità dell’immagi­ne che gli è connaturale, cioè se l’animo comanda alla ragione e le permette di scegliere soltanto ciò che all’uomo giova. Sono privi di questa dignità coloro che sottomettono la ragione, che per sua natura è signora, ai desideri della natura [corporea] e blandiscono servil­mente le inclinazioni sensuali.


74. In loro infatti l’animo, fattosi strumento di ciò di cui dovrebbe essere signore e giudice, segue le passioni naturali della carne e dei sensi. Così la natura corporea impone a suo piacimento all’animo la pena che viene dai sensi e la breve soddisfazione della concupiscenza. Tali uomini, spogliatisi dell’immagine del Creatore, hanno rivestito un’altra immagine, che guarda alla terra, animalesca, bestiale.

La somiglianza dell’uomo con Dio nulla ha a che vedere con le passioni, egli non è simile alla natura trascendente per il piacere, la paura, la ferocia; il desiderio di certe cose, l’odio verso certe altre sono caratteri del tutto estranei alla divina bellezza. Questi e simili moti l’uomo li ha ricevuti dalla natura irraziona­le. Gli animali irrazionali ne sono naturalmente forniti per potersi conservare in vita; trasferiti all’uomo, risultano per l’anima passioni. Passioni, in verità, per le quali l’uomo, fatto a immagine di Dio, sopporta di ridursi a immagine degli animali; vere passioni, perché sono contro natura.


75. Per questo Davide afferma: «L’uomo, che era in onore, non lo comprese; fu comparato agli animali senza intelligenza e fatto simile ad essi». Come si è detto, infatti, ciò che nelle bestie è natura, negli uomini è vizio. La bramosia guida i carnivori; l’amore del piacere serve alla fecondità degli animali; la paura preserva chi è pavido, il timore salva il più debole dal più forte, quello che è corpulento si salva per la sua voracità. Nessuno di questi moti costituisce una passio­ne per gli animali, domestici o selvatici, perché nessuno di questi moti, che provengono da un desiderio istinti­vo, è materia di affanno per gli esseri irrazionali.


76. Ma la miseria umana, che ammette in se stessa, aprendo loro il cuore, tali passioni, accresce in sé la folla e la forza dei principi delle passioni stesse cooperando deliberatamente; ne segue una serie di vizi, un disordine sfrenato. L’amore del piacere ha certamen­te principio dalla somiglianza con gli animali irrazionali, ma nelle colpe degli uomini si accresce e genera per libidine una varietà di peccati che nessuno può trovare negli animali irrazionali. Certamente la ragione con i suoi desideri razionali rigetta queste cose con tutto il loro seguito, esse tuttavia si accrescono con l’aiuto del pensiero. Dall’ira nascono il furore, l’invidia, la menzo­gna, il tradimento.


77. Questi sono tutti prodotti perversi di un animo degenerato. Se infatti la passione fosse privata dell’aiuto del pensiero, presto verrebbe meno, svanireb­be come una bolla.

Tutte queste cose, come si è detto, sono entrate nell’uomo con la generazione animale, ma l’Autore della natura gliele aveva date perché gli servissero. Mescolando l’animo al corpo, il divino al terreno, ha dato infatti all’uomo l’opportunità di servirsi della ragio­ne in due modi. Ha voluto che, per l’affinità che possedeva con l’uno e con l’altro e che lo congiungeva ad entrambi, dell’uno godesse e dell’altro invece usasse. Godesse di Dio per mezzo della parte più divina della sua natura; dei beni terreni usasse per mezzo dei sensi che sono affini ad essi. L’Artefice supremo fece la nostra natura atta e idonea a regnare; e nelle caratteristi­che dell’anima che si possono osservare, e nella figura stessa del corpo, come già si è detto a sufficienza, preparò un essere vivente quale si confaceva per il regno: non piegato verso la terra, ma che si erge verso il cielo.


78. L’anima razionale, se comprende la sua dignità e la conserva, è in verità qualcosa di regale e di altissimo; essa dimostra di essere per natura ben lontana da quanto è rozzo, vile e ignobile; è libera e ha la capacità di comandare a tutto, di far servire ogni cosa ai suoi voleri, e di governarsi con i suoi poteri, come è proprio della dignità regale.


[Miseria dell’uomo]

Ecco perché l’uomo nasce nudo, privo di protezioni e di difese naturali; al punto che la natura, che appare una madre benigna verso gli altri viventi quando vengono alla luce, solo nei confronti dell’uomo sembra una severa matrigna. Agli altri viventi ha dato rivestimenti di ogni specie: gusci, scaglie, spine, pelli, pellicce, setole, peli, piume, penne, squame, velli; ha protetto dal freddo e dal caldo anche i tronchi degli alberi con una corteccia talvolta doppia. Soltanto l’uomo, come si è detto, quando nasce lo getta nudo sulla nuda terra, perché subito pianga e si lamenti; nessun altro, di tanti animali, ha dato alla luce perché piangesse, e subito.


79. In tutte le storie, antiche e recenti, di un solo uomo si racconta che è nato ridendo: Zoroastro, l’inventore della magia. Nascita innaturale e infausta, con la quale di certo viene segnalato colui che avrebbe combattuto con le sue arti funeste le leggi della comune natura.

