mercoledì 16 novembre 2011

Gertrude di Helfta - "Le Rivelazioni" - Volume 3 (Capp. 1-31)

S. Gertrude la GrandeLe Rivelazioni, III, Capitoli 1-31

Casella di testo: 1 – La particolare protezione della Madre di Dio

Aveva saputo per rivelazione che, ad accrescimento dei suoi meriti, sarebbe stata provata dall’avversità; e questa parola l’aveva riempita di timore a motivo della sua debolezza. Il Signore però ebbe pietà di lei e le assegnò come dispensatrice di grazia la sua propria Madre,la Regina del cielo, affinché, quando il peso della sofferenza fosse superiore alle sue forze, potesse invocare questa Madre della misericordia sicura di sentirsi sollevata per sua intercessione.

Poco tempo dopo avvenne che si trovasse in grave afflizione perché una persona consacrata a Dio la sollecitava a manifestare le grazie speciali che il Signore le aveva elargito in una precedente festa. Essa stimava la cosa assai difficile per diverse ragioni, e temeva tuttavia, con l’opporsi, di resistere alla volontà di Dio. Ricorse perciò alla Consolatrice degli afflitti,col desiderio di conoscere che cosa le convenisse fare. Ne ebbe questa risposta: «Distribuisci ciò che possiedi: mio Figlio è ricchissimo e ti compenserà di quanto avrai elargito in suo onore». Ma poiché essa si era ingegnata a coprire in mille modi il suo segreto, non trovava ora facile poterlo scoprire, e per questo motivo si prostrò ai piedi del Signore supplicandolo di rivelare il suo beneplacito e di darle la volontà di compierlo. Meritò così di essere illuminata dalla divina bontà con la seguente risposta: «Metti a frutto il mio capitale, affinché quando torno possa esigerlo con gli interessi». Capì allora che i motivi che fino a quel momento aveva ritenuto ragionevoli e ispirati dallo Spirito Santo, erano in realtà motivi umani fondati sull’amor proprio. Così da quel momento non fu più tanto rigida nel serbare i suoi segreti, e ben a ragione, perché, come dice Salomone: «Ãˆ gloria dei re l’occultare la parola, ma è gloria di Dio l’investigarla»(1).

Veramente in Proverbi 35,2 è detto: «Ãˆ gloria di Dio l’occultare la parola, ma è gloria dei re l’investigarla». Ma in Tobia 12,7 si legge: «Ãˆ bene nascondere il segreto del re, ma torna a lode il rivelare e confessare le opere di Dio».

Casella di testo: 2 – Gli anelli delle nozze spirituali

Mentre una volta con una breve preghiera offriva al Signore tutte le sofferenze dell’anima e del corpo da cui era gravata, e tutte le delizie spirituali e il sollievo fisico di cui era priva, le apparve il Signore. Le sue mani erano adorne di due anelli gemmati che simboleggiavano le sue due offerte: la privazione cioè del gaudio, e la pazienza nel soffrire. Gertrude lo capì e cominciò da allora a ripetere spesso detta orazione. Dopo qualche tempo, mentre stava recitandola, sentì che il Signore le toccava l’anello della mano sinistra, simbolo della sofferenza fisica, l’occhio sinistro. Subito provò, dove il Signore l’aveva toccata, un vivo dolore, e quest’occhio anche in seguito non guarì mai del tutto. Poiché l’anello è simbolo delle nozze, essa comprese che l’avversità, sia fisica sia spirituale, (che quell’anello raffigurava è il segno verissimo del’elezione divina e per così dire dello sposalizio dell’anima con Dio. Chi soffre può dunque dire con tutta fiducia: «Il mio Signore Gesù mi ha sposata con il suo anello» (Vedi Ufficio di S. Agnese, Antifona dei Vespri, e Pontificale Romano, Antififona del rito della Congregazione delle vergini). E se all’anima afflitta è insieme concessa la grazia di saper innalzare con riconoscenza il cuore a Dio in un atto di lode e ringraziamento, essa può allora aggiungere con gaudio anche le altre parole: «E come una sposa mi ha ornata di una corona». La riconoscenza a Dio nell’avversità è infatti una magnifica corona di gloria, incomparabilmente più preziosa dell’oro delle gemme.

Casella di testo: 3 – Il merito della sofferenza

Le fu anche dimostrato in modo evidente che la mancanza di sollievo quando si soffre procura un accrescimento di gloria: essa non lo aveva ancora compreso.

Un giorno pertanto, in prossimità della festa di Pentecoste, fu assalita da un dolore al fianco così tremendo che le persone che l’assistevano avrebbero potuto aspettarsi di vederla morire in quello stesso giorno, se non avessero saputo che molte altre volte aveva superato simili crisi. Il vero Consolatore e il misericordioso Amico della anime nostre si era assunto il compito di assisterla pietosamente e di lenirle con la sua soave presenza il dolore, ogni qualvolta, per negligenze delle infermiere veniva a trovarsi senza assistenza. Quando invece questa le era prestata con maggior cura, il Signore si sottraeva a lei, e il dolore le aumentava. Essa comprese chiaramente da ciò che, più si è abbandonati dagli uomini, più si diventa oggetto della misericordia di Dio.

Verso sera, mentre tormentata dall’eccesso di questo dolore cercava di impetrare dal Signore qualche sollievo alla sua sofferenza, il Signore scostando le braccia, le mostrò che portava sul petto, come un gioiello, il dolore che essa aveva sopportato durante tutta la giornata. Al vedere la perfezione di questo monile che pareva non avere difetto alcuno, essa prese a sperare con gioia che quel dolore sarebbe presto cessato. Ma il Signore le disse: «Ciò che avrai a soffrire in seguito accrescerà lo splendore di questo gioiello». In realtà esso era bensì ornato di gemme, ma queste non avevano tutto il loro splendore ed apparivano come velate. Venne in seguito colpita da peste, però in forma benigna, cosicché ebbe a soffrire più per la mancanza di qualsiasi conforto che per la gravità del male in se stesso.

Casella di testo: 4 – Il disprezzo dei beni temporali

In prossimità della festa di S. Bartolomeo, in seguito a una crisi di tristezza ed insieme di impazienza, fu colta da tanta tenebra spirituale che le pareva di aver quasi smarrito del tutto la gioia della divina presenza. Questo durò fino al sabato seguente, quando, per intercessione della Vergine Madre di Dio, ritrovò la gioia proprio mentre si cantava in suo onore l’Antifona Stella Maris Maria.

La domenica successiva, mentre si rallegrava di godere della dolce presenza di Dio, si ricordò della sua precedente impazienza e di altri suoi difetti e, provandone grande rammarico, prese a supplicare il Signore di volerli correggere con la sua grazia. Lo fece con tanto abbattimento di spirito per la molteplicità e la gravità dei difetti di cui si vedeva come irretita che, disperando di sé, disse al Signore: «O misericordiosissimo Signore, degnati di porre un termine a questi mali a cui io non so mettere né limite né misura: “Liberami Signore e mettimi accanto a te,e allora che si alzi pure contro di me il braccio di qualsivoglia nemico” (Gb 17,3)».

Il Signore, compatendo allora la sua desolazione, le mostrò un giardinetto pieno di svariati fiori, circondato da una siepe di spine e attraversato da un ruscelletto di acqua dolcissima e le disse: «Vorresti anteporre a me il piacere che puoi trovare nella bellezza di questi fiori?». «Oh, Signore, giammai», essa esclamò. Il Signore allora le mostrò un giardinetto fangoso in cui vegetava a malapena qualche po’ d’erba insieme a qualche smorto fiorellino di nessun pregio, e le domandò di nuovo: «Mi preferiresti forse a quest’altro?». Ma essa, allontanandosene quasi indignata, rispose: «Non sia mai che anteponga a Te, solo vero, stabile ed eterno bene, ciò che, lungi dall’avere qualche attrattiva, è anzi spregevole e vile». E il Signore: «Perché temere allora di non possedere la carità, dal momento che i doni coi quali arricchisco l’anima tua potrebbero rassicurare in proposito chiunque? e perché disperarti per i tuoi peccati se la Scrittura dice: La carità copre una moltitudine di peccati?(1Pt 4,8). Tu non mi hai anteposto né una vita dedita ai piaceri carnali, che io ho voluto farti presente sotto l’immagine del giardino fangoso ed incolto, né una vita comoda, facile e tranquilla, in cui potresti godere il favore degli uomini e una reputazione di santità, raffigurata nel giardino fiorito». «Oh, volesse il cielo, essa rispose, che io avessi rinunciato e cercare il mio proprio piacere allontanandomi dal giardinetto fiorito! ma temo di averlo disprezzato con tanta facilità solo grazie alla sua piccolezza». E il Signore: «Infatti l’abbondanza della mia misericordia fa sì che il rimorso della coscienza faccia apparire angusti ai miei eletti tutti i beni di quaggiù, onde indurli più facilmente a non farne alcun caso».

Essa allora, rinunciando risolutamente a ogni piacere terreno, si abbandonò sul cuore del suo Diletto con tale ferma decisione da sembrarle che gli sforzi riuniti di tutte le creature non sarebbero riusciti a staccarla da questo luogo di riposo ove godeva di attingere dal costato del Signore, un liquore vivifico di balsamica soavità.

Casella di testo: 5 – Il Signore si china verso chi si umilia

Nella festa dell’Apostolo S. Matteo, il Signore la prevenne con una abbondante benedizione di dolcezza, e alla Messa, durante l’elevazione del Calice, essa offrì questo Calice al Signore in azione di grazie. Ma poi prese a riflettere che a poco avrebbe servito l’oblazione di questo Calice se non avesse offerto insieme se stessa per soffrire insieme con Cristo. E allora,in un impeto di generosità, staccandosi dal petto del Signore in cui prendeva le sue delizie, si stese sul pavimento come corpo morto, dicendo: «Ecco, o Signore, mi offro a sopportare tutto ciò che può ritornare a tua gloria». Il Signore allora, alzandosi prontamente, si chinò fino a terra quasi per raccoglierla a sé e disse: «Ecco qualcosa che veramente è mio». Essa, rianimata dalla sua presenza, si rialzò e rispose: «Sì, o mio Signore, io sono l’opera delle tue mani». E il Signore. «Ancor questo aggiungerò: che senza di te mancherebbe qualcosa alla mia felicità». Piena di stupore a tanta degnazione, essa disse: «Ma perché mai, o Signore, dici così, dal momento che, oltre a deliziarti nella creazione dell’universo, possiedi ancora in terra come in cielo innumerevoli anime nelle quali potresti trovar le tue delizie, anche se io non fossi mai stata creata?». Al che il Signore: «Chi è stato sempre privo di un membro non soffre di questa privazione come colui al quale esso venisse amputato nel vigore della sua virilità. Così, dal momento che ho messo in te il mio amore, non potrei tollerare che tu fossi separata da me».

Casella di testo: 6 – La cooperazione dell’anima con Dio

Nel giorno di S. Maurizio, quando giunse nella Messa il momento in cui vengono pronunciate sottovoce le parole della Consacrazione, essa disse al Signore: «Il mistero che Tu compi in questo momento, o Signore, è così inestimabile e degno di tanta reverenza, che nella mia pochezza non oso neppure alzare gli occhi per contemplarlo. Me ne starò dunque sprofondata nella valle dell’umiltà, e li aspetterò la mia parte di questo Sacrificio dal quale viene la salvezza di tutti gli eletti». Al che il Signore: «Quando una mamma, abile nel ricamo, vuol fare un lavoro in seta e perle, fa qualche volta sedere il suo piccino accanto a sé su un seggiolino più alto affinché le porga il filo o le perle, o le presti qualche piccolo aiuto del genere. Così anch’io ho voluto assegnarti in certo modo un posto più alto nell’assistenza a questa Messa. Se tu infatti acconsentirai a sopportare di buon grado qualsivoglia fatica o pena affinché questo sacrificio porti il suo pieno frutto in tutti i cristiani così vivi come defunti, tu mi avrai, nonostante, la tua pochezza, efficacemente aiutato nel compimento della mia opera».

Casella di testo: 7 – La cooperazione dell’anima con Dio

Nel giorno di S. Maurizio, quando giunse nella Messa il momento in cui vengono pronunciate sottovoce le parole della Consacrazione, essa disse al Signore: «Il mistero che Tu compi in questo momento, o Signore, è così inestimabile e degno di tanta reverenza, che nella mia pochezza non oso neppure alzare gli occhi per contemplarlo. Me ne starò dunque sprofondata nella valle dell’umiltà, e li aspetterò la mia parte di questo Sacrificio dal quale viene la salvezza di tutti gli eletti». Al che il Signore: «Quando una mamma, abile nel ricamo, vuol fare un lavoro in seta e perle, fa qualche volta sedere il suo piccino accanto a sé su un seggiolino più alto affinché le porga il filo o le perle, o le presti qualche piccolo aiuto del genere. Così anch’io ho voluto assegnarti in certo modo un posto più alto nell’assistenza a questa Messa. Se tu infatti acconsentirai a sopportare di buon grado qualsivoglia fatica o pena affinché questo sacrificio porti il suo pieno frutto in tutti i cristiani così vivi come defunti, tu mi avrai, nonostante, la tua pochezza, efficacemente aiutato nel compimento della mia opera».

Casella di testo: 8 – Le cinque parti della Messa

Un giorno in cui, costretta a letto, non poteva assistere alla S. Messa, disse al Signore tutta turbata: «Ecco, o mio amatissimo Signore, che, per disposizione della tua Provvidenza, oggi non posso assistere al santo Sacrificio. Come posso dunque prepararmi a ricevere il tuo Corpo e il tuo Sangue sacratissimo, dal momento che la mia preparazione abituale consiste nel seguire la S. Messa?».

Il Signore le rispose: «Poiché mi rivolgi questo rimprovero, ascolta e Io ti intratterrò con un canto che ti riempirà di dolcezza e di amore. Considera dunque che sei stata redenta col mio Sangue e che per trentatre anni mi sono affaticato sulla terra a preparare le tue nozze con me, e questo ti serva come preparazione alla prima parte della Messa.

