mercoledì 16 novembre 2011

Gertrude di Helfta - "Le Rivelazioni" - Volume 1

SANTA GERTRUDE

“LE RIVELAZIONI”

VOLUME 1

PROLOGO

Lo Spirito Santo da cui procede ogni bene, che spira dove vuole, come vuole e quando vuole, esige di solito che le sue ispirazioni siano tenute segrete, ma altre volle dispone che vengano rivelate per il bene di un maggior numero di anime. Così av­venne con la nostra Serva di Dio. In essa l'abbon­danza della divina misericordia non cessò mai di effondersi, e tuttavia soltanto ad intervalli Dio le ordinò di palesarla. Questo libro fu pertanto scritto in epoche diverse: la prima parte fu stesa circa otto anni dopo l'inizio di questi celesti fa­vori, mentre la seconda ebbe il suo compimento solo vent'anni più tardi.

Il Signore degnò di mostrare quanto gradita Gli fosse e l'una e l'altra parte. Quando, infatti, ebbe ultimata la prima, essa la raccomandò con umile devozione al Signore e ricevette dalla sua paterna bontà questa risposta: «Nessuno mi può far dimenticare il memoriale dell'abbondanza della mia divina soavità ». Essa comprese da queste pa­role che tale appunto era il titolo che il Signore imponeva allo scritto: MEMORIALE DELL'AB­BONDANZA DELLA DIVINA SOAVITA'.

E il Signore aggiunse: « Se alcuno vorrà leggere questo libro cercandovi piamente il proprio pro­fitto spirituale, io lo attirerò a me, ed egli lo leggerà, per così dire, nelle mie mani. Mi unirò a lui nella lettura, e, come accade quando due leg­gono insieme nella stessa pagina, che l'uno cioè pare respirare con l'altro, così io aspirerò il soffio dei suoi desideri che commoveranno in suo favore le viscere della mia misericordia, e, a mia volta, lo rinnoverò internamente col soffio del mio spi­rito ».

Il Signore aggiunse ancora: « Chi poi con si­mile intenzione ne trascriverà il contenuto, per ogni parola riceverà dal mio Cuore dolcissimo come altrettante frecce di amore che susciteranno nella sua anima deliziosi sensi di divina dolcezza ». Mentre poi si stendeva la seconda parte la Santa, una notte, se ne lagnava dolcemente col Signore, che consolandola con la solita bontà, le disse fra l'altro: « Dedi te in luce gentium ut sis salus mea ab extremis terrae: Ecco che io ti ho costituito luce delle genti, aífinchè tu sia la mia salvezza fino` alle estremità della terra » (Is. 49, 6). Essa, rife­rendo queste parole al libro da poco incominciato, domandò stupita: « E come è possibile, mio Dio, che qualcuno possa essere illuminato da questo libretto, dal momento che io non intendo affatto che si continui a redigerlo e che, anzi, anche quel poco che già è stato scritto non permetterò che venga divulgato? ». Al che il Signore: « Quando io elessi il Profeta Geremia egli credeva di non saper parlare e agire con la voluta prudenza, eppure per mezzo della sua parola io ripresi e popoli e re. In simile modo coloro ai quali ho stabilito di elargire per tuo mezzo qualsivoglia luce di conoscenza e di verità non ne saranno frustrati, perchè nessuno può opporsi alla mia eterna predestina­zione: coloro che ho predestinati li chiamerò, e quelli che avrò chiamati li giustificherò nel modo che meglio mi piace ».

Un'altra volta, stando di nuovo in orazione, cercava in tutti i modi di ottener dal Signore il permesso di proibire la continuazione del libro, visto che l'ordine dei Superiori non gliela impo­neva più in quel momento con tanta insistenza. Il Signore le rispose: « Ma non sai che colui al quale io impongo la mia volontà è tenuto a un'obbe­dienza che non è paragonabile ad alcun'altra? Poiché dunque sai che è mia volontà che questo libro si scriva, perchè ti turbi? Come son io che sollecito la redattrice, così ancora son io che fedel­mente l'assisterò e che custodirò poi intatto ciò che mi appartiene».

Essa allora conformando pienamente la sua volontà al divin beneplacito, disse al Signore: A "E che titolo vuoi dare, Signore carissimo, a questo libro?». Al che il Signore: «Questo mio libro si chiamerà: IL LEGATO DELLA PIETA' DIVINA, perchè in esso in qualche modo si pre­gusterà la sovrabbondanza della divina miseri­cordia». Ed essa, molto stupita: «Le persone che si chiamano Legati - disse - godono di grande autorità: che autorità degni dunque concedere a questo libretto a cui dai un tal titolo?». Rispose il Signore: «In forza della mia divinità concedo che chiunque lo leggerà a mia lode, con fede retta, con umile devozione e affettuosa riconoscenza., e allo scopo di edificarsi, consegua la remissione dei suoi peccati veniali e la grazia della consolazione

spirituale, e divenga inoltre atto a conseguire grazia maggiore ».

Più tardi, comprendendo che il Signore desi. derava che le due parti venissero riunite a formare un sol tutto, devotamente gli chiedeva nella pre­ghiera in qual modo dovessero unirsi queste due parti che aveva degnato distinguere con titoli di­versi. Il Signore rispose: c Come a volte i genitori salgono in considerazione pei meriti dei figli, allo stesso modo, per mia disposizione, l'opera che ri­sulterà dall'unione delle due parti varrà a dar maggior risalto ad entrambe. Essa sarà chiamata con un titolo che le ricorderà ambedue, e cioè: L'ARALDO DEL MEMORIALE DELLA SOVRAB­BONDANZA DEL DIVINO AMORE, perchè ri­chiamerà continuamente alla memoria dei miei eletti il mio amore divino ».

Come sarà manifesto in seguito, essa era con­tinuamente favorita dalla divina presenza, e tut­tavia qua e là si troveranno espressioni come queste: « le apparve » o « le si manifestò il Si­gnore ». Esse devono intendersi nel senso che, pur essendole Egli abitualmente presente per una gra­zia speciale, tuttavia in certe occasioni e momenti le appariva sotto una forma più sensibile per adat­tarsi alla capacità intellettuale di tutti coloro a cui la rivelazione era stata preordinata. E lo stesso si deve pensare della varietà di immagini di cui si rivestono le divine comunicazioni, perchè Dio, che ama tutte le anime, visitandone una, cerca, con diversi modi, il bene anche delle altre.

Egli le comunicava di continuo la sua grazia, così nei giorni di festa come in quelli ordinari, manifestandosi a lei indifferentemente sia per

CAPITOLO I. Chi era Gertrude

« O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei! quam incomprehensibilia sunt judicia ejus, et investigabiles vice ejus!: O insondabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio! quanto im­prescrutabili sono i suoi consigli e inaccessibili le sue vie! » (Rom. XI, 33). Egli chiama per vie mirabili, misteriose e diverse i suoi eletti, e dopo averli chiamati gratuitamente li giustifica, non solo, ma li colma ancora di grazie come se li avesse già trovati giusti e li giudicasse degni di condivi­dere la sua ricchezza e la sua felicità.

Così fece con questa sua eletta: Egli la colse quasi candido giglio nelle profumate aiuole del giardino della Chiesa, cioè della società dei giusti, e segregandola dal mondo la portò, bambina di cinque anni, nella casa nuziale della santa Reli­gione. Essa univa al candore del giglio la bellezza dei fiori più diversi, così che non solo attirava l'ammirazione, ma conquistava il cuore di tutti. Piccola e tenera di età, appariva già matura di sensi, ed era insieme amabile, ingegnosa, efficace nell'esprimersi e così pronta ad apprendere da colmar tutti di stupore. Quando prese a frequen­tare la scuola, la sua prontezza e l'acutezza della sua intelligenza le fecero superare in tutte le ma­terie non solo le coetanee, ma anche tutte le altre sue compagne. Trascorse così in purità di cuore,

tutta presa dall'amore per le arti liberali, gli anni della puerizia e dell'adolescenza, e venne in tal modo preservata dal Padre delle misericordie dai molti pericoli in cui quell'età suol rischiare di perdersi. Ne sia a Lui resa lode e infinita azione di grazie.

Venne il giorno però nel quale a Colui che l'aveva segregata fin dal seno di sua madre e l'aveva fatta partecipare, si può dire appena svez­zata, al banchetto della vita monastica, piacque di richiamarla con la sua grazia, (per mezzo di una rivelazione che narreremo in seguito, Libro li, c. 1) dalle cose esterne alla vita interiore e dalle occupazioni terrene all'amore delle cose spirituali.

Essa comprese allora di essere rimasta fino a quel tempo lontana da Dio in regione dissimili­tudinis: nella regione della dissomiglianza e che, dandosi con troppo ardore agli studi liberali., aveva trascurato fino a quel momento di volgere lo sguardo verso la luce della scienza spirituale. Aveva cercato con troppa avidità il diletto della sapienza umana e si era privata del gusto soavis­simo della vera sapienza.

Presero allora a venirle a noia tutte le cose terrene, e ben a ragione, poichè il Signore l'aveva introdotta ormai in un luogo di esultazione e di letizia, sul monte Sion, il monte cioè della con­templazione di Dio. Qui, svestendola del vecchio uomo e delle opere sue, la rivestì del nuovo, creato da Dio nella giustizia e nella santità della verità.

Divenuta pertanto da grammatica teologa, con l'indefessa e attenta lettura di tutti i libri sacri che poteva avere o procurarsi, riempiva il suo cuore delle più utili e dolci sentenze della Sacra Scrittura. Aveva perciò sempre pronta qualche pa­rola ispirata e di edificazione con cui soddisfare chi veniva a consultarla, e insieme i testi scrittu­rali più adatti per confutare qualsivoglia opinione errata e chiudere la bocca ai suoi oppositori.

E così non si saziava mai di insistere nella di­vina contemplazione in cui trovava soavissimo di. letto e mirabile dolcezza, e di darsi allo studio attento della Sacra Scrittura, che era come favo di miele alla sua bocca, melodiosa armonia al suo orecchio, giubilo spirituale al suo cuore.

Sapeva anche rendere piane e trasparenti agli intelletti più deboli le cose più oscure. Compilò a questo intento dai detti dei Santi, quasi colomba che raccoglie chicchi di grano, parecchi libri pieni di dolcezza, a comune utilità di quanti vole­vano leggerli. Compose ancora delle preghiere più dolci del miele e diversi libri di Esercizi Spirituali assai atti ad edificare. Erano scritti con tanta cor­rettezza di forma che quanti erano maestri nel­l'arte, non solo non ebbero a correggervi nulla, ma si dilettarono anzi assai della loro grazia e della dolcezza delle frequenti citazioni scritturali di cui erano cosparsi - cosa certamente atta a renderli graditi ai teologie alle persone pie.

Possiamo senza esitazione attribuire queste sue qualità ad un particolare dono di grazia. Ma poichè alcune di esse possono riscontrarsi in altri come qualità puramente naturali, e poichè la Scrittura dice: «Fallax est gratia et vana pulchritudo; mit. lier timens Deum ipsa laudabitur: fallace è la grazia e vana è la bellezza; la donna che teme Dio, questa avrà lode » (Prov. XXXI, 30), aggiun­geremo qui ciò che veramente in lei merita di es­sere esaltato.

Era una salda colonna dell'osservanza religiosa, una fermissima propugnatrice della giustizia e della verità, tanto che con ragione si poteva dire di lei ciò che il Libro della Sapienza dice del Gran Sacerdote Simone: «In vita sua suffulsit do. mum et in diebus suis corroboravit templum: durante la sua vita sostenne la casa - sostenne cioè l'osservanza - e ai suoi giorni rafforzò le fon­damenta del Tempio» (1) - intendi il tempio spi­rituale della devozione, in quanto le sue parole e i suoi esempi eccitavano negli altri un più gran­de fervore di pietà.

E ben si può dire anche di lei che ai suoi giorni « emanaverunt putei aquarum: scaturirono delle sorgenti di acqua » (ibid. 3), poichè nessuno ai giorni nostri fece scorrere più di lei fiumi di dot­trina salutare. La sua parola era dolce e pene­trante, il suo linguaggio così eloquente, le sue espressioni così persuasive, efficaci e graziose, che molti, ad udirla, rendevano veramente testimo­nianza, per la compunzione di cuore da cui erano presi e la trasformazione che si operava nella loro volontà, allo Spirito di Dio che parlava per mezzo suo. La parola di Dio infatti è viva ed efficace, più tagliente che una spada a due tagli e penetrante fino a dividere l'anima e lo spirito (Ebr. IV, 12).