L’uomo, misero, subito viene fasciato stretto in tutte le sue membra, perché capisca di essere stato messo in un carcere; gli si permette unicamente di usare degli occhi e della bocca, e ciò gli è concesso soltanto perché pianga e si lamenti. Questo succede anche a chi è allevato in una condizione felice, sia pur figlio di un imperatore o di un re.


80. Giace dunque, legato piedi e mani, animale gemente, che inizia la sua vita nel tormento, per la sola colpa di essere nato. Folli quanti con tali inizi possono credere che l’uomo sia nato per un superbo destino! La prima speranza del vigore, il primo dono dell’età lo rendono poi simile a un quadrupede. Quando comince­rà a muoversi come un essere umano? Quando la sua lingua riuscirà ad articolare le parole? Quando sarà in grado di alimentarsi? Quando finalmente il suo capo cesserà di vacillare? Aggiungi che fra tutti gli animali soltanto l’uomo, misero, da sé non sa far altro che implorare, e con gran fatica della madre, della nutrice e sua propria gli si deve insegnare tutto ciò che deve o può riguardarlo in quanto uomo.


81. Quando poi finalmente la dignità umana sembra poter godere di una condizione di buona stabili­tà, ormai consolidata, ecco le malattie, le medicine, e alla fine il pensiero del sepolcro. Nessun vivente ha una vita più precaria e una salute più fragile, nessuno deve preoccuparsi maggiormente per l’una e per l’altra. Un accidente improvviso può sottrargliele: può essere schiacciato in un disastro, ucciso dal veleno di una pianta o di un vermicciolo, soffocato da una qualsiasi bestia. A stento può difendersi con una continua attenzione e fuggendo da tutto ciò che ha il potere di nuocergli in un modo o nell’altro. Per la fragilità del corpo è in balla di tutto ciò che la natura, in virtù della sua ragione, ha posto sotto i suoi piedi. L’uomo entra in questa vita povero, privo di tutto ciò che gli serve; a giudicare dalle apparenze sembra sia un miserabile piuttosto che un essere ricolmato d’ogni bene.


82. Non è armato, come molti animali, di corna appuntite, di unghie aguzze, di artigli o zanne, di denti o aculei che provocano la morte. Il suo corpo non è coperto da un mantello di peli. Soltanto l’uomo è più lento dei corridori veloci, più piccolo dei grandi animali, più esposto all’offesa di quelli muniti di protezioni naturali.


[Il predominio dell’uomo]

Come si può sostenere, si dirà, che un tale essere abbia la potestà su tutte le cose? Lo si può e senza riserve. In primo luogo perché la ragione umana tiene sotto controllo il potere di nuocere di ciò che le è sottoposto, guardandosene con prudenza oppure piegandolo con la sua forza e riducendolo al proprio servizio. Ciò che appare un difetto della nostra natura diviene infatti occasione per dominare su ciò che le è soggetto.

Forse l’uomo disprezzerebbe il proprio po­tere se non avesse bisogno dei servizi di nessuno degli esseri che gli sono soggetti. 83. Ma affinché il potere per il quale Dio ha innalzato la natura umana sopra di essi ci risulti necessario, ciò di cui dobbiamo servirci in questa vita è, di fatto, distribuito fra i singoli esseri che ci sono sottoposti.

Per la lentezza del suo corpo e le sue difficoltà di movimento l’uomo ha domato il cavallo e lo ha costretto a servirlo, e altri animali ancora ha soggiogato per far loro portare carichi. La nudità del suo corpo lo ha obbligato ad allevare le pecore. Per non doversi cibare d’erba come il bue, lo ha piegato al giogo per coltivare la terra. Contro le offese delle bestie feroci e come custode del sonno durante la notte, ha il cane, quasi una spada vivente. Il ferro è più acuminato e forte delle corna appuntite e delle unghie aguzze; esso fornisce all’uomo armi che possono essere prese o depo­ste come la ragione richiede, non quali quelle delle belve, minacciose, che vengano sempre a gravare su di lui, come qualcosa per dir così di congenito. 84. Sempre dal ferro si fa anche elmi e corazze, mezzi di difesa per il suo corpo più forti delle piastre del coccodrillo.


[L’uomo è immagine del re dell’universo]

Ma perché tante parole? ogni creatura serve e ubbidisce all’uomo come al suo re. Guarda dunque, uomo, e comprendi la dignità della tua natura. Non disprezzarti tanto per le qualità del corpo, per le quali gli animali ti superano, considerati invece prezioso per la tua vita interiore, per la quale superi di gran lunga ogni essere, animato o inanimato. Per la tua dignità interiore, sei nato per vivere come un re. Essere fatto a immagine della natura onnipotente che cosa altro è infatti se non aver ricevuto, con ciò stesso, una natura regale?


85. Portiamo un esempio tratto da questa nostra vita. Coloro che ritraggono i re o i potenti, cercano di dipingere un’immagine conforme all’originale e rappresentano la dignità regale con un mantello di porpora; nel linguaggio corrente si dice che questo ritratto è l’immagine del re. Così è per la natura umana: poiché è stata creata per governare le altre nature, per questa somiglianza con il re dell’universo è stata eletta come sua immagine vivente. Essa ha in comune con Dio, il suo archetipo, la dignità e il nome. Non manife­sta questa sua dignità con un mantello di porpora, uno scettro o un diadema; la dignità dell’archetipo non consiste in tali cose. Ma in luogo della porpora si riveste della virtù, superiore ad ogni insegna regale, come scettro porta la beatitudine dell’immortalità, in luogo del diadema regale si adorna della corona della giustizia. Mostra cosi di voler imitare fedelmente in ogni cosa nella sua dignità regale la natura del proprio archetipo.


