sabato 17 settembre 2011

XXV Domenica T.O.: Preghiera Notturna




Di seguito le letture della Preghiera Notturna dei Certosini per questa XXV Domenica T.O.




Dal vangelo secondo Luca.

7,11-17

Gesù si recò in una città chiamata Nain e facevano strada con lui i
discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco
che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova.

Dai Discorsi di san Pietro Crisologo

Sermo CIII. PL 52,487-489.

Il vangelo di oggi riferisce che per intervento di Cristo era stato
restituito alla vita l'unico figlio di una madre vedova, già avvolto dalle
bende funebri, già posto sul miserevole cataletto, mentre stava andando,
seguito da una folla, al carcere del sepolcro. Il fatto scosse i cuori,
commosse gli animi, stupì gli orecchi di tutti. Ma questo sia motivo di
meraviglia per i pagani, di stupore per i Giudei, di timore per il mondo.
Perché ci meravigliamo noi, se crediamo che tutti i morti da secoli devono
essere risuscitati dalle tombe alla sola voce di Cristo?

Di nuovo vivranno i tuoi morti - dice Isaia - risorgeranno i loro
cadaveri. E il Signore: È venuto il momento, in cui i morti udranno la voce
del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno. E l'Apostolo
aggiunge: In un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba
i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.

Quale è questa tromba che dichiara guerra agli inferi, abbatte i
monumenti sepolcrali, fa squillare la vita ai morti, concede il trionfo a
quelli che risorgono per la luce perpetua? Qual è? Lo ha spiegato il
Signore quando ha detto: I morti udranno la voce di Dio.162 Non è la tromba
che sotto la pressione del fiato, attraverso le cavità del corno, del legno
o del bronzo, produce un muggito funesto ai combattenti, ma quella che dal
cuore del Padre, dalla bocca del Figlio emette lo squillo datore di vita ad
un tempo per chi è negli inferi e nel cielo.

Al suono dell'ultima tromba.163 La tromba, che al principio chiamò il
mondo dal nulla all'esistenza, alla fine richiamerà il mondo dalla
perdizione, e quella che all'inizio aveva suscitato l'uomo dal fango,
quella stessa alla fine risusciterà l'uomo dalla polvere.


Fratelli, questa è la nostra fede: la tromba della voce divina chiamò
il caos, raccolse il cosmo, distribuì gli elementi, divise il mondo,
sospese il cielo, pose i fondamenti della terra. Quella voce vincolò il
mare, sommerse gli inferi, diede le gerarchie, stabilì gli avvicendamenti;
in tal modo comandò l'ininterrotta servitù delle cose.

E affinché il cosmo non fosse orrido nella sua vacuità, dispose i
venti, e così stabilì i domicili. Nel cielo collocò gli angeli che vivono
di solo spirito, nella terra fissò i vari modi di vita dei terrestri, fece
volare nell'aria gli esseri alati, nelle acque creò tanto esseri piccoli
che esseri grandi, perché vivesse una moltitudine di esseri animati. Così,
in modo mirabile, partendo da parti separate, riunì la compagine del mondo
in maniera che né la mescolanza confondesse insieme elementi distinti, né
la distinzione scindesse l'unità delle cose.

Ecco perché l'unione del giorno e della notte fu divisa in modo che il
lavoro seguisse il riposo e il riposo il lavoro. Per questo il sole e la
luna a vicenda girano attorno ai poli del mondo, affinché il sole con luce
duplicata aumenti la luminosità del giorno e la luna con una luce quasi
uguale non lasci del tutto tenebroso il periodo notturno.



Le stelle nel loro corso hanno nascite svariate, sia per segnare alle
notti i diversi tempi sia per offrire una guida ai viandanti. I tempi
giungono procedendo e cominciano a esistere mentre cessano. I semi nascono,
si sviluppano, conoscono adolescenza, virilità, vecchiaia, cadono, muoiono
e di bel nuovo, seppelliti nei solchi ricchi di vita, dissolti da una
salutare putrefazione, dalla morte riacquistano la vita, dalla corruzione
risuscitano in un aspetto che non si altera.

Così, fratelli, la voce di Dio, la tromba di Cristo nel corso dei
giorni, dei mesi, delle stagioni, degli anni, chiama e richiama, conduce e
riconduce, riceve, fa esistere e non esistere, abbandona alla morte e
restituisce alla vita tutto questo; perché allora non potrebbe fare una
volta in noi quello che fa sempre in tutte le cose?

O la potenza divina è spossata solo quando si tratta di noi, per i
quali esclusivamente la maestà di Dio ha operato tutto ciò che è stato
detto fin qui? Uomo, se per te tutte le cose rivivono dalla loro morte,
perché tu non rivivrai per Dio dalla tua morte? O forse la creazione di Dio
perisce in te solo, per il quale sussiste, si mette in azione, si muta, si
rinnova ogni giorno tutta intera?

Fratelli, dico questo non per il desiderio di annullare il valore dei
miracoli di Cristo; vi esorto invece, perché, sull'esempio di un solo
Risorto, siamo indotti a credere nella risurrezione di tutti e crediamo che
la croce è aratro per il nostro corpo, la fede seme, il solco sepolcro, la
dissoluzione germe, l'attesa tempo.



Quando sorriderà la primavera della venuta del Signore, allora il
pieno rigoglio dei nostri corpi risorgerà in messe di vita, ignorando ormai
la canizie, poiché non dovrà conoscere nemmeno la fine. Non dovrà
sopportare la falce né provare i flagelli, perché, essendo state deposte
nella morte le paglie della vecchiaia, sorgerà nel nuovo frutto di un corpo
glorioso.

Se Cristo si commosse così per le lacrime, temporanee di una
sola vedova da andarle incontro per strada, da asciugare i fiumi di pianto
di dolore, che sgorgavano dai suoi occhi, da ricacciare indietro la morte,
ricondurre l'uomo, risuscitarne il corpo, restituirgli la vita, mutare il
pianto in gioia, trasformare le lugubri esequie in festa natalizia e
rendere alla madre, vivo dalla morte, il frutto del suo grembo, che cosa
farà ora? In qual modo si infiammerà con le sue forze alle diuturne lacrime
della sua Chiesa, ai sudori di sangue della sua sposa!

Infatti la Chiesa, nella persona dei supplici, versa continue lacrime,
nella persona dei martiri suda sacro sangue. È in attesa che Cristo,
ritornando, dal cataletto mortale restituisca alla vita perenne nella gioia
sempiterna della madre celeste, il suo unico figlio, cioè il popolo
cristiano, che tanti momenti storici conducono a morte.