Essa ispirava ad alcuni una salutare compun­zione, ad altri dava luce per conoscere Dio e in­sieme la propria miseria, ad alcuni elargiva il con­forto della consolazione spirituale; altri infiammava di più ardente amore di Dio. Molte persone del di fuori, che non l'avevano udita parlare che una sola volta, confessavano di essere state gran­demente consolate dalle sue parole.

Ma per quanto fosse colma di quei doni che possono conciliare la simpatia del mondo, non si deve già credere che quanto narreremo in seguito sia stato semplice effetto delle sue qualità naturali e della vivacità della sua intelligenza, e quasi un frutto della sua immaginazione a cui essa abbia dato forma o di proposito o per innata eloquenza: mai sia! Dobbiamo invece ritenere senza alcuna possibilità di dubbio, che tutto le è stato infuso dal fonte della divina Sapienza per dono gratuito dello Spirito Santo, il quale spira dove vuole, quando vuole, in chi vuole e ciò che vuole, se­condo le circostanze di luogo, di tempo e di per­sona.

(1) [Ma poichè le cose invisibili e spirituali non possono essere apprese dall'intelletto umano se non per via di immagini visibili e corporee, è necessario rivestirle di forme sensibili.

Lo attesta Ugo [da S. Vittore] nel suo Sermone su l'uomo interiore capo 16°: « La divina Scrittura per adattarsi al nostro modo di pensare e per con­discendere all'umana fragilità, descrive le cose in­visibili sotto forma di cose visibili e ne imprime la nozione nella mente per mezzo dell'attraente splendore delle loro immagini. Ed è così che essa parla ora di una terra in cui scorrono latte e miele, ora di fiori e di profumi, ora di canti umani e di gorgheggi di uccelli per descrivere i gaudii e le

armonie celesti. Leggete l'Apocalisse di Giovanni e vi troverete la Gerusalemme celeste adorna di oro, di argento, di perle e di svariate altre gemme, mentre sappiamo che nulla di simile può trovarsi colà dove nulla tuttavia può mancare. Ma ciò che non vi si trova sotto specie sensibili, vi si trova nella sua sostanza spirituale»].

CAPITOLO II. Testimonianze della Grazia

Renda grazie a Dio, datore di ogni bene, tutto ciò che esiste nei cieli e tutto ciò che è compreso nell'ambito della terra e nella profondità degli abissi, e si unisca a quel cantico di lode, eterno, immenso, immutabile che, procedendo dall'amore increato, in questo stesso amore soltanto trova la stia pienezza! Sia benedetta la divina pietà che ha voluto riversare la sovrabbondanza dei suoi flutti nella valle dell'umana debolezza, e che ha degnato posare il suo sguardo su quest'anima, dove per altro nulla poteva attirarlo che non fosse suo pro­prio dono!

La Scrittura dice che sulla parola di due o tre testimoni sarà decisa ogni cosa. Noi che dispo. niamo di molti testimoni non possiamo dunque dubitare che il Signore abbia, fra tante, eletta questa sua creatura onde servirsi di lei come stru­mento per manifestare i segreti della sua miseri­cordia.

Il primo e principale testimonio è Dio, che ha voluto spesso dar compimento alle di lei predizioni e render palese ciò che essa aveva appreso in segreto. Egli ha concesso a molti di sentir l'effetto delle sue preghiere e ha finanche liberato dalla tentazione chi con cuore devoto ed umile lo sup­plicava di farlo per i di lei meriti. Ne addurremo qualche esempio fra i tanti.

Al tempo in cui morì Rodolfo Re dei Romani essa, come tutta la Comunità, pregava per l'ele­zione del suo successore. Nel giorno stesso e, come si ritiene, nel momento preciso in cui questa av. veniva in altra regione, essa ne diede notizia alla Madre del mopastero, aggiungendo che il neo-elet­to sarebbe perito per mano del suo successore; il che di fatto avvenne (1).

Un,'altra volta, quando al nostro monastero so­vrastava imminente per opera di persona disonesta un pericolo che pareva inevitabile, essa, dopo aver pregato, andò a dire alla Madre del mona­stero che per grazia di Dio ogni pericolo era scom­parso. In quel momento sopraggiunse il procura­tore della Corte a confermare che quel tale era stato condannato in giudizio - ciò che essa aveva saputo per rivelazione divina.

Una persona che portava da tempo il peso di una tentazione, fu ammonita in sogno di raccoman­darsi alle preghiere di costei. Essa lo fece devo­tamente e, subito, per i di lei meriti e interces­sione, ebbe la gioia di sentirsene liberata.

Mi par degno di esser riportato anche il fatto seguente. Una persona desiderava comunicarsi, ma essendo stata alcuni giorni prima, durante la Messa, molto molestata da certi pensieri che l'ave­vano già quasi inclinata al consenso, e trovandosi perciò oltremodo turbata, non osava con tale preoccupazione accostarsi alla sacra Mensa. Ispi. rata finalmente, come pare. da Dio, raccolse di nascosto un vile pezzetto di stoffa che aveva visto la serva di Dio strappare dalla sua scarpa e buttar via. Lo applicò con fiducia sul cuore, pregando il Signore che per quell'amore con cui aveva sottratto il cuore della sua diletta ad obi umano affetto e l'aveva riempito di doni per farsene un tempio in cui abitare, ed insieme per i di lei meriti, de­gnasse liberarla dalla sua tentazione. Cosa mira­bile e veramente atta ad ispirar fede e rispetto: non appena ebbe devotamente applicato questo pezzetto di stoffa sul cuore, ogni tentazione car­nale scomparve nè mai più in seguito tornò a mo­lestarla.

Non sembri gran cosa prestar fede a queste me­raviglie, perchè il Signore dice nel Vangelo: « Qui credit in me, opera quae ego facio et ipse faciet, et maiora horum faciet: Chi crede in me farà le opere che io faccio e ne farà anche di maggiori » (Giov. XIV, 12). Se il Signore ha degnato di libe­rare un giorno dalla sua infermità la donna emorroissa che aveva semplicemente toccato l'orlo della sua veste, certamente ha anche potuto, così pia­cendo alla Sua bontà, liberare dalla tentazione. per i meriti della Sua eletta, un'anima per il cui amore s'era degnato di dar la vita.

Questi fatti basteranno a provare la prima te­stimonianza, ma se ne potrebbero addurre altri innumerevoli.

CAPITOLO III. Il secondo testimonio

Una seconda testimonianza del tutto attendibile è il concorde giudizio di molte persone prudenti. Esse affermavano unanimemente che ogni qual volta, a di lei richiesta, avevano pregato il Signore di correggerla di qualche difetto. o di farla progre­dire nelle vie della perfezione, sempre avevano appreso per rivelazione divina che essa era un'e­letta per eccellenza, colmata in modo speciale da Dio di grazie singolari.

Fondata com'era sul solido fondamento dell'umiltà, essa si riconosceva infatti profondamente indegna dei doni' di Dio. La si vedeva perciò a volte consultare altre persone, che stimava più favorite di sè, per conoscere se tutto ciò che av­veniva nell'anima sua era veramente opera del Signore. E queste, spesso illuminate direttamente da Dio, affermavano che. non solo le grazie di cui essa aveva loro parlato, ma anche altri favori in­signi, erano veramente doni con cui Egli aveva voluto esaltarla.

Una persona che aveva molta esperienza di ri­velazioni soprannaturali. venne da un lontano paese al nostro monastero, attirata dalla sua ripu­tazione (1). Poichè essa non conosceva alcuna dí noi, pregò istantemente il Signore di metterla in comunicazione con una religiosa che, col divino aiuto, potesse giovare al suo progresso spirituale. Il Signore rispose: « Colei che verrà per prima

a sedersi qui vicino a te, è veramente la mia fede­lissima sposa e la mia eletta ». Per una coincidenza mirabile la nostra venne appunto a sedersi per prima vicino a lei; ma poichè volle tenersi tutta nascosta nella sua umiltà, quella, credendosi in­gannata, se ne lagnò col Signore con rammarico e lagrime. Ma Egli le confermò che quella era ap­punto la fedelissima sposa di cui le aveva parlato.

Quella persona ebbe dopo un colloquio anche con Domina Metilde, la nostra Domina Cantrix di felice memoria (l.), e, rapita dai suoi discorsi tutti pieni della dolcezza dello Spirito Santo, domandò al Signore come mai esaltasse quella sua sposa al di sopra di tutte le altre e sembrasse trascurare questa. Il Signore rispose: « Io opero in questa grandi cose, ma quelle che opero ed opererò ancora in quell'altra son di gran lunga più grandi ».

Un'altra persona pregava un giorno per costei e pensando fra sè al tenerissimo amore che il Si­gnore le dimostrava, gli disse tutta ammirata: « O Dio che sei tutto amore, che cosa vedi mai in que­st'anima perchè tu abbia ad esaltarla in tal modo e a disporre con tanta dolcezza il tuo cuore in suo favore? ». Il Signore rispose: « Mi attira verso di lei un amore gratuito, e questo stesso amore mi ha indotto a porre e conservare nella sua anima, per un dono speciale, cinque virtù in cui trovo le mie delizie: una purità vera che è effetto della continua effusione della mia grazia in lei - una vera umiltà di fronte ai tanti e così grandi doni di cui la colmo; più grandi infatti sono le cose che opero in lei e più essa, riconoscendo la propria fragilità, si sprofonda nell'abisso della sua bassezza - una vera bontà che la spinge a desiderare a mia gloria il bene di tutti - una fedeltà vera per la quale, a mio onore, offre con tutto il cuore tutto ciò che ha per la salvezza del mondo intero - e infine una vera carità che porta ad amarmi con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze e ad amare il prossimo come se stessa per amar mio (Luca X, 27).

Dopo queste parole il Signore mostrò a questa persona uno splendido gioiello che, a foggia di un trifoglío di meravigliosa fattura. gli ornava il petto, e disse: « Io porterò sempre questo gioiello a onor della mia sposa e le sue tre foglie faran compren­dere tre cose a tutta la corte del cielo. La prima foglia renderà manifesto che essa è veramente proxima mea; (Cant.) nessun uomo vivente mi è infatti più prossimo di questa sposa diletta per la purezza della sua intenzione e la rettitudine della sua volontà. La seconda farà capire che non c'è sulla terra un'altr'anima verso la quale io mi senta così dolcemente attirato. La terza infine mostrerà in modo luminoso che nessuno al mondo la ugua­glia nella fedeltà, perchè essa rivolge a mio onore e gloria tutti i doni di cui la ricolmo ». E aggiunse: «Dopo il Sacramento dell'altare non c'è luogo sulla terra in cui io ami dimorare come nel cuore di quest'anima amante verso la quale converge, in anodo mirabile, tutta la compiacenza del mio cuore divino ».

Un giorno essa si era umilmente raccomandata alle preghiere di un tale e questi, nell'orazione, ricevette dal Signore la seguente risposta: « Io son tutto suo perchè mi son dato con pienezza di gau­dio alla sua tenerezza. L'amore della mia divinità

l'ha unita a me inseparabilmente come il fuoco fonde l'oro con l'argento per formare l'elettro» (1). « Oh, Signore dilettissimo », disse allora quella persona, « e che fai dunque con lei?» Egli rispose: « Il suo cuore pulsa all'unisono col mio e ciò mi progura un gaudio senza pari. Tuttavia io contengo il battito del mio cuore fino al momento della sua morte; in quèll'istante essa ne sperimenterà i tre mirabili effetti: il primo sarà la gloria a cui Dio Padre la chiamerà; il secondo il gaudio che io proverò nell'accoglierla; il terzo l'amore con cui lo Spirito Santo ci unirà ».

Alla stessa persona, mentre un'altra volta stava pregando con lei, fu data questa risposta: « Essa è per me una colomba senza fiele, perchè come fiele detesta ogni peccato. E' un giglio che mi com­piaccio di portare in mano, perchè è mia suprema delizia il trattenermi in un'anima pura e casta. E' una rosa profumatissima, per la pazienza e la fe­deltà che dimostra nel render grazie nelle cose avverse. E' come un fiore di primavera in cui il mio sguardo si compiace di riposare perchè vede in lei il desiderio e lo sforzo di tendere alla virtù e alla pienezza della perfezione. E' come un dolce tintinnio che io sento risuonare intorno al mio capo, perchè le sofferenze che essa sopporta sono come altrettante campanelle d'oro sospese al mio diadema, il cui suono diletta tutti gli abitanti del cielo ».

