martedì 27 settembre 2011

Martirologio 28 settembre

Oggi 28 settembre ricordiamo:

Lorenzo Ruiz, Domenico Ibáñez de Erquicia, Giacomo Kyushei Tomonaga e 13 compagni filippini

Lorenzo Ruiz, laico

Domenico Ibáñez de Erquicia, O.P.
Giacomo Kyushei Tomonaga, O.P.
e 13 compagni filippini, martiri in Giappone

Piazza San Pietro, 18 ottobre 1987


Questo gruppo di 16 Martiri, tutti collegati a diverso titolo con l'Ordine dei Frati Predicatori nella Provincia missionaria del S. Rosario sorta nel 1587, fu beatificato il 18 febbraio 1981. Il rito, presieduto da Giovanni Paolo II e celebrato per la prima volta fuori Roma nella storia delle beatificazioni, ebbe luogo a Manila, città con la quale la maggior parte dei Martiri aveva avuto relazione. In modo particolare Lorenzo Ruiz, nativo di quel luogo e protomartire delle Filippine.
Dei 16 Beati, 9 sono giapponesi, 4 spagnoli, 1 italiano, 1 francese, 1 filippino. I sacerdoti domenicani sono 9, i fratelli cooperatori 2, le terziarie 2, e 3 altri laici. Tranne Marina di Omura e Antonio Gonzàlez, tutti morirono sulla collina detta Nishizaka, a Nagasaki, dove già erano stati crocifissi nel 1597 i 26 Santi protomartiri del Giappone, e avevano patito molti dei 205 Beati uccisi tra il 1617 e il 1632.

Essi sono i continuatori di questa schiera (16331637) e con molti altri sono quasi gli epigoni del cosiddetto " secolo cristiano" del Giappone, inaugurato dalla predicazione di S. Francesco Saverio (1549-1650 ca.). Il periodo della loro passione corrisponde al tempo in carica di Tokugawa Yemitsu, shógun o supremo capo militare del Giappone: che il 28 febbraio 1633 e il 22 giugno 1636 aveva emanato due editti per estinguere il cristianesimo in quell'impero. Erano punibili con la sentenza capitale i missionari stranieri o autoctoni, quelli che li ospitavano o che non erano disposti ad abiurare la fede cristiana.

Vari i supplizi con cui venivano torturati i confessori di Cristo durante gli interrogatori presso il tribunale di Nagasaki. Uno consisteva nell'acqua fatta trangugiare violentemente in grande quantità e quindi fatta espellere con altrettanta violenza, con effetto talora di far fuoriuscire il sangue dalla bocca, narici ed orecchie. Un'altra tortura la procuravano punte acuminate di canna di bambù o di ferro conficcate tra i polpastrelli e le unghie delle mani fin quasi a metà dito. Quindi mano ed avambraccio venivano spinti ad urtare contro il suolo. Il tormento più terribile e definitivo fu escogitato appunto durante questo periodo di persecuzione ed era chiamato ana-tsurushi. Il condannato a morte veniva appeso ad un palo con il capo rivolto in basso e con tutto il busto dentro una fossa piena di sudiciume e rinchiusa con tavole di legno che stringevano il corpo all'altezza della cintola. L'appeso con tale sistema era soggetto al deflusso del sangue nel capo con difficoltà a riprendere la circolazione; si sentiva soffocare per la mancanza di aerazione della fossa, resa per di più nauseabonda per il sudiciume che conteneva.

In tali condizioni penosissime il condannato poteva durare da uno a più giorni, secondo le capacità di resistenza fisica. A volte veniva estratto dalla fossa e dalla forca per essere istigato a rinnegare la fede cristiana e quivi rimesso in caso di perseveranza. Sopraggiunta la morte, il cadavere era subito bruciato e le ceneri gettate in mare nel porto di Nagasaki.