86. Quando si dice che l’uomo è fatto a immagine di Dio, è come se si dicesse che Dio ha fatto la natura umana partecipe di ogni bene. Dio è la pienezza di ogni bene, e l’uomo è immagine di Dio. Nel fatto dunque che sia capace della pienezza d’ogni bene l’immagine è simile al suo archetipo. In noi c’è infatti l’impronta di ogni bene, della virtù, della sapienza, e di tutto ciò che di meglio si può pensare. L’uomo esprime la sua dignità nel fatto che il suo animo è libero da ogni necessità e non è sottoposto ad alcun potere naturale, ma ha una volontà che è in grado di volgersi da sé a ciò che desidera, cioè la virtù del libero arbitrio. La virtù non ha infatti padrone ed è volontaria, non è invece virtù ciò che è frutto di costrizione e di violenza.


[La vita secondo ragione]

87. Quest’animo, o quest’anima, ci viene da Dio, e dall’anima dipende la nostra vita secondo natura.

Bisogna ora vedere che cosa è quest’anima, che ci è data, quale è il suo fine e quale il suo modo d’essere. Spetta alla scienza della natura rispondere al quesito circa la sua essenza; alla ragione chiarire qual è il suo fine; alla morale chiarire come deve essere.

Nessuno è in grado di comprendere che cosa è, perché essa non ha materia, è un’entità spirituale, intellettuale, affatto simile a Dio. Quanto al suo fine, la vita secondo ragione, chi non lo vuol conoscere non è degno di vivere. Quanto poi al suo modo d’essere, esso richiede appunto la vita secondo ragione.


88. Come il corpo vivente risulta dai quattro ele­menti, così l’anima razionale ha per natura, come suoi elementi, quattro virtù, che sono la prudenza, la tempe­ranza, la fortezza, la giustizia. Da queste quattro virtù, quasi fossero elementi, si forma l’anima razionale, sorge quella razionalità che è la condotta di vita secondo ragione. Queste quattro virtù elementari infatti, divise in molte parti, danno origine nell’anima, quasi fossero degli elementi, a molte e diverse sorta di virtù.

Ancora, l’anima, come nel governare la vita materia­le si serve delle quattro virtù che hanno sede nelle quattro parti principali dell’organismo corporeo, l’appe­titiva, la contentava, la digestiva e l’espulsiva, cosi nel governare la vita razionale opera con quattro affezioni, la speranza, la gioia, il timore e la tristezza.


89. Tutta l’attività secondo natura della vita corpo­rea si sviluppa attraverso tre virtù, quella naturale che ha sede nel fegato, quella spirituale che ha sede nel cuore, quella animale che ha sede nel cervello, così la vita spirituale e razionale agisce attraverso tre potenze: la razionale, la concupiscibile, l’irascibile.

Quelle tre virtù producono tre effetti senza i quali la vita dell’uomo non può durare: la via naturale, nel fegato, dà origine all’attività nutritiva, quella spirituale, nel cuore, all’attività vivificante, quella animale, nel cervello, alla sensibilità. In modo analogo, per dar ordine e rendere perfetta la vita dello spirito e della ragione, la fede si fonda sulla razionalità, la speranza sull’elemento concupiscibile, la carità su quello irascibile.

La fede cui la ragione umana offre prove può anche non aver merito, tuttavia, poiché ha le sue radici nell’elemento razionale, quasi per sua natura suole essere sempre avida di ragioni; stenta infatti a credere ciò che un’adeguata autorità o la stessa ragione non dimostrino essere in qualche modo ragione­vole.


90. Far vedere quanto siano affini la concupiscenza e la speranza non pone problemi; è persino inutile affaticarsi a dimostrarlo. Al contrario, l’irascibilità e la carità appaiono tanto diverse l’una dall’altra che sem­brano escludersi a vicenda. Ma un certo fervore di spirito accomuna e unifica queste diverse affezioni; c’è infatti fervore sia nell’ira sia nella carità. Non intendo parlare dell’ira bestiale, ma dell’ira degna dell’uomo, razionale. C’è in verità un’ira da uomini e un’ira da bestie. L’ira razionale si divide in due specie, nello zelo e nella disciplina. Quest’abito mentale altro non è che l’amore di Dio e del prossimo, e l’odio dei vizi. Ed è odio dei vizi appunto perché è amore di Dio e degli uomini.


91. L’ira bestiale si divide invece in tre forme: nel furore, dove manca ogni misura; nella cosiddetta mania, che non conosce alcun termine; in quella forma che è chiamata “coito”, alla quale soltanto la vendetta pone fine, così come il coito pone fine ai bollori della carne.

L’ira razionale diviene più fervida per la carità; nondimeno, la carità è fervida nell’ira, che ne è il fondamento: soltanto se questa apre la strada può seguire la carità. Non si può infatti amare la giustizia se non si odia l’iniquità.

Come dunque nel fegato, nel cuore, nel cervello, le virtù specifiche e i loro effetti controllano e pre­servano la vita del corpo, così accade nella vita dello spirito.