Essa faceva un giorno in presenza della comu­nità la lettura prescritta prima di rompere il di­giuno e, mentre essa con particolare forza sotto­lineava queste parole: bisogna amare il Signore con tutto il cuore, tutta l'anima, tutte le forze, una sua consorella, profondamente commossa, disse al Signore: « Ah, mio Dio, quanto deve amarti que­st'anima che pronuncia con tanto affetto queste parole? ». Il Signore le rispose: « Fin dalla sua infanzia io l'ho come portata e cresciuta fra le mie braccia, conservandola immacolata fino al momento in cui essa spontaneamente si unì a me con tutta la forza della sua volontà. E allora a mia volta mi son dato tutto a lei con la mia virtù divina. L'ardore del suo amore liquefà per così dire l'intimo dell'anima mia e, come unguento che si scioglie vicino al fuoco, la dolcezza del mio 'cuo­re, fusa dal fuoco di questo amore, stilla goccia a goccia nell'anima sua ». E soggiunse: « La mia anima tanto si compiace in lei che spesso, offeso da altri, mi chino dolcemente su di lei, permet. tendo che essa abbia a soffrire qualche pena di corpo o di spirito. Ed essa, accettandola in unione alla mia passione, la riceve con tanta gratitudine e la sopporta con tanta pazienza ed umiltà che, pla­cato dal suo amore, io subito perdono ad innume­revoli anime ».

Un'altra volta una persona, a di lei richiesta, pregava il Signore di volerla emendare di certi di­fetti e ricevette questa risposta: « Ciò che la mia diletta considera come un difetto è piuttosto per lei l'occasione di un profitto, perchè essa potrebbe a mala pena sottrarsi al vento della vanagloria se ciò che la mia grazia opera in lei non fosse, in qualche modo, velato da apparenze difettose. Come un campo concimato rende assai di più, così essa per la conoscenza della propria imperfezione porta frutti di grazia più squisiti». E aggiunse ancora: «Per ciascuno dei suoi difetti io le ho concesso un dono tale da compensare del tutto quel difetto agli occhi miei. Quando col progredire degli anni avrò cambiato questi difetti in virtù, allora la sua anima risplenderà di una luce fulgidissima».

E questo basti per la seconda testimonianza: a suo luogo ne addurremo altre.

CAPITOLO IV. Il terzo testimonio

Il terzo testimonio, e di peso anche maggiore del precedente, è la sua stessa vita.

Essa cercava, così nelle azioni come nelle pa. role, la sola gloria di Dio, e non solo la cercava., ma la perseguiva con tanto ardore da non tenere alcun conto, in questa ricerca, nè del proprio ono. re, nè della propria vita, nè, in certo senso, della stessa anima sua. A questo testimonio è ben giusto che si debba prestar fede, se il Signore dice nel Vangelo di Giovanni: « Qui quaerit gloriam ejus qui misit illum., ille verax est, et injustitia in illo non est: Chi cerca la gloria di colui che l'ha man. dato è degno di fede e in lui non c'è ingiustizia » (Giov. VII, 18). Oh, beata quest'anima la cui vita viene approvata dalle parole stesse del Vangelo! Veramente si possono a lei applicare quelle parole della Sapienza: « Justus quasi leo cori fidit : il giu. sto ha l'arditezza del leone » (Prov. XXVIII, I), perchè per il desiderio che aveva della lode di Dio si applicava con tanta fermezza a sostenere in ogni cosa i diritti della verità e della giustizia da non tenere in alcun conto le spiacevoli conseguenze che gliene potessero venire, purchè tutto tornasse a gloria del suo Signore.

Si applicava di continuo a raccogliere e a tra­scrivere tutto ciò che pensava poter riuscire utile al prossimo; e ciò al solo fine di dar lode a Dio, perchè non cercava mai i ringraziamenti, ma sol­tanto il bene delle anime. Comunicava questi suoi scritti a coloro che potevano trarne maggior pro­fitto, e se veniva a sapere che in qualche luogo i manoscritti della Sacra Scrittura difettavano più che altrove, si affrettava, nell'intento di guadagnar tutte le anime a Cristo, a procurare con la mag­gior liberalità possibile quelli che riteneva più utili. Considerava, più che una fatica, una gioia l'interrompere a tale intento il sonno o il riposo, il ritardare il cibo e il trascurare ogni sua perso­nale comodità.

Nè si contentava di ciò, perchè interrompeva spesso anche la dolcezza della contemplazione quando poteva richiederlo la necessità di portare aiuto a qualcuno che fosse tentato, o di consolare una persona afflitta, o di soccorrere altri con un atto di carità. Come il ferro messo nel fuoco di­venta fuoco a sua volta, così essa, accesa dalla carità divina, era diventata tutta carità e non de­siderava più che il bene di tutti.

Nessuno, per quanto noi sappiamo, ebbe ai nostri giorni con la divina Maestà tanti e così frequenti colloqui come lei, tuttavia da questi non traeva che maggior incentivo alla sua umiltà. Era perciò solita dire che tutti i favori che, indegna e ingrata com'era, riceveva gratuitamente dall'im­mensa bontà del Signore, fino a tanto che li con­servava per sè sola, le sembravano, a motivo della sua indegnità, come nascosti nel letame, mentre quando li comunicava ad altri le parevano gemme incastonate nell'oro.

Riteneva tutti superiori a sè, e pensava che gli altri, per la innocenza e la dignità della loro vita, potessero con un solo pensiero render maggior gloria a Dio di quanto potesse rendergliene lei applicandovisi con tutte le forze, e ciò a causa della sua indegnità e di tutte le sue negligenze. Solo questo motivo potè indurla a comunicare agli altri i doni di cui Dio la favoriva; se ne giudicava infatti tanto indegna da non poter credere che le fossero stati concessi per sè sola, bensì piuttosto per il bene degli altri.

CAPITOLO V. Gli ornamenti ili un cielo spirituale

Se due o tre testimoni, come già abbiamo ricor­dato, bastano per confermare qualsivoglia asser­zione, tanto più si dovrà prestar fede alla verità quando i testimoni sono tanti e così attendibili. L'incredulo dovrebbe piuttosto arrossire perchè, non avendo meritato nulla di simile per sè, tra­scura poi di far suo, col rallegrarsene, ciò che la divina liberalità ha degnato operare nella sua eletta. Fu essa infatti senza dubbio una delle elette del Signore, anzi una di quelle anime beate di cui S. Bernardo dice nei Sermoni sul Cantico dei Can­tici (1). « Io penso che l'anima in grazia non solo è celeste per la sua origine., ma può essa stessa venir giustamente chiamata cielo per ragione di rassomiglianza, poichè la sua vitae tutta nelle cose del cielo». Di tali anime è detto: «L'anima del giusto è sede della Sapienza ». E ancora: « Carlum mihi sedes est: Il cielo è la mia dimora » (Is. LXVI, I). Poichè Dio è spirito, penso che anche la sede di Dio debba essere spirituale. e mi confer­mano in questo pensiero le parole di Colui che è la stessa verità: « Ad eum veniemus et mansionem apud eum faciemus: Verremo a lui. cioè all'uomo giusto, e porremo in lui la nostra dimora » (Giov. XIV, 23). Anche il Profeta non doveva parlare di un cielo diverso quando diceva: « Tu autem in sancto habitas, laus Israel: Tu risiedi nel santua­rio, o lode di Israele » (Sal. XXI, 4). E l'Apostolo dichiara che Cristo abita nei nostri cuori per la fede (Ef. 111, 17).

Ah, ben da lontano sospiro verso quei beati di cui è detto: « Et habitabo in eis, et deambulabo in illis: Abiterò e camminerò in mezzo a loro » (II Cor. VI, 16). Quanto è grande e quanto ricca di merito l'anima che in sé racchiude la divina potenza, che è stata giudicata degna di acco­glierla in sè e capace di dilatarsi perchè possa trattenervisi e compiere le opere sue. Si è dilatata fino a diventare il tempio santo del Signore; si è dilatata, dico, nella carità, poichè la carità è la misura dell'anima. Essa è dunque un cielo in cui l'intelletto è sole, luna la fede, stelle le virtù; op­pure sole la giustizia, cioè l'ardore di un'accesa carità, e luna la continenza. Qual meraviglia che il Signore Gesù si compiaccia di abitare in questo cielo? Egli non si contentò di crearlo, come gli altri, con una parola, ma combattè per conqui­starlo e morì per riscattarlo. E, al colmo dei suoi voti, dopo sì faticosa conquista esclama: «. Haec requies mea in saeculum saeculi; hic habitabo ecc.: Ecco il luogo del mio riposo, qui dimorerò per sempre ecc. » (Salm. CXXXI, 14). Così Bernardo.

Per provare nella misura delle mie deboli forze che costei è veramente, come abbiamo detto, una di quelle anime beate che, secondo l'asserzione di S. Bernardo, Dio preferisce come sua dimora al cielo materiale, dirò a sua lode quanto nel giro di parecchi anni una spirituale amicizia mi ha permesso di scoprire in lei.

San Bernardo dice che un cielo spirituale, e cioè l'anima in grazia nella quale il Signore degna di abitare, deve avere per ornamento a guisa di sole, di luna e di stelle, lo splendore delle virtù. Dirò dunque brevemente, come saprò, quali siano le virtù che in lei particolarmente rifulsero e non si dubiterà che il Signore abbia abitato nell'intimo di un'anima che egli tanto mirabilmente ha ornata al di fuori con lo splendore di così sfolgorante luce.

CAPITOLO VI. La sua ferma giustizia

La giustizia, cioè quel fuoco di accesa carità che S. Bernardo nel passo citato chiama il sole dell'anima, ardeva in lei con tanta forza che, per difenderla, si sarebbe gettata, se fosse stato neces­sario, contro mille schiere di armati. Non avrebbe consentito a difendere con una sola parola il più caro dei suoi amici contro il suo proprio mortale nemico se avesse dovuto, per farlo, allontanarsi minimamente dalla via della giustizia; chè anzi avrebbe preferito, ove la ragione lo richiedesse, lasciar condannare la propria madre piuttosto che assentire a cosa ingiusta a danno di un nemico per quanto terribile.

Ogni qualvolta si presentava l'occasione di dire una parola buona a qualcuno, mettendo da parte la modestia (virtù che pure in lei riluceva sopra ogni altra) e ogni rispetto umano, solo confidando in Colui al cui servizio avrebbe voluto sottomet­tere, nell'ardore della sua fede, il mondo intero, sapeva trarre dalle profondità del cuore delle pa­role ispirate da tanta affettuosa dedizione e così piene di sapienza soprannaturale, che nessuno in cui rimanesse una qualche scintilla di pietà. per quanto duro e perverso fosse, poteva difendersi, nell'ascoltarla, da un senso di profonda compun­zione e dal concepire almeno la volontà o il desi­derio di correggersi.

Quando poi si accorgeva di aver indotto qual. cuno a sensi di compunzione, si chinava per così dire su di lui con la compassione più viva e, tratta dalla più tenera carità, cercava, nell'effusione del suo cuore, di consolarlo in ogni maniera, non tanto con le parole quanto piuttosto pregando per lui il Signore col desiderio più ardente. Nelle parole in­fatti fu sempre molto cauta, quasi temesse, atti­rando a sè un'anima, di distoglierla in qualche misura da Dio.

Respingeva perciò quasi fosse veleno ogni ami. cízia che non avesse, per quanto poteva rendersene conto, il suo fondamento in Dio, nè potè mai udire senza provarne la più viva sofferenza anche una sola parola di simpatia da parte di chi le dimo. strasse un affetto un po' troppo naturale. Non ac­cettava mai da tali persone alcun servizio, per quanto necessario le fosse, preferendo di gran lun­ga la privazione di ogni aiuto e sussidio umano, al pericolo che alcuno si attaccasse a lei in modo disordinato.