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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN PAKISTAN, FILIPPINE,
GUAM (USA), GIAPPONE E ANCHORAGE (USA)

SANTA MESSA PER LA BEATIFICAZIONE DI LORENZO RUIZ

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Manila (Filippine), 18 febbraio 1981

Cari fratelli e sorelle nel Signore,

1. La città di Manila e tutte le Filippine sono piene di gioia in questo giorno poiché cantano un inno di gloria a Gesù Cristo. Infatti, secondo la promessa del suo Vangelo, Cristo veramente riconosce, alla presenza del Padre suo nel cielo, quei martiri fedeli che riconobbero lui davanti agli uomini (cf. Mt 10,32). E a motivo della vicinanza di Luneta Park alla antica Manila “intra muros”, l’inno di gloria a Dio che è stato ora cantato da tante voci è un’eco del “Te Deum” cantato nella Chiesa di Santo Domingo la sera del 27 dicembre 1637, quando arrivò la notizia del martirio di un gruppo di sei cristiani a Nagasaki. Fra di loro vi era il capo della missione, Padre Antonio Gonzales, un Domenicano spagnolo originario del Leon, e Lorenzo Ruiz, un uomo sposato, con famiglia, nato in Manila “extra muros”: nel sobborgo di Binondo (cf. Positio super Martyrio, Roma, 1979, pp. 478-479).

Anche questi testimoni a loro volta cantarono salmi al Signore potente e misericordioso, sia quando si trovarono in prigione, sia durante la loro esecuzione mediante forca e fossa che durò tre giorni.

Il canto di questi eletti “designati” martiri – per usare un termine utilizzato dal mio predecessore Benedetto XIV – fu seguito in Manila, allora come adesso, dal canto di ringraziamento per i martiri ora “consumati” e “glorificati”. “Te martyrum candidatus laudat exercitus”: essi appartennero davvero alla schiera in candide vesti, i cui membri comprendono quelli della bianca legione dell’Ordine dei Predicatori.

2. Allo stesso tempo il nostro inno è un inno di fede che conquista il mondo (cf. 1Gv 5,4). La predicazione di questa fede illumina come il sole tutti quelli che desiderano ottenere la conoscenza della verità. E invero, sebbene ci siano differenti lingue nel mondo, la potenza della tradizione cristiana è la stessa. E così, come spiega sant’Ireneo, le Chiese fondate in Germania o in Spagna credono e insegnano in modo non differente dalle Chiese fondate in oriente o nelle regioni centrali del mondo (cf. Sant’Ireneo, Adversus haereses, I, 10, 1-3: PG 7, pp. 550-554).

Perciò saluto con profondo affetto in Cristo Gesù le Chiese europee d’Italia, Francia e Spagna, e le Chiese asiatiche in Taiwan, Macao, Filippine e Giappone, qui rappresentate o almeno spiritualmente unite a questa cerimonia di beatificazione dei sedici martiri che appartengono loro per nascita, lavoro apostolico o martirio.

3. Il Signore Gesù col suo sangue ha veramente redento i suoi servi, riuniti da ogni razza, lingua, popolo e nazione, per far di loro un sacerdozio regale per il nostro Dio (cf. Ap 5,9-10). I sedici beati martiri, con l’esercizio del loro sacerdozio – quello del Battesimo o dell’Ordine Sacro – manifestarono il più grande atto di adorazione e di amore verso Dio col sacrificio del loro sangue unito al Sacrificio di Cristo, proprio quello della Croce. In questo modo imitarono Cristo, sacerdote e vittima, nel modo più perfetto possibile per le umane creature (cf. Santo Tommaso, Summa theologiae, II-II, q. 124, a. 3). Nello stesso tempo fu il massimo atto di amore che si possa fare per i fratelli per amore dei quali noi tutti siamo chiamati a sacrificarci, seguendo l’esempio del Figlio di Dio che sacrificò se stesso per noi (cf. 1Gv 3,16).

4. Questo è ciò che fece Lorenzo Ruiz. Guidato dallo Spirito Santo verso un termine inaspettato dopo un viaggio avventuroso, egli disse ai giudici di essere un cristiano, e di dover morire per Dio, e di essere pronto a dare la sua vita per lui anche mille volte (cf. Positio super Martyrio, p. 417).

“Kahit maging sanglibo man / Ang buhay n’yaring katawain / Pawa kong ipapapatay, / Kung inyong pagpipilitang/ Si Kristo ‘y aking talikdan” (Anche se fossero mille / le vite di questo corpo / le farei uccidere tutte / se mi costringete / a voltare le spalle a Cristo).