92. Ma può capitare ad essa come a quegli organi, che, per un rilassamento dovuto a un difetto o per una tensione dovuta a un eccesso, possono incon­trare diversi ostacoli nelle loro operazioni, e il corpo ne soffre e inferma. Una razionalità corrotta infatti spesso genera da sé presunzione, eresie, ed effetti simili a que­sti. L’elemento concupiscibile la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, la superbia della vita. L’elemento irascibile l’ira bestiale, la brutalità, l’odio.


[L’anima e le sue attività]

Parliamo ora dei sensi. L’anima ha dei sensi animali, ma ne ha anche di spirituali. Negli uni e negli altri opera in un modo tanto potente e meraviglioso che a stento l’intelletto umano può comprenderlo.


93. L’anima è infatti qualcosa di invisibile e di incorporeo, tuttavia per mezzo dei sensi svolge nel corpo, che è visibile, un’attività invisibile e corporea. Tutti i cinque sensi si collocano tra l’invisibile incorpo­reo e il corpo visibile. Sono invisibili corporei in quanto si trovano nel corpo cui appartengono. L’invisibile in­corporeo è l’anima; la vista, l’udito, il gusto, l’odorato, il tatto, attività che l’anima svolge in modo meraviglioso nel corpo visibile, sono l’invisibile corporeo. Una cosa infatti è la vista, un’altra l’occhio; una cosa l’orecchio, un’altra l’udito, e così via.

Ma anche la visione interiore dell’anima si illumina per la prudenza, si oscura per l’insipienza; il suo udito è offeso dalla menzogna, molcito dalla verità; la giustizia è un profumo per l’anima razionale, fetore l’iniquità o l’impudicizia; la vanità la consuma, la vini la fa fiorire; la compagnia della stoltezza la rende misera, l’abbraccio della sapienza beata.


94. Essa è tutta occhio, perché tutta vede, e vede nella sua interezza ciò che osserva. L’uomo esteriore non vede con tutto il suo essere, perché vede soltanto con l’occhio, e non vede tutto intero ciò che vede, perché non può vedere tutti gli aspetti del corpo che vede. Inoltre, per essa è la stessa cosa vedere e udire, odorare e gustare o toccare, mentre nel corpo non può esserci un’unità o un potere di tal sorta.

Si è detto che l’anima è qualcosa di invisibile e incorporeo, e per questo non occupa un luogo, niente infatti di ciò che è incorporeo occupa un luogo; bisogna dunque vedere, per penetrarne con pii chiarezza la natura, se veramente si possa provare che essa non occupa alcun luogo, se sfugga del tutto, come la divinità, a quelle categorie che sono proprie dei corpi e di ciò che appartiene ad essi. L’essenza divina non è sottoposta a nessuna di queste categorie, pur essendo essa la prima e somma sostanza.


95. Non si può infatti predicare la qualità di colui che è incomparabile, la quantità di colui che non ha alcuna massa, il possesso di colui che non manca di nulla, la modalità di colui che è la misura stessa. Non si deve cercare se ha un abito colui che tutto ha; se c’è un luogo di colui che non occupa luogo ed è tutto intero ovunque; né il tempo dell’eterno, né l’attività di colui che è nella quiete, e nella quiete possiede ogni cosa; né l’affezione di colui che è impassi­bile.

L’anima umana, poiché non ha massa, non ha quantità; poiché soggiace alla mutevolezza degli affetti, non sfugge alla qualità; poiché non è racchiusa e loca­lizzata in un luogo, non ammette la localizzazione. L’anima è nel suo corpo in certo qual modo come Dio è nel mondo: ovunque, e tutta intera ovunque, tutta intera nei singoli sensi, così che tutta intera sente in ciascuno di essi; tutta intera nelle singole parti, così che essa tutta dà vita e sensibilità a tutto intero il corpo . Come si può parlare di una localizzazione? Analogo discorso va fatto anche per le altre categorie.


96. La Divinità, dunque, non è sottoposta ad alcuna categoria, l’anima ad alcune, il corpo a tutte. L’anima infatti non si muove localmente, ma per la diversità delle affezioni prova piacere o pena. Essa può avere delle affezioni spirituali, che la dilettano o l’affliggono, anche senza il corpo; nessuna parte del corpo, invece, se l’anima non c’è, ha sensazioni penose o piacevoli. L’anima infatti ha un potere di azione più esteso e pii sottile del corpo.

Per questo, anche quando governa il corpo e gli dà la sensibilità, allorché con l’occhio interiore della mente si innalza alle realtà superiori ed eterne, si stacca in qualche modo dai sensi corporei e si allontana da essi, senza con ciò muoversi localmente. E non vede quel che le è posto dinanzi, non ode quel che le risuona dappres­so, non intende la pagina che sta scorrendo con gli occhi. Per un meraviglioso potere, simile in qualche modo a quello di Dio, nello stesso momento è tutta nell’intelletto e contempla le realtà celesti, tutta nei sensi o, se agisce, nelle sue attività, anche se non sente quello che fa, tutta nel corpo cui dà la vita.


97. Ed è l’anima stessa che sente, essa che non intende ciò che sente, essa che, senza sentire né intende­re, anima e vivifica il corpo, per mezzo del quale sente ciò che per se stessa non intende. Quest’anima coincide con il suo potere. Ciò che pensa è un suo accidente, ma ciò con cui pensa è la sua stessa sostanza. Così per la volontà. Voler qualcosa è per essa un accidente, ma il volere in quanto tale è la sua sostanza. Tutta dunque pensa, perché è tutta pensiero, tutta vuole, perché è tutta volontà.