CAPITOLO VII. Il suo zelo per la salvezza delle anime

Di quale zelo per le anime e di quale amore per l'osservanza regolare fosse accesa la sua anima lo dimostravano così le sue azioni come le sue pa­

role. Quando vedeva nel prossimo un qualche di­fetto desiderava correggerlo, e, se non riusciva nel suo intento, tanto se ne affliggeva che non si dava pace finchè non avesse ottenuto, sia per mezzo delle preghiere che rivolgeva al Signore, sia per mezzo di esortazioni dirette o indirette, un qual­che emendamento.

E se qualcuno, come talvolta accade, nell'in­tento di consolarla le diceva di non affliggersi se una persona non si correggeva perchè alla fin fine ne avrebbe essa sola scontata la pena, ne risentiva un tale dolore da sembrare che una spada le tra­passasse l'anima, e diceva di voler piuttosto mo­rire che darsi pace di un difetto di cui l'incolpato avrebbe avvertito la gravità solo quando ne stesse scontando l'eterna pena.

Sempre per spirito di zelo, si adoprava a tra­scrivere in un latino più facile certi passi della Sacra Scrittura che riuscivano troppo difficili alle consorelle meno dotate, affinchè potessero anch'esse trarne qualche profitto. E così, a gloria di Dio e per il bene delle anime, passava la sua vita a riassumere da mattina a sera lunghe pagine della Sacra Scrittura o a spiegarne i passi difficili.

Beda ci fa comprendere di quanto merito sia questa, occupazione quando dice: «Ci può essere grazia più sublime o vita più gradita a Dio di quella che si applica, con sforzo quotidiano, a ricondurre gli uomini verso il loro Creatore e ad accrescere il gaudio dei beati con la conquista di nuove altre anime? » (1). Dice S. Bernardo: « E' proprio della vera e pura contemplazione il susci­tare nell'anima che ha infiammata di fuoco divino tale un desiderio di condurre a Dio altri che lo amino nello stesso modo, da indurla a lasciare con gaudio il riposo della contemplazione per lo zelo della predicazione, per farla poi ritornare in se stessa, ottenuto il suo intento con tanto maggiore ardore quanto maggiore sarà stato il frutto di que­sta interruzione» (2).

Se dunque, a testimonianza di S. Gregorio (3), non c'è sacrificio di maggior merito davanti a Dio dello zelo per le anime, non c'è da stupire che N. Signore degnasse riposare con tanta compiacenza su questo altare da cui s'inalzava così spesso il soavissimo odore di detto sacrificio.

Una volta N. Signore le apparve in piedi, bello più di tutti i figli degli uomini, nell'atto di reg. gere sulle sue regali e delicate spalle un grande edificio che sembrava prossimo a cadere. Egli le disse: «Vedi come mi sforzo di reggere l'edificio a me carissimo della vita religiosa? Esso in quasi tutto il mondo minaccia rovina., perchè pochissimi sono quelli che vogliono fedelmente adoprarsi a difenderlo e promuoverlo o a soffrire almeno qual­cosa per sostenerlo. Guardami, o mia diletta, e abbi compassione della mia fatica». E aggiunse ancora: « Tutti coloro che con la parola o con i fatti promuovono la vita religiosa, sono come al­trettante colonne che vengono ad aggiungersi a sostegno dell'edificio, e mi sollevano in qualche mi­sura del mio peso ».

Essa allora commossa fin nell'intimo dell'anima ed incitata da queste parole ad una più ardente compassione per il suo diletto Signore, volle darsi in tutti i modi possibili a promuovere lo spirito religioso, applicandosi insieme, e talvolta al di là delle proprie forze, ad osservare la regola in tutto il suo rigore per dare il buon esempio.

Aveva trascorso qualche tempo nel fedele com­pimento di questa missione, quando il Signore, non sopportando nella sua bontà che la sua diletta si affaticasse oltre, volle attirarla internamente a sè nella pace più dolce della contemplazione - della quale tuttavia, per sua grazia, non era stata defraudata neppure nel periodo della sua attività. Le fece dunque sapere per mezzo di diverse per­sone iniziate alla sua intimità, di cessare da tale fatica, e di dedicarsi tutta da allora in poi al suo solo Diletto.

Essa, accogliendo ben volentieri quest'invito, si abbandonò allora con avida prontezza al riposo della contemplazione, unicamente intenta nelle più intime profondità dell'anima a Colui che a sua volta essa sentiva tutto dato a sè per una mirabile effusione di grazia.

Mi piace riportare qui le parole che una pia persona le scrisse in seguito a una rivelazione del Signore: « O fedele Sposa di Cristo, entra nel gau­dio del tuo Signore, poichè il suo Cuore ti ama con tale indicibile dolcezza di amore per la fedeltà con cui ti addossasti tante fatiche in difesa della verità, che, a suo e tuo gaudio, desidera vederti riposare all'ombra tranquilla della sua consola­zione. Come infatti un albero dalle profonde radici piantato in prossimità dell'acqua dà frutti abbondanti, così tu con l'aiuto della grazia di Dio offrirai con ogni tuo pensiero, ogni tua parola, ogni tua azione, frutti soavissimi al tuo Diletto. Nè la tua anima inaridirà al vento infocato della persecu­zione, perchè sarà di continuo irrorata dal tor­rente inondante della grazia di Dio. Per il fatto stesso che in tutte le tue azioni non cerchi la tua propria lode ma solo quella di Dio, porterai al tuo Diletto frutti cento volte più abbondanti di quelli che Gli procureresti col bene che vorresti compiere tu stessa o promuovere negli altri. Inol­tre lo stesso Signore Gesù supplirà davanti a Dio Padre ad ogni difetto che ti rammarichi di trovare in te stessa o nel prossimo, e ti ricompenserà un giorno come se di ognuno tu avessi riportato per­fetta vittoria. E di ciò esultano tutte le schiere celesti, unendosi al tuo gaudio., e con azioni di grazia lodano per te il Signore ».

CAPITOLO VIII. La sua tenera carità

Allo zelo della giustizia.. di cui già abbiam parlato, si univa in lei una carità piena di com­passione.

Quando vedeva qualcuno soffrire, o veniva a sapere che altri, anche lontano, si trovava sotto il peso di qualche afflizione, subito si adoprava in ogni modo a sollevarlo o a rianimarlo coi suoi scritti. E lo faceva con tanto affetto da desiderare che il Signore da un'ora all'altra consolasse quanti sapeva gravati da una pena, proprio come un ma­lato in preda a una forte febbre spera di giorno in

giorno di esser liberato o sollevato dalla sua in­fermità. Non solo poi provava compassione per gli uomini, ma la sentiva. anche per gli esseri ir­ragionevoli, tanto che se vedeva un uccellino o un animale qualunque soffrire la fame, la sete o il freddo era presa da pietà per questa creatura del suo Signore. E subito, in considerazione della no­biltà e della perfezione che ogni essere ha in Dio. offriva al Signore la sofferenza di quella sua crea. tura. col desiderio che Egli, mosso a pietà di un essere a cui aveva dato la vita, lo sollevasse nella sua necessità.

CAPITOLO IX. La sua ammirabile castità

Anche la castità, che S. Bernardo chiama la luna del cielo spirituale, brillò in lei di splendida luce.

Era solita affermare di non aver mai, in tutta la sua vita, fissato lo sguardo in viso ad un uomo in modo da poterne ricordare i lineamenti. E lo potevano attestare con lei quanti la conoscevano. Per quanto riconosciuta fosse la santità di colui al quale parlava, per quanto fosse a lei le­ga,to di amicizia, per quanto il colloquio si pro­lungasse, sempre se ne allontanò senza avergli, si può dire, alzato gli occhi in viso.

Questo splendore di castità non solo si mani­festava nel suo sguardo, ma anche nel suo modo di parlare, di ascoltare, di muoversi, tanto che le consorelle che la trattavano più da vicino solevano dire qualche volta scherzando che, per la sua purità di cuore, avrebbero potuto metterla sull'altare insieme alle reliquie.

Ciò non deve recare meraviglia, perchè io non ho mai conosciuto altri che mettesse come lei tutto il suo piacere nella Sacra Scrittura e per conse­guenza in Dio - il che è certo il mezzo migliore per conservare la castità. S. Gregorio dice che a chi ha gustato le cose dello spirito, tutto ciò che è carnale diventa insipido (1). E S. Gerolamo: « Ama le sacre Lettere e non amerai i vizi della carne » (2). Se altro dunque non lo avesse attestato il fatto solo di amare la S. Scrittura sarebbe già stato evidentissimo indizio della castità che in essa splendeva.

Quando le accadeva di imbattersi, nella S. Scrittura, in un passo che potesse in qualche modo richiamare alla mente alcunchè di sensuale per un senso di verginale pudore cercava, senza farsi ac­corgere, di saltarlo, o, se non poteva, almeno passava avanti in fretta come se non capisse: ma il delicato rossore che si diffondeva allora sulle sue guance tradiva il suo disagio interiore. Se poi qualcuna delle meno penetranti la interrogava in proposito. soleva eludere la domanda con tale senso di confusione da far pensare che una pugna­lata le avrebbe cagionato minor sofferenza di un simile discorso. D'altra parte quando riteneva che il bene di un'anima lo richiedesse, vinceva la sua ripugnanza, e senza esitare dava le spiegazioni che giudicava opportune.

Una volta intrattenne un vecchio amico, per­sona piena di esperienza, sulla sua affettuosa fami­liarità col Signore, ed egli, ammirando la purità del suo cuore, ebbe più tardi ad attestare di non aver mai conosciuto alcuno più alieno di questa creatura da ogni emozione del senso. E per aver rilevato in lei questo solo dono di Dio, prescin. dendo dalle altre virtù, affermava di non stupirsi che Egli l'avesse scelta fra tutte per manifestarle i suoi segreti. Non ha Egli detto nel Vangelo: «Beati mundi corde, quoniain ipsi Deum videbunt Beati i puri di cuore perchè vedranno Dio? » (Mt. V, 8). Dice S. Agostino: « Dio non si vede con gli occhi del corpo, ma con quelli del cuore » (1). Come la luce del sole, dice altrove, non può esser percepita che da un occhio sano, così Dio non può essere veduto che da un cuore puro che la co­scienza del peccato non rimorda, ma sia veramente il tempio santo di Dio.

Mi piace ancora aggiungere, a testimonianza di questa sua virtù, quanto ho appreso da una persona degna di fede. Questa desiderava che íl Signore per mezzo suo mandasse a dire qualcosa alla sua eletta - quella di cui parliamo. Il Signore le ri­spose: « Dille da parte mia: Bella e rigogliosa! ». Non comprendendo il significato di queste parole essa ripetè la sua domanda una seconda e una terza volta, e sempre ricevette la stessa risposta. Allora molto stupita disse: « 0 Dio pieno d'i amore. fammi comprendere questa tua parola». E il Si­gnore: «Dì alla mia diletta che cerchi di piacermi con lo splendore della bellezza interiore, aflìnchè la luce della mia purezza e della mia immutabile divinità sempre si rifletta con incomparabile ful­gore nell'anima sua. E così pure che si applichi a piacermi con la particolare attrattiva delle sue virtù, affinchè la linfa inebriante della mia Uma­nità deificata scorra con incorruttibile vigore in tutte le sue opere ».

CAPITOLO X. Quanto rifulgesse in Gertrude il dono della fiducia.

Potremmo confermare con straordinarie prove di quanta luce rifulse in lei, non dico la virtù, ma piuttosto il dono della fiducia.

La sua coscienza era così tranquilla che nè tri. bolazione, nè perdita, nè difficoltà alcuna, nè le stesse sue colpe riuscivano a turbare minimamente la sua sicura confidenza nella misericordia di Dio. E neppure si turbava se il Signore le sottraeva la solita sua grazia: al punto da parere che le fosse quasi indifferente l'averla o il non averla. In realtà nella prova essa attingeva la sua forza dalla spe­ranza, certa com'era che tutto - si tratti di circostanze esterne o di stati di animo - coopera al nostro bene. Colpe si aspetta pieni di speranza il messaggero che deve portarci una notizia a lungo sospirata, così essa aspettava con gioia la nuova e più abbondante consolazione divina a cui confi. dava di esser stata preparata dalla precedente av. versità.

Non la si vedeva mai depressa e scoraggiata per i suoi difetti, che anzi con la grazia divina, subito si rialzava preparata a nuovi inaspettati favori.

