venerdì 23 settembre 2011

Lutero, ovvero la passione profonda di Dio




La seconda giornata del viaggio in Germania di Benedetto XVI - che si conclude, in modo simbolicamente significativo, con un omaggio alla Madonna, i vespri mariani nella Wallfahrtskapelle di Etzelsbach, testimonianza delle radici mariane cui la Chiesa non vuole e non può rinunciare - è stata dedicata al dialogo ecumenico e interreligioso.

Il contesto è sempre quello di una società dove Dio è diventato per molti irrilevante. Che senso ha che le religioni, in un simile contesto, dialoghino tra loro? Benedetto XVI ha sottolineato tre diversi aspetti. Anzitutto - ha detto il Papa nella celebrazione ecumenica nella cappella del Convento degli Agostiniani di Erfurt - i credenti possono rispondere insieme alla domanda: «L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza bene anche senza di Lui? Quando, in una prima fase dell’assenza di Dio, la sua luce continua ancora a mandare i suoi riflessi e tiene insieme l’ordine dell’esistenza umana, si ha l’impressione che le cose funzionino anche senza Dio. Ma quanto più il mondo si allontana da Dio, tanto più diventa chiaro che l’uomo, nell’hybris del potere, nel vuoto del cuore e nella brama di soddisfazione e di felicità, “perde” sempre di più la vita. La sete di infinito è presente nell’uomo in modo inestirpabile. L’uomo è stato creato per la relazione con Dio e ha bisogno di Lui».

A Berlino, il Papa ha incontrato i rappresentanti musulmani. Il Pontefice ha riconosciuto che «molti musulmani attribuiscono grande importanza alla dimensione religiosa» e che questo «a volte, è interpretato come una provocazione in una società che tende ad emarginare questo aspetto o ad ammetterlo tutt’al più nella sfera delle scelte individuali dei singoli». Questa testimonianza pubblica dell’importanza della religione in una società secolarizzata che danno i musulmani è positiva. «La Chiesa cattolica si impegna fermamente perché venga dato il giusto riconoscimento alla dimensione pubblica dell’appartenenza religiosa. Si tratta di un’esigenza che non diventa irrilevante nel contesto di una società maggiormente pluralista». E tuttavia non tutto quello che si presenta come dimensione pubblica della religione è accettabile. «Va fatta, però, attenzione che il rispetto verso l’altro sia sempre mantenuto».

In secondo luogo, le religioni possono e devono testimoniare insieme per i valori del diritto naturale, oggetto della magnifica lezione di giovedì al Parlamento Federale, che in quanto fondati sulla natura e riconosciuti dalla ragione non sono né cattolici, né protestanti né musulmani, ma sono per tutti e s’impongono a tutti. Riprendendo ancora una volta il tema centrale del discorso di Ratisbona del 2006, Benedetto XVI ha ripetuto ai musulmani che - tra religioni che professano credenze evidentemente inconciliabili sul piano teologico - il dialogo più urgente è quello sulla ragione, sul diritto naturale sui valori comuni che non derivano dalle rispettive Sacre Scritture ma dalla natura umana. «Il rispetto reciproco cresce solo sulla base dell’intesa su alcuni valori inalienabili, propri della natura umana, soprattutto l’inviolabile dignità di ogni persona. Tale intesa non limita l’espressione delle singole religioni; al contrario, permette a ciascuno di testimoniare in modo propositivo ciò in cui crede, non sottraendosi al confronto con l’altro».

In Germania, ha ricordato il Pontefice, «tale quadro di riferimento comune è rappresentato dalla Costituzione, il cui contenuto giuridico è vincolante per ogni cittadino, che sia appartenente o meno ad una confessione religiosa. Naturalmente il dibattito sulla migliore formulazione di principi come la libertà di culto pubblico, è vasto e sempre aperto, tuttavia è significativo il fatto che la Legge Fondamentale li esprima in un modo ancora oggi valido, a distanza di più di 60 anni (cfr art. 4, 2). In essa troviamo espresso prima di tutto quell’ethos comune che è alla base della convivenza civile e che in qualche modo segna anche le regole apparentemente solo formali del funzionamento degli organi istituzionali e della vita democratica».