Osserva, ti prego, come progrediamo verso l’immagine di colui che ci ha creati. Se infatti l’anima quando pensa è tutta pensiero, se è tutta volontà, certamente quando tutta ama è tutta amore. Ma anche Dio è detto ed è amore.


98. Quest’amore [divino] però è tale che non può amare se non il bene e che per esso non è possibile essere amato se non bene. Quell’amore, invece, che è l’anima umana, per la mutevolezza degli affetti può sia ardere di carità celeste per ciò che gli è superiore, e Dio soltanto gli è superiore, sia abbassarsi a ciò che gli è inferiore per un amore colpevole.

L’anima, creata in così grande maestà e dignità a immagine del suo Creatore, contemplando se stessa e lui rimane per qualche tempo in se stessa. Guarda al suo potere non senza un sacro timore; si chiede se esista qualcosa che le sia superiore dove essa debba passare distaccandosi da sé, e trova che tutte le cose mutevoli o mobili non possono essere mosse che da ciò che è immobile. 99. E a proposito di se stessa compren­de che, anche se non si muove localmente, si muove tuttavia per le affezioni, e che al di sopra di sé c’è un altro più stabile termine cui appoggiarsi, che non si muove né localmente né temporalmente.

Poiché, come si è detto, niente è mosso se non da ciò che è immobile, l’anima vede che è necessario essere stabile per muovere il corpo nello spazio e nel tempo, così come Dio, immobile in se stesso, muove l’anima nel tempo. E si riconosce un’entità intermedia fra Dio e il corpo: non è simile ad alcun corpo, essendo simile a Dio; tuttavia non può uguagliarsi a Dio poiché, anche se ha avuto origine da (ab) lui, non viene tuttavia da (ex) lui né discende da (de) lui. Vede che vede le realtà incorporee da se stessa, le realtà corporee tramite il corpo; vede anche che vede le realtà corporee da se stessa, senza il corpo.


100. Certamente vede, per non dir altro, le parti interne del suo corpo: i tre lobi del cervello intima­mente uniti fra loro, la massa del fegato, che sta al suo posto e aderisce strettamente al tessuto della milza, la bilancia sospesa dello stomaco, il plettro del cuore che batte senza interruzione, i condotti delle vene, le con­nessioni e i luoghi da cui si originano i nervi, la compagine delle ossa, le cavità dei polmoni, e altre innumerevoli parti.

Ovunque si porta col pensiero, luogo o regione, è là, anche se non può vederli materialmente: vede la dispo­sizione dei luoghi, il corso dei fiumi, il volto degli uomini e quant’altro del genere vi è. Senza dubbio non vede materialmente queste cose, perché sono corporee e non possono essere viste che con occhi corporei, e tuttavia è là ovunque pensa di essere, anche se non vede con gli occhi del corpo i luoghi cui pensa, così come è presente là dove dà la vita, nelle parti interne del suo corpo cui dà, senza vederle, la vita.


[L’anima come immagine della Trinità]

101. E anche in questo riconosce in sé, in qualche misura, l’immagine del suo Creatore: in lui vede la luce che illumina, in sé una luce che può essere illuminata.

Vede inoltre, nel suo modo particolare, che all’immagine della somma Trinità corrispondono queste potenze di cui essa in se stessa immediatamente dispo­ne: la memoria (mens), il pensiero, la volontà. Quando infatti pensa qualcosa, ciò che pensa è tutto intero nella sua memoria, e ciò che tutto assieme ricorda tutto assieme pensa, e vuole inoltre pensarlo e ricordarlo, ama cioè avere la memoria e il pensiero. Quando ricorda che pensa, certamente comprende tutto il suo pensiero con tutta la sua memoria, e quando pensa di amare e di ricordare, con tutto il suo pensiero pensa tutto il suo amore e tutta la sua memoria. E con tutto il suo amore essa tutta ama questa memoria tutta e tutto questo suo pensiero, quando ama ricordare e pensare a sé e lo stesso amare. 102. Se le singole potenze, ciascuna nella sua interezza, assieme amano e pensano e ricorda­no se stesse, tutte tre assieme e nella loro interezza non saranno maggiori della memoria tutta che ricorda, o del pensiero tutto che conosce, o dell’amore tutto che ama.

L’anima vede questo in sé, o meglio vede che è questo, e ode Dio che in certo modo le parla, vede la verità che irraggia, intende Cristo che predica e dice: «Io e il Padre» e la mia carità, noi tre, «siamo una cosa sola», siamo un solo Dio. Tu, mente razionale, il tuo pensiero, il tuo amore, tu sei un solo uomo, fatto a somiglianza del tuo Autore, non però creato uguale a lui: non sei stato generato, sei stato formato, non sei colui che forma.


103. Allontanati da quelle cose che ti sono inferiori, meno perfette e meno belle di te; accostati alla forma formatrice per poter essere più bello (formosior), e congiungiti con essa sempre di più, ché tanto riceverai da quella bellezza (species) quanto più grande sarà il peso della carità con cui ti stringerai ad essa. Da essa otterrai infatti lo stato immutabile di questa imma­gine, da cui hai avuto origine. Questo ed altro dice la verità all’orecchio del cuore, istruendoci interiormen­te.