Anche quando le pareva di essere, come diceva, tutta nera come un carbone spento, non appena con l'aiuto divino si sforzava di sollevare l'anima a Dio, quasi nell'atto stesso si ritrovava arricchita di nuove grazie che accrescevano in lei la rasso­miglianza divina. Come chi, passando ad un tratto dalle tenebre al sole, si trova subitamente inondato di luce, così essa si sentiva penetrata dallo splen­dore della divina presenza che plasmava ed abbel­liva l'anima sua, ornandola di quell'aurea veste ricamata di cui conviene che la Resina sia adorna per presentarsi al cospetto del Re 'immortale dei secoli.

Così essa veniva preparata all'intimità dell'u­nione divina.

Si era fatta una regola di correre spesso a get­tarsi ai piedi del Signore per essere da Lui mon­data di quelle macchie che sono inevitabili in ogni vita umana. Ma quando riceveva come abbiamo visto una più abbondante effusione della divina grazia, tralasciava di farlo. e si abbandonava piut­tosto al beneplacito divino quasi per divenire nelle sue mani docile strumento di tutto ciò che l'amore di Dio voleva operare in lei e per lei. E non esitava allora a trattare con una santa libertà col Dio del­l'universo.

Per questa sua fiducia era poi favorita da tanta abbondanza di grazia riguardo alla S. Comunione, che nessuna cosa che leggesse o udisse sul pericolo di ricevere indegnamente il Corpo del Signore poteva trattenerla dall'accostarsi a questo sacra­mento, tanta era la sua fiducia nella misericordia di Dio. E riteneva di così poco o nessun valore gli sforzi che poteva fare al riguardo che, qualora avesse dimenticato di recitare le solite preghiere di preparazione, non per questo si asteneva dal comunicarsi, fermamente persuasa com'era che tutti gli sforzi dell'uomo di fronte a cTuesto incomparabile e gratuito dono di Dio, sono come una goccia d'acqua di fronte all'immensità dell'oceano. Non vedendo modo di prepararsi degnamente, metteva tutta la sua fiducia nella indefettibile li­beralità divina e per tutta preparazione si appli­cava a ricevere questo sacramento con pure zza di cuore e con devozione piena d'amore. Attribuiva poi alla sola fiducia in Dio tutto il bene spirituale che ne ricavava; bene che essa riteneva tanto più gratuito in quanto questo dono di fiducia le era stato accordata dall'Autore di ogni grazia senza alcun merito da parte sua.

Sempre per questa sua confidenza in Dio spesso desiderava la morte, ma in perfetta conformità con la volontà divina, così da accettare con indif­ferenza di vivere o di morire, poichè dalla morte sperava la beatitudine eterna e dalla vita l'accre­scimento della gloria di Dio.

Le accadde un giorno, camminando, di inciam­pare malamente in un rialzo del terreno. Subito, esultando di gioia, disse al Signore: « Che fortuna, dilettissimo Signore, se questa caduta mi fosse stata causa di venire subito a Te! ». E chiedendole noi, un po' stupite, se non temeva di morire senza i sacramenti della Chiesa, rispose: « Io desidero certo con tutto il cuore di ricevere prima i sacra­menti, tuttavia la volontà e la disposizione del mio Signore mi sembrano essere la migliore e più sa­lutare preparazione. Perciò in qualunque modo gli piaccia chiamarmi, sia la mia morte subitanea o sia prevista, io andrò a lui piena di gioia, certa che la sua misericordia non mi mancherà. Se que­sta poi mi mancasse, non potrei in alcun modo sal­varmi, nè morendo di morte improvvisa, nè mo­rendo di morte da lungo tempo preveduta ».

Conservava questa stessa disposizione d'animo in tutti gli avvenimenti. La sua anima era conti­nuamente rivolta a Dio con costante fermezza, tanto che si sarebbe in verità potuto dire di lei: « Qui confidit in Deo f ortis est ut leo : Chi confida in Dio ha la forza del leone » (Prov. XXVIII, I).

Il Signore stesso degnò di rendere a questa sua virtù la seguente testimonianza. Un giorno una persona pregava il Signore e si stupiva di non ri­

cevere risposta. Il Signore finalmente le disse:« Ho differito fino ad ora di risponderti su quanto desi­deri perchè non hai fiducia in ciò che la mia gra­tuita misericordia opera in te. La mia diletta invece, radicata nella confidenza, in ogni cosa conta sulla mia bontà e perciò non le nego nulla di quanto desidera».

CAPITOLO XI. La virtù dell'umiltà, e con essa molte altre virtù, brillavano in lei come altrettante stelle

Fra le virtù di cui il Signore, per stabilire in lei la sua dimora, l'aveva ornata come di altret­tante stelle, splendeva sovra ogni altra l'umiltà, che contiene in sè ogni grazia e custodisce ogni virtù. Essa si riteneva infatti tanto indegna dei doni di Dio da non potersi indurre a riceverli a suo solo profitto: si considerava piuttosto come un canale attraverso il quale, per una misteriosa di­sposizione, Dib comunicava la grazia ai suoi eletti. Essa se ne considerava per conto suo non soltanto indegna ma indegnissima, e riteneva che il solo frutto che portavano in lei questi doni era quel po' di fatica con cui si applicava a trasmetterli

agli altri con la parola o con gli scritti. Questo faceva con tanto amore per Dio e tanta umiltà nei propri riguardi che spesso pensava: « Se an­che dopo tutta questa fatica dovrò andare a bru­ciare nell'inferno, come merito, mi rallegro tutta­via che il Signore abbia a raccogliere in altri il frutto dei Suoi doni».

Le pareva che a chiunque altro, per vile che fosse, essi sarebbero stati meglio affidati che a lei e pertanto era sempre pronta a riceverli per spen­derli a utilità dei prossimi come se le fossero stati concessi sopratutto per loro.

Si giudicava alla luce della verità, e si consi­derava perciò come l'ultima di coloro dei quali il Profeta dice: «Omnes gentes quasi non sint, sic sunt coram eo: Tutte le nazioni sono davanti a lui come se non fossero » (Is. XL, 17). E più giù: « Quasi pulvis exiguus: Come un po' di pol­vere ». Come infatti un po' di polvere nascosta sotto una penna o un oggetto consimile si sottrae per quest'esile ombra ai raggi del sole, così essa cercava in qualche modo di nascondersi per sot­trarsi alla luce che doni così sublimi potevano get­tare su di lei. Essa ne faceva risalire la gloria a Colui che previene con le sue aspirazioni quelli che elegge e sostiene con la sua grazia quelli che giustifica, e non riferiva a sè che la colpa di essersi dimostrata ingrata e indegna di doni così gratuiti.

Non poteva però fare a meno di rilevare la bontà di Dio a suo riguardo poichè: «Non con­viene, diceva, che Dio sia defraudato del frutto che altri potrà far portare a questi doni concessi a me vilissima prevaricatrice ».

Una volta, mentre camminava per la strada, con profondo disprezzo di sè disse al Signore: « Il più grande dei tuoi miracoli, o Signore, è certamente quello che la terra non rifiuti di sostenere una miserabile peccatrice come me ». Il Signore. che esalta coloro che si umiliano, commosso da queste parole degnò dirle con bontà: « Ben volen. tieri la terra ti porta, dal momento che l'immen­sità del cielo attende, esultando, l'ora giocondis­sima in cui potrà accoglierti in sè! ». O dolcezza mirabile della degnazione divina che sublima a più alto onore chi più si umilia nel considerare la propria indegnità!

Essa disprezzava a tal punto la vanagloria che, se gliene veniva qualche pensiero mentre pregava o faceva qualche opera buona, lo accoglieva con grande libertà, dicendosi: «Ebbene, se qualcuno vedendo la tua opera sarà tratto ad imitarla, il Si­gnore raccoglierà da me almeno questo frutto di gloria! ».

Qualunque opera stesse compiendo, le pareva infatti di non avere, nella Chiesa di Dio, maggior importanza di quella che può avere in un campo uno spaventa-passeri, il quale non serve ad altro che a tener lontano gli uccelli e a custodire i frutti nel tempo della raccolta.

Rifulse in lei anche un grande fervore di pietà e una grande dolcezza di devozione spirituale: lo attestano tutti i suoi scritti, e il Signore stesso, che scruta i nostri cuori, degnò rendergliene la seguente testimonianza. Un uomo di grande pietà, pervaso un giorno mentre pregava da un grande senso di devozione, sentì dirsi dal Signore: c Sappi che con la soavità di cui tu godi in questo mo. mento, io visito spessissimo l'anima della mia elet­ta, in cui ho degnato stabilire la mia dimora».

Era del resto evidente che gustava nel Signore una mirabile gioia, perchè i fugaci piaceri della terra non le cagionavano altro che incredibile fa­stidio. San Gregorio dice infatti che « a chi lisa gustato le gioie dello spirito tutto ciò che sa di terreno viene a noia »; e S. Bernardo aggiunge che « a chi ama Dio torna di fastidio tutto ciò che gli impedisce di stare con Colui che è l'unico og. getto dei suoi desideri ».

Una volta, presa da disgusto al riflettere sulla vanità dei piaceri terreni, disse al Signore: « Per me non so trovare cosa sulla terra che possa pia­cermi se non Te solo, o mio Signore dolcissimo ». E il signore, a sua volta: « E io non trovo nulla nè in cielo nè in terra che mi piaccia senza di te, perchè ti unisco per amore a tutto ciò che mi dà gioia, così che sempre mi diletto in te in tutto ciò che mi diletta. E quanto più grande è questo gau­dio, tanto maggiore è la parte che te ne attri­buisco ». San Bernardo attesta la stessa cosa: « E sia pure, dice, che l'onore del Re richieda la giu­stizia, ma l'amore dello sposo non cerca che un ricambio di tenerezza e di fedeltà».

Era assidua all'orazione e alla recita delle Ore canoniche, e non trascurava mai di parteciparvi all'ora stabilita, a meno che per infermità fosse trattenuta a letto, o si trovasse impegnata a gloria di Dio in qualche opera di carità a favore del prossimo. E perciò il Signore, inondandola sempre nel tempo della preghiera della dolcissima conso­lazione della sua presenza, faceva sì che la forza di cui essa poteva disporre per gli esercizi di pietà fosse molto superiore a quella di cui poteva disporre per le altre occupazioni. Era tanta infatti la gioia che provava nell'osservare tutto ciò che è prescritto nell'Ordine, come l'assistenza al Coro, il digiuno e il lavoro in comune, che non poteva mai omettere questi esercizi senza provarne un grande dispiacere. Dice S. Bernardo: « Ogni fa­tica e ogni sofferenza diventa dolce a chi abbia una sola volta gustato l'inebriante dolcezza della carità ».

Fu anche grandissima in lei la libertà di spi­rito, così che mai potè tollerare neppure per un istante cosa che fosse contraria alla sua coscienza.

Il Signore, a un suo devoto che gli chiedeva nel­l'orazione che cosa gli piacesse di più nella sua eletta, rispose: «La sua purità di cuore». Quegli, molto stupito e quasi facendone poco caso, osser. vò: «Credevo, Signore, che, per tua grazia, fosse già arrivata ad una più alta conoscenza dei tuoi misteri e ad un grande fervore di amore». «Per l'appunto, disse il Signore, è proprio così come pensi; ma vi è arrivata per questa grazia di purità, che è tal bene da far giungere le anime per la via più diretta alla più alta perfezione. Essa si trova in ogni momento preparata ai miei doni, perchè non permette mai al suo cuore di attaccarsi a qual­cosa che possa impedirmi di operare in lei ».

Per tale libertà di cuore non tenne mai presso di sé qualche cosa di cui non avesse bisogno, e se riceveva dei regali, molto spesso li distribuiva agli altri, preferendo sempre di darli a chi più ne ab­bisognava, avesse pur dovuto anteporre per questa ragione le persone a lei più ostili a quelle più care.