Considera che ti ho fatta partecipe del mio Spirito e come mi sono fisicamente affaticato per trentatre anni a preparare le tue nozze, così ho anticipato in ispirito la gioia di questa mia unione con te, e questa sia la seconda parte della Messa.

Considera poi che sei stata ricolmata di doni dalla mia divinità e riconosci che questa divinità può procurarti, anche in mezzo alle sofferenze fisiche, le più dolci e soavi delizie spirituali, e sia questa la terza parte della tua Messa.

Considera ancora che sei stata santificata dal mio Amore e riconosci che non hai da te stessa nulla per cui tu possa piacermi, ma che tutto ti viene da me, e questo ti serva come quarta parte della Messa.

Considera infine a quale altezza sei stata sublimata per questa tua unione con me e come, ogni potere essendomi dato in cielo e in terra, nulla può impedirmi di farti partecipare alla mia gloria: conviene infatti che la sposa del Re sia chiamata regina e come tale sia onorata.

Compiaciti dunque nel meditare questi favori e non lamentarti di essere stata privata della Messa».

Casella di testo: 9 – La dispensazione della grazia divina

Una certa persona aveva appreso per rivelazione divina che, per le preghiere della comunità, il Signore si sarebbe degnato di liberare dalle loro pene una moltitudine di anime, edera pertanto stata ingiunta a tutta la comunità una preghiera speciale. Colei di cui si parla in questo libro, una domenica stava recitando come le altre detta orazione col maggior fervore possibile, quando il Signore le si fece vicino, circondato di gloria, in atto di distribuire come un Re io suoi benefici. Non riuscendo però a distinguere con chiarezza in che cosa precisamente si mostrasse tanto occupato, gli disse: «O Dio misericordiosissimo, l’anno scorso nella festa di Santa Maria Maddalena, Tu rivelasti qualcosa alla tua indegna serva. Mi dicesti infatti che la tua misericordia ti induceva a mettere tutta la tua bontà a disposizione di coloro che, sull’esempio di questa beata peccatrice che tanto ti ha amato, vengono in detto giorno a prostrarsi umilmente ai tuoi piedi. Degnati dunque anche oggi di rivelarmi l’azione che stai compiendo, poiché il mio intelletto non riesce a penetrarla». Al che il Signore: «Sto distribuendo i miei doni». Essa comprese allora che Egli applicava a suffragio delle anime dei defunti, le preghiere della comunità, ma, benché queste anime fossero presenti, essa non riusciva in nessun modo a scorgerle. Il Signore aggiunse: «Non vuoi anche offrirmi i tuoi meriti per accrescere la liberalità dei miei doni?». Soavemente intenerita da queste parole, e ignorando che la comunità stava facendo la stessa offerta per esortazione della persona a cui era stata fatta la predetta promessa, piena di riconoscenza che il Signore le chiedesse qualcosa di speciale, rispose gioiosamente: «O sì, Signore, e non solo ti offro i miei meriti, che non sono niente, ma anche quelli della comunità che considero miei per il vincolo di carità che ad essa mi unisce, e te li offro spontaneamente, con immenso gaudio, in unione alle tue perfezioni infinite». Il Signore mostrò di gradire quest’offerta con molta benignità.

Subito dopo, il Signore quasi sospendendo l’azione in cui era occupato, l’avvolse come in una leggera nube e poi chinandosi su di lei e attirandola dolcemente a Sé, disse: «Occupati soltanto di me e godi della soavità della mia grazia». Allora essa: «Perché, o Signore mio dolcissimo, hai rivelato a questa persona con tanta chiarezza ciò che intendevi fare per le anime dei defunti, e hai privato me di ogni luce al riguardo, mentre pur ti degni misericordiosamente di svelarmi la maggior parte dei tuoi segreti?». Al che il Signore le disse: «Tu spesso ti umilii riconoscendoti indegna dei miei doni e pensando che essi ti siano dati solo come si dà la mercede al mercenario per indurlo a prestare i suoi servizi. Ti sembra infatti che la tua fedeltà dipenda unicamente da questi benefici, e anteponi a te gli altri che mi son fedeli pur senza esser indotti a tale fedeltà da alcun speciale favore. Ebbene, ho voluto in questa occasione assimilarti a loro affinché, applicandoti anche tu a suffragare fedelmente le anime dei defunti senza aver ricevuto alcuna illuminazione al riguardo, tu possa condividere il merito che esalti negli altri».

Mentre ascoltava queste parole fu rapita in estasi: comprendeva che la divina bontà, per una mirabile ed ineffabile degnazione, a volte condiscende alla debolezza dell’uomo riversando su di lui le grazie più grandi, a volte nega dei favori molto più piccoli per custodire queste stesse grazie, tutto facendo in tal modo concorrere al bene dell’anima che lo ama. E quasi tratta fuori di sé dall’ammirazione e dalla riconoscenza per l’infinita bontà di Dio verso di lei, e quasi soprafatta dall’azione divina, si gettò sul petto del Signore dicendo: «O mio Signore, la mia piccolezza non può reggere a tanto peso di grazia». Allora il Signore attenuò la luce di quella intuizione, ed essa, riprese le forze, gli disse: «O Dio pieno di bontà, dal momento che l’incomprensibile sapienza dei tuoi ordinamenti vuole che io resti priva di questo dono, d’or innanzi non voglio più desiderarlo».

Poi soggiunse: «Signore, vorrei sapere se mi esaudisce quando prego per i miei amici». E il Signore le confermò solennemente: «Per la mia virtù divina, sii certa che ti esaudisco». Ed essa: «Allora ti prego per quella persona che mi è stata spesso raccomandata». Subito vide uscire dal petto del Signore come un rivoletto d’acqua di una purezza cristallina che si riversava nell’anima della persona per cui pregava. Essa disse allora: «Signore, questa persona non sente l’effusione di questa grazia: a che cosa dunque le gioverà». E il Signore: «Quando il medico propina a una ammalato qualche pozione medicinale, gliastanti non vedono l’infermo risanato non appena abbia bevuto la pozione, e neppure l’infermo si sente subito guarito; e tuttavia il medico, che consoce la virtù della sua medicina, è sicuro che essa gli gioverà».

«Ma perché, Signore – essa disse – non le togli le sue cattive abitudini e quegli altri difetti per cui ti ho spesso pregato?». «Di me quando ero bambino – le rispose il Signore – è detto: Cresceva in età, sapienza davanti a Dio e davanti agli uomini (Lc 2,53). Allo stesso modo questa persona, progredendo continuamente, cambierà i suoi vizi in virtù, e Io le perdonerò tutte le sue debolezze, così che, dopo questa vita, possa conseguire i beni preparati per l’uomo, che Io ho stabilito di esaltare al disopra degli Angeli».

Intanto, poiché si avvicinava l’ora in cui doveva ricever la Santa Comunione, supplicò il Signore che si degnasse anticipare l’ora della grazia anche per tanti peccatori, quante erano le anime che quel giorno avrebbe liberato dalle loro pene per le preghiere di quella persona già nominata. Dicendo «peccatori» essa intendeva quelli che dovevano essere salvati, poiché non presumeva di pregare per quelli che erano sulla strada della dannazione. Ma il Signore, rimproverandole la sua pusillanimità, disse: «Forse che la dignità del mio Corpo immacolato e del mio prezioso Sangue realmente presenti nel Sacramento non possono meritare la grazia di un ritorno a una vita migliore anche a coloro che sono in via di dannazione?». Piena di ammirazione per la larghezza di misericordia racchiusa in queste parole, essa esclamò: «Dal momento che la tua inestimabile pietà si degna di condiscendere a tal punto alla mia preghiera, ti supplico, unendomi all’amore e al desiderio di tutte le tue creature, di voler richiamare alla tua grazia, in qualunque luogo si trovino, tanti peccatori quante sono le anime del purgatorio che libererai dalle loro pene. Non designo con questa preghiera alcuno dei miei amici, parenti od affini, ma i peccatori che ti sono più cari». Il Signore accolse benignamente la sua preghiera e l’assicurò che l’avrebbe esaudita.

Essa disse allora: «Signore, vorrei sapere che cosa ti piacerebbe che io aggiungessi a questa preghiera che ti ho rivolta». Non ricevendo alcuna risposta, disse: «Penso, Signore che non merito di ricevere risposta per la mia infedeltà: Tu che tutto conosci forse prevedi che sarei tanto negligente da non compiere poi ciò che Tu volessi ingiungermi». Allora il Signore le rispose con volto sereno: «La sola fiducia basta per ottenere facilmente tutto: ma se la tua devozione vuole aggiungere qualcosa, recita 365 volte il Salmo Laudate Dominum omnes gentes (1), per le lodi che essi hanno trascurato di rendermi».

Salmo 117 (116)

[1]Alleluia.

Lodate il Signore, popoli tutti,

voi tutte, nazioni, dategli gloria;

[2]perché forte è il suo amore per noi

e la fedeltà del Signore dura in eterno.

Casella di testo: 10 – Le tre oblazioni

Nella festa di S. Mattia, per molte ragioni aveva risoluto di astenersi dalla Santa Comunione. Durante la prima Messa, mentre la sua anima era tutta raccolta in Dio, il Signore le testimoniò tutto l’affetto che l’amico più affettuoso può testimoniare all’amico. Ma essa non se ne accontentava, perché, avvezza a ricevere favori più insigni e per vie più alte, avrebbe desiderato di perdersi nel suo Diletto che è chiamato Fuoco Divorante, e, liquefatta dall’ardore della sua carità, diventare una sola cosa con Lui.

Questo non le fu però concesso per quella volta, ed essa vi rinunciò a gloria di Dio e ritornò al suo consueto modo di orazione. Prese cioè ad esaltare anzitutto l’immensa degnazione della sempre adorabile Trinità per tutte le grazie che dall’abisso della sua misericordia si sono riversate nel corso del tempo su tutti i Beati; poi per tutte le grazie concesse all’augusta Madre di Dio; e infine per tutte quelle infuse nell’Umanità santissima di Gesù Cristo. E supplicava tutti i Santi insieme, e ciascuno in particolare, di offrire alla fulgida e sempre tranquilla Trinità, in riparazione delle sue negligenze, tutto l’amore e tutta la perfezione con la quale, nel giorno della loro morte, si erano presentati al Dio della gloria per ricevere la loro ricompensa. Recitò tre volte con questa intenzione il Laudate Dominum omnes gentes; la prima in onore di tutti i Santi, la seconda in onore della beata Vergine Maria e la terza a gloria del Figlio di Dio. Ma il Signore le disse: «E come vorrai tu ricompensare i miei Santi che si apprestano a pregare per te, dal momento che tu oggi intendi omettere quell’oblazione che eri solita offrirmi per rendermi grazie in loro onore?». Essa non seppe che cosa rispondere.

Quando la Messa giunse alla consacrazione dell’Ostia, fu presa da grande desiderio di trovare un’offerta degna di esser con quella presentata a Dio Padre in eterna lode. E ricevette questa risposta dal Signore: «Se tu ti preparassi oggi a ricevere il Sacramento del mio Corpo e del mio Sangue vivifico certamente potresti conseguire le tre cose che hai desiderato durante la messa: cioè di godere la dolcezza della mia amicizia, di sentire la tua anima liquefarsi nella fornace della mia divinità e di poterti unire a me come l’argento si unisce all’oro nel crogiolo. Allora possederesti un preziosissimo tesoro da presentare come degnissima offerta a Dio Padre a eterna sua lode, ed i Santi per essa vedrebbero crescere la loro ricompensa».

Persuasa da queste parole essa si infiammò di tanto desiderio, che non avrebbe trovato difficile slanciarsi verso questo salutare Sacramento anche attraverso a una selva di spade.

Dopo aver ricevuto il Corpo del Signore, mentre faceva devotamente il suo ringraziamento, il Signore stesso, il vero amico nostro, le parlò così: «Tu volevi oggi confonderti con la folla e servirmi fabbricando con paglia e fango dei mattoni(1), ma io ho voluto che tu avessi parte fra quelli che si saziano delle delizie della mia mensa regale».

In questo stesso giorno un’altra persona si era astenuta senza ragione dalla S. Comunione. Essa perciò disse al Signore: «Perché, o io misericordiosissimo, hai permesso che essa fosse in tal modo tentata?». «Ãˆ forse colpa mia se essa ha voluto così a lungo coprirsi gli occhi con il velo della sua indegnità, da non poter più scorgere la tenerezza del mio paterno affetto per lei?»

(1) Volevi cio̬ prestarmi il servizio di uno schiavo Рcon allusione ai mattoni che il popolo di Israele era costretto a fabbricare con paglia e fango quando era schiavo in Egitto.

Casella di testo: 11 – Una certa indulgenza

Una volta, avendo sentito dire che secondo l’uso si predicava un’indulgenza di parecchi anni per attirare le offerte dei fedeli, disse devotamente al Signore: «Signore, se possedessi molte ricchezze offrirei volentierissimo una grande quantità di oro e di argento per poter così meritare di essere assolta, per questa indulgenza, dai miei peccati, a lode e gloria del tuo nome». Il Signore le rispose: «E allora, per la mia autorità divina Io ti concedo piena remissione di tutti i tuoi peccati e negligenze». Subito essa vide la sua anima splendere più bianca della neve senza la minima macchia.

Dopo alcuni giorni, raccoltasi in se stessa, vide che la sua anima era sempre candida allo stesso modo. Cominciò allora a temere di essersi ingannata a riguardo della visione. Pensava infatti che, se fosse stata vera, il candore dell’anima apparirebbe ora almeno un po’ offuscato per le continue negligenze e leggerezze in cui era incorsa per umana fragilità. Ma il Signore la consolò con queste parole: «Io mi son riservato un potere ben più grande di quello che ho conferito alle mie creature. Se dunque ho dato al sole tanta virtù da far sparire in pochi momenti, per l’azione dei suoi raggi, una macchia su di un panno bianco, tanto da farlo diventare in quel punto più candido di prima, quanto più l’anima su cui io, il Creatore del sole, avrò diretto i raggi della mia misericordia, si conserverà pura da ogni ombra di peccato e di negligenza, per la virtù purificatrice del mio eccessivo amore?».