In queste parole troviamo una sintesi della sua personalità, una descrizione della sua fede e la ragione della sua morte. Fu in questo momento che questo giovane padre di famiglia professo e portò a compimento la catechesi cristiana che aveva ricevuto alla scuola dei Frati Domenicani di Binondo: una catechesi che non poteva essere altro che cristocentrica, sia per il mistero che contiene sia per il fatto che è Cristo che insegna attraverso le labbra del suo messaggero (cf. Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 5-6).

Questa è l’essenza cristiana del primo Beato della nazione filippina, la cui odierna esaltazione è un punto culminante veramente adeguato alla celebrazione del quarto centenario della Arcidiocesi di Manila. Proprio come la giovane Chiesa di Gerusalemme fece sgorgare il primo martire per Cristo nella persona del diacono Stefano, così la giovane Chiesa di Manila, fondata nel 1579, diede vita al suo primo martire nella persona di Lorenzo Ruiz, che aveva servito nella chiesa parrocchiale di san Gabriele in Binondo. La parrocchia locale e la famiglia, chiesa domestica, sono davvero il centro della fede che è vissuta, insegnata e testimoniata.

5. L’esempio di Lorenzo Ruiz, figlio di padre cinese e di madre tagala, ci ricorda che la vita di ognuno, l’intera vita deve essere a disposizione di Cristo. Essere cristiani significa donare ogni giorno, in risposta al dono di Cristo che venne nel mondo perché tutti potessero avere la vita e averla in abbondanza (cf. Gv 10,10). O, come così appropriatamente è espresso nel tema della mia visita a questo Paese: Morire per la fede è un dono per alcuni; vivere di fede è una chiamata per tutti. Io sono venuto dalla città dei martiri Pietro e Paolo in questa capitale per parlare a voi del significato della nostra esistenza, del valore del vivere e morire per Cristo. E questo é ciò che desidero affermare con questo atto di beatificazione, desiderato da me e dal mio predecessore Paolo VI, e richiesto dalle varie chiese locali e dall’Ordine Domenicano.

6. Ma l’amabile figura del primo martire filippino non sarebbe pienamente compresa nel suo contesto storico se non si celebrasse la testimonianza data dai suoi quindici compagni, che furono martirizzati nel 1633, 1634 e 1637. Essi formano un gruppo guidato da due uomini: Domingo Ibañez de Erquicia, vicario provinciale della missione giapponese nato a Regil nella diocesi spagnola di san Sebastian: e Jacobo Kyuhei Tomonaga, nato a Kyudetsu nella diocesi di Nagasaki. Entrambi appartennero alla Provincia Domenicana del santo Rosario nelle Filippine, fondata nel 1587 per l’evangelizzazione dell’estremo oriente. Tutto il gruppo dei compagni di Lorenzo era composto da nove preti, due fratelli professi, due membri del Terzo Ordine, un catechista e una guida-interprete. Nove erano giapponesi. quattro spagnoli, un francese e un italiano. Essi avevano un motivo per la loro testimonianza evangelica: il motivo di san Paolo, battezzato da Anania. “di portare il nome di Cristo a tutte le genti” (cf. At 9,15): “Noi siamo venuti in Giappone solo per predicare la fede in Dio e insegnare la salvezza ai piccoli, agli innocenti e a tutto il resto del popolo”. Così il martire Guillaume Courtet sintetizzò la loro missione davanti ai giudici di Nagasaki (cf. Positio super Martyrio, pp. 412 e 414).

7. Avrò la gioia di parlare di nuovo di questi coraggiosi apostoli fra pochi giorni a Nagasaki, vicino alla santa collina chiamata Nishizaka, dove essi subirono il martirio. Per il luogo della morte essi sono tutti giapponesi. Quell’arcipelago fu la terra della loro vera e definitiva nascita, la nascita che porta i figli adottivi di Dio all’eterna luce.

