sabato 24 settembre 2011

Escort e cene eleganti anche in paradiso


Di seguito i testi di oggi 25 settembre

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Anno A

con i commenti della Congregazione per il Clero, del p. Cantalamessa, di Enzo Bianchi e di Luciano Manicardi. Buona Domenica!

* * *

Foste salvati gratuitamente

Dalla «Lettera ai Filippesi» di san Policarpo, vescovo e martire
(Capp. 1, 1 - 2, 3; Funk 1, 267-269)

Policarpo e i presbiteri, che sono con lui, alla chiesa di Dio che risiede come pellegrina in Filippi: la misericordia e la pace di Dio onnipotente e di Gesù Cristo nostro salvatore siano in abbondanza su di voi.
Prendo parte vivamente alla vostra gioia nel Signore nostro Gesù Cristo perché avete praticato la parola della carità più autentica. Infatti avete aiutato nel loro cammino i santi avvinti da catene, catene che sono veri monili e gioielli per coloro che furono scelti da Dio e dal Signore nostro. Gioisco perché la salda radice della vostra fede, che vi fu annunziata fin dal principio, sussiste fino al presente e porta frutti in Gesù Cristo nostro Signore. Egli per i nostri peccati accettò di giungere fino alla morte, ma «Dio lo ha risuscitato sciogliendolo dalle angosce della morte» (At 2, 24), e in lui, senza vederlo, credete con una gioia indicibile e gloriosa( cfr. 1 Pt 1, 8), alla quale molti vorrebbero partecipare; e sapete bene che siete stati salvati per grazia, non per le vostre opere, ma per la volontà di Dio mediante Gesù Cristo (cfr. Ef 2, 8-9).
«Perciò dopo aver preparato la vostra mente all'azione» (1 Pt 1, 13), «servite Dio con timore» (Sal 2, 11) e nella verità, lasciando da parte le chiacchiere inutili e gli errori grossolani e «credendo in colui che ha risuscitato nostro Signore Gesù Cristo dai morti e gli ha dato gloria» (1 Pt 1, 21), facendolo sedere alla propria destra. A lui sono sottomesse tutte le cose nei cieli e sulla terra, a lui obbedisce ogni vivente. Egli verrà a giudicare i vivi e i morti e Dio chiederà conto del suo sangue a quanti rifiutano di credergli.
Colui che lo ha risuscitato dai morti, risusciterà anche noi, se compiremo la sua volontà, se cammineremo secondo i suoi comandi e ameremo ciò che egli amò, astenendoci da ogni specie di ingiustizia, inganno, avarizia, calunnia, falsa testimonianza, «non rendendo mala per male, né ingiuria per ingiuria» (1 Pt 3, 9), colpo per colpo, maledizione per maledizione, memori dell'insegnamento del Signore che disse: Non giudicate per non esser giudicati; perdonate e vi sarà perdonato; siate misericordiosi per ricevere misericordia; con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi (cfr. Mt 7, 1); Lc 6, 36-38) e: Beati i poveri e i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (cfr. Mt 5, 3. 10).

MESSALE


Antifona d'Ingresso Dn 3,31.29.30.43.42
Signore, tutto ciò che hai fatto ricadere su di noi
l'hai fatto con retto giudizio;
abbiamo peccato contro di te,
non abbiamo dato ascolto ai tuoi precetti;
ma ora glorifica il tuo nome e opera con noi
secondo la grandezza della tua misericordia.



Colletta

O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono, continua a effondere su di noi la tua grazia, perché, camminando verso i beni da te promessi, diventiamo partecipi della felicità eterna. Per il nostro Signore.



Oppure:

O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall'ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù. Egli è Dio...


LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura Ez 18, 25-28
Se il malvagio si converte dalla sua malvagità, egli fa vivere se stesso.

Dal libro del profeta Ezechiele
Così dice il Signore:
«Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?
Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso.
E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».


Salmo Responsoriale
Dal Salmo 23
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
io spero in te tutto il giorno.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
I peccati della mia giovinezza
e le mie ribellioni, non li ricordare:
ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.