Qualcuno potrebbe chiedersi, a proposito della Costituzione, «come possa un tale testo, elaborato in un’epoca storica radicalmente diversa, in una situazione culturale quasi uniformemente cristiana, essere adatto alla Germania di oggi, che vive nel contesto di un mondo globalizzato ed è segnata da un notevole pluralismo in materia di convinzioni religiose». La risposta è che, elaborata in gran parte da cristiani, la Costituzione volle porsi sul terreno comune - ai cattolici, ai protestanti, agli ebrei, ai non credenti e oggi anche ai musulmani - di valori e principi che la ragione può riconoscere come naturali e inalienabili. «La ragione di ciò, mi pare – ha detto il Papa –, si trova nel fatto che i padri della Legge Fondamentale ebbero la piena consapevolezza, in quel momento importante, di dover cercare un solido terreno, nel quale tutti i cittadini potessero riconoscersi. Nel fare ciò essi non prescindevano dalla propria appartenenza religiosa; per molti di loro, anzi, la visione cristiana dell’uomo era la vera forza ispiratrice. Tuttavia sapevano di doversi confrontare con uomini con una base confessionale diversa o addirittura non religiosa: il terreno comune fu trovato nel riconoscimento di alcuni diritti inalienabili, che sono propri della natura umana e che precedono ogni formulazione positiva».

Il Papa ha così ribadito ai musulmani la nozione esposta nel memorabile discorso al Parlamento Federale: è la legge naturale «il fondamento che oggi riconosciamo valido per un mondo segnato dal pluralismo. Fondamento che, in realtà, indica anche degli evidenti confini a tale pluralismo: non è pensabile, infatti, che una società possa sostenersi nel lungo termine senza un consenso sui valori etici fondamentali».

Così, il Papa ha richiamato i musulmani a una testimonianza comune - che ciascuno dà animato dalla sua fede, diversa per il cristiano e per il musulmano, ma consapevole di proporre qualcosa che, in quanto riconoscibile dalla ragione, vale per tutti - proprio per i valori della legge naturale, oltre che per la rilevanza pubblica della religione. «In quanto uomini religiosi, a partire dalle rispettive convinzioni possiamo dare una testimonianza importante in molti settori cruciali della vita sociale. Penso, ad esempio, alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio, al rispetto della vita in ogni fase del suo naturale decorso o alla promozione di una più ampia giustizia sociale». Così, il Papa fissa anche l’agenda del prossimo incontro di Assisi: «per questo ritengo importante celebrare una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia del mondo; e vogliamo fare questo il prossimo 27 ottobre, a 25 anni dallo storico incontro di Assisi guidato dal mio Predecessore, il Beato Giovanni Paolo II [1920-2005]».

Anche ai protestanti, tra le cui fila - è inutile negarlo - si levano voci favorevoli all’aborto, all’eutanasia o al matrimonio omosessuali, il Papa ha chiesto di collaborare alla testimonianza comune che le persone di fede offrono al mondo per i principi non negoziabili del diritto naturale. Nella cappella del Convento di Erfurt, Benedetto XVI ha ricordato che l’impegno per Dio non può non tradursi «nell’impegno per quella creatura che Egli volle a sua immagine, per l’uomo. Viviamo in un tempo in cui i criteri dell’essere uomini sono diventati incerti. L’etica viene sostituita con il calcolo delle conseguenze. Di fronte a ciò noi come cristiani dobbiamo difendere la dignità inviolabile dell’uomo, dal concepimento fino alla morte - nelle questioni della diagnosi pre-impiantatoria fino all’eutanasia». E questo non riguarda solo la vita privata ma la politica e le leggi: deve attuarsi non solo nella chiese ma «nella comunità di un popolo e di uno Stato».

C’è un terzo aspetto. Oltre all’importanza della religione - in una società dove molti la giudicano irrilevante - e ai valori del diritto naturale, che la Chiesa Cattolica testimonia insieme a uomini di qualunque fede, la testimonianza comune con i protestanti include molto di più. Cattolici e protestanti possono proclamare insieme non solo che Dio c’è, ma che la Sacra Scrittura è la sua Parola e che Gesù Cristo è Dio. Possono anche condividere - ha voluto aggiungere il Papa -, se non tutte le risposte, almeno le domande drammatiche che Martin Lutero (1483-1546) si pose all’alba dell’epoca moderna.

Da anni raffinato studioso di Lutero, Benedetto XVI ha definito «momento emozionante» la sua visita al convento agostiniano di Erfurt, dove ha incontrato i rappresentanti dei luterani tedeschi. «Qui Lutero ha studiato teologia. Qui è stato ordinato sacerdote nel 1507. Contro il desiderio del padre, egli non continuò gli studi di giurisprudenza, ma studiò teologia e si incamminò verso il sacerdozio nell’Ordine di sant’Agostino [354-430]». L’esperienza di Lutero, già moderna e insieme di reazione alla modernità che nasce, si presenta come un insieme di domande pressanti. «In questo cammino non gli interessava questo o quello. Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. “Come posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore». Per Lutero «la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio».

Le domande di Lutero sarebbero di grande attualità, ma il nuovo ateismo dell’indifferenza, che contagia anche tanti cristiani tiepidi, va oltre senza nemmeno più porsele. «“Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente. Chi, infatti, si preoccupa oggi di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. Egli sa, appunto, che tutti siamo soltanto carne. Se oggi si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo in pratica che Dio debba essere generoso e, alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze».