Se le veniva l'ispirazione di fare o dire qualche cosa, la faceva subito, per il timore che il ritardo potesse renderla meno atta al servizio divino e alla contemplazione. Il Signore degnò di attestarlo con la rivelazione seguente. Un giorno Egli apparve a Metilde, la nostra Domna Cantrix, seduto sopra un eccelso trono. Costei, quasi passeggiasse, andava e veniva davanti a Lui, voltandosi spesso a guar­darlo, come se spiasse, sospesa, il minimo cenno del suo Cuore. Poichè Metilde se ne meravigliava, il Signore le disse: « Vedi come si comporta la mia diletta? Essa agisce sempre alla mia presenza e desidera e cerca in ogni momento il beneplacito del mio Cuore. Quando scopre la mia volontà, su­bito con ogni impegno si applica a compierla, e poi ritorna a chiedermi che cosa desidero per ese­guirla con altrettanta fedeltà; e così tutta la sua vita ritorna a mio onore e gloria ». « Ma, Signore mio, osservò Metilde, se si comporta sempre così, come sì spiega che qualche volta sia tanto severa nel giudicare i difetti e le mancanze degli altri? ». Il Signore le rispose con bontà: « Si spiega col fatto che non tollerando macchie sulla propria anima, non può vedere con,indifferenza neppure i difetti degli altri ».

Nelle vesti e negli oggetti di suo uso si atteneva al necessario e cercava l'utilità piuttosto che la comodità e l'eleganza. Amava questi oggetti in proporzione dell'aiuto che le davano nel servizio di Dio, come per esempio il libro in cui era solita leggere, la tavoletta di cui si serviva più spesso per scrivere, o anche i libri che gli altri leggevano più volentieri o da cui dicevano di trarre maggiore edificazione. Queste e simili cose le erano care perchè le sembrava che rendessero al Signore una lode più grande: di tutte le creature infatti si ser­viva non a comodità propria, ma a eterna lode di Dio. Provava dunque una grande gioia nel servirsi

di queste cose, - nè più nè meno che se le avesse usate per onorare il Signore nel servizio dell'altare o se le avesse distribuite in elemosina, perchè, sia che dormisse, sia che mangiasse, sia che provvedesse a qualche altra sua necessità, pensava con ciò di provvedere non alle necessità proprie ma a quelle del Signore.

Considerava infatti Lui in sè e se stessa in Lui secondo la parola del Vangelo: « Quod uni ex mi­nimis meis f ecistis mihi jecistis: Ciò che avrete fatto a uno di questi piccoli, l'avrete fatto a me » (Matt. XXV, 40), ed era tanto persuasa di essere per la sua indegnità la più vile e la più piccola di tutte le creature, che tutto ciò che concedeva a se stessa le pareva appunto dato all'ultima delle creature di Dio.

Il Signore mostrò nel modo seguente quanto degnasse gradire questa intenzione. Un giorno, es­sendosi affaticata, cercò sollievo al suo mal di capo col tener in bocca certe sostanze aromatiche. Il Signore nella sua bontà si chinò allora dolcemente su di lei come se volesse a sua volta riconfortarsi con quel profumo, poi si rialzò e voltandosi con lieto volto ai Santi disse con tono quasi di trionfo

« Ecco, ho ricevuto dalla mia sposa un nuovo re­galo ».

La sua gioia era però immensamente più grande quando poteva prestare un simile sollievo al prossimo; il suo giubilo era allora simile a quello dell'avaro che riceve cento marchi invece di una sola moneta.

Viveva in una così intima comunione col Si­gnore che, quando doveva fare qualche scelta sia riguardo ai cibi, sia riguardo alle vesti o ad altre simili cose, stendeva la mano ad occhi chiusi, intendendo di prendere in tal modo ciò che il Si­gnore stesso le destinava. Accettava poi con tanta gratitudine quel che così le capitava come se il Signore glielo avesse dato con le sue proprie mani, e, fosse questo il meglio o fosse il peggio, se ne compiaceva come del migliore dei doni. E così mettendo questa intenzione in tutte le cose, di tutto si rallegrava, e ciò la induceva spesso a ri­flettere con compassione sulla sorte dei pagani e dei Giudei che, quando devono scegliere qualcosa, non possono fare altrettanto e sentirsi in unione con Dio.

Anche la virtù della discrezione brillava in lei di fulgida luce. Essa conosceva la Sacra Scrittura e ne penetrava a fondo il senso, tanto da colmar di stupore per la sua prudenza le numerose per­sone che venivano per diverse cause a richiederla di consiglio; eppure quando doveva fare qualche cosa cercava con la più grande umiltà il parere degli altri, anche se erano di gran lunga a lei in­feriori, e lo accoglieva con tanta deferenza da in. dursi quasi sempre a preferirlo al proprio modo di vedere.

Sarebbe superfluo aggiungere di quanta luce splendesse in lei ciascuna delle altre virtù come l'obbedienza, l'astinenza, la povertà volontaria, la prudenza, la fortezza, la temperanza, la mise­ricordia, la carità fraterna, la costanza, la ricono. scenza, la gioia per la felicità altrui, il disprezzo del mondo e molte altre ancora, dal momento che la sua anima era posseduta come abbiamo detto dalla virtù della discrezione che è madre di tutte le virtù. Si ricordi inoltre la meravigliosa fiducia di cui era per così dire rivestita: questa è come il fondamento su cui le virtù riposano, perchè il Signore alla fiducia non nega nulla. sopratutto quando si tratta del nostro avanzamento spirituale. E si abbia ancora presente la sua profonda umiltà, che è la fedele custode di tutte le altre virtù ed era in lei tanto profondamente radicata: e insieme con essa la carità verso Dio e verso il prossimo che è la regina di tutte, e che in lei, come abbianl provato, aveva stabilito il suo trono, regnando così nella sua vita interiore come nella sua con­dotta esterna.

Tralascio dunque di parlare di ciascuna in par. ticolare per amor di brevità, benchè molte delle cose che potrei dire superino ancora le già dette e siano di tal natura da poter dilettare piuttosto che stancare l'animo del devoto lettore. Ma basti quanto abbiamo riferito a provare che questa eletta fu uno di quei cieli spirituali scintillanti di stelle di cui il Re dei re degna fare il suo trono.

CAPITOLO XII. Altre e più evidenti testimonianze intorno a questo cielo spirituale

La Santa Chiesa, esaltando alla dignità di cieli spirituali gli Apostoli, dice di loro: « Questi sono i cieli in cui, o Cristo, tu abiti: Tu tuoni nelle loro parole, folgori nei loro miracoli, spandi per loro mezzo la rugiada della grazia» (1). Cercherò di provare che quest'anima, in qualche misura, somigliava a loro in queste tre cose.

La sua parola aveva tanta efficacia che non si poteva non prestarle attenzione; a chiunque fosse diretta e a qualunque cosa mirasse sempre riusciva nel suo intento. Le si poteva applicare con ragione quel versetto dell'Ecclesiaste: « Verba sapientis velut stimuli, et sicut clavi in altum defixi: La pa­rola del saggio è come un pungolo, è come un chiodo solidamente piantato» (Eccl. XII, II).

La debolezza umana però recalcitra a volte da­vanti ad una parola ispirata da uno zelo infocato. Un giorno essa aveva urtato con parole un po' dure una sua consorella e questa, spinta da carità per lei, supplicava il Signore di mitigare alquanto il fuoco del suo zelo. Ma fu così illuminata dal Signore: «Anch'io quand'ero sulla terra ho avuto dei moti d'animo assai vivi, non potendo tollerare la minima ingiustizia, e questa mi assomiglia». Essa replicò: «Ma, Signore, altro è che le tue pa. role' sembrassero dure ai peccatori e altro che questa con le sue parole urti qualche volta anche persone reputate virtuose». «Anche i Giudei. ri­spose il Signore, passavano a quel tempo per grandi Santi, e tuttavia proprio loro si scandalizzavano di me ».

Il Signore degnò anche spesso concedere la sua grazia ai suoi eletti per virtù delle di lei parole. Molti attestavano di esser stati più profondamente commossi da una sola sua parola che da una lunga predica dei migliori predicatori. E lo conferma­vano le sincere lacrime di coloro che, venuti a volte con animo ribelle e protervo, dopo averla udita parlare per qualche momento erano presi da tale -compunzione da promettere di voler compiere intero tutto il loro dovere.

Altri conseguirono la grazia del Signore non attraverso la sua parola, ma per mezzo delle sue Preghiere. Dopo di essersi raccomandati a lei, si trovavano così pienamente liberati da gravi e diu­turne pene che spesso, pieni di stupore, venivano a pregare le sue consorelle di renderne grazie a Dio e a lei stessa.

Nè dobbiamo tacere che alcuni furono esortati in sogno a venirle ad affidare le loro pene e che dopo di averlo fatto ne furono completamente li­berati.

Tutti questi fatti mi sembra che ben si possano paragonare allo splendore dei miracoli, poichè la liberazione dalle pene spirituali non è, a mio parere, bene meno prezioso della guarigione dei corpi. Ma a rendere anche più manifesto che la virttu del Signore operava veramente in lei ne rac­conterò alcuni altri che lo provano con tutta evi­denza.

CAPITOLO XIII. Alcuni miracoli

Un anno, al mese di Marzo, il freddo era tanto intenso da mettere in pericolo la vita così degli uomini come degli animali. La gente diceva che non ci poteva essere per quell'anno alcuna specie di raccolto perchè, secondo la luna, il freddo avrebbe perdurato ancora per un pezzo. Informata di quanto si diceva, un giorno, durante la Messa nella quale doveva comunicarsi, pregò devota­mente il Signore per questa intenzione e insieme per molte altre cose. Finita la sua orazione rice­vette dal Signore questa risposta: « Ritieni per certo di essere stata esaudita in tutto ciò che hai

chiesto n. Ed essa: « Signore, se devo esserne certa e rendertene come è giusto la dovuta azione di gra. zie, dammene una prova col mitigare il rigore di questo freddo asprissimov. Detto questo non ci pensò più; ma, finita la Messa, uscendo dal coro s'avvide che il terreno era tutto inondato per lo sciogliersi della neve e del ghiaccio. Tutte stupi. vano per questo fatto avvenuto contro le naturali condizioni del tempo e si chiedevano quale potesse esserne la causa. Ignorando ché erano state le pre­ghiere di questa eletta di Dio ad impetrarlo, pro­nosticavano che, ahimè, questo raddolcimento non sarebbe durato perchè avvenuto contrariamente al­l'ordine regolare delle cose. E invece gli tenne die­tro un sereno tepore primaverile che si mantenne per tutta la stagione.

Un'altra volta, al tempo della messe, persi­stendo a cadere la pioggia, tutti moltiplicavano le preghiere per il timore di perdere i raccolti. Essa pregava insieme al popolo e l'efficacia della sua insistenza fu tale che il Signore, placato dalla sua orazione, promise che il cielo si sarebbe rassere­nato. Il che avvenne, poichè il giorno stesso, quan­tunque molte nubi ingombrassero ancora il cielo, il sole con lo splendore dei suoi raggi inondò la terra.

Verso il tramonto, dopo cena, mentre la comu­nità stava recandosi, per un certo lavoro, nel cor­tile, il sole splendeva ancora; ma nello stesso tempo delle nubi gravidi pioggia si aggiravano nel cielo. Essa allora - potei udirla io stessa - traendo un, profondo sospiro disse al Signore: «Oh Signore, Dio dell'universo, io non intendevo co­stringerti, per così dire, a far la mia volontà, in­degna come sono; se dunque la tua immensa bontà trattiene questa pioggia contro le esigenze della tua giustizia soltanto a motivo della mia preghiera ti prego, lasciala cadere e si compia la tua dolcis­sima volontà ». Cosa mirabile! Non aveva ancor finito di parlare ed ecco fulmini e tuoni e un im­provviso scroscio di pioggia. Stupefatta, disse al­lora al Signore: « Oh, Signore buono, per piacere trattienila, te ne prego, fino a che abbiamo finito questo lavoro ingiuntoci dall'obbedienza ». A que. sta richiesta il Signore, nella sua condiscendenza, fece cessare la pioggia fino a lavoro compiuto. Ap­pena fu finito, mentre la comunità era si può dire ancora sulla porta, cadde un tale diluvio di acqua accompagnato da lampi e da tuoni. che, se qual­cuna fosse rimasta fuori, ne sarebbe stata inzup­pata.

In molte occasioni poi impetrava l'aiuto divino in modo miracoloso. quasi senza pregare, con una semplice parola detta in tono semi scherzoso. Ec­cone un esempio. Un giorno mentre stava seduta sopra un mucchio di paglia le cadde di mano la penna o un ago che fosse, insomma qualche cosa di piccolo che non era possibile ritrovare in una simile montagna di roba. Fu allora udita da tutte dire al Signore: « O Signore, avrei un bel darmi da fare, non lo ritroverei: fammelo ritrovare tu! ». Stese allora la mano senza neppur guardare ed ecco che lo rintracciò fra la paglia come se l'avesse scorto con gli occhi su un pavimento levigato.