Seconda Lettura
Fil 2, 1-11 (Forma breve Fil 2, 1-5)
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
[ Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.
Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù
]:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.


Canto al Vangelo
Gv 10,27
Alleluia, alleluia.

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
io le conosco ed esse mi seguono.

Alleluia.


Vangelo Mt 21, 28-32
Pentitosi, andò. I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo».
E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli». Parola del Signore.


* * *


IL COMMENTO

E' splendido il Vangelo di oggi che rivela un aspetto vero e fondamentale della vita cristiana. Da un lato le false certezze di chi presume di "farcela", d'essere pronto a compiere la volontà di Dio, il pelagiano moralista che crede di poter risolvere le questioni con le sue sole forze. Dall'altro lato la fotografia di un comunissimo e realissimo "carnal mormoratore". E la Grazia che coinvolge la natura. Che non distrugge la natura, come diceva San Tommaso d'Aquino, ma la perfeziona. Spesso il primo impulso di fronte ad una volontà divina che non ci piace è un moto di fastidio e " ignorare che l'uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale e dei costumi" insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 407. E' un'esperienza comune rifiutare di primo acchitto le situzioni sgradevoli. Le ferite del peccato originale non sono solo un'idea. Per questo la pagina del Vangelo di oggi è la sintesi forse più profonda di quel che davvero accade nel cuore d'un uomo bagnato dalla Grazia. Uomini, donne, reali e carnali, non semplici angeli passati per caso sulla terra. No. Per questo Gesù parla delle prostitute e dei pubblicani che hanno accolto la Buona Notizia di Giovanni, la possibilità di salvezza che si apre dalla conversione, il cui frutto più evidente è il pentimento. Insegna ancora il Catechismo che "Infatti "il mistero dell'iniquità" (2 Ts 2,7) si illumina soltanto alla luce del mistero della pietà. La rivelazione dell'amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo l'estensione del male e la sovrabbondanza della grazia" (N. 385) E' stata questa l'esperienza dei peccatori in fila silenziosa per ricevere il battesimo di Giovanni. Un cuore contrito e umiliato che Dio non disprezza. L'unico atteggiamento possibile, un cuore frantumato dalle Parole di Grazia dell'Annuncio Evangelico. La Parola ascoltata, accolta e sigillata per mezzo dello Spirito Santo: "La preparazione dell'uomo ad accogliere la grazia è già un'opera della grazia. Questa è necessaria per suscitare e sostenere la nostra collaborazione alla giustificazione mediante la fede, e alla santificazione mediante la carità. Dio porta a compimento in noi quello che ha cominciato: « Egli infatti incomincia facendo in modo, con il suo intervento, che noi vogliamo; egli porta a compimento, cooperando con i moti della nostra volontà già convertita» (Sant'Agostino, De gratia et libero arbitrio, 17, 33: PL 44, 901) come puntualizza ancora il Catechismo al N. 2001. Ne restano fuori coloro che, purtroppo spesso chiusi in un malinteso atteggiamento "religioso", presumono d'aver capito, d'essere a posto. I tanti "giustizieri" che, immaginandosi perfetti o quasi, s'arrogano il diritto di dispensare scudisciate a destra e a manca contro le tante ingiustizie che insanguinano il mondo. Non che non si debbano denunciare le ingiustizie e i peccati, ma è la superbia che fa suonare le più sacrosante verità d'una musica falsa ed ipocrita. Gli strepiti dei Catari d'ogni tempo che giudicano, dimenticando d'esserne responsabili esattamente come tutti gli altri. I principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, ma non solo. E' infatti un atteggiamento diffuso e non lontano da noi, dalle nostre famiglie, dai nostri uffici, dalle file agli uffici postali, dalle nostre riunioni di condominio, dalle vie trafficate che ci conducono ai posti di lavoro o ai luoghi delle vacanze. Sembra impossibile che il nostro cuore