Invece, la questione del peccato che tormentava Lutero non ha smesso di essere molto seria, anche se i peccati sono in parte cambiati. «Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità? La fame e la povertà potrebbero devastare a tal punto intere parti del mondo se in noi l’amore di Dio e, a partire da Lui, l’amore per il prossimo, per le creature di Dio, gli uomini, fosse più vivo? Le domande in questo senso potrebbero continuare. No, il male non è un’inezia».

Sembra, anzi, che il male sia oggi dominante: ma «esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita». In questo senso è utile «l’incontro con Martin Lutero»: perché «la domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? – questa scottante domanda di Martin Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda».

La risposta di Lutero inizia in un senso che è comune a protestanti e cattolici. Di fronte alla modernità, Lutero ribadisce che «Dio, l’unico Dio, il Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso da un’ipotesi filosofica sull’origine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo. Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita».

Naturalmente, il Papa non si nasconde che la risposta di Lutero non finisce qui. Né finisce qui la storia del protestantesimo. Da Lutero inizia un processo di allontanamento protestante dalla Chiesa Cattolica che oggi si esprime in «due aspetti» nuovi, che il riformatore tedesco non aveva previsto. Il primo è che le comunità protestanti storiche oggi sono minoritarie rispetto a un nuovo protestantesimo, di tipo principalmente pentecostale, i cui numeri – il Papa non ha citato statistiche precise ma il grande esperto di statistica religiosa scomparso il mese scorso, David B. Barrett (1927-2011), parlava di mezzo miliardo di credenti – sono impressionanti. « Negli ultimi tempi – ha detto Benedetto XVI – la geografia del cristianesimo è profondamente cambiata e sta cambiando ulteriormente. Davanti ad una forma nuova di cristianesimo, che si diffonde con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante nelle sue forme, le Chiese confessionali storiche restano spesso perplesse». Il giudizio della Chiesa Cattolica su queste nuove forme rimane anch’esso perplesso, ma non è soltanto negativo. « È un cristianesimo di scarsa densità istituzionale, con poco bagaglio razionale e ancora meno bagaglio dogmatico e anche con poca stabilità. Questo fenomeno mondiale ci pone tutti davanti alla domanda: che cosa ha da dire a noi di positivo e di negativo questa nuova forma di cristianesimo?».

Il secondo fenomeno nuovo è il cedimento di molte comunità cristiane al secolarismo. Ci sono comunità protestanti che si schierano su posizioni antitetiche a quelle della Chiesa Cattolica sui temi della vita e della famiglia, spesso peraltro perdendo di conseguenza fedeli che passano alle nuove forme di tipo pentecostale. «Più profonda e nel nostro Paese più scottante - ha detto il Pontefice - è la seconda sfida per l’intera cristianità», che riguarda la risposta da dare al «contesto secolarizzato». Adattarsi al contesto significa annacquare la fede cristiana. «L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi».

«Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo - ha ricordato in modo accorato il Papa ai dirigenti protestanti -, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo. Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica, così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore».

Nella cappella del Convento di Erfurt, e in un contesto di preghiera, il Pontefice ha ripetuto che «la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito. È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni». Ma di questa fede comune dobbiamo anche dire con franchezza che «il pericolo di perderla, purtroppo, non è irreale». Ci sono forme di «annacquamento» che non permettono neppure più di riconoscere la fede cristiana come tale.

Il discorso del Pontefice ai protestanti è stato molto franco, e ha coinvolto anche un certo cattolicesimo progressista che chiedeva al Papa un «dono ecumenico» che segnalasse ai luterani che la Chiesa Cattolica era pronta ad andare incontro alle critiche di taluni di loro su materie come la bioetica, il celibato dei sacerdoti o l’ordinazione delle donne. «Alla vigilia della visita del Papa - ha detto Benedetto XVI - si è parlato diverse volte di un dono ecumenico dell’ospite, che ci si aspettava da questa visita. Non c’è bisogno che io specifichi i doni menzionati in tale contesto». Il Pontefice ha risposto, senza giri di parole, «che questo costituisce un fraintendimento politico della fede e dell’ecumenismo. Quando un Capo di Stato visita un Paese amico, generalmente precedono contatti tra le istanze, che preparano la stipulazione di uno o anche di più accordi tra i due Stati: nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi si arriva al compromesso che, alla fine, appare vantaggioso per ambedue le parti, così che poi il trattato può essere firmato». Immaginare così l’ecumenismo implica un completo fraintendimento della fede cristiana, che non è un’invenzione della Chiesa sottoposta a un continuo negoziato politico che tiene conto del contesto sociale, ma si fonda sull’insegnamento immutabile di Gesù Cristo. No, «la fede dei cristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosa che noi escogitiamo o concordiamo. È il fondamento su cui viviamo. L’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi, bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede mediante il pensiero e la vita»
Fonte: Introvigne in "La Bussola Quotidiana" del 23 settebre 2011