Allo stesso modo si comportava in altre con­giunture, più o meno importanti, invocando sem. pre in aiuto il Diletto dell'anima sua e sempre trovando in Lui un soccorritore fedelissimo e pieno di condiscendenza.

Un'altra volta ancora, mentre pregava il Si­gnore di far cessare un periodo di vento e di siociti, ricevette questa risposta: « Non è necessario che io ti esaudisca per lo stesso motivo che mi in. duce talvolta ad esaudire altri miei eletti: perehè la tua volontà, per mia grazia, è già talmente unita alla mia che non sai volere che ciò che io voglio. Ti dirò dunque che, volendo con questo maltempo costringere alcuni spiriti ribelli a ricorrere a me con la preghiera almeno per questa intenzione, non darò effetto alla tua richiesta ma ti concederò in cambio un dono spirituale ». A tali parole essa con tutto il cuore aderì alla sua volontà, e da al­lora in poi si compiaceva in tali occasioni di essere esaudita soltanto secondo il beneplacito di Dio.

San Gregorio dice che la prova della santità non è già il far miracoli, ma l'amare il prossimo come se stesso; e della sua carità noi abbiamo già parlato abbastanza. Basti dunque la luce dei mira. coli da noi riferiti a provare che il Signore vera. mente abitava in lei. Sia così chiusa la bocca di quanti iniquamente sparlano della gratuita bontà di Dio e s'accresca insieme la fiducia degli umili che, godendo di ogni bene concesso da Dio a qual­sivoglia dei suoi eletti, s'aspettano di vederlo tor. nare insieme anche a proprio vantaggio.

CAPITOLO XIV. Particolari privilegi a lei concessi da Dio

Devo aggiungere qui alcune cose che son riu­scita a scoprire con grande fatica (maggiore certo di quella che sarebbe occorsa se fossero state se­polte sotto un pesante macigno), e anche alcune testimonianze riferite da persone degnissime di fede.

Parecchie persone la richiedevano spesso di consiglio intorno si loro dubbi, e specialmente se dovessero per tali e tal'altre ragioni astenersi dalla Comunione. Essa risolveva con prudenza i dubbi di ciascuna e poi le esortava, e qualche volta anche per così dire le costringeva, ad accostarsi al sacra­mento del Signore, confidando nella grazia e nella misericordia di Dio. Una volta fu presa, come ac­cade a coscienze delicate, dal timore di avere con tali risposte troppo presunto del proprio giudizio. Si rivolse allora con fiducia a quel Dio che era solito accoglierla con tanta bontà, e gli manifestò il suo dubbio. Ne ebbe questa risposta: «Non te­mere, consolati, riprendi animo e sta tranquilla, perchè io, tuo Signore e Dio, che ti amo e per questo gratuito amore ti ho creata ed eletta per abitare in te e trovare in te la mia delizia, do sem­pre una risposta sicura a quanti per mezzo tuo de. votamente ed umilmente la cercano. Ti prometto che non permetterò mai ad alcuno di coloro che io ritengo indegni del sacramento del mio Corpo e del mio Sangue di rivolgerti simili domande. Se dunque dirò a qualche anima oppressa ed affati­cata di rivolgersi a te per provare sollievo, dille, chiunque sia, che venga a ricevertni con fiducia, ed io per amor tuo e in grazia tua non la respin­gerò dal mio seno paterno, ma l'accoglierò con affettuosissimo amplesso e non le negherò il mio bacio di pace».

Dopo queste parole, mentre una volta pregava più devotamente del solito per una persona, fu presa dal timore che questa sperasse di poter ot­tenere per mezzo suo più di quanto essa potesse impetrarle. Ma il Signore con grande bontà le disse: « Tutto ciò che uno spera di ottenere per mezzo tuo, lo riceverà da me senza alcun dubbio; non solo, ma gli darò certissimamente tutto ciò che tu gli avrai promesso in nome mio, e se anche egli, per umana fragilità, non dovesse constatarne l'effetto esteriore, tuttavia io farò sì che egli con­segua spiritualmente quel profitto che tu gli avrai promesso ».

Qualche giorno dopo, ricordando questa assi­curazione del Signore ma insieme anche la propria indegnità, gli domandò come mai potesse operare cose così meravigliose per mezzo di una creatura tanto vile. Il Signore rispose: « Non è forse di fede che ciò che un giorno io ho promesso al solo Pietro dicendogli: Quodeumque ligaveris super terram erit ligatum et in caelis: Tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato anche nei cieli ecc.., riguarda la Chiesa tutta? Non crede forse la Chiesa che ciò è vero, anche oggi, di qualsivoglia suo mi­nistro? Perchè dunque non credi che io possa o voglia compiere per mezzo tuo tutto ciò che per amore ti ho promesso? ». E toccandole la lingua aggiunse: « Ecco, ho messo le mie parole nella tua bocca (Ger. 19) e nella mia verità confermo tutte quelle che per mia ispirazione dirai a qualcuno: se gli avrai promesso qualcosa contando sulla mia bontà, io la ratificherò nel cielo ». E come essa gli obiettava: « Signore, certo non mi rallegrerei se qualcuno dovesse avere il danno per il fatto che, sotto l'impulso di una ispirazione, gli avessi detto che la sua colpa non può rimanere impunita, o qualcosa di simile ». Il Signore le rispose: « Se per zelo di giustizia o amore delle anime tu di­cessi a qualcuno una tal cosa, io, nella mia pietà, lo circonderei di misericordia e lo indurrei a com­punzione per sottrarlo al castigo».

Allora essa gli disse: « Signore, se veramente tu parli per bocca mia come ti degni affermare nella

tua bontà, come mai a volte le parole che dico con tanto desiderio della tua gloria e tanto amore per le anime hanno così poco éffetto? ». E il Signore: « Non ti stupire che le tue parole non conseguano alcun effetto dal momento che io ho predicato con tutto l'ardore del mio divino spirito senza ottenere spesso alcun risultato: tutto viene a suo tempo, per mia divina disposizione ».

Un giorno, dopo aver ripreso una persona per un certo difetto, corse a cercar rifugio presso il Signore, supplicandolo di degnarsi di illuminarla con la luce della sua sapienza ainchè non avesse a dire ad alcuno cosa che non fosse conforme al suo divin beneplacito. E il Signore: «Non temere figliuola, ma confida: io ti ho concesso il parti­colare privilegio di giudicare come io stesso giu­dico, secondo le circostanze di cose e di persone, la causa di chiunque ti interroga con sincera umil­tà. Nella luce della mia verità divina tu risponde­rai a mio nome con un certo rigore se io giudico grave la materia, e risponderai con minor severità se giudico la materia più lieve ».

Essa allora, riconoscendo in spirito di umiltà la propria bassezza, disse al Signore: « O Signore che reggi il cielo e la terra, trattieni ti prego questa immensa tua. degnazione, perchè io non sono che polvere e cenere e troppo indegna di tanto tuo dono ». E il Signore con affettuosa tenerezza: « E che gran cosa è mai che io ti conceda di giu­dicare la causa dei miei nemici, dal momento che spesso io ti ho concesso di aver parte nei segreti dei miei amici? ». E aggiunse ancora: « Chiunque col cuore gravato da tristezza verrà umilmente, con semplicità e sincerità, a cercare consolazione nella tua parola non sarà deluso nella sua speranza,

perchè io, il Signore che abito in te, desidero, per l'impulso della mia incontenibile pietà, fare per mezzo tuo del bene a molti, e la gioia che la tua anima ne proverà sarà veramente attinta alla sorgente del mio Cuore divino ».

Un'altra volta, mentre pregava per alcune per­sone che si erano affidate a lei, ricevette dal Si­gnore questa risposta: « Come un tempo chiunque si afferrava al corno dell'altare poteva rallegrarsi di aver trovato la pace, così, da quando per mia degnazione ti ho scelta a mia dimora, chiunque si affida con fiducia alla tua orazione sarà salvato dalla mia grazia ».

Abbiamo a questo riguardo la testimonianza di Metilde, la nostra Domna Cantrix di soave me­moria. Essa pregava un giorno per questa nostra eletta e vide il di lei cuore sotto il simbolo di un ponte solidissimo fiancheggiato da una parte, come da un baluardo, dall'umanità di Cristo, e dall'altra dalla sua divinità, e intese il Signore che diceva «Tutti quelli che cercheranno di venire a me per questo ponte non potranno nè cadere nè deviare ». cioè: chiunque, ascoltando la sua parola ne accet­terà umilmente i consigli, non devierà giammai.

CAPITOLO XV. In qual modo il Signore l'obbligò a pubblicare queste grazie

Un giorno, avendole il Signore fatto compren­dere il suo desiderio che queste grazie fossero messe per iscritto, si chiedeva fra sè, tutta stupita, che utilità ne potesse mai conseguire. Essa era infatti fermamente decisa a non permetterne la divul. gazione durante la sua vita, e si chiedeva se, dopo la sua morte, tale divulgazione non avrebbe por­tato più turbamento che vantaggio alle anime, per il fatto che allora non avrebbero più potuto trarne alcun profitto.

Il Signore, rispondendo ai suoi pensieri, le disse: « E che utilità può provenire dal leggere che quando Santa Caterina era in carcere io la visitai e le dissi: Sta di buon animo, figliuola, perchè io sono con te? o dal fatto che chiamai Gio. vanni mio Apostolo prediletto col dirgli: Vieni o mio diletto? o da altri fatti ancora che si leggono nelle vite di questi e di altri Santi? Non è forse questo il vantaggio: che la devozione viene ac. cresciuta e che vien fatto conoscere il mio amore per gli uomini? ». E soggiunse: « Può darsi che, all'udire le grazie che tu hai ricevuto, molti si accendano del desiderio di conseguirle anch'essi, e che per tale desiderio si applichino ad emen­dare alquanto la loro vita ».

Un'altra volta ancora si chiedeva con stupore perchè mai il Signore da tanto tempo insistesse per indurla a render pubblica la relazione di que­ste grazie (1). Non ignorava infatti la meschinità di cuore di taluni che, anzichè edificarsene, ne avrebbero piuttosto fatto argomento di calunnia. Il Signore le diede allora questo ammaestramento « Io voglio, in tal modo, far sì che le grazie che ti ho elargito portino maggior frutto. Ci sono delle anime a cui ho concesso dei doni simili ai tuoi e che per negligenza ne fanno poco conto: quando leggeranno i favori di cui ti ho colmata, si ricor. deranno dei propri e sentiranno una maggior ri­conoscenza, preparandosi in tal modo a nuove grazie. Quanto poi si maligni che ne trarranno argomento. di calunnia, tanto peggio per loro: tu non ne.avrai alcun danno. Anche di me il Profeta ha detto: « Ponam eis offendiculum : porrò davanti ad essi una pietra di inciampo » (Ez. III, 20).

Per questa parola essa comprese che il Signore a volte comanda si suoi Santi di far delle cose ché riescono di scandalo ad altri. I suoi eletti non devono tuttavia omettere di farle per desiderio di aver pace anche coi cattivi, perchè la vera pace consiste nel vincere col bene il male; nel non omettere cioè di fare quanto risulta a lode di Dio, e nel placare nello stesso tempo i cattivi con dimo­strazioni di benevolenza che possano convertirli. Se questo non gioverà a nulla, gli eletti non per­deranno per ciò la loro mercede. Ugo [da S. Vit­iore] ha detto: « I fedeli potrebbero sempre trovar motivi per dubitare, come gli infedeli, se voles. sero, per credere; e perciò giustamente vien pre­miata la fede e punita l'incredulità» (1).