possa cambiare, che la pietra divenga carne. Ma c'è la Grazia. Essa è come una goccia d'acqua che instancabilmente scivola su un pezzo di ferro sino a corroderlo e a frantumarlo. E' ferro il nostro cuore oppresso dalle concupiscienze, dalle passioni, dal peso d'un passato non riconciliato. Dai peccati accumulati in una vita. Ed è acqua pura e silenziosa la Grazia che nel tempo lo bagna attraverso la predicazione, la Parola di Dio, i sacramenti, le persone e i fatti che Dio manda alla nostra vita. Siamo duri e cocciuti, ma di tutto è più forte la Grazia d'amore del Signore. C'è una figura nella letteratura che illustra magistralmente l'opera silenziosa della Grazia nel cuore dell'uomo. E' Kristin, la protagonista del romanzo "Kristin figlia di Lavrans". «L'ultimo pensiero chiaro [è scritto nelle ultime pagine, quando Kristin sta per morire] che ebbe fu che sarebbe morta prima che quei segni [i segni fatti misteriosamente da Dio sulla sua mano] fossero scomparsi, e la cosa le fece un gran piacere. Era un miracolo, qualcosa di incomprensibile, ma una cosa certa: Dio, ella lo sapeva, aveva stretto un patto con lei, un patto d'amore col quale la legava a sé in eterno, indipendentemente dalla sua volontà [la volontà ferita, il primo impulso di fronte ai fatti, alle tentazioni, un impulso che spesso si risolve in una catena di impulsi e anche, drammaticamente, di peccati], dai suoi pensieri terreni, questo amore era esistito sempre in lei [vi è un grido dello Spirito Santo al fondo del cuore di ciascuno, per quanto corrotto sia, un grido che non si può sopprimere e che accompagna l'uomo sino all'ultimo istante dell'agonia, un grido che può spegnersi solo con lo spirare, e per questo ogni uomo è un mistero e la Chiesa non può assolutamente dire chi sia sceso all'inferno, pur decretandone dogmaticamente l'esistenza], questo amore aveva agito come il sole sulla terra che dà alla fine i suoi frutti. Questi frutti nessuno avrebbe potuto distruggerli, né il fuoco dei desideri carnali, né l'orgoglio, né l'ira folle. Era stata serva di Dio, anche se ribelle, restìa, infedele nel cuore, con una preghiera falsa sulle labbra; una serva maldestra, insofferente davanti alla fatica, indecisa, ma Dio aveva voluto mantenerla lo stesso al suo servizio». Kristin era stata una donna ferita, ma non mortalmente. La sua carne non era la parola definitiva sulla sua esistenza. La Grazia, ispiegabilmente, misteriosamente, l'aveva condotta ed ora, al crepuscolo della vita, le stigmate incancellabili dell'Amore divino le si svelavano. Nell'infedeltà la Fedeltà. Nell'incoerenza, la Coerenza. Nella carne la grazia. E lei v'era STATA. Era LI'. Forse non avrebbe voluto, forse le sue labbra avran detto mille volte che no, non ci sarebbe andata in quella vigna. Ma si trovava, ora, al limite estremo dell'esistenza, proprio lì, in quella vigna tante volte negata. E vi aveva lavorato e faticato, il sudore d'ogni giorno; e non se n'era accorta. Il mistero della santità è tutto racchiuso in questo sguardo rivolto alla vita dalla soglia del Cielo: "Chi ha fatto tutto questo nella mia vita?". Farisei e sapientoni , ritti dinnanzi all'altare s'illudono di poter ringraziare per aver operato povere opere di carne senza Grazia alcuna. I pubblicani e le prostitute nascosti nella penombra dell'umiltà non alzano neanche lo sguardo. Ogni loro istante carnale è pregno di Grazia, la CHIAVE per il Cielo. « Dopo l'esilio della terra, spero di gioire furtivamente di te nella Patria; ma non voglio accumulare meriti per il cielo: voglio spendermi per il tuo solo amore [...]. Alla sera di questa vita comparirò davanti a te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l'eterno possesso di te stesso... » (Santa Teresa di Gesù Bambino, Atto di offerta all'Amore Misericordioso: Preghiere: Opere complete (Libreria Editrice Vaticana 1997) p. 942-943) L'Avvento è anche questo, ogni giorno l'anticipo dell'ultima sera della nostra vita, le nozze eterne con l'eterno amore. Per Lui, anche oggi, ogni nostra miseria, per noi, anche oggi, ogni Sua Grazia.