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Quando si parla di Lutero, nell’immaginario collettivo creato ad arte da propagandisti interessati, il pensiero corre subito alla corruzione della Chiesa cattolica del Cinquecento. Molti libri della scuola dell’obbligo, allora, si soffermano nel descrivere le oscenità dei vescovi e dei papi di quel periodo, la cosiddetta vendita delle indulgenze e quant’altro, per poi estrarre dal cilindro il vendicatore, l’eroe buono, il ribelle animato da senso di giustizia: Martin Lutero, appunto.


Ebbene si tratta di una caricatura. Non perché la Chiesa dell’epoca non fosse corrotta. Lo era sicuramente. Del resto è la storia che ce lo insegna: quando scarseggiano i sacerdoti santi, nascono le diaspore, la gente perde la fede…La Chiesa dell’epoca, dunque, versava in pessime condizioni. Non stupisca: ha anch’essa, nella sua componente umana, i suoi giorni e le sue notti.

La crisi era dovuta a motivi interni, rilassatezza dei costumi, ai vescovi che pensavano a viaggiare e alla bella vita, all’incuria di molti sacerdoti, alla mentalità rinascimentale e cortigiana penetrata nel tempio di Dio…, e a motivi esterni: in molti paesi d’Europa, in quegli anni, vescovi ed abati non erano scelti dal papa di Roma, ma dai sovrani. Erano quindi più che uomini di Chiesa, uomini di potere. A ciò si aggiunga il rischio sempre in agguato: il clericalismo….


Ci sarebbe dunque voluto, sicuramente, un riformatore. Come lo era stato Francesco d’Assisi, per esempio, o come sant’Ignazio di Loyola.


Riformatore è colui che riconosce il male che vive nella Chiesa, e si adopera non contro di Essa, ma perché Essa sia più fedele al suo compito, alla sua costituzione divina. Il riformatore cattolico non inventa una nuova dottrina, non propone una ricetta sua, ma lucida e rispolvera il senso profondo del Vangelo e della Tradizione, nella fedeltà alla Chiesa di sempre. Con umiltà.


Lutero, invece, fece tutt’altro: non fu un riformatore, ma un rivoluzionario. Non cercò di eliminare i guasti, le aberrazioni, gli errori, ma propose una religione nuova, una nuova teologia ed una nuova antropologia. Indicò non Cristo, ma le sue personali opinioni.


Ricordiamolo, perché non lo si dice spesso: la sua stessa vocazione era stata incerta, poco spontanea, e la vita religiosa, abbracciata senza adeguata consapevolezza, si rivelò, per lui, insopportabile. Lutero era uomo passionale, irascibile, impetuoso: cercò, certamente, di cambiarsi, di farsi violenza, con penitenze e preghiera; forse con troppe penitenze e preghiere, ma con pochi risultati. Lutero infatti, non riusciva ad accettare la sua limitatezza, la sua miseria, tipica della condizione umana. Ha scritto di lui J. Maritain: “Si appoggiava, per giungere alla virtù, alle sue sole forze, fidandosi dei propri sforzi, delle sue penitenze, delle opere della sua volontà, molto più che della grazia. Praticava così quel pelagianesimo di cui accuserà i cattolici, e da cui in realtà lui stesso non riuscirà ad affrancarsi. Praticamente egli era, nella vita spirituale un fariseo che conta nelle sue opere, come fa fede il suo raggrinzimento di scrupoloso. Si rimproverava come peccato ogni involontaria impressione della sensibilità, e si studiava di acquistare una santità da cui fosse esclusa la minima traccia della debolezza umana” (I tre riformatori).

L’insuccesso, dunque, vissuto con orgoglio, scatenò la sua ribellione e generò la sua nuova antropologia: io non riesco a fare il bene, l’uomo non riesce a fare il bene, ogni uomo è solo cattivo. Questo è il caposaldo del pensiero luterano: il pessimismo antropologico. Lo stesso concetto sostenuto, nello stesso periodo, da Niccolò Machiavelli.


Ma se l’uomo non è capace di opere di bene, allora, come può salvarsi?

Se le opere buone non contano nulla, concluse Lutero, l’unica cosa che ci può salvare è la Fede, la misericordia di Dio (la sola Fides, in contrapposizione con il pensiero di san Giacomo fides sine operibus morta est).