CAPITOLO XVI. Rivelazioni di altre persone che confermano le sue

Essa sl giudicava indegnissima dei grandi doni di cui si vedeva arricchita da Dio perchè aveva sempre presente la sua bassezza e la sua miseria. Andò quindi un giorno da Domna Metilde, che al umilmente che cosa ne pensassi ». Il Signore con molta benevolenza, le rispose: « Io le ho accor­dato in tutta verità questi speciali privilegi: chiunque spera di poter ottenere qualche cosa per mezzo suo, certissimamente l'otterrà. Chiunque essa giudichi degno della Comunione, non ne sarà mai reputato indegno dalla mia misericordia; non solo, ma chiunque sia sollecitato da lei a riceverla sarà accolto da me con affetto particolare. E an­cora: Essa potrà giudicare conformemente alla mia divina sapienza intorno alla maggiore o minor gravità dei peccati di coloro che la interrogano. Ma come sono Tre che danno testimonio in cielo, e cioè il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo (I Giov. V, 7), così essa dovrà sempre appoggiarsi su una triplice certezza: primo, deve sentire di esser mos­sa a parlare dall'impulso dello Spirito; secondo. deve considerare se la persona a cui parla si pente o vuole almeno pentirsi della sua colpa; terzo, deve accertarsi inoltre se dimostra buona volontà. Quando ci siano questi tre indizi, dia senza esitare la risposta che sente di dover dare, e io certissi­mamente ratificherò qualunque cosa abbia promes­so in nome della mia misericordia ».

Il Signore aggiunse: « Ogni qualvolta vorrà dare una risposta, prima con un sospiro d'invoca­zione attiri a sè l'ispirazione del mio Cuore divino. Parli allora con sicurezza: nè essa nè chi l'ascolta potranno ingannarsi, perchè nella sua parola si ri­velerà la segreta intenzione del mio Cuore ».

E aggiunse ancora: « Conservi la fedele testi­monianza della tua parola: se, in progresso di tem­po, presa da svariate occupazioni le sembrerà, come suole accadere, che questa grazia si affievo­lisca nell'anima sua, non per questo si lasci cogliere dallo spirito di diffidenza, perchè io custo. dirò intatta per tutta la sua vita la grazia di questo privilegio ».

Domna Metilde domandò ancora al Signore co­me si spiegasse il. modo di agire di quest'anima, e se non incorresse per caso in qualche colpa coll'af. frettarsi sempre a fare in qualsiasi momento quel che le veniva in mente, come se le riuscisse indif. ferente pregare o scrivere o leggere o istruire il prossimo o correggere o consolare.

Il Signore le rispose: « Io ho degnato di unirla a me inseparabilmente, così che, fatta un solo spi­rito con me. la sua volontà sempre concorda in ogni cosa e sopra ogni cosa con la mia come le membra del corpo concordano fra di loro e con la volontà dell'uomo. Uno pensa fra sè e dice alla sua mano: Fa' questo, ed essa subito lo fa; e agli oc­chi: Guardate qui, ed essi senz'altro si aprono. Allo stesso modo costei, per mia grazia, ad ogni momento mi interroga per conoscere i miei desi­deri. Io l'ho eletta e abito in lei e perciò il suo volere e il suo operare sono una cosa sola col mio Cuore. Essa è per così dire la mano con cui agisco; la sua intelligenza è come l'occhio che scorge ciò che può piacermi; l'impeto interiore che la spinge a dire ciò che il mio Spirito le suggerisce è per così dire la mia lingua, e il suo giudizio sicuro è per me come il mio odorato. Io piego l'orecchio della mia misericordia verso colui a cui essa si volge con compassione, e le sue intenzioni sono come i miei piedi, perchè essi non la dirigono mai là dove io non posso seguirla. Vedi dunque quanto sia conveniente che essa si affretti ad assecondare l'impeto dello Spirito per trovarsi pronta, appena

finito di fare una cosa, a farne un'altra. E se per questo deve trascurare qualcosa, la sua coscienza non ne vien gravata, perchè vi ripara compiendo in altro modo la mia volontà».

Un'altra persona esperta di cose spirituali, mentre pregava Dio e lo ringraziava devotamente delle grazie concesse a quest'anima, ricevette una simile rivelazione intorno ai privilegi suddetti e alla unione della sua anima con Dio. Poichè le due persone che ebbero queste rivelazioni sapevano tanto poco l'una dell'altra quanto poco uno che sta a Roma sa di un altro che in quel momento sta a Gerusalemme, bisogna ben ritenere per certo che il tenue sussurro come di brezza percepito dal loro orecchio spirituale fosse la parola di Dio, la cui testimonianza è degna di fede sopra ogni altra.

Questa seconda persona poi, nel narrare la sua rivelazione, ci informo ancora che tutte le grazie ricevute da quell'anima fino a quel momento erano come un nulla rispetto a quelle che il Signore si disponeva ad elargirle. E aggiunse: « Essa giun­gerà a tal perfezione di unione che i suoi occhi non vedranno più che ciò che Dio degnerà vedere per mezzo di essi e la sua bocca non dirà che ciò che Dio vorrà dire, e così per gli altri sensi ». Quando e come questo si sia avverato lo sanno solo il. Signore e l'anima che ne ha fatto l'esperienza: ma ne ebbero qualche sentore anche quelli che considerarono più attentamente in lei i doni di Dio.

Un'altra volta essa aveva chiesto a Domna Me­tilde di pregare per lei onde ottenerle dal Signore la virtù della mansuetudine e della pazienza, di finito di fare una cosa, a farne un'altra. E se per questo deve trascurare qualcosa, la sua coscienza non ne vien gravata, perchè vi ripara compiendo in altro modo la mia volontà».

Un'altra persona esperta di cose spirituali, mentre pregava Dio e lo ringraziava devotamente delle grazie concesse a quest'anima, ricevette una simile rivelazione intorno ai privilegi suddetti e alla unione della sua anima con Dio. Poichè le due persone che ebbero queste rivelazioni sapevano tanto poco l'una dell'altra quanto poco uno che sta a Roma sa di un altro che in quel momento sta a Gerusalemme, bisogna ben ritenere per certo che il tenue sussurro come di brezza percepito dal loro orecchio spirituale fosse la parola di Dio, la cui testimonianza è degna di fede sopra ogni altra.

Questa seconda persona poi, nel narrare la sua rivelazione, ci informò ancora che tutte le grazie ricevute da quell'anima fino a quel momento erano come un nulla rispetto a quelle che il Signore si disponeva ad elargirle. E aggiunse: « Essa giun­gerà a tal perfezione di unione che i suoi occhi non vedranno più che ciò che Dio degnerà vedere per mezzo di essi e la sua bocca non dirà che ciò che Dio vorrà dire, e così per gli altri sensi ». Quando e come questo si sia avverato lo sanno solo il. Signore e l'anima che ne ha fatto l'esperienza: ma ne ebbero qualche sentore anche quelli che considerarono più attentamente in lei i doni di Dio.

Un'altra volta essa aveva chiesto a Domna Me­tilde di pregare per lei onde ottenerle dal Signore la virtù della mansuetudine e della pazienza, di cui le pareva di avere speciale bisogno. Domna Metilde pregò ed ottenne dal Signore questa ri­sposta: «La mansuetudine che mi compiaccio di trovare in lei deriva il suo nome dal verbo latino manere, risiedere. Dal momento dunque che io ri­siedo in lei, bisogna che essa si comporti come una piccola sposa che vive sempre in presenza del suo sposo e che, quando per necessità deve uscire, lo prende per la mano come per costrin­gerlo a seguirla. Perciò quando crede opportuno lasciare il soave riposo della contemplazione in­teriore per recarsi ad istruire il prossimo, sempre dovrà prima tracciare sul suo cuore il salutare segno della croce e iniziare il discorso invocando il mio nome: parli allora, con piena fiducia nella mia grazia, di tutto ciò di cui occorrerà parlare. Così pure, la pazienza che mi piace trovare in lei deriva il suo nome da pace e da scienza: sia dunque tale in lei L'amore della pazienza da non farle mai perdere per alcuna avversità la pace del cuore e le insegni sempre che, se soffre, deve essere per provarmi la sua fede e il suo amore ».

Un tale che essa non conosceva affatto di per­sona, ma alle cui orazioni si era raccomandata, mentre pregava per lei ricevette questa risposta: « Io l'ho scelta per mia dimora perchè mi com­piaccio che tutto ciò che c'è di amabile in lei sia opera mia. Chi non può conoscere ed apprezzare i suoi doni spirituali ami almeno in lei i doni este. riori e cioè la sua pronta intelligenza, la sua parola facile e persuasiva e simili. Proprio per questa ra­gione io l'ho allontanata da tutti i suoi parenti: perchè nessuno cioè l'amasse per ragione di cons8n­guineità e io fossi il solo motivo dell'affetto che le si porta ».

Un altro, pregato da lei. domandò al Signore come mai, pur godendo da tanti anni del senso della divina presenza, essa potesse poi vivere (co­me a lei pareva) con tanta negligenza, anche se i suoi eccessi non erano tali da farle temere che il Signore ne fosse adirato. Egli ebbe questa ri­sposta: « Se non le sembro mai adirato con lei è perchè trova sempre giusto e buono quello che faccio, nè si turba mai, qualunque cosa accada. Quando ha da soffrire qualche avversità ne tem­pera la pena col pensiero che tutto è avvenuto come io ho predisposto. Bernardo (1) dice: - Colui a cui Dio piace non può spiacere a Dio -; è per questo che io sempre mi mostro benevolo a suo riguardo ».

Essa attribuì questa risposta alla benignità del Signore e, presa da un grande senso di ricono. scenza, gli rese per questa sua degnazione devotis­sime grazie dicendo fra l'altro: « Come si spiega, o diletto Signore che tanto mi ami, come si spiega che la tua bontà degni dissimulare i miei molti e gravi peccati? Se non mi possono spiacere le opere tue che nono in sè perfette, ciò mio Dio non può essere attribuito a mia virtù, bensì alla tua per­fezione stessa ». Ma il Signore le diede con una similitudine questo ammaestramento: « Chi stenta a leggere una scrittura troppo minuta si serve di una lente per ingrandirla. Il libro rimane quello che è: l'ingrandimento è dovuto alla lente. Allo stesso modo se io trovo in te qualche deficienza, l'immenso mio amore m'induce a colmarla ».

CAPITOLO XVII. La sua crescente intimità con Dio

Le accadde una volta di esser priva per qualche tempo delle visite del Signore e non avendone ri­sentito alcuna pena, alla prima occasione ne chiese a lui il motivo. Il Signore le rispose: «La troppa vicinanza fa sì che due amici non possano vedersi distintamente: quando per esempio essi si abbrac­ciano e si baciano non è possibile che; nello stesso tempo, l'uno abbia una chiara visione dell'altro». Da queste parole comprese che qualche volta la sottrazione della grazia divina non ha altro effetto che di moltiplicare il merito, perchè durante que. sto tempo, nonostante il maggior sforzo richiesto, non ci si lasci cogliere dalla rilassatezza.

E poichè dopo questa risposta andava chieden­dosi fra sè perchè mai il Signore la visitasse ora in modo diverso da quello che usava fare prima, il Signore soggiunse: « Prima ti ho spesso istruita con risposte di cui tu potessi servirti per manife­stare agli altri la mia volontà; ora invece, quando preghi, comunico direttamente le mie ispirazioni al tuo spirito, perchè sarebbe a volte difficile tra­durle in parole. Io raccolgo per così dire in te, come in uno scrigno, le ricchezze della mia grazia afhnchè ciascuno in te possa trovare ciò che desi­dera. Tu sarai per essi come la sposa che per lunga coabitazione con lo sposo, sa in ogni contigenza interpretarne la volontà. Non sarebbe tuttavia con­veniente rivelare ad altri i segreti dello sposo conosciuti in grazia di questa reciproca intimità ».

Essa doveva in seguito sperimentare le verità di questa parola del Signore. Si avvide infatti che, quando pregava per qualche intenzione che le era stata caldamente raccomandata, non le riusciva più di ottenere come prima una precisa risposta del Signore; capiva però che era sufficiente aver sen­tito l'impulso di pregare a tale intento; ciò le dava la certezza dell'ispirazione di Dio come un tempo la risposta che otteneva. D'altra parte se qualcuno la richiedeva di consiglio e di conforto sentiva subito di aver grazia per rispondere, e ciò con tanta certezza che sarebbe stata pronta a su­bire la morte per attestare la verità benchè non avesse avuto prima, nè per iscritto nè a voce, alcun sentore dell'argomento e non vi avesse neppur riflettuto.

Se poi pregando per qualche intenzione non ri­ceveva alcuna comunicazione dal Signore, si com­piaceva della imperscrutabilità della Sapienza divina e dell'Amore a cui è inseparabilmente con­giunta, riconoscendo che non c'è via più sicura di quella di affidarsi a lei in ogni cosa. E questo pensiero la colmava di una gioia più grande di quella che avrebbe potuto procurarle una profon­da conoscenza dei segreti di Dio.