Un’altra volta, alla vista della sua indegnità e pusillanimità, si sentì così scoraggiata da non riuscire in alcun modo a celebrare le lodi del Signore e neppure ad aspirare, come era solita, alle gioie della contemplazione. E tuttavia, per gratuita misericordia del Signore che la fece partecipe dei meriti della sua santissima vita, si sentì ad un tratto tutta rianimata. Secondo quanto aveva desiderato, le parve come di uscire da se stessa e di trovarsi alla presenza del Re dei re rivestita della bellezza di Ester quando comparve davanti ad Assuero (cf Est 5). Il Signore allora, nella sua bontà, si degnò di rivolgerle queste parole: «Che cosa comandi o Signora e Regina?». Ed essa: «Chiedo, o Signore e desidero con tutto il cuore che si compia in me la tua volontà santissima secondo la pienezza del tuo beneplacito». Allora il Signore, nominando singolarmente tutte le persone che si erano raccomandate alle sue preghiere, disse: «E che cosa chiedi per questa, e quest’altra, e quest’altra ancora che si sono oggi raccomandate in modo particolare alla tua intercessione?». «Null’altro mi piace, Signore, per esse, se non il compimento della tua santissima volontà». E di nuovo il Signore: «»E per te? che cosa vuoi che faccia?

. «Desidero come suprema delizia, che così in me come in ogni altra creatura, si compia la tua pacificante e amabile volontà; e per il suo compimento sarei prontissima ad esporre a qualsivoglia tortura ciascun membro del mio corpo». La benignissima misericordia di Dio, che l’aveva prevenuta con la sua aspirazione, volle a queste parole premiarla con la sua ricompensa e rispose: «Dal momento che con tanto devoto affetto hai desiderato il compimento della mai volontà, voglio benignamente ricompensarti col dono di riuscire d’or innanzi accetta ai miei occhi come se mai tu avessi, neppur nella minima cosa, trasgredito il mio volere».

Casella di testo: 12 – La trasformazione che si compie per opera della grazia

Mentre si cantava l’Antifona Sul mio letto, lungo la notte cercai l’amato del mio cuore (Ct 3,1) nella quale per ben quattro volte vengono ripetute le parole: «L’Amato del mio cuore», essa comprese che l’anima fedele può cercare Dio in quattro modi. Dalle parole: «Sul mio letto, lungo la notte cercai l’amato del mio cuore», essa capì che il primo modo col quale si cerca Dio è quello di lodarlo nel riposo della contemplazione. Le seguenti: «Mi alzerò e farò il giro della città, per le strade e per le piazze voglio cercare l’Amato del mio cuore», le fecero comprendere che il secondo modo di cercarlo è quello di rendergli grazie riandando con la mente ai diversi benefici che Dio prodiga alle sue creature. E poiché è impossibile che la nostra lode sia ad essi adeguata, perciò si aggiunge: «Lo cercai ma non lo trovai». Con la terza parola: «Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda», comprese che gli ammonimenti della giustizia e della misericordia di Dio fanno rientrare l’anima in se stessa. Questa allora, mettendo a confronto i benefici di Dio con la propria indegnità, prende a rammaricarsi dei suoi peccati e a farne penitenza, e invoca la misericordia di Dio dicendo: «Avete forse visto l’Amato del mio cuore?». E non trovando appoggio nei suoi propri meriti, con umile fiducia si volge alla divina misericordia e trova così l’Amato dell’anima sua, sia nella devozione della preghiera, sia nelle ispirazioni della grazia.

Finita questa Antifona durante la quale la misericordia divina le aveva fatto gustare le consolazioni di cui abbiamo parlato ed altre ancora che sarebbe impossibile descrivere, il suo cuore e le sue membra furono scossi da una forza così potente che le parve di venir meno. Disse allora al Signore: «Ora mi pare di poter dire in verità: Ecco, o mio Diletto, non solo l’intimo del mio essere, ma tutte le mie membra hanno sussultato al tuo approssimarsi». E il Signore: «Io conosco perfettamente la virtù che da me esce ed in me rifluisce. Ma tu, circondata come sei di carne mortale, non puoi ancora comprendere in qual modo la dolcezza della mia grazia divina abbia potuto riversarsi su di te». E aggiunse: «Sappi tuttavia che, per virtù di questa grazia, tu hai ricevuto una gloria simile a quella di cui il mio corpo è stato rivestito sul monte Tabor davanti ai miei tre discepoli. Nella dolcezza del mio amore posso dunque ben dire anch’io di te: «Questo è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 17,5). È infatti proprio della mia grazia il far sempre risplendere per via mirabile, così nell’anima come nel corpo, un fulgido raggio di gloria.

Casella di testo: 13 – La riparazione

Un giorno mentre si riponevano i paramenti sacri, cadde a terra un’ostia, che non si sapeva se fosse o no consacrata. Costei, avendone interrogato il Signore, apprese che non era stata consacrata e si rallegrò molto, come era giusto, che nessuna negligenza era stata commessa. Ma poiché ardeva di zelo per tutto ciò che poteva tornare a maggior gloria di Dio, disse: «La tuaimmensa misericordia, Signore, ha impedito questa irriverenza verso il Sacramento dell’altare. Non voglio tuttavia ri8velare che quest’ostia non era consacrata, perché non voglio defraudarti, o mio Dio e Signore, di un omaggio di riparazione considerando, ahimé, gli oltraggi che tanto spesso ti sono inflitti non soltanto dai pagani e dai giudei, ma anche dai tuoi amici più intimi, dai fedeli cche sono stati redenti dal tuo preziosissimo Sangue e qualche volta, lo dico piangendo anche dagli stesssi sacerdoti e dai religiosi».

E aggiunse: «Fammi capire, o mio Signore e mi oDio, quale riparazione ti sarebbe più gradita per tute queste offese, perché la compirei con tutta l’anima, a tua lode e gloria, anche se vi dovessi consumare tutte le mie forze». Comprese allora che il Signore avrebbe gradito l’offerta se, in unione all’amore per cui Egli si fece uomo, si recitassero in onore della sue sacratissime membra duecentoventicinque Pater noster e si compissero altrettante opere di carità verso il prossimo per riverenza della sua parola: «Ciò che avete fato al più piccolo dei miei, lo avrete fatto a me» (Mt 25,40). E ancora se si offrissero per amor suo altrettanti atti di rinuncia a vane e inutili soddisfazioni.

O come grande e ineffabile è la pietà e la misericordia del Signore! Nel suo amore per noi Egli gradisce e anzi ricompensa simili offerte quando il rifiutargliele, ben giustamente, ci attirerebbe un castigo proporzionato alla colpa.

Casella di testo: 14 – Due mezzi di purificazione

Il Signore, che sempre vuole il bene dei suoi eletti, suole talvolta permettere che riesca loro difficile anche il compimento di una cosa da nulla, perché si accresca così, e di molto, il cumulo dei loro meriti.

Così accadde un giorno all’anima di cui parliamo, riguardo alla confessione che le pareva di non poter riuscire a fare quella senza uno speciale aiuto di Dio. Si raccomandò perciò al Signore nella preghiera con tutta la devozione possibile, e ricevette da Lui questa risposta: «Vuoi affidare a me con piena fiducia questa tua confessione e non preoccuparti più del modo come farla?». «Oh, Signore amatissimo, io confido pienamente nell’onnipotenza della tua bontà; ma mi pare sconveniente, dopo averti offeso coi miei peccati, il non ripensarvi nell’amarezza dell’anima, per offriti così una qualche prova di resipiscenza». Il Signore gradì questa risposta ed essa si immerse allora nella considerazione dei suoi peccati. Tutto ad un tratto le sembrò di vedere la sua pelle tutta graffiata, come se si fosse avvolta tra le spine; e poiché essa scopriva la sua miseria al Padre della misericordia, quasi a espertissimo e fidato medico, per essere guarita, Egli chinandosi con bontà verso di lei, le disse: «Col mio divino soffio Io riscalderò per te il lavacro della confessione e quando ti sarai in esso ben lavata, la tua anima si presenterà a me senza macchia alcuna». Essa allora facendo come l’atto di svestirsi per esser immersa in quest’acqua purificatrice, disse al Signore: «O mio Signore, io sono così desiderosa di deporre per amo della tua gloria ogni rispetto umano che sarei pronta a manifestare le mie miserie al mondo intero». Allora il Signore sostituì con la propria la di lei veste, e poi degnò tenerla accanto al suo Cuore finché giunse l’ora di questo spirituale lavacro.

Quando però questo momento fu prossimo essa si trovò assalita da molesti pensieri e perciò disse al Signore: «Poiché il tuo piissimo e misericordiosissimo cuore di Padre sa quanto mi sia grave il far questa confessione, perché permetti inoltre che io sia molestata da questo turbamento?». E il Signore: «Quando si prende un bagno si suole cercare di assecondare l’effetto con un massaggio; allo stesso modo la molestia di questa prova servirà a fortificarti».

Essa vide allora alla sinistra del Signore una piscina calda da cui saliva del vapore. Nello stesso tempo il Signore le mostrò alla sua destra un bellissimo e delizioso giardino pieno di svariati fiori, tra i quali spiccavano delle bellissime rose senza spine che coi loro vivi colori ed il loro soave profumo attraevano mirabilmente. Il Signore l’invitò ad entrare in quel bel giardino qualora lo preferisse al lavacro che le riusciva così intollerabile. «Giammai, Signore, essa rispose. Entrerò senz’altro in quest’acqua purificatrice che il tuo divino Spirito mi ha preparato». E il Signore: «Così sia, disse, a tua eterna salvezza».

Essa comprese allora che il giardino predetto significava l’interna dolcezza della grazia che, al soffio soave dell’amore, inonda l’anima fedele con la vivificante rugiada delle lagrime dei devozione. Essa la rende all’istante più bianca della neve e le dà la certezza non solo del perdono dei peccati, ma anche di un sovrabbondante cumulo di meriti. E capì per conseguenza quanto fosse stato gradito al Signore che essa, per amor suo, avesse rinunciato alla via più dolce per scegliere la più aspra.

Quando, dopo la confessione, essa ritornò al suo posto in coro, sentì che il Signore si degnava di starle vicino e comprese che solo per disposizione sua le era riuscito così grave confessare cose che altri, senza alcun senso di confusione, suol ripetere anche in pubblico.

Si deve dunque tenere presente che l’anima si purifica dal peccato soprattutto in due modi. Primo, con l’amarezza della penitenza e di tutto ciò che essa porta con sé, ed è il mezzo raffigurato dal lavacro. Secondo, per il soave ardore del divino amore e di tutto ciò che ad esso consegue, ed è il mezzo raffigurato dal delizioso giardino.

Dopo la confessione essa cercò, come per una reazione riposante, di raccogliersi nella contemplazione delle piaghe del Signore, in attesa di poter fare la penitenza sacramentale. Si affliggeva però che questa fosse tale da doverla differire perché temeva di non poter godere familiarmente della presenza del suo dolcissimo e amantissimo Signore prima di averla compiuta. Perciò durante la Messa, mentre veniva immolata dal sacerdote l’Ostia sacrosanta che cancella ogni colpa e riconcilia l’uomo con Dio, essa l’offrì al Signore in azione di grazie per il beneficio di questo lavacro spirituale e a soddisfazione di tutte le sue colpe. La sua offerta riuscì accetta, ed essa stessa fu accolta nel seno del Padre sorgente di ogni bontà, ove prese coscienza che veramente l’aveva visitata, per le viscere della sua misericordia e della sua verità, Ciolui che è la luce che splende dall’alto,Oriens ex alto.

Casella di testo: 15 – L’albero dell’amore

Il giorno dopo, durante la Messa, al momento dell’elevazione dell’Ostia si trovò in uno stato di sopore che le rendeva difficile il raccogliersi. Al suono della campana però si svegliò quasi di soprassalto e vide il Re – il Signore Gesù – che teneva con le due mani una pianta tagliata al livello del suolo. Le foglie, quasi fossero stelle, mettevano fulgentissimi raggi, e i rami erano carichi di splendidi frutti che il Signore, scuotendo la pianta, faceva gustare a tutta la corte celeste. Dopo qualche momento il Signore piantò quest’albero, come in un giardino, in mezzo al cuore della nostra eletta affinché facesse produrre frutti più abbondanti ed essa potesse nello stesso tempo riposare alla sua ombra e ristorare così le sue forze.

Non appena l’ebbe nel cuore, essa per moltiplicarne i frutti cominciò a pregare per una certa persona che poco prima l’aveva contristata, protestandosi pronta a sopportare di nuovo l’acerba pena che aveva provato affinché la grazia di Dio fosse restituita più abbondantemente a colei che l’aveva offesa. Ed ecco apparire subito sulla cima dell’albero un fiore dagli smaglianti colori che – com’essa comprese – si sarebbe cambiato in frutto qualora avesse tradotto in atto il suo buon proponimento. Quell’albero simboleggiava infatti la carità, che non solo produce i frutti delle buone opere, ma si adorna anche dei fiori dei buoni propositi e delle splendenti foglie dei santi desideri. Perciò i cittadini del cielo si rallegrano mirabilmente quando un’anima, presa da compassione, cerca come meglio può venire in soccorso alle necessità del prossimo.

In quello stesso momento dell’elevazione dell’ostia, essa ricevette ancora un mirabile monile d’oro, che venne ad aggiungersi al dono di quella rosea veste di cui il Signore l’aveva rivestita il giorno precedente, quando aveva degnato di tenerla vicina al suo Cuore.

Sempre in quello stesso giorno, durante la recita di Nona, il Signore le apparve sotto l’aspetto di un giovane pieno di grazia e di bellezza. Egli la pregò di cogliergli dall’albero alcune noci, e, nel dir così la sollevò da terra e la sedette su di un ramo. Essa osservò: «O dolcissimo giovane, perché chiedi a me di cogliertele? Io sono debole, così per la virtù come per il sesso: a te piuttosto si converrebbe di offrirmele». «Non è così – egli disse – la sposa che si trova in casa propria, presso i suoi genitori, può agire con maggior libertà di un fidanzato discreto che viene a trovarla. E la sposa che, tenendo conto della di lui delicatezza, lo previene con bontà quando lo riceve, a sua volta sarà poi ricevuta da lui con ogni attenzione di onore». Egli le faceva così comprendere quanto siano riprensibili coloro che dicono: «Se Dio volesse che io facessi questo o quest’altro me ne darebbe certamente la grazia». È giusto invece che l’uomo sacrifichi a Dio la propria volontà: ciò gli varrà in futuro una dolce ricompensa.