Di qui la sua celebre proposizione luterana: “Pecca fortiter sed crede fermius”, cioè “pecca pure fortemente, ma credi più fermamente”. Di qui la sua critica alle indulgenze: non solo alla corruzione, ma alla possibilità stessa che ad una azione buona (ad esempio un'elemosina per costruire una chiesa o un ospedale, come spesso si faceva) corrispondesse un perdono dei peccati. Di qui la seconda parte della sua vita: non più rigore e penitenza eccessivi, ma, come ammetteva lui stesso, e come testimoniano disegni e ritratti dell’epoca, gozzoviglie, dissolutezza, vino…

Ridotto l’uomo a peccatore senza possibilità alcuna di bene, appeso solo al filo della fede, Lutero si rese ben conto di aver così ucciso la libertà. E lo scrisse apertamente nel suo “De servo arbitrio”: “Quanto a me, io lo confesso: se la cosa fosse possibile, non vorrei che mi fosse dato il libero arbitrio o che a mia disposizione fosse lasciato alcunché, con cui poter tendere alla salvezza, non solo perché non avrei la capacità di resistere e conservarlo fra tante avversità e pericoli e fra tanti assalti diabolici, poiché, essendo un solo demonio piú forte di tutti gli uomini, nessuno degli uomini si salverebbe, ma perché, anche se non ci fossero pericoli, avversità, demoni, io sarei costretto a travagliarmi continuamente nell'incertezza e a dare pugni nell'aria: infatti la mia coscienza, anche se vivessi e operassi eternamente, mai potrebbe conseguire una tranquilla certezza di quanto dovesse fare per soddisfare Dio. E, qualunque opera avessi compiuto, sussisterebbe sempre lo scrupolo se ciò piacesse a Dio, o se Egli richiedesse qualcosa di piú, cosí come prova l'esperienza di tutti coloro che si sono dati alle opere e come io ho dovuto apprendere in tanti anni con grave mia sofferenza. Ma ora, poiché Dio ha avocato a sé la mia salvazione, escludendola dal mio arbitrio, e ha promesso di salvarmi non a motivo delle mie opere e del corso della mia vita, ma per la sua grazia e misericordia, io sono tranquillo e sicuro che Egli mi sarà fedele e non mi mentirà, e inoltre cosí possente e grande, che nessun demonio, nessuna avversità potranno piegarlo o strapparmi a Lui” (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VIII, pagg. 1145-1146).


Da questa concezione, ne derivava un’altra, sebbene non ancora così esplicita come sarebbe accaduto con Calvino: non contando nulla le buone opere, o meglio non essendo possibile che un uomo faccia qualcosa di buono, ne consegue che l’uomo è predestinato, alla salvezza o alla dannazione, indipendentemente dalla sua stessa vita, per giudizio insindacabile di Dio.


Un altro concetto fondamentale introdotto da Lutero per abbattere la necessità della Chiesa, fu la riduzione dei sacramenti a due, e la proclamazione del libero esame: ogni uomo può leggere e interpretare liberamente la Bibbia, senza mediazione alcuna. Un tale principio si rivelò, però, devastante: se ogni uomo può leggere come vuole le Sacre Scritture, infatti, è giocoforza che nascano infinite interpretazioni ed infinite sette. Così nel tempo sorsero calvinisti, socianiani, evangelici, battisti, anabattisti, episcopaliani… mormoni, avventisti, testimoni di Geova…Ovunque sedicenti profeti si alzarono per dire di aver compreso il vero senso della Bibbia (nascosto sino ad allora, sino ad almeno 15 secoli dopo la venuta di Cristo), ed iniziarono, in base al libero esame, a proporre la data per la fine del mondo, a distruggere dogmi e a crearne altri…


A tutto ciò si aggiunga il carattere durissimo di Lutero: per lui il papa era l’Anticristo e i cattolici i suoi “servi”; i contadini ribelli andavano trattati con ferocia: “Verso i contadini testardi, caparbi, e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati...” (Scritti politici, Utet, Torino 1978, p. 515); quanto agli ebrei: “In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto”; inoltre occorre “allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari” (Degli ebrei e delle loro menzogne, Torino 2000, pp. 188-190).


Perché allora Lutero ebbe tanto successo? Sicuramente perché seppe utilizzare il pretesto della corruzione della Chiesa, per la sua rivoluzione, ma soprattutto perché seppe arruolare i principi tedeschi prima e altri sovrani poi. Alcuni signori tedeschi prima, infatti, poi i re di Svezia, Danimarca, Inghilterra… furono coloro che permisero al protestantesimo di decollare, schierandosi dalla sua parte, con uno scopo ben preciso: diventare protestanti significava abolire la Chiesa cattolica dalle proprie terre, incamerarne i beni, sommare nella propria figura il potere temporale e quello spirituale! Se dunque nel campo religioso Lutero portò l’anarchia e l’individualismo, in campo politico generò le Chiese di Stato e le chiese nazionali. Fuori dalle chiese, in Inghilterra, vi è ancora oggi una scritta: “Church of England”. Inconcepibile per il pensiero cattolico… Fu la divisione dell’Europa, la fine del sogno imperiale, di unire popoli diversi per lingua, cultura e tradizioni, ma fondati sulla stessa fede.