E ogni anima che ode questo, sebbene l’umana miseria sia sempre pronta all’invidia, non ha più nulla da invidiare all’angelo, perché un uomo tale e l’angelo e Dio sono ormai uno spirito solo, come dice l’Aposto­lo, o sono in Dio una cosa sola, come dice il Vange­lo. In particolare una volta che il capo dell’umanità, l’uomo Cristo, assunto veramente e perfettamente nell’unità della persona dalla stessa Verità, dal Figlio di Dio, ha meritato ormai di udire ciò che l’angelo non ha mai potuto udire.


104. Ha udito infatti da Dio Padre: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto».

Gioisca dunque la santa umanità glorificata nel suo capo Cristo, ed esaltata sopra gli angeli esulti in se stessa, avendo udito l’angelo adorato dall’uomo rifiutare l’ado­razione e dire con pia umiltà e soavissima carità: «Non lo fare, sono conservo tuo e dei tuoi fratelli». Ne vada fiero anche il pii piccolo del regno di Dio ancora pellegrino su questa terra, perché, come attesta la Verità stessa, il suo «angelo vede sempre il volto del Pa­dre».

Ma torniamo ancora all’immagine della Trinità. Nes­suna realtà esiste senza che Dio, la santa Trinità, la crei, e nessuna realtà può esserci che non sia assieme una e triplice.


105. Ogni anima, come si è detto, consiste di tre elementi indivisibili: la memoria, la facoltà della rifles­sione, la volontà. Ogni corpo è uno ed è sottoposto alla misura, al numero, al peso. L’anima può accogliere, con le sue tre facoltà, questi tre caratteri, dato che con esse giudica delle misure, dei numeri e dei pesi, cioè di tutto quanto è corporeo. Dalla realtà suprema, che è Dio, la forma della divinità una e trina si diffonde attraverso l’entità intermedia, l’anima, sino alla realtà inferiore, che è quella corporea, imprimendo il suo segno sui corpi e donando la conoscenza alle anime.

Quando l’anima vede con l’intelletto tutto questo, non gioisce pii tanto della propria bellezza quanto della forma formatrice, tendendo alla quale diviene sempre più bella. Lo stesso tendere ad essa è prendere forma. 106. In verità, tutto ciò che è affetto da amore per Dio non si appartiene, ma appartiene a lui, dal quale è affetto.

[L’unità dello Spirito] O anima beata, veramente beata, che quando prega, come dice l’Apostolo, non essa, ma lo «Spirito santo» prega per essa «con gemiti ineffabili»; quando parla, «lo Spirito parla» per essa «dei misteri»; infine, qualsiasi cosa faccia, non essa, ma «lo Spirito» in essa «opera tutto» in tutto, «distribuen­do a ciascuno come vuole» ciascuna cosa.

Come infatti il corpo vive dell’anima, così quel­l’anima vive di Dio, anelando a lui solo, respirando sempre lui solo, come il corpo vivente l’aria, restando tutta in Dio per l’affezione della fede, e avendo in sé colui che ama per la sua operazione onnipoten­te, sino a divenire un solo spirito con lui.


107. La volontà infatti del Padre e del Figlio, lo Spirito santo, con ineffabile gaudio, per una grazia inconcepibile, una segretissima ispirazione e una mani­festissima operazione, conformandosi la sua volontà, unendo a sé il suo amore con l’onnipotenza spirituale, diviene a tal punto una cosa sola con essa che, come si è detto, quando essa insistentemente chiede «con gemiti inenarrabili», si deve dire che egli stesso piuttosto chiede. E questa è la preghiera del Figlio al Padre: «Voglio», cioè, in virtù della mia volontà, che è lo Spirito santo, faccio, «che come io e tu siamo una cosa sola» nella sostanza, «così anch’essi siano in noi una cosa sola» per grazia. Una cosa sola per l’amore, una cosa sola per la beatitudine, una cosa sola per l’immor­talità e l’incorruttibilità, una cosa sola anche in qualche modo per la divinità stessa. «A quanti» infatti «lo ricevettero, diede il potere di divenire figli di Dio».


[I gradi dell’ascesa dell’anima a Dio]

108. Ma consi­deriamo i gradi, dal più basso sino al più alto, attraverso i quali l’anima che tende alla perfezione progredendo sale sino al suo Autore.

Nel primo grado l’anima vivifica con la sua presenza questo corpo terreno e mortale: lo raccoglie e lo mantie­ne nell’unità, non gli permette di dissolversi e di cor­rompersi, fa che il nutrimento sia distribuito opportuna­mente per le membra fornendo a ciascuna il dovuto, conservando l’armonia e la misura non soltanto nella bellezza del corpo ma anche in quelle funzioni che permettono la crescita e la riproduzione. Tutto questo, però, come si può facilmente vedere, l’uomo lo condivi­de anche con le piante. Anche di esse diciamo che vivono: vediamo e affermiamo che ciascuna di esse si conserva nel suo genere, si alimenta, cresce, si riproduce.


109. Sali dunque al secondo grado, e vedi che cosa può l’anima nei sensi, dove la vita è percepibile in modo più palese ed evidente, e per i quali nulla può esserci di comune fra noi e le piante, che sono radicate e fissate alla terra. L’anima si volge al tatto, e sente e distingue il caldo e il freddo, la ruvidezza, la delicatezza, la durezza, la mollezza, la leggerezza e la pesantezza. E poi giudica, gustando, odorando, udendo e vedendo, delle innume­revoli differenze dei sapori, degli odori, dei suoni, delle forme. E in tutto ciò ricerca e accoglie quel che si confà alla natura del suo corpo, mentre rigetta e fugge ciò che le è contrario.