* * *

Commento a cura della Congregazione per il Clero.

I nostri atti ci seguono!

É questa la drammatica ed affascinante realtà che emerge con forza dalle Letture di questa domenica. Drammatica, perché la responsabilità personale degli atti compiuti non può essere cancellata e rappresenta lo stesso movimento (in questo senso si può dire dramma) della vita. Affascinante perché in essa si manifesta in modo specialissimo la grandezza e l'unicità dell'uomo, unica creatura libera.

In un contesto culturale che tende ad appiattire le differenze ed a ridurre l'uomo ad "uno degli animali viventi", é necessario, con coraggio, chiedersi: "Ma l'io é unicamente l'esito dei suoi antecedenti biologici?"; "La mia persona, ciò che io sono, i miei pensieri sono soltanto il frutto di reazioni chimiche più o meno complesse?".

La tecnoscienza pretende di dominare il reale e di assurgere indebitamente ad unica possibile chiave di lettura funzionalistica dei fenomeni umani. Essa vorrebbe ridurre l'uomo al semplice esito di mere reazioni chimiche. In tal modo però non ne riconosce la libertà e, paradossalmente, ne fa uno schiavo di "meccanismi" deterministici, riducendolo ad una funzione, forse appena un po' più variabile, di un sistema di controllo.

La Scrittura richiama, invece, alla responsabilità dell'uomo. "Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso".

Gli atti umani non sono neutrali ed indifferenti. Determinano la nostra vita e possono determinare la nostra "morte alla grazia".

Un tale richiamo alla responsabilità personale, lungi dall'evocare toni apocalittici o minacciosi, altro non é se non l'esito della passione che Dio Padre ha per la libertà dei sui figli. Il Signore non vuole schiavi che lo servano, ma figli che liberamente lo amino, e non a parole ma con i fatti, con la loro intera esistenza.

E’ ciò che emerge nella domanda che Gesù, pedagogicamente, rivolge ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: "Che ve ne pare?". Come a dire: Giudicate da voi stessi; sperimentate come il mio insegnamento sia straordinariamente corrispondente alla ragione e al cuore umani.

Ed é di notevole efficacia che la parabola, utilizzata dal Signore, non parli di padroni e di schiavi ma di uomini e di figli! "Un uomo aveva due figli", ad indicare come la relazione filiale si alimenti nel compimento della volontà del Padre e tale compimento accada precipuamente nei fatti, nelle azioni che ciascuno compie. Gli stessi interlocutori del Signore, disarmati, riconoscono che é il primo figlio a compiere la volontà del Padre; quello che pur avendo detto: "Non ne ho voglia, [...], poi pentitosi ci andò".

In quel "pentitosi" é racchiusa tutta la bellezza e la forza dell'incontro tra Grazia e libertà; tra la volontà di Dio conosciuta e la volontà di Dio attuata. In essa l'uomo esprime pienamente se stesso, diviene più uomo, perché più figlio, più realisticamente responsabile, e perciò adulto in senso relazionale, delle proprie azioni.

Per questa ragione, ed in questa direzione, l'Apostolo Paolo può affermare: "Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù".

Invitando in tal modo a quella radicalità esistenziale che sempre deve caratterizzare i discepoli del Signore, i quali riconoscono l'importanza dell'agire umano, libero e ragionevole e, nel contempo, la fragilità della libertà creata e, perciò l'indispensabilità della Grazia.

Ci sostenga la Beata Vergine Maria, che proprio per la Sua silenziosa custodia interiore delle meraviglie del Signore è pure donna dell'agire e dell'accoglienza. Con Lei, che più di ogni altra creatura ha compiuto la volontà di Dio, possa, la nostra esistenza essere un "Sì" al Padre che ci invia nella vigna ed un effettivo lavoro che diviene collaborazione all'Opera divina di salvezza, per noi ed i nostri fratelli.

* * *

Commento a cura del p. Raniero Cantalamessa ofmcapp.

"Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Dicono: L'ultimo".

Il figlio della parabola che dice sì e fa no rappresenta coloro che conoscevano Dio e seguivano la sua legge, ma poi all'atto pratico, quando si è trattato di accogliere Cristo che era "il fine della legge", si sono tirati indietro. Il figlio che dice no e fa sì rappresenta coloro che un tempo vivevano fuori della Legge e della volontà di Dio, ma poi, davanti a Gesù, si sono ravveduti e hanno accolto il Vangelo. Di qui la conclusione che Gesù tira davanti ai "principi dei sacerdoti e anziani del popolo": "In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio".

Nessun detto di Cristo è stato più manipolato di questo. Si è finito per creare a volte una specie di aura evangelica intorno alla categoria delle prostitute, idealizzandole e opponendole ai cosiddetti benpensanti, che sarebbero tutti, indistintamente, scribi e farisei ipocriti. La letteratura è piena di prostitute "buone". Basti pensare alla Traviata di Verdi, o alla mite Sonia di Delitto e castigo di Dostoevskij!

Ma questo è un terribile fraintendimento. Gesù fa un caso limite, come per dire: "Perfino le prostitute -che è tutto dire- vi precederanno nel regno di Dio". La prostituzione è vista in tutta la sua serietà e presa come termine di paragone per stabilire la gravità del peccato di chi rifiuta ostinatamente la verità.

Non ci si rende conto, oltre tutto, che idealizzando la categoria delle prostitute, si viene a idealizzare anche quella dei pubblicani che sempre l'accompagna nel Vangelo, cioè degli strozzini. Se Gesù accosta tra loro queste due categorie non è, del resto, senza un motivo; gli uni e le altre hanno posto il denaro al di sopra di tutto nella vita.

Sarebbe tragico se quella parola del Vangelo rendesse i cristiani meno attenti a combattere il fenomeno degradante della prostituzione, che ha assunto oggi proporzioni così allarmanti nelle nostre città. Gesù aveva troppo rispetto per la donna per non soffrire, lui per primo, per quello che essa diventa, quando si riduce in questo stato. Ciò per cui egli apprezza la prostituta non è la sua maniera di vivere, ma la sua capacità di cambiare e di mettere a servizio del bene la propria capacità di amare. Come la Maddalena che, convertitasi, seguì Cristo fin sotto la croce e divenne la prima testimone della risurrezione (supposto che fosse una di esse).

Quello che a Gesù preme inculcare con quella sua parola, lo dice chiaramente alla fine: i pubblicani e le prostitute si sono convertite alla predicazione di Giovanni Battista; i principi dei sacerdoti e gli anziani no. Il Vangelo non ci spinge dunque a promuovere campagne moralistiche contro le prostitute, ma neppure a scherzare con il fenomeno, quasi fosse una cosa da nulla.

Oggi, tra l'altro, la prostituzione si presenta sotto una forma nuova che riesce a far soldi a palate, senza neppure correre i tremendi rischi che sempre hanno corso le povere donne condannate alla strada. Questa forma consiste nel vendere il proprio corpo, rimanendo tranquille dietro una macchina fotografica o una telecamera, sotto la luce dei riflettori. Quello che la donna fa quando si presta alla pornografia e a certi eccessi della pubblicità è un vendere il proprio corpo per gli sguardi, anziché per il contatto. È prostituzione bell'e e buona, e peggiore di quella tradizionale, perché si impone pubblicamente e non rispetta la libertà e i sentimenti della gente.

Ma fatta questa doverosa denuncia, tradiremmo lo spirito del Vangelo se non mettessimo anche in luce la speranza che quella parola di Cristo offre alle donne che per le circostanze più diverse della vita (spesso per disperazione), si sono ritrovate sulla strada, vittime il più delle volte di sfruttatori senza scrupoli. Il Vangelo è "vangelo", cioè buona notizia, notizia di riscatto, di speranza, anche per le prostitute. Anzi forse prima di tutto per esse. Gesù ha voluto che fosse così.