Si potrebbe dire molto altro, ma manca lo spazio. Urge dunque una conclusione. Il protestantesimo oggi è in crisi totale. In buona parte vive, come è spesso successo, per opposizione al cattolicesimo. In molte nazioni, pur di non scomparire, ha aperto al sacerdozio femminile, ai gay ecc., senza successo alcuno, anzi…Ma il protestantesimo, come si è visto, è basato sul libero esame, e se è vero che sovente questo ha portato a tante aberrazioni, è anche giusto ricordare che vi sono sempre stati e vi sono anche oggi protestanti più o meno vicini alla vera tradizione cristiana. Vi sono, per fare un solo esempio, protestanti che lottano con grande coraggio, con determinazione anche molto superiore a quella dei cattolici, in difesa della vita e dei principi non negoziabili. Vi sono protestanti che rinnegano buona parte delle idee di Lutero, dalla svalutazione delle opere buone, alla negazione del libero arbitrio. Con questi protestanti, come con tutti gli uomini di buona volontà, si deve ed occorre collaborare, consapevoli che la vera fede è per noi non un motivo di superbia, ma una responsabilità. Senza però che questo comporti una confusione sul piano dottrinale. Senza che ecumenismo diventi sinonimo di indifferentismo. Ci separano teologia, antropologia, ecclesiologia, storia… Ma la speranza è che si ritorni ad un “solo ovile” sotto un “solo pastore”, che si ripeta dovunque quello che è accaduto in Inghilterra ed in altre parti del mondo: un ritorno alla Chiesa “una, santa, cattolica ed apostolica”.
Fonte: F. Agnoli in "La Bussola Quotidiana" del 23 settembre 2011


Discorso del Papa all'“Augustinerkloster” di Erfurt


ERFURT, venerdì, 23 settembre 2011. Di seguito il discorso che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questo venerdì al suo arrivo all'Augustinerkloster di Erfurt, incontrando quindici di rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica Tedesca (EKD).

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Illustri Signore e Signori!

Prendendo la parola, vorrei innanzitutto ringraziare per quest’occasione di incontrarvi. La mia particolare gratitudine va al Presidente Schneider, che mi ha dato il benvenuto e mi ha ricevuto in mezzo a voi con le sue cortesi parole. Vorrei ringraziare, allo stesso tempo, per questo dono speciale, che il nostro incontro possa svolgersi in questo luogo storico.

Per me, come Vescovo di Roma, è un momento emozionante incontrare qui, nell’antico convento agostiniano di Erfurt, rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania. Qui Lutero ha studiato teologia. Qui è stato ordinato sacerdote nel 1507. Contro il desiderio del padre, egli non continuò gli studi di giurisprudenza, ma studiò teologia e si incamminò verso il sacerdozio nell’Ordine di sant’Agostino. In questo cammino non gli interessava questo o quello. Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. "Come posso avere un Dio misericordioso?": questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. Per lui la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio.

"Come posso avere un Dio misericordioso?". Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente. Chi, infatti, si preoccupa oggi di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. Egli sa, appunto, che tutti siamo soltanto carne. Se oggi si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo in pratica che Dio debba essere generoso e, alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze. Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità? La fame e la povertà potrebbero devastare a tal punto intere parti del mondo se in noi l’amore di Dio e, a partire da Lui, l’amore per il prossimo, per le creature di Dio, gli uomini, fosse più vivo? Le domande in questo senso potrebbero continuare. No, il male non è un’inezia. Esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita. La domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? – questa scottante domanda di Martin Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero.

E poi è importante: Dio, l’unico Dio, il Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso da un’ipotesi filosofica sull’origine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo. Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: "Ciò che promuove la causa di Cristo" era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita.

Ora forse voi direte: Va bene, ma cosa ha a che fare tutto questo con la nostra situazione ecumenica? Tutto ciò è forse soltanto un tentativo di eludere con tante parole i problemi urgenti, nei quali aspettiamo progressi pratici, risultati concreti? A questo riguardo rispondo: la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito. È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione e, nel pregare e cantare insieme, nell’impegno comune per l’ethos cristiano di fronte al mondo, nella comune testimonianza del Dio di Gesù Cristo in questo mondo, riconosciamo tale comunione come il nostro fondamento imperituro.