8. Per adesso, poiché consideriamo il luogo dove essi stanno per essere beatificati, vorrei soffermarmi sul fatto che la città di Manila, l’isola di Luzon e l’isola di Formosa, che a quel tempo si trovavano sotto un unico governo civile, furono l’ampio e provvidenziale punto di partenza dei nove sacerdoti che più tardi salparono per Nagasaki. Essi esercitarono il ministero sacerdotale fra i cinesi dei sobborghi di Binondo, fra la colonia giapponese di Manila, fra la gente delle regioni di Bataan, Pangasinan, Cagayan e all’estremo Nord a Formosa. Alcuni di essi erano incaricati di insegnare al Collegio di santo Tomas in Manila, che nel 1645 divenne l’attuale Pontificia Università, la più antica e più grande università dell’estremo oriente.

Quattro dei nuovi beati furono professori del Collegio, uno fu anche Rettore, e un quinto aveva studiato lì. Nel primo secolo di evangelizzazione dell’estremo oriente, iniziatosi con la predicazione di san Francesco Saverio, le isole Filippine avevano già, in questa istituzione universitaria, un ulteriore mezzo per adempiere alla missione di evangelizzazione (cf. Giovanni Paolo II, Sapientia Christiana: AAS 71 [1979] 478). Un fruttuoso programma mirante all’insegnamento della teologia e alla propagazione della fede, che ancora oggi e accresciuto dall’eredità culturale delle Filippine e vivificato dallo spirito cristiano, è uno strumento idoneo alla diffusione del Vangelo (cf. Giovanni Paolo II, Sapientia Christiana, AAS 71 [1979] 479). L’armoniosa fusione della fede e della cultura e espressa dal poeta filippino ed eroe nazionale José Rizal, in questi versi:

Traduzione italiana dei versi pronunciati in lingua spagnola

Così l’educazione stretta alleanza / con l’alma religione unisce sincera: / per essa l’educazione ottiene rinomanza; / guai esser cieco rifiutando / della santa religione le sapienti dottrine, / dalla sua pura corrente fugge nefando (cf. José Rizal, Alleanza Intima tra la Religione e l’Educazione, 19 aprile 1876).

Per questa ragione è ancora più forte il mio dovere e lo specifico del mio ministero apostolico di confermare i miei fratelli nella verità (cf. Lc 22,32), e di ripetere ai missionari, agli studenti di scienze teologiche ed umanistiche, come pure a tutti i cattolici dell’Asia Orientale, le parole di Cristo: “Voi sarete miei testimoni... fino ai confini della terra” (At 1,8).

9. Sforziamoci di “imitare l’impegno di fede e la fedeltà all’impegno” di coloro che, attraverso il loro difficile compito missionario, accettarono con gioia e risolutezza, duri viaggi, difficoltà di clima, tradimento persino dai loro amici. privazioni di ogni sorta e terribili torture. Essi erano così innamorati del la Passione di Cristo che poterono gridare. come Miguel de Aozaraza nel contemplare le ferite di Cristo: “Che bel colorito, che rose rosse sparse per amore di te, mio Dio!” (cf. Positio super Martyrio, p. 446). Essi chiesero a Maria come fece Giordano Ansalone, di ristabilirsi dalla malattia in modo da poter morire soltanto come vittime per Cristo (cf. Positio super Martyrio, p 298).

Affido tutto questo a Maria, che, con il suo rosario, aiutò i nostri martiri a imitare e ad annunziare suo Figlio a essere intrepidi custodi della sua parola, come le coraggiose donne Maddalena di Nagasaki e Marina di Omura. Affido il destino delle Filippine e di tutta l’Asia a Maria. Regina del Rosario, che con il titolo di “La Naval” è venerata come custode della libertà della fede cattolica.

10. Questo è il significato pieno di questa beatificazione: dar coraggio a tutti i cristiani dell’estremo oriente e diffondere la parola di Dio (cf. 2Ts 3,1). E in speciale modo dico questo a voi filippini, che costituite la sola nazione prevalentemente cattolica in questa parte orientale del continente asiatico. È un invito che estendo anche agli altri cristiani delle terre vicine che costeggiano l’Oceano Pacifico che è come un simbolo della lunga ricerca di Dio descritta da Santa Caterina da Siena: “Un mare profondo, in cui quanto più mi inoltro, tanto più trovo: e quanto più io trovo, tanto più ti cerco. Tu sei insaziabile, poiché quando l’anima crede di saziarsi nel tuo abisso, sazia non è, rimanendo sempre affamata di te, assetata di te, desiderosa di vederti alla luce della tua luce” (Santa Caterina da Siena, Dialoghi, cap. 167).