* * *

Commento a cura di Enzo Bianchi



Nel tempio di Gerusalemme Gesù è attorniato dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo, i quali detestano questo rabbi e profeta proveniente dalla Galilea, che narra un volto di Dio così estraneo alle loro categorie. Perciò lo mettono alla prova, chiedendogli con quale autorità egli insegni e operi guarigioni. Gesù, in risposta, domanda loro se il battesimo di Giovanni veniva dal cielo oppure dagli uomini; e di fronte al loro imbarazzato silenzio conclude: «Neppure io vi dico con quale autorità agisco» (Mt 21,27).

A questo punto egli pronuncia la prima di tre parabole incentrate sul rifiuto opposto dai capi religiosi di Israele a coloro che Dio ha inviato ad annunciare la sua salvezza. Un uomo ha due figli: chiede al primo di andare a lavorare nella vigna ed egli, dopo aver acconsentito a parole, non fa ciò che ha detto; l’altro risponde negativamente ma poi, pentitosi, va al lavoro. È il secondo ad aver compiuto la volontà del padre, ammettono gli interlocutori di Gesù. Ed egli commenta: «I pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli». Con queste parole Gesù pone la propria missione in stretta relazione con quella di Giovanni, suo maestro e precursore: rifiutare l’uno è rifiutare anche l’altro (cf. Mt 11,16-19). Egli rivela inoltre che la salvezza può essere accolta solo da chi è disponibile a fare ritorno a Dio, pentendosi del male fatto e abbandonando le proprie vie di peccato. In questo senso vale la pena analizzare più in profondità il senso del detto paradossale: «I pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno» rivolto da Gesù agli uomini religiosi del suo tempo e, con loro, a ciascuno di noi.

Gesù sapeva bene che tutti gli uomini sono peccatori, se è vero che il giusto pecca sette volte al giorno (cf. Pr 24,16): ma qual è il motivo della sua preferenza per la compagnia dei peccatori pubblici, riconosciuti tali dagli uomini? Chi pecca di nascosto non è mai spronato alla conversione da un rimprovero che gli venga da altri, perché continua ad essere stimato per ciò che della sua persona appare all’esterno: questa è la malattia della maggior parte delle persone, tra le quali primeggiano quelle devote, che disprezzano gli altri considerandoli immersi nel peccato, mentre ringraziano Dio per la loro pretesa giustizia (cf. Lc 18,9-14). Chi invece è un peccatore pubblico si trova costantemente esposto al biasimo altrui, e in tal modo è indotto a un desiderio di cambiamento: nel pentimento che nasce da un «cuore spezzato» (Sal 34,19) egli può divenire sensibile alla presenza di Dio, quel Dio che non vuole la morte del peccatore, ma piuttosto che si converta e viva (cf. Ez 18,23).

È proprio in forza di tale consapevolezza che Gesù amava sedere a tavola con i peccatori manifesti, condividere con loro questo gesto di estrema comunione. Il suo comportamento svela il cuore di Dio, mostra l’atteggiamento di Dio verso il peccatore, e per questo egli è contestato dagli uomini religiosi, che prima cercano di scandalizzare i suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?» (Mt 9,11), poi lo accusano in modo diretto: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). Ma l’amicizia di Gesù verso le persone meno stimate all’interno della società, la sua cordiale simpatia per prostitute e peccatori ignora il disprezzo di quanti si sentono migliori dei peccatori manifesti, semplicemente perché non vogliono o non sanno riconoscersi peccatori come loro…

Sì, il vero miracolo – più grande che resuscitare i morti, diceva Isacco il Siro – consiste nel riconoscersi peccatori: siamo noi i pubblicani, siamo noi le prostitute! È davvero una fatica vana quella fatta per nascondere agli altri il proprio peccato: basterebbe riconoscerlo consapevolmente, per scoprire che Dio è già là e ci chiede solo di accettare che egli lo ricopra con la sua inesauribile misericordia.

* * *

Commento a cura di L. Manicardi

Prima lettura e vangelo propongono un messaggio sul pentimento. L’uomo ingiusto può desistere dalla sua ingiustizia e agire con rettitudine (Ezechiele); il figlio che in un primo tempo si è rifiutato di andare a lavorare nella vigna del padre, dopo decide di andarvi (vangelo).