Il pericolo di perderla, purtroppo, non è irreale. Vorrei qui far notare due aspetti. Negli ultimi tempi, la geografia del cristianesimo è profondamente cambiata e sta cambiando ulteriormente. Davanti ad una forma nuova di cristianesimo, che si diffonde con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante nelle sue forme, le Chiese confessionali storiche restano spesso perplesse. È un cristianesimo di scarsa densità istituzionale, con poco bagaglio razionale e ancora meno bagaglio dogmatico e anche con poca stabilità. Questo fenomeno mondiale ci pone tutti davanti alla domanda: che cosa ha da dire a noi di positivo e di negativo questa nuova forma di cristianesimo?

In ogni caso, ci mette nuovamente di fronte alla domanda su che cosa sia ciò che resta sempre valido e che cosa possa o debba essere cambiato, di fronte alla questione circa la nostra scelta fondamentale nella fede.

Più profonda e nel nostro Paese più scottante è la seconda sfida per l’intera cristianità; di essa vorrei parlare: si tratta del contesto del mondo secolarizzato, nel quale dobbiamo vivere e testimoniare oggi la nostra fede. L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Questo è un compito ecumenico centrale. In questo dovremmo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo. Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica, così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore.

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Omelia del Papa nella celebrazione ecumenica con gli evangelici


Nella chiesa dell'ex Convento degli Agostiniani


ERFURT, venerdì, 23 settembre 2011. Di seguito il testo dell'omelia di Benedetto XVI in occasione della celebrazione ecumenica di questo venerdì con la Chiesa evangelica in Germania, alla quale hanno partecipato anche rappresentanti di altre Chiese protestanti, svoltasi nella chiesa dell'ex Convento degli Agostiniani (Augustinerkloster) di Erfurt.

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Cari fratelli e sorelle nel Signore!

"Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola" (Gv17,20): così ha detto Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni, nel Cenacolo, al Padre. Egli intercede per le generazioni future di credenti. Guarda al di là del Cenacolo verso il futuro. Ha pregato anche per noi. E prega per la nostra unità. Questa preghiera di Gesù non è semplicemente una cosa del passato. Sempre Egli sta davanti al Padre intercedendo per noi, e così in quest’ora sta in mezzo a noi e vuole attrarci nella sua preghiera. Nella preghiera di Gesù si trova il luogo interiore, più profondo, della nostra unità. Diventeremo una sola cosa, se ci lasceremo attirare dentro tale preghiera. Ogni volta che, come cristiani, ci troviamo riuniti nella preghiera, questa lotta di Gesù riguardo a noi e con il Padre per noi dovrebbe toccarci profondamente nel cuore. Quanto più ci lasciamo attrarre in questa dinamica, tanto più si realizza l’unità.

È rimasta inascoltata la preghiera di Gesù? La storia del cristianesimo è, per così dire, il lato visibile di questo dramma, in cui Cristo lotta e soffre con noi esseri umani. Sempre di nuovo Egli deve sopportare il contrasto con l’unità, e tuttavia sempre di nuovo si compie anche l’unità con Lui e così con il Dio trinitario. Dobbiamo vedere ambedue le cose: il peccato dell’uomo, che si nega a Dio e si ritira in se stesso, ma anche le vittorie di Dio, che sostiene la Chiesa nonostante la sua debolezza e attira continuamente uomini dentro di sé, avvicinandoli così gli uni agli altri. Per questo, in un incontro ecumenico, non dovremmo soltanto lamentare le divisioni e le separazioni, bensì ringraziare Dio per tutti gli elementi di unità che ha conservato per noi e sempre di nuovo ci dona. E questa gratitudine deve al contempo essere disponibilità a non perdere, in mezzo ad un tempo di tentazione e di pericoli, l’unità così donata.

L’unità fondamentale consiste nel fatto che crediamo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Che lo professiamo quale Dio trinitario – Padre, Figlio e Spirito Santo. L’unità suprema non è solitudine di una monade, ma unità attraverso l’amore. Crediamo in Dio – nel Dio concreto. Crediamo nel fatto che Dio ci ha parlato e si è fatto uno di noi. Testimoniare questo Dio vivente è il nostro comune compito nel momento attuale.