Amatissimi figli: in mezzo agli sforzi necessari per la nostra propria vita cristiana e per la diffusione della luce di Cristo in tutta l’Asia e nel mondo intero, guardiamo oggi a questi zelanti martiri che ci ispirano una profonda sicurezza e una viva speranza quando ci dicono: “In tutto questo noi siamo più che vincitori a motivo di lui che ci ha amato” (Rm 8,37). E questo è il mistero che noi celebriamo oggi: l’amore di Gesù Cristo, che è la luce del mondo. Amen.


Dopo l'omelia

Traduzione italiana dei saluti pronunciati in lingua spagnola

In questa cerimonia per la beatificazione del primo martire filippino e degli altri quindici compagni che dettero la vita per la fede in Cristo, voglio ricordare nella loro lingua i quattro martiri spagnoli Domingo Ibañez de Erquicia, Lucas Alonso, Antonio Gonzalez e Miguel de Aozaraza.

È un omaggio che volentieri in primo luogo rendo a costoro che, seguendo le orme di san Francesco Saverio e l’insegnamento del fondatore del loro ordine san Domenico di Guzmán, propagarono la fede cristiana in queste terre e offrirono la suprema testimonianza di fedeltà alla Chiesa.

Allo stesso tempo è un doveroso tributo di grata memoria alla Spagna, la quale nel corso di quattro secoli e mezzo attuò l’evangelizzazione delle Filippine, facendo di esse la sola nazione dell’oriente a grande maggioranza cattolica. Mi rallegra poter proclamare ciò alla presenza della Missione straordinaria spagnola venuta ad assistere alla beatificazione e alla quale, unitamente ad altri connazionali dei nuovi beati qui riuniti, rivolgo il mio cordiale saluto e il mio compiaciuto pensiero.

Traduzione italiana dei saluti pronunciati in lingua francese

A questo proposito sono lieto di salutare i membri, civili ed ecclesiastici, della Delegazione venuta dalla Francia, e più precisamente da Montpellier, diocesi d’origine del Padre Guillaume Courtet. Siate fieri, cari amici, di questo figlio del vostro Paese, che ci da una così alta testimonianza della sua vocazione religiosa, dello zelo missionario più puro e dell’amore per Cristo al di sopra di tutto.


Saluti pronunciati in lingua italiana

In questa solenne circostanza desidero salutare, infine, gli italiani che partecipano al rito. Ad essi desidero esprimere il mio compiacimento, e quello di tutta la Chiesa, per la presenza, nel gruppo dei nuovi beati martiri, anche di un loro connazionale: il sacerdote domenicano Giordano Ansalone. Possa il nuovo beato intercedere presso Dio perché gli italiani, consapevoli della loro ricca tradizione cristiana, che ha animato e fecondato tutta la loro storia, la loro cultura, la loro arte, diano una continua ed esemplare testimonianza di vita, modellata sul messaggio di Gesù.

Traduzione italiana dei saluti pronunciati in lingua inglese

Desidero anche esprimere la mia gioia alla presenza della delegazione ufficiale del Giappone. Vorrei dire innanzi tutto che è con grande aspettativa che mi recherò, tra qualche giorno, nel vostro Paese, e allora renderò una particolare venerazione ai martiri che oggi sono stati beatificati. Dei sedici, nove erano giapponesi. Questo consistente numero è un grande onore reso alla vostra nazione e alla Chiesa cattolica in Giappone. Possa l’eroica testimonianza dei martiri tradursi in fonte di ispirazione e di speranza per tutti i credenti.

Per concludere, il mio saluto va alla delegazione ufficiale delle Filippine e a Sua Eccellenza, il Presidente Marcos. In questa prima cerimonia di beatificazione che ha luogo fuori Roma, e in questo primo beato filippino, Lorenzo Ruiz, avete una ragione di continua esultanza. E tutta la Chiesa esulta con voi, unita in un’unica voce, per lodare la grandezza di Dio e le meraviglie del Suo amore.