martedì 27 settembre 2011

Onnipotenza di Dio e libertà dell'uomo




Durante l’omelia pronunciata domenica mattina (durante la messa celebrata a Friburgo, nell’ultimo giorno del suo viaggio in Germania) Benedetto XVI ha toccato, sia pur brevemente, il problema terribilmente inquietante del male e del suo rapporto con Dio. Se Dio c’è, perché esiste il male? Soprattutto, perché esiste la sofferenza dell’innocente? È una domanda drammatica che da sempre travaglia la coscienza umana, tanto che il male è la più grande e frequente contestazione all’esistenza di Dio.


Il Papa non ha toccato in questa occasione la questione della sofferenza dell’innocente cagionata da malattie, o da calamità naturali, o dalla morte (non ha cioè toccato la questione dal punto di vista ontologico, anche perchè il tema richiederebbe lo spazio di una monografia e non basta certo quello di una omelia; ciò sia detto per Umberto Eco e per tutti quei critici di Benedetto XVI che giudicano frettolose le sue disamine: un’omelia o un angelus non sono e non devono essere dei trattati di filosofia).


Piuttosto, il Papa ha accennato al tema del male morale, cioè alla questione della sofferenza umana causata dagli uomini. Come ha detto il Papa, «Ci sono teologi che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non può essere onnipotente». In effetti, molti si sono chiesti: «dov’era Dio ad Auschwitz o negli altri lager nazisti, o nei gulag comunisti, o nei vari campi di concentramento della storia?». In effetti, se Dio è onnipotente, perché non impedisce il male morale, cioè la malvagità degli uomini?


Il Papa ha risposto che certamente Dio è onnipotente, ma «esercita il suo potere in maniera diversa da come gli uomini sogliono fare. Egli stesso ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature».

In effetti, Dio non è l’autore degli atti malvagi umani, però potrebbe evitarli, dunque perché li tollera? La risposta è piuttosto articolata, perché i motivi sono almeno quattro.

1) Dio tollera gli atti malvagi perché da essi ricava un bene maggiore o evita un male peggiore (è un discorso che non possiamo approfondire in questa sede).


2) Se Dio impedisse il male morale, toglierebbe la sua sorgente che è la libertà. Ora, Dio potrebbe togliere la libertà all’uomo, ma così lo priverebbe di quella stupenda prerogativa che lo innalza al di sopra degli altri esseri, che lo eleva al di sopra dell’universo.

Come ha scritto Cornelio Fabro, «la imago Dei è soprattutto la libertà!». Infatti, prima di agire l’uomo esamina delle alternative tra cui scegliere, delle possibilità, degli esiti delle sue possibili scelte, e mediante la libertà fa essere ciò che fino al momento della sua scelta non esiste, ciò che prima era solo una possibilità, quindi l’esercizio della libertà «si apparenta e si accosta alla creazione», che fa essere ciò che prima non esiste per nulla. Infatti, qualsiasi evento fisico «si trova contenuto nelle sue cause (non solo le eclissi, i terremoti, le sciagure, ma anche il prodursi delle stagioni, il riprodursi degli animali e tutto il susseguirsi della vita nel mondo)», mentre ciò che scaturisce dall’azione libera dell’uomo «non è contenuto nella serie o catena delle cause». L’azione umana non è come il movimento della tessera di un domino, che è la continuazione e la ritrasmissione alla tessera successiva di un impulso ricevuto dalla tessera precedente. Lo ha scritto stupendamente Hannah Arendt : «Agire […] significa prendere un’iniziativa, incominciare» e «perché ci fosse un inizio fu creato l’uomo [...]. Questo inizio non è come l’inizio del mondo, non è l’inizio di qualcosa ma di qualcuno, che è a sua volta un iniziatore. Con la creazione dell’uomo, il principio del cominciamento entrò nel mondo stesso, e questo, naturalmente, è solo un altro modo di dire che il principio della libertà fu creato quando fu creato l’uomo [...]. Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può aspettare l’inaspettato».


3) Se l’uomo non potesse compiere il male, se Dio impedisse la sua malvagità e se quindi l’uomo non fosse libero, con ciò stesso non potrebbe nemmeno compiere il bene: se io non sono libero non posso scegliere di odiare, né di assassinare, ma nemmeno di amare, di donarmi, di sacrificare la mia vita per gli altri, ecc. La malvagità è il volto tenebroso di quel Giano bifronte che è la libertà: se non ci fosse la malvagità non potrebbe nemmeno esserci il bene morale.


4) Come spiega Kierkegaard, Dio si rivolge all’uomo come un innamorato che offre il suo amore a colei che ama, chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: «Ãˆ incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che Iddio» all’uomo «possa dire quasi come un pretendente [...]: Mi vuoi tu, sì o no?». Proprio per questo lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli propone di partecipare alla comunione amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non vuole in alcun modo costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?». Se l’uomo non fosse libero non potrebbe conseguire la felicità, che è la totale comunione d’amore con Dio.


Con stupore e con (giusto) orgoglio Fabro rileva – con espressioni simili a quella di Bendetto XVI in Germania – infatti che Dio può annientare l’uomo, ma «non può sostituire il sì o il no della mia volontà», perché una libertà invasa dall’esterno, «colonizzata» e coartata, non è (più) libertà.
Per questo motivo, aggiunge il pensatore friulano, «Dio stesso, all’annunzio fatto a Maria, stava in ascolto», e perciò «San Bernardo è impaziente e scrive: “affrettati, su, rispondi presto Maria!”. Ma Maria attese a rispondere come si doveva: con la libertà che conviene al bene, per gettarsi [infine] in braccio all’Infinito». E la risposta libera che Dio attendeva da Maria è analoga (mutatis mutandis) a quella (poc’anzi menzionata) che Dio, come un innamorato, attende da ogni uomo.

Così, dice Fabro, «se c’è una cosa [...] che alle volte dà i brividi e la suprema gioia di essere uomini, questa è la libertà». La grandezza della volontà-libertà è tale che Fabro afferma: «dopo l’Assoluto non c’è niente di più grande al mondo» della libertà e «la storia [del mondo] ha quindi senso [...] in funzione della libertà».


Ha senso in funzione della scelta di cor-rispondere o rifiutare la proposta d’amore di Dio, riguardo alla quale lasciamo di nuovo parlare Kierkegaard: «Si vive una volta sola. [...] E mentre tu vivi questa sola volta e la durata di questa vita si accorcia ad ogni minuto che passa, sta il Dio dell’Amore nei cieli, pieno d’amore, anche verso te. Sì, verso di te, Egli vorrebbe che tu volessi ciò ch’Egli vuol volere con te per l’eternità [...]. Il Dio dell’amore non vuole costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?».
Fonte: Giacomo Samek Lodovici in "La Bussola Quotidiana" del 29 settembre 2011