L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza bene anche senza di Lui? Quando, in una prima fase dell’assenza di Dio, la sua luce continua ancora a mandare i suoi riflessi e tiene insieme l’ordine dell’esistenza umana, si ha l’impressione che le cose funzionino anche senza Dio. Ma quanto più il mondo si allontana da Dio, tanto più diventa chiaro che l’uomo, nell’hybris del potere, nel vuoto del cuore e nella brama di soddisfazione e di felicità, "perde" sempre di più la vita. La sete di infinito è presente nell’uomo in modo inestirpabile. L’uomo è stato creato per la relazione con Dio e ha bisogno di Lui. Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempo deve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e con ciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno. Naturalmente di questa testimonianza fondamentale per Dio fa poi parte, in modo assolutamente centrale, la testimonianza per Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, che è vissuto insieme con noi, ha patito per noi, è morto per noi e, nella risurrezione, ha spalancato la porta della morte. Cari amici, fortifichiamoci in questa fede! Aiutiamoci a vicenda a viverla! Questo è un grande compito ecumenico che ci introduce nel cuore della preghiera di Gesù.

La serietà della fede in Dio si manifesta nel vivere la sua parola. Si manifesta, nel nostro tempo, in modo molto concreto, nell’impegno per quella creatura che Egli volle a sua immagine, per l’uomo. Viviamo in un tempo in cui i criteri dell’essere uomini sono diventati incerti. L’etica viene sostituita con il calcolo delle conseguenze. Di fronte a ciò noi come cristiani dobbiamo difendere la dignità inviolabile dell’uomo, dal concepimento fino alla morte – nelle questioni della diagnosi pre-impiantatoria fino all’eutanasia. "Solo chi conosce Dio, conosce l’uomo", ha detto una volta Romano Guardini. Senza la conoscenza di Dio, l’uomo diventa manipolabile. La fede in Dio deve concretizzarsi nel nostro comune impegno per l’uomo. Fanno parte di tale impegno per l’uomo non soltanto questi criteri fondamentali di umanità, ma soprattutto e molto concretamente l’amore che Gesù ci insegna nella descrizione del Giudizio finale (Mt 25): il Dio giudice ci giudicherà secondo come ci siamo comportati nei confronti di coloro che ci sono prossimi, nei confronti dei più piccoli dei suoi fratelli. La disponibilità ad aiutare, nelle necessità di questo tempo, al di là del proprio ambiente di vita è un compito essenziale del cristiano.

Ciò vale anzitutto nell’ambito della vita personale di ciascuno. Vale poi nella comunità di un popolo e di uno Stato, in cui tutti devono farsi carico gli uni degli altri. Vale per il nostro Continente, in cui siamo chiamati alla solidarietà in Europa. E, infine, vale al di là di tutte le frontiere: la carità cristiana esige oggi il nostro impegno anche per la giustizia nel vasto mondo. So che da parte dei tedeschi e della Germania si fa molto per rendere possibile a tutti gli uomini un’esistenza degna dell’uomo, e per questo vorrei dire una parola di viva gratitudine.

Infine vorrei ancora accennare ad una dimensione più profonda del nostro obbligo di amare. La serietà della fede si manifesta soprattutto anche quando essa ispira certe persone a mettersi totalmente a disposizione di Dio e, a partire da Dio, degli altri. I grandi aiuti diventano concreti soltanto quando sul luogo esistono coloro che sono totalmente a disposizione dell’altro e con ciò rendono credibile l’amore di Dio. Persone del genere sono un segno importante per la verità della nostra fede.

Alla vigilia della visita del Papa si è parlato diverse volte di un dono ecumenico dell’ospite, che ci si aspettava da questa visita. Non c’è bisogno che io specifichi i doni menzionati in tale contesto. Al riguardo vorrei dire che questo costituisce un fraintendimento politico della fede e dell’ecumenismo. Quando un Capo di Stato visita un Paese amico, generalmente precedono contatti tra le istanze, che preparano la stipulazione di uno o anche di più accordi tra i due Stati: nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi si arriva al compromesso che, alla fine, appare vantaggioso per ambedue le parti, così che poi il trattato può essere firmato. Ma la fede dei cristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosa che noi escogitiamo o concordiamo. È il fondamento su cui viviamo. L’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi, bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede mediante il pensiero e la vita. In questa maniera, negli ultimi 50 anni, e in particolare anche dalla visita di Papa Giovanni Paolo II, 30 anni fa, è cresciuta molta comunanza, della quale possiamo essere solo grati. Mi piace ricordare l’incontro con la commissione guidata dal Vescovo [luterano] Lohse, nella quale ci si è esercitati insieme in questo penetrare in modo profondo nella fede mediante il pensiero e la vita. A tutti coloro che hanno collaborato in questo – per la parte cattolica, in modo particolare, al Cardinale Lehmann – vorrei esprimere il mio vivo ringraziamento. Non menziono altri nomi – il Signore li conosce tutti. Insieme possiamo tutti solo ringraziare il Signore per le vie dell’unità sulle quali ci ha condotti, ed associarci in umile fiducia alla sua preghiera: Fa’ che diventiamo una sola cosa, come Tu sei una sola cosa col Padre, perché il mondo creda che Egli Ti ha mandato" (cfr Gv 17,21).

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