Essa dunque si disponeva a porgergli i frutti quando il giovane, salito anche lui sull’albero, si sedette vicino a lei e pregandola di sbucciarglieli perché li potesse mangiare. Voleva farle comprendere che non basta vincere la propria volontà per far del bene in circostanze difficili (per es. al proprio nemico), ma che bisogna anche cercare di farlo con la maggior perfezione possibile. Proprio questo infatti voleva insegnarle il Signore sotto il simbolo delle noci. Detti frutti dalla scorza dura ed amara si trovavano frammisti sull’albero dell’amore ad altri teneri e dolci: è necessario infatti che la carità verso i nemici vada unita alla soavità della’more verso Dio, poiché questo rende l’anima pronta a subire per Cristo anche la morte.

Casella di testo: 16 – I vantaggi della tribolazione. La Comunione spirituale

Nell’ultimo giorno in cui la comunità celebrava l’Ufficio divino che, per un interdetto dell’autorità ecclesiastica, doveva venire sospeso [a causa dell’interdetto fulminato, sede vacante, dai Canonici di Halberstadt per una competizione di diritti relativi a beni temporali], mentre si cantava la Messa Salve sancta Parens in onore della Madre di Dio, essa disse al Signore: «E come potrai consolarci, o Dio pieno di bontà, della tribolazione presente?». E il Signore: «io troverò in voi la mia gioia in modo più abbondante. Come lo sposo si compiace della sposa più nel segreto della camera nuziale che in pubblico, così io troverò la mia gioia nel segreto delle vostre lagrime e dei vostri sospiri. E in voi l’amor mio crescerà come il fuoco che, racchiuso, divampa. Avverrà dell’una e dell’altra cosa, e cioè della mia gioia e del vostro amore, come di un corso d’acquache, trattenuto da argini, da prima si gonfia e poi si riversa con impeto maggiore».

«E quanto durerà – essa chiese – questo intervento?». «Finché durerà – rispose il Signore – dureranno anche le grazie che ti ho dato». «Ai grandi della terra sembrerebbe disdicevole l’ammettere nella loro intimità persone di bassa condizione. Allo stesso modo tu devi certo ritenere sconveniente il rivelare a me, l’infima di tutte le creature, i tuoi divini segreti, e perciò, pur conoscendo perfettamente il principio e la fine di tutte le cose, tu hai voluto con la tua risposta tenermi nell’incertezza». E il Signore: «Non è così: l’ho fatto invece per il tu»o bene: qualche volta ti rivelo o miei segreti nella contemplazione e ti innalzo così al disopra del tuo stato,altre volte te li nascondo per fondarti nell’umiltà. Quando te li rivelo tu ti accorgi di quello che sei per grazia mia; quando te li nascondo, tu riconosci quello che sei per te stessa».

All’Offertorio della Messa, «Recordare Virgo Mater: ricordati, o Vergine Madre», quando si giunse alle parole «Ut loquaris pro nobis bona: di intercedere per noi», mentre essa era tutta intenta alla Madre di ogni grazia, il Signore le disse: «Non è necessario che alcuno interceda per voi, perché io vi sono già pienamente favorevole». Essa però, ricordando parecchie mancanze, così sue come di alcune sue consorelle, stentava a credere che il Signore potesse affermare di essere del tutto placato a loro riguardo. Si sentì allora dire dal Signore con dolcezza: «La mia connaturale bontà mi spinge a considerare di preferenza quello che c’è di meglio in ciascun’anima. la mia divinità gradisce allora questo bene che in essa si trova, lasciando nell’ombra ciò che vi è di meno perfetto». «O liberalissimo Signore – essa disse allora – come mai hai potuto elargire tante grazie di consolazione a me così indegna e così poco preparata a riceverle?». E il Signore: «Il mio amore mi ci ha costretto». «E dove è allora la colpa d’impazienza di cui mi sono macchiata poco fa e che ho anche un po’ manifestata esternamente con parole?». «Il fuoco della mi divinità l’ha consumata, così come distrugge ogni macchia di peccato in qualsivoglia anima verso la quale gratuitamente mi inclini la mia bontà».

Ed essa: «O Dio clementissimo, dal momento che la tua grazia è spesso così propizia alla mia indegnità, desidererei sapere se, dopo morte, la mia anima debba purificarsi di colpe come l’impazienza predetta e altre simili». Il Signore nella sua bontà esitava a rispondere, perciò essa soggiunse: «Oh, Signore, in verità, se il decoro della tua giustizia lo esigesse, io sarei pronta a discendere spontaneamente nell’inferno per darti una più degna soddisfazione! Ma se al contrario il far sì che tutto sia consumato nell’amore può esaltare maggiormente la tua connaturata bontà e misericordia, oh, allora te ne scongiuro, purifica col fuoco del tuo amore ogni macchia della mai anima anche se ne sono sommamente indegna». E il Signore, nell’abbondanza della sua divina misericordia, degnò di accogliere la sua preghiera.

Il giorno dopo, mentre si celebrava la Messa per il popolo [nella Chiesa parrocchiale – nota di Lanspergio] al momento della Comunione disse al Signore: «o Padre clementissimo, non ti muoverai a pietà di noi che, a motivo di quei miserabili beni temporali che devono mantenerci nel tuo santo servizio, siamo prive del bene assai più prezioso del tuo Corpo e del tuo Sangue?». E il Signore: «Perché dovrei compiangere la mia sposa se, volendo introdurla nella festosa e fiorita sala del convito nuziale, la tiro prima in disparte per riparare di mai propria mano qualche piccola negligenza del suo abbigliamento e presentarla così più bella agli occhi di tutti?». Ed essa: «Ah, Signore! ma come possono essere in grazia tua coloro che ti sono causa di tanta sofferenza?». E il Signore: «Non te ne occupare: questo riguarda me».

Al momento dell’elevazione della santa ostia, essa l’offrì a eterna lode di Dio e a salvezza di tutta la comunità. Il Signore accolse in Sé quest’Ostia e, aspirandone la vivifica fragranza, disse: «Ecco, per questa aspirazione Io ristorerò con un cibo divino le anime delle mie spose». Essa allora gli disse: «O Signore, stai forse per comunicare tutta la comunità?». «No, soltanto quelle che ne hanno il desiderio, o desiderino averlo. Alle altre, perché appartengono alla comunità, concederò soltanto di cominciare a desiderarlo efficacemente, così come colui che non appetisce il cibo materiale, a poco a poco, per ilgrato odore delle vivande, è tuttavia indotto ad assaggiarle con piacere».

Nel giorno dell’Assunta, all’elevazione dell’Ostia, essa sentì queste parole del Signore: «Vengo ad offrirmi a Dio Padre per le membra del mio corpo mistico». Disse perciò: «O mio Signore amantissimo, permetterai dunque che noi, tue membra, venivano separate da te per l’anàtema di cui ci minacciano coloro che vogliono impadronirsi dei nostri beni?». E il Signore: «Vi separi da me colui che potrà strappare dall’intimo del mio essere l’amore che mi tiene unito a voi». E aggiunse: «Un’anàtema scagliato per questa causa non vi nuoce più di quanto un coltello di legno possa scalfire qualcosa di duro; non riuscirà a penetrarvi, ma vi lascerà soltanto una lievissima traccia». «O mio Signore e mi oDio, che se i la Verità infinita – essa disse allora – tu hai voluto rivelarmi, benché ne sia tanto indegna, che ti proponi in questa circostanza di accrescere il nostro amore per te e di prendere perciò con maggiore abbondanza le tue delizie in noi; com’è dunque possibile che alcune si lamentino di sentire che il loro amore per te si è illanguidito?». E il Signore: «Io sono la sorgente di ogni bene, e do a ciascuno ciò che gli conviene nel momento più adatto».

Casella di testo: 17 – La condiscendenza del Signore nella distribuzione della grazia

Nella domenica in cui celebrava la festa di S. Lorenzo ed insieme l’anniversario della Dedicazione della Chiesa, alla prima Messa, mentre stava pregando per alcune persone che si erano devotamente raccomandate alle sue orazioni, vide scendere dal trono di Dio fino a terra una vita i cui verdi tralci formavano come una scala.

Comprese che simboleggiava la fede per la quale gli eletti si innalzano alle cose celesti. Essa vide che a sinistra del trono, stavano diverse persone appartenenti alla Comunità e lo stesso Figlio di Dio, il quale si teneva con grande riverenza alla presenza del Padre suo celeste.

Si avvicinava il momento in cui la Comunità avrebbe dovuto accostarsi alla sacra mensa se l’interdetto non l’avesse impedito, ed essa fu presa da un grande desiderio che, per quella divina clemenza a cui nessun potere umano può opporsi, il Sacramento della vita venisse spiritualmente distribuito così a lei come alle altre consorelle presenti. Vide allora che il Signore Gesù immergeva nel seno del Padre un’Ostia che teneva in mano, ritirandola poi tutta rossa e come tinta di sangue. Molto perplessa, stava pensando cosa volesse significare questo fatto, poiché il color rosso simbolo della passione, non poteva convenire a Dio Padre e così, assorta in questo pensiero, non poté rendersi conto se il suo desiderio venisse esaudito.

Solo qualche momento dopo avvertì che il Signore aveva scelto come luogo del suo riposo l’anima della consorella che aveva visto alla sinistra del trono, senza comprendere tuttavia come ciò fosse avvenuto.

Si ricordò intanto di una certa persona che si era umilmente e devotamente raccomandata a lei prima della messa, e si mise a pregare affinché il Signore volesse concederle questo stesso favore. Ricevette questa risposta: «Nessuno può salire la scala della fede che ti ho mostrata dianzi se non sulle ali della fiducia; e la persona per cui preghi ne ha ben poca». «Signore – essa rispose – mi pare che essa non confidi per umiltà, e Tu, di solito, profondi maggiori grazie appunto a che è umile». «Bene, allora discenderò e comunicherò i miei doni a le e ad altre ancora che io vedo stabilite nella virtù dell’umiltà».

Le parve allora che il Signore discendesse come per una scala di porpora. Dopo qualche istante essa lo vide in mezzo all’altare, rivestito dei paramenti pontificali e con in mano una pisside simile a quella in cui si conservano le Ostie consacrate. Durante la Messa, fino al Prefazio, Egli se ne stette così, rivolto verso il sacerdote. Lo attorniava una moltitudine di Angeli adoranti, che tutta la chiesa alla destra del Signore, e cioè verso settentrione, ne appariva gremita. Essi si mostravano particolarmente pieni di gioia per il fatto di aggirarsi in un luogo in cui veniva spesso offerta a Dio la devota orazione dei loro concittadini, intendo dire della Comunità [Gaudeni chori Angelorum, consortes et concives nostri, si canta in un Responsorio della Solennità dell’Assunta]. Alla sinistra invece il Signore, cioè verso mezzogiorno, stava un solo coro di Angeli, poi, distinti da questo, un coro di Apostoli, uno di Martiri, uno di Confessori e uno di Vergini.

Essa stupita li guardava, e, mentre piena di ammirazione rifletteva che secondo la Scrittura la purezza avvicina a Dio (Sap 6,20), si accorse che fra il Signore e il coro delle Vergini splendeva una luce speciale, quasi un candore di neve, che sembrava indicare il particolare vincolo di soavissima dolcezza e di mirabile intima gioia con cui quelle anime gli erano unite. E vide anche che alcuni raggi di meraviglioso splendore colpivano in particolare alcune persone della Comunità, quasi che fra esse e il Signore non ci fosse alcun impedimento, mentre invece parecchi muri le separavano dalla chiesa dove avveniva lavisione.

Mirabilmente rallegrata e presa nello stesso tempo da sollecitudine anche per il resto della Comunità, disse al Signore: «Dal momento che la tua infinita misericordia ricolma me, o Signore, di una grazia di così indicibile soavità, che cosa dai a quelle che in questo momento si affaticano nei lavori manuali e sono certamente prive di simili dolcezze?». E il Signore: «Io effondo su di loro il mio balsamo anche se la loro anima si trova come in uno stato di dormiveglia». Essa rimase molto stupita che potessero conseguire gli stessi frutti quelle che si davano agli esercizi spirituali e quelle che non li praticavano, quasi che il balsamo del Signore agisse come il balsamo che rende imprutrescibili le piaghe, il quale produce lo stesso effetto così applicato durante il sonno come durante la veglia. Fu allora illuminata da un paragone più intellegibile: un uomo mangia e si sente ristorato in tutte le membra, benché solo la bocca gusti il sapore dei cibi. Allo stesso modo quando viene elargita ad anime privilegiate qualche grazia speciale, subito per misericordia di Dio essa accresce il merito anche in tutti quelli che sono in comunione con loro e in particolre nei membri della loro stessa Congregazione, eccetto quelli il cui cuore è posseduto dall’invidia e dalla mala volontà.

Nel frattempo, quando si giunse all’intonazione del Gloria in exelsis Deo, il Signore Gesù, Pontefice sommo, mandò verso il cielo, a gloria del Padre, un soffio divino a guisa di un’ardente fiamma. E alle parole: «Et in terra pax hominibus bonæ: pace in terra agli uomini di buona volontà», diresse questo stesso soffio sui presenti sotto forma di un raggio di candida luce. Al «Sursum corda: in alto i nostri cuori», il Figlio di Dio si alzò e attrasse a sé, come in un’aspirazione potente, i desideri di tutti gli astanti; poi si volse verso l’oriente e, circondato da immense schiere di Angeli ministranti, stette con le mani alzate, offrendo a Dio , con le parole del Prefazio, i voti dei fedeli.

All’intonazione del primo Agnus Dei, il Signore si elevò in mezzo all’altare in tutta la sua maestà. Al secondo Agnus Dei effuse nelle anime dei fedeli presenti qualcosa della sua insondabile sapienza. Al terzo Agnus Dei infine, rivolto al cielo, presentò a Dio Padre, come suoi, i voti e i desideri di tutti gli astanti. Poi, nell’abbondanza della sua pietà, diede con le sue labbra divine il bacio di pace a tutti i Santi presenti, onorando con un privilegio speciale il coro delle Vergini che ricevette, dopo il bacio di pace, anche il dolce bacio della carità, sul cuore.