A intervalli regolari di tempo si distacca dai sensi, e ne rigenera i moti con una sorta di vacanza, mentre in vario modo rivolge in sé la folla delle immagini delle cose che tramite loro ha accolto; tutto questo costituisce il sonno e i sogni.


110. Spesso anche, lieta e libera, movendo armonio­samente e senza fatica le membra [del suo corpo], trae diletto dalla facilità dei movimenti. Per l’unione sessuale fa quanto può, unendo due nature in un unico corpo con il legame dell’amore. Nessuno nega tuttavia che anche negli animali l’anima possa fare tutto questo.

Innalzati dunque al terzo grado, con il quale siamo ormai a un livello propriamente umano. Pensa alla memoria. Non a quella che risulta dall’abitudine, da ciò che entra attraverso i sensi nell’anima, memoria che anche le bestie hanno, ma a quella che si fonda sull’attenzione e sui segni di innumerevoli cose che le sono affidate e che essa ritiene. Pensa alle tante attività artigiane e agricole, alla costruzione delle diverse città, ai mirabili edifici di ogni sorta e ai grandi lavori; pensa all’invenzione di tanti segni: lettere, parole, gesti, suoni di ogni specie, dipinti e immagini. Conside­ra le tante lingue delle nazioni, i fiumi di eloquenza, la varietà dei poemi, le mille finzioni per divagarsi e gioca­re, la perizia nel suonare, la precisione nel misurare, la perizia nel calcolo, le congetture sul passato e sul futuro fondate sul presente.


111. Tutto ciò è grande ed è proprio esclusivamente dell’uomo. Sono però ancora capacità comuni almeno in parte a dotti e indotti, a buoni e malvagi.

In questi tre gradi, vedi che cosa è capace di fare l’anima nel corpo. Leva allora lo sguardo in alto e passa al quarto grado, dove comincia la bontà e tutto ciò che è veramente degno di lode. A partire da qui l’anima oserà mettersi al di sopra non soltanto del proprio corpo, posto che esso ha una sua parte nell’universo, ma anche al di sopra di tutto il complesso di questo stesso universo. Non riterrà suoi beni i beni del mondo, e paragonandoli alla propria pc tenza e bellezza giudicherà di non doverne far conto. Più gioisce di Dio, più impara a trarsi fuori dalle bassezze; non vuole accada ad altri nulla che non vuole accada a sé; segue l’autorità e i precetti dei sapienti e crede che Dio stesso le parli attraverso di essi.


112. In questo agire dell’anima, così luminoso, c’è ancora fatica: una grande e durissima lotta contro le difficoltà e gli allettamenti del mondo. In questo trava­glio di purificazione si nasconde il timore della morte.

Quando esso sia giunto al suo termine, quando cioè l’anima si sia liberata da ogni tabe e lavata da ogni macchia, allora finalmente riposa in se stessa piena di gioia, non teme per sé assolutamente nulla, di nulla si angustia a causa propria. Questo è il quinto grado. Una cosa è purificarsi, un’altra mantenere la purezza; l’azione con la quale l’anima contaminata si rinnova è affatto diversa da quella per la quale non sopporta di essere di nuovo contaminata. A questo grado l’anima comprende tutta la sua grandezza sotto ogni aspetto.


113. E dopo che ha compreso tutto ciò, si dirige con straordinaria e inimmaginabile fiducia verso Dio, verso cioè la vera contemplazione della verità, verso quel premio, il più alto e segreto, per il quale tanto si è affaticata.

Questa attività, il desiderio cioè di intendere il vero e sommo essere, è anche la pii alta visione dell’anima, la più perfetta, migliore o più diretta che essa possa avere. Questo è dunque il sesto grado del suo agire. Una cosa infatti è purificare l’occhio dell’anima perché non guardi inutilmente e temerariamente e non veda male, altra cosa custodire questa sua salute e consolidarla, altra ancora volgere lo sguardo limpido e diritto a ciò che si deve contemplare.


114. In questi due gradi vedi ciò di cui l’anima è capace in se stessa. Bada però che quanti vogliono avere uno sguardo limpido e diritto prima di essersi purificati e risanati, saranno respinti da quella luce della verità, così che riterranno non soltanto che in essa non ci sia alcun bene, ma anzi che ci sia molto male. Le negheranno il nome di verità, e con una sorta di passione e di voluttà miserabile si rifugeranno nelle proprie tenebre, che la loro malattia può sopportare, maledicendo il rimedio. Per questo il Profeta divinamente ispirato dice, del tutto a proposito: «Crea in me, Signore, un cuore puro, rinnova nelle mie viscere uno spirito di rettitudine».


115. Uno spirito retto, credo, è quello per cui avviene che l’anima non può deviare ed errare nel cercare la verità. E certamente non può sorgere in essa se prima il cuore non è stato mondato, cioè se prima il pensiero non si sia raccolto in sé e liberato da ogni desiderio e da ogni impurità delle cose mortali.

Ma ormai l’anima è nella visione stessa e nella contemplazione della verità, che è per essa il settimo e ultimo grado, e non è ormai più un grado ma uno stato permanente al quale si perviene attraverso i gradi indicati. Quale sia la gioia, quale il godimento del vero e sommo bene, quale l’afflato di serenità che l’avvolge, lo intende solo chi ne gode.