L’unità delle due letture può anche essere espressa con le categorie della conversione e dellaresponsabilità.

Il pentimento è attestazione di libertà. Anche il malvagio può cambiare. Questa possibilità di conversione dice che il peccato non è una potenza metafisica che schiaccia l’uomo e che ha su di lui l’ultima parola. Nel pentimento l’uomo ritrova la retta via e “torna” a se stesso e a Dio allo stesso tempo.

Atto di libertà, il pentimento è anche atto diliberazione. Il malvagio che cambia condotta “fa vivere se stesso” (Ez 18,27), dà vita alla sua esistenza, mostrando di non essere schiavo dei precedenti comportamenti.

Che cosa porta il malvagio a cambiare condotta? Com’è possibile evocare il pentimento, questo evento in cui è in gioco il mistero della persona e la coscienza della contraddizione tra sé e sé che conduce al dolore e alla lacerazione interiori? Ezechiele evoca il cammino interiore che conduce al pentimento con le parole: “ha visto” (Ez 18,28, letteralmente; Vulgata: considerans). Che cosa ha visto? In Ez 18,14 si parla del “vedere i peccati del padre” da parte del figlio, che pure non fa della visione dei peccati paterni un alibi per il proprio peccare, anzi, non si lascia generare al peccato dal padre peccatore. Quella visione indica allora la presa di coscienza dei propri peccati, è la dolorosa visione di sé nella non-unificazione, nella divisione profonda. Nel pentimento noi vediamo noi stessi nella contraddizione con noi stessi. E sappiamo di poterci rivolgere a Dio proprio in quella condizione di chi ha il cuore contrito.

Nell’odierna parabola evangelica (cf. Mt 21,28-31), il figlio che ha risposto “no” all’invito del padre e poi, “pentitosi”, “avendo provato rimorso”, ha fatto la volontà del padre, rivela che il credere passa a volte anche attraverso un ricredersi. L’obbedienza alla parola e alla volontà di Dio passa a volte attraverso uno smentire la propria parola e la propria volontà. La fede non ci chiede di non sbagliare e di non peccare, ma di riconoscere l’errore e di confessare il peccato.

In quel “ricredersi” c’è il dialogo interiore, c’è la presa di coscienza della realtà, c’è l’audacia di guardare in faccia se stessi, preliminare essenziale per l’agire responsabile. Insomma, c’è l’inizio del movimento verso la responsabilità, della decisione di passare dall’irresponsabilità alla responsabilità. In questo senso, lungi dall’essere un segno di debolezza, il pentimento è segno di coraggio e di forza. Per quanto sia raro e impopolare, anche nella chiesa, il gesto di chi riconosce di aver sbagliato, di chi ammette di aver assunto posizioni che si sono rivelate poco conformi al Vangelo e muta la propria posizione cercando di essere più fedele al Vangelo, è segno di grandezza umana e spirituale.

Nel cristianesimo il pentimento è la via maestra per accedere alla volontà di Dio. “Noi cristiani abbiamo il privilegio di disporre di un metodo altro, rispetto alla mondanità, per avvicinarci alla verità: il pentimento” (Christos Yannaras).

I due figli della parabola sono entrambi in contraddizione tra il dire e il fare. Ma con una differenza essenziale. Il figlio che dice “no” si espone a unconflitto con il padre, con una persona esterna a lui, e questo lo conduce a prendere coscienza del suo conflitto interiore e a mutare opinione. Cosa che non avviene in chi risponde “sì” e che compiace l’altro, si adagia sull’altro, non si espone conflittualmente all’altro e può evitare di guardare alla tentazione della disobbedienza che abita pure in lui. Per Matteo è evidente che coloro che vivono nel “sì” sono i religiosi (sacerdoti e anziani del popolo: Mt 21,23) che possono non sentirsi bisognosi di conversione perché già “a posto”, a differenza di coloro che invece vivono nel “no”, pubblicani e prostitute, e che possono fare spazio al Vangelo ed entrare nel Regno.