Dopo di che, effondendo anche sulla Comunità il suo dolcissimo divino amore, Egli disse: «Io mi do tutto a voi affinché ciascuno possa trovare in me il suo gaudio».

Allora essa disse al Signore: «Signore, benché or ora tu mi abbia saziata con un’incredibile dolcezza, tuttavia se resti sull’altare mi sembri ancora troppo lontano: concedimi dunque che durante la benedizione di questa stessa Messa la mia anima si senta intimamente unita a te». E il Signore la esaudì in tal modo che essa si sentì divinamente stretta e unita al suo Cuore in un amplesso la cui forza era pari alla dolcezza.

Casella di testo: 18 – Un dono in preparazione alla santa Comunione e diverse altre grazie

Un giorno, mentre si cantava l’Antifona «Gaudete et lætare», si disponeva ad avvicinarsi all’altare a ricevere il Sacramento della vita. Quando intonò il canto del Sanctus, Sanctus, Sanctus, essa, prostrandosi con profonda umiltà, pregò il Signore che degnasse Egli stesso prepararla ad accostarsi degnamente al celeste banchetto, a di Lui lode e a vantaggio di tutti i suoi fratelli. Il Figlio di Dio allora, il dolce Amico delle anime nostre, chinandosi verso di lei impresse nella sua anima, durante il canto del secondo Sanctus, un bacio soavissimo. «Ecco, a questo Sanctus che è rivolto alla mia persona, Io ti faccio dono di tutta la mia santità divina ed umana, affinché ti serva di degna preparazione per accostarti a ricevermi».

Il giorno dopo, che era una domenica, mentre rendeva grazie a Dio per questo dono, ecco che il Figlio di Dio, più belo di tutti gli Angeli, la sollevò in alto con le sue proprie braccia, come se trovasse in lei la sua gloria, e la presentò a Dio Padre rivestita di quella perfezione di santità di cui le aveva fatto dono. E Dio Padre si compiacque tanto di lei, attraverso il suo Unigenito, che, nell’effusione del suo amore le applicò anch’Egli la perfezione che gli viene attribuita dal primo dei tre Sanctus, e così fece lo Spirito Santo in riferimento al terzo. In tal modo essa ricevette la pienezza di una benedizione di perfetta santità, così dall’onnipotenza come dalla sapienza e dall’amore di Dio.

Un’altra volta, mentre stava per ricevere la Comunione, vide parecchie consorelle che, o per una ragione o per un’altra, erano impedite di farla, e, piena di riconoscenza e di gioia, disse al Signore: «O Dio di amore, ti ringrazio di avermi messa in condizioni tali che né parenti né alcun’altra causa possono impedirmi di partecipare al tuo letificante convito». Il Signore con la sua consueta dolcezza le rispose: «poiché ti rallegri che nulla ti impedisca di venire a Me, sappi che nulla, né in cielo, né in terra, neppure il rigore dei miei giudizi e della mia giustizia varranno a trattenermi dal colmarti dei miei benefici secondo il beneplacito del mio Cuore».

Un’altra volta, in procinto di accostarsi alla sacra mensa, ardeva dal desiderio di esservi degnamente preparata dal Signore stesso; ed Egli con somma condiscendenza e bontà le disse: «Ecco, Io mi rivesto di te, per poter stendere, senza ferirla, la mia divina mano ai più rozzi peccatori onde far loro del bene; e ti rivesto di Me affinché coloro che tu mi presenti nella preghiera, anzi tutti coloro che ti sono simili per natura, possano divenir degni di ricevere i benefici della mia regale munificenza».

Un’altra volta ancora, disponendosi a partecipare ai divini Misteri, ripensava ai tanti benefici che Dio le aveva elargito e le venne in mente questo passo del libro dei Re: «Chi sono mai io e che cos’è la casa di mio padre?» (2Sam 7,18 = 1Cr 17,16). Essa non riferì queste parole alle persone e alle circostanze a cui nel sacro testo si applicavano, ma le riferì a se stessa. Le parve di essere una povera piccola pianticella che, continuamente irradiata dal benefico calore del Cuore di Dio, ne aveva naturalmente sentito la vivificante influenza. Ma poi, inaridita a poco a poco per colpa delle sue negligenze, si vedeva ormai quasi del tutto disseccata, e fatta simile a un povero steccolino carbonizzato. Si volse perciò a Gesù, Figlio di Dio e Mediatore nostro, e lo pregò di volerla, benché tanto indegna, presentare riconciliata al Padre suo. Il Signore Gesù parve allora attirare a sé la pianticella della sua anima con la forza che emanava dal suo Cuore divino, per innaffiarla con l’acqua che scaturiva dalla sua ferita e vivificarla con la linfa del suo preziosissimo Sangue. Ed ecco che il piccolo carboncino, riavendosi a poco a poco si ricoprì di verde e si trasformò in un albero i cui rami si dividevano in tre parti a modo del giglio. Il Signore allora lo presentò in azione di grazie e di lode all’adorabile Trinità che degnò benignamente chinarsi su di esso. Dio Padre, in virtù della sua onnipotenza, fece apparire sui rami più alti dell’albero tutti i frutti che quest’anima avrebbe potuto portare assecondando nel debito modo l’onnipotente azione della grazia divina. Analogamente il Figlio e lo Spirito Santo fecero apparire sulle altre due parti dei rami i frutti delal sapienza e dell’amore.

Quando poi ebbe ricevuto il Corpo del Signore, le parve che la sua propria anima fosse un albero piantato nella ferita del costato di Cristo. Lo sentì penetrato in modo mirabile da una virtù che proveniva insieme dall’Umanità e dalla Divinità del Signore e che, salendo dalla radice, si spandeva nei rami, nelle foglie e nei frutti. In tal modo la vita stessa del Signore pareva prendere nella sua anima un nuovo splendore, precisamente come l’oro che sembra brillare di più quando è visto attraverso il cristallo. La SS. Trinità e tutti i Santi provavano a questa vista una gioia indicibile: i Santi poi si alzarono in piedi con riverenza e, inchinandosi profondamente, presentarono ciascuno i propri meriti in forma di corone che appesero ai rami di detto albero, a lode e gloria di Colui che degnandosi di effondere la sua luce attraverso la sua creatura li ricolmava di una letizia nuova.

Pregò il Signore di rendere almeno ora partecipi dei beni che la sua bontà le aveva elargito tutti coloro che, in cielo, in terra e nel purgatorio, avrebbero in passato potuto trarre un qualche profitto dal frutto delle sue opere se essa non fosse stata così negligente nel compierle. Ed ecco che tutte le sue opere, raffigurate nei frutti dell’albero, presero a trasudare un prezioso liquore che si effuse parte sui Santi del cielo di cui accrebbe la letizia, parte sulle anime del purgatorio di cui mitigò le pene; e parte sulla terra, dove accrebbe ai giusti le consolazioni della grazia e ai peccatori la salutare amarezza del peccato.

Un giorno, mentre al momento dell’elevazione essa offriva a Dio Padre l’Ostia sacrosanta a degna espiazione di tutti i suoi peccati e a riparazione di tutte le sue negligenze, conobbe che la sua anima, presentata al cospetto della Maestà divina, veniva da essa accolta con lo stesso compiacimento dell’Agnello senza macchia, Cristo Gesù, splendore e immagine del Padre, che in quel momento si offriva in sacrificio sull’altare per la salvezza del mondo, Dio Padre, attraverso l’innocentissima umanità di Gesù Cristo, la vedeva infatti pura e monda da ogni peccato, e per la di Lui Divinità la vedeva arricchita ed ornatadi tutte le virtù.

Essa rese grazie al Signore con tutta l’anima per questa mirabile degnazione della divina pietà, e, in quel momento, la sua anima comprese che ogni qual volta uno assiste con devozione alal santa Messa, unendosi al Signore che in quel momento si offre sull’altare per la redenzione del mondo intero. Dio Padre lo guarda con la stessa compiacenza con cui guarda l’Ostia sacrosanta che gli viene offerta. La sua anima all’istante si trova inondata di luce, come all’improvviso si trova illuminato dal sole colui che, uscendo dalle tenebre, si espone ai suoi raggi. Domandò allora al Signore: «Ma, Signore mio, se uno poi cade nel peccato non perde forse questa luce, precisamente come rientra nelle tenebre chi si ritira dal sole?». Il Signore rispose: «No: benché col peccato si offuschi la luce della mia misericordia, tuttavia la mia pietà fa sì che l’uomo conservi sempre un vestigio di questa grazia per la vita eterna e che egli possa accrescerla e moltiplicarla ogni qual volta assiste con devozione ai santi Misteri».

Un altro giorno, dopo aver ricevuto la Comunione, pensava con quanta diligenza ci si debba guardare dai peccati della lingua proprio perché la bocca, fra tutte le membra, ha l’onore di accogliere in sé i preziosi misteri del Cristo. Un paragone allora la illuminò: se uno non si guarda dalle parole inutili, dalle bugie, dal turpiloquio, dalla maldicenza, dalla mormorazione, ecc., e, senza pentirsene, s’accosta alla Comunione, riceve Cristo allo stesso modo di chi dalla porta scagliasse in testa all’ospite le pietre ammassaste a quest’intento sulla soglia, oppure gli assestasse sul capo un colpo di bastone.

Chi legge queste righe consideri con lagrime di compassione quanto poco s’accordi tanta durezza di cuore con tanta bontà, e tanta crudele persecuzione da parte dell’uomo con la mansuetudine di Colui che viene a salvarlo, con sì grande bontà. E lo stesso si pensi di qualsivoglia altro peccato.

Una volta, in procinto di comunicarsi, giudicandosi insufficientemente preparata, disse alla propria anima: «Ecco, lo Sposo ti chiama! Come potrai andargli incontro, se non sei ornata di nessuno dei meriti che dovrebbe prepararti a riceverlo?».

Più rifletteva e più si riconosceva indegna, ma, non avendo d’altra parte alcuna fiducia in se stessa, mise tutta la sua speranza nella misericordia di Dio e disse: «A che pro indugiare? Se anche mi impiegassi mille anni, certo non varrei mai da sola a dispormi a riceverlo convenientemente, che certo non son da tanto. Gli andrò dunque incontro con umiltà e fiducia, e quand’Egli mi vedrà da lontano, il suo amore lo indurrà a mandarmi quanto è necessario perché mi possa presentare a Lui degnamente preparata».

Si avanzò dunque verso la sacra Mensa con questi sentimenti, tenendo fissi gli occhi dell’anima sulla propria miseria e indegnità. Fatti alcuni passi, il Signore le apparve: la guardò con sguardo di compassione e insieme di amore e per prepararla le mandò la propria Innocenza perché le servisse di candida e morbida tunica, e l’Umiltà che lo induce ad unirsi ai più indegni, perché la rivestisse di una veste violacea. Ed ancora: la Speranza che gli fa desiderare l’amplesso delle anime nostre, perché se ne servisse come di una verde guarnizione; l’Amore di cui circonda le anime, perché l’avvolgesse con un mantello d’oro; la Gioia che fa trovare in noi le sue delizie perché le cingesse il capo come una corona gemmata; e infine la fiducia con la quale egli non sdegna il fragile fango della nostra umanità perché le servisse di calzatura. Così preparata si presentò al Signore.

Dopo averlo ricevuto, mentre era tutta raccolta in sé, il signore le si mostrò in figura di un pellicano, che, come spesso lo si suol rappresentare, si apre il cuore col becco. Piena di ammirazione essa disse: «O Signore, che cosa vuoi farmi comprendere con questa figura?». «Voglio che tu consideri quanto smisurato sia l’amore che mi induce a fare agli uomini un sì eccelso dono. Se l’espressione potesse convenire a Me, direi che la morte mi parrebbe meno amara del rifiutare questo dono a un’anima amante, Considera in quale mirabile modo la tua anima riceva da questo dono una grazia che è come un anticipo della vita che non avrà mai fine, così come i piccoli del pellicano ricevono la vita dal sangue che cola dal cuore del padre».

Una lunga predica sulla divina giustizia l’aveva un giorno talmente atterrita che, piena di spavento, non osava più accostarsi al Sacramento divino. Fu misericordiosamente riconfortata da Dio con queste parole: «Se non vuoi più considerare con gli occhi della mente la bontà che ti ho dimostrata in mille modi, guarda almeno con gli occhi del corpo in che angusta pisside Io me ne stia racchiuso per venire a te, e tieni per certo che allo stesso modo il rigore della mia giustizia è come trattenuto dalla dolcezza della misericordia che in questo Sacramento degno mostrare all’uomo con tanta evidenza».

Un’altra volta, mentre si trovava in identiche condizioni di animo, la divina bontà la invitò con queste parole a gustare la dolcezza del divin Sacramento: «Considera come sia piccola l’Ostia nella quale vengo a te con la mia Divinità e la mia Umanità. Paragona le sue proporzioni con quelle del corpo umano e rifletti quanto sia grande la mia degnazione: poiché, come il corpo umano supera per dimensioni il mio corpo – vale a dire le specie del pane che contengono il mio corpo – così la mia misericordia e la mia carità mi inducono a permettere che in questo Sacramento l’anima umana sembri per così dire più potente di me».

Un’altra volta, mentre si distribuiva la santa Comunione, il Signore le provò la sua grande condiscendenza con queste parole: «Osserva il sacerdote che distribuisce le Ostie: vedi, per reverenza a l Sacramento è rivestito di un paramento ampliassimo, ma per distribuire la Comunione lo ripiega sulle braccia [l’ampia forma della pianeta antica richiedeva questa precauzione] e tocca il mio corpo con la mano scoperta. Questo ti facci comprendere che quantunque Io gradisca tutto ciò che si fa a mia gloria, come le preghiere, i digiuni, le veglie e cose simili, tuttavia (anche se ciò riesce incomprensibile a chi ha pocaintelligenza delle cose spirituali) Io accolgo con maggior compassione ed amore coloro che, convinti della loro debolezza, cercano rifugio nella mia misericordia. Questo tu lo vedi simboleggiato dalle mani scoperte del sacerdote che mi son più vicine dei suoi ricchi paramenti».