[Anabathmos]

Per questi gradi, dunque, l’anima fedele e ardente di desiderio compie con fervido zelo il suo anabathmos, cioè la sua ascensione, e dispone «le ascensioni nel suo cuore», finché non pervenga in quel luogo che Dio ha preparato e disposto per lei. Vive, come dice l’Apostolo, della vita di Dio, cioè di una vita spirituale nella gioia dello Spirito santo, nella speranza dei figli di Dio, nella contemplazione e nel­l’imitazione della suprema giustizia.


116. Per il tempo in cui vive qui, per il tempo in cui, qui, vede in parte come «in uno specchio» e «in modo enigmatico», vive inoltre usando delle sue passioni naturali in tal maniera che, sebbene si trovi nella carne, non vive secondo la carne, e quasi diviene impassibile. Anche le passioni non sono per lei passioni, ma virtù: non teme infatti se non per un casto timore; non prova dolore se non perché è lontana dal regno; gioendo nell’immensità della carità, percorre lieta «la via dei comandamenti di Dio», tutto credendo, tutto sperando, tutto sostenendo nella pace dell’amore per la contemplazione del suo fine. E ciò di cui gioisce e ciò che sopporta è ciò che attende; può dolcemente riposare in esso nella speranza fin quando «restano la fede, la speranza, la carità, queste tre virtù».


117. Quando «la morte» sarà stata «assorbi­ta nella vittoria», e «avrà fine ciò che è in parte», non ci sarà pii né fede né speranza, ma soltanto la realtà; distrutti il timore e il dolore, e superate la fede e la speranza, in essa regnerà ed esulterà «la più grande di tutte, la carità». Ci sarà allora l’entrata «nella gioia del Signore», in cui l’anima beata entrerà lietamente per vivervi in eterno e per risorgere in modo meraviglioso con quel corpo che è suo, perché esso, che fu partecipe della fatica, sia anche partecipe della gloria nella vita eterna.


[Catabathmos]

L’anima degenere che non ha dato frutto, invece, se pur deve dirsi anima quella che ha ucciso se stessa ed è morta in se stessa, compie un catabathmos, cioè una discesa verso ciò che è inferiore; anzi, non discende ma precipita; essa, che è «nella corruzione, si corrompe ancora di più», e fa e sop­porta tutto ciò che è contrario al bene, «resa estranea alla vita di Dio».


118. Infatti, creata a immagine di Dio e per vederlo, quando avrebbe dovuto cominciare a gustarlo allora ha cominciato a perderne il senso. Allontanatasi dal volto del Signore, come ha fatto Caino, abita nella regione della dissimiglianza, nella terra di Naim, vale a dire della “commozione”.

Bandita dalla virtù si sottomette ai vizi; resasi estra­nea alla pace dei figli di Dio, tumultua in se stessa; si dà alla malizia, corrompendo le sue capacità naturali nella depravazione e nell’astuzia, alla lussuria, immergendosi in modo vergognoso nelle lusinghe animalesche dei sensi. Diviene «come il cavallo e il mulo, che non hanno intelletto», accorta soltanto nel fare il male, incapace di fare il bene. Non ha cura alcuna di sé, alcuna memoria di Dio. 119. Così che si angustia in modo vergognoso per le sue passioni, delle quali misera­mente abusa; teme soltanto ciò che riesce sgradevole ai sensi, gioisce soltanto quando ciò che la lusinga è a por­tata di mano, soffre soltanto quando questo le è tolto: simile in tutto a una bestia, a un animale, salvo che, come sopra si è detto, in questi è natura ciò che nell’anima umana è vizio.

Praticando di continuo il male, è talvolta così abbru­tita da un eccesso di rilassatezza da divenire in qualche modo anch’essa impassibile e insensibile. Spinta da una depravazione che non conosce misura, non rifugge dal sottoporre la sua carne alle prove pii dure e aspre pur di servire alla propria corruzione: all’avarizia, «alla concupiscenza della carne e degli occhi», all’am­bizione del mondo.


120. Cosi vive finché è racchiusa nel sepolcro del corpo. Ma quando ne è tratta fuori, essa quasi muore totalmente assieme al suo corpo, come accade agli animali bruti, ai quali si è resa simile. Benché sia venuta del tutto meno in essa quella vini essenziale, di cui la Sapienza dice: «Temi Dio, e osserva i suoi comandamenti, poiché questo è tutto l’uomo», il giustissimo giudizio di Dio non permette però che muoia totalmente. Le è conservata la capacità di sentire, limitata soltanto al dolore. Esclusa da ogni gioia, resa estranea a ogni speranza, non ha alcun timore del dolore, ma è consegnata tutta al dolore. Certamente qualcosa di vivo e capace di dare la vita resta in essa, poiché essa vive; ma soltanto per soffrire. Può sentire per poter essere punita e tormentata, può dare la vita per poter vivificare di nuovo il corpo, per essere tormentata per sempre con esso, con il quale avrebbe voluto peccare sempre, se le fosse stato concesso.


121. Quanto meglio sarebbe stato per essa se fosse morta davvero con il suo corpo, come l’anima del bruto, così da non venir punita in eterno! E questa differenza fra l’anima beata e quella miserabile è opera soltanto della differenza dell’amore. Nella prima l’amore confor­me a natura conserva e mantiene la sua dignità naturale, nella seconda invece degenera nell’animalità bestiale della carne.