Un’altra volta ancora, sentendo suonare la campana della Comunione, riconoscendosi insufficientemente preparata, disse al Signore quando già era intonato il canto: «Ecco che ti appresti a venire a me! Perché, o Signore, tu che puoi tutto, non mi hai mandato qualche bel monile onde potessi presentarmi a te più convenientemente adorna?». Il Signore rispose: «Lo sposo si compiace d i più della sua sposa che non delle sue collane che la adornano e preferisce prendere le di lei mani nelle sue anziché vedergliele coperte di ricchissimi guanti: allo stesso modo a volte Io mi diletto di più nella virtù dell’umiltà che nella grazia della devozione».

Parecchie persone della Comunità erano state un girono costrette ad astenersi dalla Comunione. Essa invece si era accostata ai santi Misteri e rendendo grazie al Signore diceva: «Tu mi hai invitata al tuo convito, e io son venuta piena di riconoscenza». Il Signore rispose con parole più dolci del miele: «Io desideravo con tutto il cuore che tu venissi». Ed essa: «O Signore, quale gloria può mai trarre la tua divinità dal fatto che io indegnamente spezzi coi denti il tuo sacramento immacolato?». E il Signore: «L’amore con cui si ama l’amico fa trovar nei miei eletti delle dolcezze che da parte loro essi spesso ignorano».

Un’altra volta, durante la distribuzione della Comunione, desiderava dal suo posto di poter vedere l’Ostia , ma ne era impedita dalla folla di quelli che s’accostavano alla sacra Mensa. Sentì allora che il Signore l’invitava dolcemente, dicendo: «Conviene che il dolce mistero dell’unione resti nascosto a coloro che da me si allontanano. Se tu vuoi conoscerlo, vieni e sperimenta col gusto, non colla vista, la dolcezza di questa manna nascosta».

Vide un giorno una delle sue consorelle accostarsi con eccessiva trepidazione al Sacramento della vita, e, indignata, da quel momento si allontanò da lei quasi con sdegno. Il Signore paternamente la redarguì di questo sentimento: «Non capisci che la riverenza e il rispetto mi son dovuti non meno della tenerezza e dell’amore? Siccome però per la fragilità della sua natura l’uomo non può offrirmi queste due cose insieme, è giusto che, essendo voi membra di uno stesso corpo, il difetto dell’uno sia compensato dall’altro. Così chi, per es., più tocco dalla dolcezza dell’amore non mi presta in grado uguale l’ossequio della reverenza, deve essere lieto che il suo difetto sia compensato da chi sente più profondamente il dovere del rispetto, e deve desiderare che questi a sua volta venga confortato dall’unzione della grazia divina».

Un’altra volta vide una consorella in preda a grande timore per una ragione consimile. Pregò per lei e il Signore le rispose: «Vorrei che i miei eletti non mi ritenessero tanto crudele, ma credessero invece che io accetto per buono, anzi per ottimo, un servizio che mi venga da essi reso a loro proprie spese. E mi serve a sue spese chi per esempio, pur non sentendo alcuna devozione, mi presta tuttavia l’ossequio delle sue preghiere, genuflessioni, ecc., confidando che la mia bontà e misericordia degni ugualmente accettarle».

Un giorno pregava il Signore per una persona che si lamentava che la grazia della devozione le fosse elargita con maggior frequenza nei giorni ordinari che nei giorni di Comunione. Il Signore le rispose: «Ciò non avviene a caso, ma per mia divina disposizione: quando in un giorno ordinario all’improvviso Io infondo la grazia della pietà, è perché voglio costringere il cuore dei miei fedeli ad innalzarsi a Me, mentre forse, senza questo aiuto, resterebbe in quel momento nel suo torpore. Quando invece nei giorni di festa e al momento della Comunione Io sottraggo la mia grazia, il cuore dei miei eletti si sforza di concepire dei buoni desideri, o almeno si esercita nell’umiltà. E tale sforzo e tale costrizione riescono più vantaggiosi alla loro salvezza che non alla grazia della devozione».

Pregava un giorno per una persona che si era astenuta, in seguito a leggere colpe, dal ricevere la Comunione per timore di scandalizzare quelli che l’avessero veduta. Il Signore l’istruì con questa similitudine: «Chi scopre una macchia su una mano, subito se la lava e, dopo che l’ha lavata, non solo la macchia non c’è più, ma entrambe le mani sono più pulite. Lo stesso avviene ai miei eletti: Io permetto che cadano in qualche lieve colpa affinché, purificandosene con la penitenza, mi diventino più graditi per la loro umiltà. Alcuni di essi però contrariano talvolta il mio intento perché, facendo poco conto della bellezza interiore dell’anima che si consegue attraverso la penitenza, si preoccupano invece solo della correttezza esterna che si basa sul giudizio degli uomini. Così fanno per es. quando si privano della grazia della santa Comunione per timore di essere biasimati dagli altri che li vedono accostarsi a riceverla apparentemente senza la dovuta riverenza».

Un giorno, appressandosi il momento della Comunione, si sentì interiormente invitare dal Signore con tanta dolcezza da darle l’impressione di trovarsi già negli atri eterni, in procinto di assidersi nel regno della gloria alla mensa del Padre suo celeste. Riconoscendosi sommamente impreparata, confusa dalla sua miseria, cercava con ansia di sottrarsi a questo invito. Il Figlio di Dio allora sembrò trarla in disparte per prepararla Egli stesso. Cominciò, così le parve, col lavarle le mani in segno della remissione di ogni peccato che le concedeva per i dolori della sua passione. Poi, spogliandosi dei suoi monili se ne servì per adornarla, e l’invitò poi ad avanzarsi verso la sacra Mensa con quella compostezza e quel decoro che impongono rispetto, e non come gli stolti che, ignari delle convenienze, col loro incedere goffo non destano che un sorriso di compatimento. Questo paragone le fece comprendere che coloro che camminano come degli stolti rivestiti degli ornamenti del Signore sono quelli che, dopo aver considerato le proprie imperfezioni, supplicano il Figlio di Dio a voler supplire alla loro miseria; ma poi, ricevuto il beneficio, rimangono pavidi come prima, perché non hanno piena fiducia nella perfetta soddisfazione che il Signore ha offerto in loro vece.

Un altro giorno, nell’atto di comunicarsi offrì a Dio il sacrificio del Corpo del Signore in suffragio di tutte le anime del purgatorio, e sentì che le anime dei defunti ne ricevevano un grande sollievo. Piena di ammirazione disse allora: «O benignissimo Signore, benché io sia tanto immeritevole, Tu per tua bontà sempre degni di visitarmi, anzi di rimanere in me con la tua presenza; come si spiega allora che Tu non sempre operi per mio mezzo quanto operi in questo momento in cui ho ricevuto il tuo santissimo Corpo?». E il Signore: «Un Re, quando abita nel suo proprio palazzo, non è facilmente accessibile a tutti; ma quando, attirato dal suo amore per la Regina, scende a visitarla in città, tutti gli abitanti dei dintorni godono più largamente e più facilmente delle liberalità del Re, e si rallegrano delle sue elargizioni. Così, quando, spinto dalla bontà e dalla tenerezza del mio Cuore Io mi abbasso nel Sacramento della vita verso un’anima che non sia in peccato mortale, tutti gli abitanti del cielo, della terra e del purgatorio, ricevono in dono di inestimabili benefici».

Un’altra volta, mentre si preparava alla Comunione, sentì un gran desiderio di inabissarsi e di nascondersi nella valle dell’umiltà per onorare la degnazione del Signore che nutre i suoi eletti col prezioso suo Corpo e col suo Sangue. Ebbe allora l’intelligenza della profondissima umiliazione del Signore quando discese al Limbo per liberare le anime che vi eran prigioniere. Mentre cercava di unirsi a quest’umiliazione , le parve d’un tratto di essere discesa nell’abisso del purgatorio e udì queste parole del Signore: «Quando mi riceverai nel SS. Sacramento ti attirerò a Me in modo tale che tu trascinerai a tua volta tutte le anime a cui giungerà il profumo del santo desiderio di cui saranno impregnate perfino le tue vesti».

Dopo questa promessa, si accostò al Sacramento con l’ardente desiderio che il Signore le concedesse la liberazione di tante anime del purgatorio quante sarebbero state le particelle in cui l’Ostia si sarebbe divisa nella sua bocca. Mentre cercava perciò di dividerla in parecchi frammenti il Signore le disse: «Per farti comprendere come le mie misericordie sorpassano veramente tutte le altre opere mie [“Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” – Sal 145,9] e come nessuno possa esaurire l’abisso della mia pietà, ecco che per i meriti di questo vitale Sacramento mi accingo a concederti molto più di quanto la tua preghiera osi domandare».

Un altro giorno, in procinto di accostarsi alla sacra Mensa, cercava con più impegno del solito di umiliarsi per la sua indegnità e pregava il Signore di voler ricevere Egli stesso l’Ostia sacrosanta in vece sua, di incorporarla a sé, e di concederle poi che per mezzo del uso soffio divino essa ne aspirasse ad ogni ora l’influsso nella misura che Egli avrebbe veduto convenire alla sua debolezza.

Si riposò dopo per qualche momento sul petto del Signore, quasi protetta dalle sue braccia, appoggiata col suo lato sinistro sul lato destro del suo Diletto. Dopo qualche istante s’accorse che la ferita del costato del Signore aveva lasciato sul suo lato sinistro l’impronta di una rosea cicatrice. Recatasi in seguito a far la Comunione le parve che il Signore ricevesse nella sua divina bocca l’Ostia sacrosanta e che questa, dopo aver attraversato il suo petto, uscisse poi dalla piaga del costato e vi rimanesse applicata. Il Signore le disse: «Quest’Ostia ci unirà in modo che uno dei suoi lati coprirà la tua ferita e l’altro la mia. Ogni giorno tu la toccherai meditando l’inno Jesu nostra redemptio: O Gesù redenzione nostra». E per accrescere la di lei devozione si compiacque di ingiungerle di prolungare ogni giorno più questa preghiera, recitandola una volta il primo giorno, due il secondo, tre il terzo, ecc. fino alla Comunione seguente.

Casella di testo: 19 – Come pregare e salutare la Madre del Signore

Un giorno, durante l’orazione, domandò al Signore su che cosa avrebbe desiderato che meditasse. Egli rispose: «Tieni vicina la Madre mia che siede accanto a Me, e applicati a onorarla con le tue lodi». Salutò allora devotamente la Regina del Cielo con questo versetto: Paradisus voluptatis ecc.: Paradiso di delizie, congratulandosi che ella fosse stata scelta a giocondissima abitazione dell’inesauribile Sapienza di Dio che prende nel Padre le sue delizie e a cui nulla è nascosto.

La pregò poi di ottenerle un cuore così adorno delle più belle virtù che Dio potesse compiacersi di abitarvi. La beata vergine parve chinarsi come per piantare nel cuore di chi le rivolgeva questa preghiera i fiori di svariate virtù, e cioè la rosa della carità, il giglio della castità, la viola dell’umiltà, il girasole dell’ubbidienza e altri ancora, facendole in tal modo comprendere quanto pronta essa sia ad esaudire le preghiere di coloro che la invocano.

La salutò in seguito col versetto: Gaude morum disciplina: rallegrati o noma dei costumi, per lodarla di aver custodito e governato i suoi sensi, i suoi affetti, le sue volontà e tutti i moti dell’anima sua con tanta diligenza da aver potuto offrire coi suoi pensieri, le sue parole, le sue opere, un perfetto ossequio d’amore al Signore che dimorava in lei. E poiché la pregava di volerle ottenere lo stesso favore, le parve che la Vergine Madre le mandasse i suoi propri affetti sotto forma di delicate fanciulle perché si unissero agli affetti dell’anima che la pregava. La eccitassero a servir meglio il Signore e supplissero alle sue deficienze. Lasciò così intendere anche per questa via quanto grande sia la sua prontezza nell’aiutare che la invoca.

Dopo un momento di silenzio essa disse al Signore: «Poiché, Signore, ti sei fatto uomo e hai voluto essere nostro fratello per supplire alle nostre incapacità, degnati anche in questo momento di supplire alla deficienza delle lodi che ho rivolto alla Madre tua». A queste parole il Figlio di Dio si alzò e inchinandosi davanti alla Madre sua la salutò piegando il capo con tale affettuoso ossequio che essa dovette certamente gradire l’omaggio di una creatura di cui il Figlio suo suppliva così abbondantemente l’imperfezione.

Il giorno dopo, stando di nuovo in orazione, la Vergine Madre le apparve sotto il simbolo di un candido giglio a tre petali, di cui uno era eretto e due piegati in fuori. Essa comprese allora che ben a ragione la beata Madre di Dio è chiamata il «Candido Giglio della Trinità», poiché essa ha partecipato più di ogni altra creatura alla pienezza delle virtù della Trinità santissima, pienezza che non ha mi offuscato con la polvere del più piccolo peccato veniale. Il petalo eretto simboleggiava l’onnipotenza del Padre e i due petali ricurvi la sapienza del Figlio e la bontà dello Spirito Santo che la Madre di Dio ricopiava fedelmente in sé. La santa Vergine le fece comprendere che chiunque la salutasse devotamente chiamandola «Candido Giglio della Trinità, fulgida Rosa di celestial bellezza», la loderebbe per il potere che l’onnipotenza del Padre le ha conferito, per le ingegnose misericordie che la sapienza del Figlio le ispira a salvezza del genere umano, e per la ricchezza immensa di carità di cui lo Spirito Santo l’ha fatta partecipe. E aggiunse: «Al momento della morte io apparirò a quest’anima rivestita di tale bellezza da riempirla di consolazione e di celestiale beatitudine». Da quel giorno essa si propose di salutare la SS. Vergine o anche le sue immagini con queste parole: «Salve o candido Giglio della fulgida e sempre tranquilla Trinità; salve o fulgida Rosa di celestiale bellezza da cui volle nascere e del cui latte volle cibarsi il Re del cielo: pasci di divini influssi anche le anime nostre».

Casella di testo: 20 – L’amore particolare che essa aveva per il Signore. Un saluto alla beata Vergine Maria

Essa soleva riferire all’oggetto del suo amore – come fanno del resto tutti coloro che amano – tutto ciò che le piaceva e le riusciva in qualche modo gradito. E pertanto, qualunque cosa sentisse leggere o cantare in lode della beata Vergine o degli altri Santi che eccitasse devotamente il suo affetto, essa sempre lo riferiva più al Re dei Re, suo Signore amato ed eletto fra tutti, che non ai Santi di cui si celebrava la festa o si faceva memoria. Così un giorno, nella festa dell’Annunciazione, accadde che un predicatore si dilungasse sulle lodi della Beata Vergine e che non facesse menzione alcuna dell’Incarnazione del Verbo per cui operò la nostra redenzione. Essa ne fu dispiacente, e di ritorno dalla predica, passando davanti all’altare della gloriosa Vergine, non si sentì commossa, nel salutarla, dalla solita dolcezza e il suo affetto e la sua lode si portarono piuttosto verso Gesù frutto benedetto del suo seno. Temette però di essere in tal modo incorsa nello sdegno di una così potente Regina. Ma il suo benigno consolatore la rassicurò dolcemente: «Non temere, o mia diletta: la mia carissima Madre gradisce assai che salutandola o cantando le sue lodi tu diriga di preferenza a Me la tua attenzione. Tuttavia, poiché la coscienza te lo rimprovera quando passi davanti al suo altare cerca di salutare devotamente l’immagine della mia immacolata Madre e non salutare la mia».

«Non sia mai, Signore, unico bene dell’anima mia, che io abbandoni te, che sei la mia salvezza e la mia vita, per dirigere il mio saluto e il affetto ad altri». Rispose dolcemente il Signore: «Fa come ti dico, o mia diletta, e ogni volta che avrai salutata la Madre mia e non me, Io gradirò il tuo atto e lo ricompenserò come l’atto di un cuore fedele e perfettissimo che non esita a lasciare la somma dolcezza della mia presenza per procurare la mia maggior gloria».

Casella di testo: 21 – Il tranquillo riposo del Signore

Il Signore le apparve una volta nella prima Domenica dopo la Festa della Trinità, in un bel giardino pieno di fiori e di verde. Era seduto su di un soglio regale e sembrava riposare nell’ora del meriggio come se, inebriato dalla potenza dell’amore, si fosse dolcemente assopito. Essa si prostrò allora ai suoi piedi baciandoli ripetutamente, e prese a circondarlo di tutte le attestazioni della sua tenerezza. Passarono tuttavia tre giorni senza che avesse la gioia di vedersi corrisposta. Il quarto giorno pertanto, durante la Messa, non sopportando oltre il sonno del suo Diletto, lasciati i piedi del Signore si alzò e nell’impeto della sua tenerezza si gettò sul suo petto per cercar di svegliarlo. Il Signore allora aprendo gli occhi e attirandola a sé la strinse dolcemente al suo cuore, dicendo: «Ecco, ora posseggo ciò che ho desiderato. La volpe che vuol attirare gli uccellini si stende a terra fingendosi morta e quando questi, ingannati, cominciano a posarsi su di lei per beccarla, essa li afferra all’improvviso. Così Io nel mio vivo amore per te mi son servito di un’astuzia simile per impossessarmi di tutta la tua anima nell’atto in cui essa mi avrebbe cercata».

Casella di testo: 22 – La sofferenza della malattia può riparare molte negligenze

Una volta, non potendo per infermità seguire la regola in tutto il suo rigore, stava seduta in disparte per ascoltare i Vespri. Piena di desiderio e di tristezza, disse al Signore: «Signore, non ti glorificherei forse meglio se in questo momento mi trovassi in coro con la Comunità e potessi prender parte alla salmodia e agli altri esercizi regolari, piuttosto che starmene qui a sciupare tanto tempo a far niente a causa della mia debolezza?». E il Signore: «La gioia dello sposo quando segretamente si intrattiene con la sposa in dolce e tranquilla intimità è forse minore della compiacenza che prova quand’essa si adorna per comparire in pubblico?». Da queste parole essa comprese che l’anima è come la sposa che si adorna per comparire in pubblico quando pratica le opere buone onde procurare la gloria di Dio; ed è invece come la sposa che si trattiene in tranquilla intimità con lo sposo, quando dalla malattia le viene interdetto l’esercizio delle opere esteriori. Privata della gioia che le viene dall’attività, essa si abbandona allora interamente alla volontà divina, e il Signore tanto più si compiace in lei quanto meno essa trova in sé di che alimentare la propria vanagloria.

Casella di testo: 23 – Una triplice benedizione

Un giorno in cui assisteva con la maggior devozione possibile alla S. Messa, giunta al Kyrie eleison le parve che il suo Angelo Custode la prendesse fra le braccia come si prende un bambino, e la offrisse a Dio dicendo: «Benedici, o Dio nostro Signore e Padre, benedici la tua figliuolina». Dio Padre indugiava a rispondere come se ritenesse indegno di sé benedire una così misera creatura, ed essa, piena di confusione, prese a riflettere sulla propria miseria e indegnità. Ma ecco che il Figlio di Dio, alzatosi in piedi, le applicò tutti i meriti della sua santissima vita ed essa all’improvviso si trovò ornata di splendide ricchissime vesti, e si accorse di essere giunta alla pienezza dell’età di Cristo (cf Ef 4,13). Dio Padre allora, abbassandosi verso di lei con misericordiosa bontà, le concesse una triplice benedizione a cui si accompagnò una triplice remissione di tutti i peccati, che in pensieri, parole ed opere aveva commesso contro l’Onnipotenza di Dio.

In azione di grazie essa offrì a Dio Padre tutti i meriti della santissima vita del suo Unigenito. A quest’atto tutte le pietre preziose di cui erano ornate le sue vesti presero a urtarsi a vicenda rendendo un suono dolcissimo che pareva un canto di gloria all’Eterno Padre, ed essa comprese da ciò quanto a Lui gradita sia l’offerta perfettissima dei meriti del Figlio suo.

Il suo Angelo Custode la presentò poi allo stesso modo al Figlio di Dio, dicendo: «Benedici, o Figlio del Re, questa tua sorella». E anche dal Figlio di Dio essa ricevette una triplice benedizione con una triplice remissioni di tutti i peccati che aveva commesso contro la Sapienza di Dio. E infine l’Angelo la presentò allo Spirito Santo, dicendo: «Benedici, o Amico degli uomini, la tua sposa». E anche dal divino Spirito essa ricevette una triplice benedizione in remissione di tutti i peccati commessi contro la divina Bontà.

Ciascuno, volendo, potrà meditare su queste nove benedizioni durante il canto del kyrie eleison.

Casella di testo: 24 – L’attenzione durante la salmodia

Un giorno in cui si sforzava di cantare con la più grande devozione l’Ufficio in onore di Dio e del Santo di cui si celebrava la festa, le sembrò che le parole del canto, quasi acutissime frecce scoccate dal suo cuore, si infiggevano profondamente nel Cuore di Cristo procurandogli un diletto di inesprimibile dolcezza.

Dalla punta di ogni freccia emanavano dei raggi luminosi come stelle, che, riflettendosi su ciascuno dei Santi, e in particolare su quello di cui si celebrava la festa, li arricchivano di un nuovo riflesso di gloria. Dall’altra estremità della freccia invece cadeva in abbondanza come una pioggia di goccioline , che procuravano agli uomini un particolare aumento di grazia e alle anime del purgatorio un salutare refrigerio.

Casella di testo: 25 – Il Cuore di Dio desidera supplire alle nostre deficienze

Un’altra volta, cercava di concentrare tutta la sua attenzione sulle singole parole e note dell’Ufficio divino; ma vedendo che ad ogni momento cadeva in distrazioni per la debolezza della sua natura, disse fra sé con tristezza: «Che frutto posso cavare da uno sforzo che produce così raramente il suo effetto?». Il Signore, non sopportando il suo abbattimento, le presentò allora con le sue proprie mani il suo Cuore divino in figura di una lampada, dicendo: «ecco, ti presento ilo mio Cuore, organo dolcissimo dell’adorabile Trinità, affinché tu gli possa chiedere con fiducia di supplire ad ogni tua deficienza. Tutte le tue opere saranno allora perfette agli occhi miei. Come infatti un servo fedele si tiene sempre pronto ad eseguire i comandi del suo padrone, così d’ora innanzi il mio Cuore ti sarà sempre vicino per supplire in qualsiasi momento alle tue negligenze».

Questa inaudita condiscendenza la riempì insieme di ammirazione e di timore, sembrandole cosa immensamente disdicevole che il Cuore del suo Signore, degnissimo sacrario della Divinità, fonte di tutti i beni, degnasse di stare vicino a lei come un servo sta presso il suo padrone pronto a a supplire ad ogni sua mancanza. Ma il Signore compatì benignamente la sua pusillanimità e l’incoraggiò con questa similitudine: «Se tu avessi una voce sonora e gradevole e ti piacesse molto cantare, e vicino a te si trovasse una persona dalla voce bassa e stonata al punto che solo con grande sforzo arrivasse a proferire qualche suono, ti sentiresti certamente indignata se essa non consentisse a lasciar cantare a te, che potresti farlo con facilità e grazia, una melodia che essa stenta a balbettare. Allo stesso modo il mio Cuore divino, conoscendo la fragilità e l’instabilità umana, aspetta con sommo desiderio che tu l’inviti con la tua preghiera, o anche solo con un moto di desiderio, a supplire alle tue deficienze, e a fare per te ciò che tu non riesci a compiere. Come da una parte la sua insondabile sapienza e la sua onnipotenza tutto gli rivelano e tutto gli rendono possibile, così d’altra pare la sua connaturale bontà gli fa desiderare con gioioso amore di renderti questo servizio».

Casella di testo: 26 – Le abbondanti grazie che il Cuore divino spande nell’anima

Nei giorni che seguirono, meditando con riconoscenza su questo magnifico dono, le venne il desiderio di sapere per quanto tempo il Signore avrebbe degnato di conservarglielo, e glielo domandò. E il Signore: «Fino a tanto che tu desidererai di conservarlo non avrai mai a dolerti che Io te lo tolga». «Ma come avviene, Signore – essa disse allora – che io pur sapendo che il tuo Cuore si trova sospeso come una lampada ardente nel mio cuore indegnissimo, tuttavia poi, quando mi è concesso per tua grazia di avvicinarmi a te, ho la gioia di ritrovarlo nel tuo petto e di attingervi le più grandi delizie?». E il Signore: «Quando tu vuoi afferrare qualcosa stendi la mano, e quando poi l’hai afferrata la ritiri. Allo stesso modo quando vedo che tu sei inclinata verso le cose esteriori, Io ti mando il mio Cuore per attirarti a me; e viceversa, quando vedo che tu seguendo il mio invito ti raccogli nell’intimo per unirti a me, Io di nuovo ritiro in me il mio Cuore per farti trovare in esso il gaudio di ogni perfezione».

Prese allora a meditare con immensa ammirazione e gratitudine su questa gratuita bontà di Dio e, considerando come la molteplicità delle sue imperfezioni e delle sue miserie la rendessero indegna di ogni grazia, si sprofondò con grande disprezzo di sé nella valle, a lei ben nota, dell’umiltà. Vi si tenne per così dire nascosta per qualche tempo, finché il Signore che, pur abitando nell’alto dei cieli, si compiace di elargire abbondantemente la sua grazia agli umili, parve far uscire dal suo proprio Cuore – sospeso in figura di una lampada sulla di lei anima inabissata nella valle dell’umiltà – come una cannuccia d’oro. Attraverso questa cannuccia Egli le infuse le più mirabili grazie. Se essa si umiliava riflettendo sulle sue imperfezioni, subito il Signore, pieno di misericordia, con l’influsso del suo Cuore divino faceva spuntare in lei i fiori delle più belle virtù. Ogni difetto era allora cancellato così che la misericordia del Signore non me trovava più traccia,. Similmente, se bramava qualche dono particolare o qualche grazia tra le più desiderate e accette al suo Cuore, subito con grande gioia e dolcezza se le sentiva infondere nell’anima nella stessa maniera.

Quando già aveva trascorso qualche tempo in queste delizie e, con la grazia di Dio, sembrava ormai perfetta in tutte le virtù (non nelle sue, veramente, ma nelle virtù del Signore), sentì risuonare nel cuore una voce dolcissima, simile alla soave melodia di un’arpa toccata da mano d’artista. Essa diceva: «Veni mea ad me. Intra meum in me. Mane meus mecum». Il Signore degnò di darle l’intelligenza di questo canto: «Veni mea ad me: vieni a me o mia sposa, perché, amandoti come tale, desidero che tu sia sempre con me, e perciò ti chiamo! Così pure: Intra meum in me: tu che sei il mio gaudio entra e dimora nel mio Cuore: lo desidero come il fidanzato desidera il giorno delle nozze che farà entrare la sposa nella sua casa. E ancora:Mane meus mecum: vieni e rimani come oggetto del mio amore in me che sono il Dio dell’amore e che ti ho eletta perché tu mi sia unita con unione indissolubile, simile a quella che esiste fra l’anima e il corpo».

Mentre avveniva questo dolcissimo colloquio si sentì attrarre in modo mirabile e misterioso verso il Signore e si trovò introdotta nella beata intimità del Cuore del suo Sposo e del suo Dio. Ciò che sentì, ciò che vide, ciò che udì, gustò e toccò del Verbo della vita, è noto soltanto a lei sola e a Colui che degnò ammetterla in così sublime unione, Gesù, Sposo delle anime amanti, che è Dio benedetto sopra ogni cosa per tutti i secoli eterni.

Casella di testo: 27 – Il seppellimento del Signore nell’anima

Un Venerdì Santo, dopo l’Ufficio divino, mentre si stava commemorando la sepoltura del Signore, lo pregò di volersi seppellire per sempre nell’anima sua. E il Signore, benignamente consentendo, le disse: «Io stesso, che son chiamato Pietra, sarò la pietra che chiude la porta dei tuoi sensi; e vi porrò a custodia dei soldati, vale a dire i miei affetti, che d’ora innanzi custodiranno il tuo cuore da ogni affetto contrario e ti ecciteranno a operare sempre a mia eterna gloria».

Qualche tempo dopo, avendo giudicato severamente, così almeno temeva, il modo di agire di una certa persona, piena di compunzione disse al Signore: «Signore, Tu avevi posto delle guardie a custodia del mio cuore, ma, ahimè, temo che non ci siano più, perché ho giudicato con molta durezza gli atti del mio prossimo!». Il Signore le rispose: «E come puoi dire che non ci siano più, dal momento che con questa compunzione tu avverti la loro presenza? Se tu non mi fossi più unita, non rimpiangeresti con amarezza di aver commesso ciò che mi dispiace».

Casella di testo: 28 – Il tempio spirituale del corpo del Signore

Una volta, a Vespro, mentre si cantava: «Vidi aquam egredientem de templo: vidi un’acqua uscire dal tempio», il Signore le disse: «Guarda il mio Cuore: questo è il tuo tempio; poi considera le altri parti del mio corpo e scegliti in ciascuna di esse una dimora in cui condurre la tua vita di religiosa, poiché d’ora innanzi il mio sacro corpo sarà il chiostro in cui devi abitare». Ed essa: «Signore, io né potrei né saprei cercare una dimora più dolce del tuo Cuore che Tu ti degni chiamare il mio tempio, poiché trovo in esso tanta abbondanza di grazia che non potrei cercare di prendere altrove né il mio cibo né il mio riposo, l’uno e l’altro necessario tuttavia al sostentamento della vita religiosa». Le disse allora il Signore: «Se così vuoi, potrai certo trovare entrambe queste cose nel mio Cuore. Hai udito come alcuni, il Beato Domenico fra gli altri, non si allontanavano mai dal tempio prendendo in esso non solo il loro cibo, ma anche il loro riposo (1). Scegli tuttavia nel mio corpo tutti gli altri luoghi che ti occorrono per la vita regolare». A questo comando, scelse dunque come luogo di passeggio i piedi del Signore; come laboratorio le sue mani; come parlatorio la sua bocca; pose la sua sala di studio negli occhi del Signore per leggere e studiare attraverso ad essi, e scelse le orecchie del Signore come confessionale. A proposito di quest’ultimo ilo Signore le insegnò poi ad accostarsi dopo ogni colpa a questo tribunale di penitenza salendovi come per cinque gradini di umiltà, da ricordare con queste cinque parole: Io miserabile, peccatrice, povera, cattiva, indegna, vengo a Te, che sei l’abisso della misericordia, per essere lavata da ogni macchia e purificata da ogni peccato.

(1) «Il Beato Domenico soleva spesso passare l’intera notte nelle chiese: sembra infatti che ben di rado si servisse di un letto per dormire… Quando per l’eccesso della fatica fisica e spirituale lo coglieva la necessità del sonno, chinava il capo e si addormentava per qualche momento sia davanti all’altare sia altrove, appoggiando talvolta la testa su di una pietra, come già il patriarca Giacobbe, e dopo aver riposato un po’ riprendeva la sua veglia», Vita di S. Domenico del Beato Giordano, cap. IV.

Casella di testo: 29 – Il saluto del Signore

Essa rifletteva un giorno sull’instabilità, spesso sperimentata, del cuore umano e, volgendosi ad un tratto al Signore, gli disse: «Quanto a me, o mio Diletto, tutto il mio bene consiste nell’attaccarmi soltanto a Te». E il Signore, chinandosi per abbracciarla, rispose: «E a me è sommamente dolce lo star con te, o mia diletta». A queste parole tutti i Santi si alzarono e, inchinandosi con reverenza davanti al trono del Signore, gli offrivano tutti i loro meriti perché degnasse applicarli a quest’anima e renderla in tal modo una più degna dimora di Dio.

Comprese allora quanto è grande la degnazione del Signore verso le anime, e come siano pronti i Santi a cercare la sua gloria dal momento che offrono con gioia i loro meriti per colmare le insufficienze di un’anima. Perciò, mentre piena di santi affetti esclamava: «Io vile creatura, ti saluto, o Signore amatissimo», ricevette dalla sua bontà questa risposta: «E Io ricambio il tuo saluto, o mia amatissima sposa!». Capì allora che ogni qualvolta con vera devozione uno dice al Signore. «Mio Signore diletto, dolcissimo, amatissimo» o altre espressioni del genere, altrettante volte riceve da Lui una risposta simile. tale risposta gli varrà in cielo il privilegio di una grazia speciale analoga a quella conferita in terra a S. Giovanni l’Evangelista che fu chiamato il discepolo che Gesù amava (Gv 21,7).

Casella di testo: 30 – Il merito della buona volontà e dell’offerta del cuore – Altre luci su alcune parole dell’Ufficio divino

Durante la Messa Veni et ostende [Messa del Sabato delle Tempora d’Avvento], il Signore le apparve tutto dolcezza e grazia, spirante dalla sua persona una virtù vivifica e divina, in atto di scendere dal trono della sua gloria come per riversare con più abbondanza sulle anime il torrente delle sue grazie nell’imminenza della festa del suo santo Natale. Essa pregò allora per le persone che le erano state raccomandate, chiedendo per ciascuna di esse un accrescimento di grazia. Le fu risposto: «Io ho dato ad ogni anima una cannuccia d’oro onde possa attingere dalle profondità del mio Cuore divino tutto ciò che desidera».

Capì che questa cannuccia era la volontà buona con la quale l’uomo può appropriarsi tutte le ricchezze del cielo e della terra. Se uno desidera offrire a Dio le lodi, le azioni di grazie, l’obbedienza e la fede di cui alcuni Santi gli han dato l’esempio, subito la divina bontà accetta questa intenzione come se già fosse compiuta. La cannuccia però diventa d’oro solo quando l’uomo ringrazia Dio del prezioso dono della volontà che può acquistare beni infinitamente superiori ad ogni altro bene che possa esser raggiunto dallo sforzo umano.

Vedeva intanto che tutte le sue consorelle raccolte intorno al Signore cercavano, ciascuna secondo la misura delle proprie forze, di attirare a sé con questo mirabile mezzo la grazia divina. Alcune sembravano attingerla direttamente dal Cuore del Signore, altre invece dalle sue mani. Quanto più erano lontane dal Cuore, tanto più incontravano difficoltà nell’ottenere quanto desideravano; quanto più invece si sforzavano di avvicinarsi al Cuore del Signore, tanto più vi attingevano la grazia con facilità, dolcezza ed abbondanza.

Nelle consorelle che attingevano direttamente al Cuore eran raffigurate tutte le anime che si sottomettono alla volontà di Dio e desiderano che essa si compia perfettamente nei loro riguardi, sia nelle cose spirituali sia nelle temporali. Queste anime commuovono così profondamente ed efficacemente il Cuore di Dio che ricevono, a suo tempo, il torrente della grazia divina con tanta maggior abbondanza e soavità quanto più piena è stata la loro adesione alla volontà di Dio. Quelle che attingevano la grazia dalle altre membra del Signore, figuravano le anime che si sforzavano di ottenere da Dio i doni e le virtù seguendo l’attrattiva dei loro desideri personali e della loro volontà propria. Esse ricevono con tanta maggiore difficoltà ciò che desiderano, quanto meno si affidano alla divina Provvidenza.

Un giorno offrì al Signore il suo cuore con queste parole: «Ecco, Signore, di mia spontanea volontà ti offro il mio cuore libero da ogni affetto umano, pregandoti di purificarlo nell’acqua che sgorga dal tuo sacratissimo costato, di arricchirlo coi meriti del prezioso sangue del tuo dolcissimo Cuore, e di unirlo intimamente a te nel soave Spirito del tuo amore divino». Allora il Figlio di Dio le si mostrò in atto di offrire a Dio Padre il cuore della sua diletta unito al suo proprio Cuore divino, sotto forma di un calice che risultava di due parti unite insieme. Non appena lo vide, disse umilmente al Signore: «O Dio pieno di amore, fa che il mio cuore sia sempre vicino a Te come una di quelle anfore che i servi, ad un cenno, porgono ai loro padroni per ristorarli. Possa Tu sempre trovarlo pronto per infondervi ed attingervi in qualunque momento ciò che vorrai e per chiunque vorrai». Il Figlio di Dio accolse benignamente questa preghiera, e disse al Padre suo: «O Padre santo, che le grazie di cui il mio Cuore è la sorgente possano, a tua eterna lode, riversarsi su molte anime attraverso il cuore di questa creatura».

Dopo di allora, ogni volta che ripeteva la sua offerta con le stesse parole, vedeva il suo cuore riempirsi di grazia. Questa grazia poi, alle volte si effondeva in canti di lode e di ringraziamento che accrescevano in cielo il gaudio dei Santi; a volte invece andava a profitto degli uomini, come si vedrà più tardi. È da quel momento che il Signore desiderava che queste cose fossero scritte perché molte anime potessero trarne vantaggio.

Recitando una volta in Avvento il responsorio «Ecce veniet Dominus protector noster, sanctus Israel: ecco verrà il Signore, il nostro protettore, il santo d’Israele» [Ia Domenica di Avvento], capì che se un’anima, abbandonandosi completamente a Dio, desidera con tutto il cuore di essere sempre diretta così nella prospera come nell’avversa fortuna dalla sua santissima volontà, rende a Dio in tal modo tanto onore e gloria quanta ne procura all’Imperatore colui che gli impone sul capo la corona a riconoscimento della sua autorità.

Un’altra volta, alle parole del Profeta Isaia: «Elevare, elevare, consurge Jerusalem: sorgi, sorgi, Gerusalemme!» (Is 51,17) comprese quali benefici provengono alla Chiesa militante dalla santità dei suoi eletti. Quando infatti anche una sola anima piena d’amore si volge al Signore con ardente preghiera e con vivo e sincero desiderio di riparare, potendo, tutte le offese recate al suo onore, Dio ne resta tanto placato che qualche volta, riconciliandosi coi peccati, perdona al mondo intero. Ed è ciò che viene espresso nella parole che seguono: «Usque ad fundum calicis bibisti: hai bevuto il calice fino in fondo», poiché allora la severità delal giustizia si cambia nella dolcezza della misericordia. Ma ciò che ancora segue: Potasti usque ad fæces: hai bevuto fino alla feccia, lascia comprendere che per i dannati cui non spetta che la feccia della giustizia, non è possibile alcuna redenzione.

U’altra parola di Isaia: «Glorificaberis, dum non facis vias tuas: sarai glorificato se non segui le tue inclinazioni» (Is 58,13), le fece intendere ch e chi fa dei progetti e poi, riconoscendone la vanità, rinuncia al piacere di attuarli, consegue un triplice beneficio. Il primo è quello di poter trovare in Dio una gioia più profonda, come è detto: «Delectaberis in Domino: ti rallegrerai nel Signore!» (Sal 97,12). Il secondo è quello di sottrarsi più profondamente all’influsso sei pensieri cattivi, come sta scritto: «Sustollam te super altitudinem terræ: ti innalzerò al disopra di ogni più alta cima della terra». Il terzo è quello di ricevere poi dal Figlio di Dio nell’eterna vita una più piena partecipazione al frutto dei suoi meriti per la nobile e gloriosa vittoria che avrà riportato sulla tentazione. È detto infatti: «Cibabo te hæriditate Jacob patris tui: ti ciberò del retaggi odi Giacobbe tuo padre».

In quest’altro testo di Isaia: «Ecce merces ejus cum eo: egli porta in sé la sua ricompensa» (Is 62,2), comprese che Dio nel suo amore è Egli stesso il premi o dei suoi eletti. Egli si unisce a loro in un’unione così soave che ciascuno di essi potrà affermare in tutta verità di essere stato ricompensato immensamente al disopra di ogni suo merito, come è detto: «Et opus illius coram illo: e il premio dell’opera sua gli sta dinnanzi».

Comprese ancora che quando un’anima si affida tutta alla divina Provvidenza e desidera che la divina Volontà si compia in lei in ogni cosa, essa, per grazia di Dio, appare già perfetta al di Lui sguardo.

Il testo «Sanctificamini filii Israel: santificatevi o figli di Israele» [Responsorio della Vigilia di Natale] le fece comprendere che se un’anima prontamente si pente dei suoi peccati, deplora di non aver fatto tutto il bene che poteva fare, e propone con sincerità di cuore di obbedire d’ora innanzi ai precetti di Dio, subito essa appare santa al suo sguardo come quel lebbroso del Vangelo che il Signore degnò di purificare dalle sue colpe dicendogli: «Volo, mundare: lo voglio, sii mondato»(Mt 8,3).

Quest’altra parola della S. Scrittura: «Cantate Domino canticum novum: cantate al Signore un cantico nuovo» (Is 42,10), le fece comprendere che canta al Signore un nuovo cantico colui che conta con grande devozione. Infatti, per la grazia che Dio gli ha concessa di dirigere verso di Lui la sua attenzione, egli è interamente rinnovato e reso accetto al Signore.

Ancora: attraverso il testo di Isaia: «Spiritus Domini super me: lo Spirito del Signore è sopra di me» (41,1), con quel che segue: «Ut mederer contritos corde: per consolare i cuori spezzati», essa capì che il Figlio di Dio, mandato dal Padre per confortare coloro che son nell’afflizione, suole talvolta provare i suoi eletti con qualche sofferenza, anche lieve ed esteriore, per avere occasione di aiutarli. E lo fa, non togliendo loro la prova che è stata occasione della sua venuta e che è in sé un male (anche se il cuore ne soffre), ma piuttosto portando rimedio a ciò che veramente possa esserci di male in quell’anima.

Il versetto: «In splendoribus Sanctorum: nello splendore dei Santi», le diede l’intuizione dell’immensità e dell’incomprensibilità della luce di Dio. Capì che se ciascuno dei Santi, da Adamo fino all’ultimo uomo, ne avesse una conoscenza personale, chiara, profonda e vasta quanto è possibile ad umana creatura, distinta da quella di ciascuno degli altri Santi – e se per giunta il numero dei Santi fosse mille e mille volte più grande, la profondità della luce di Dio rimarrebbe inesausta e infinitamente al disopra di ogni intelligenza creata. Per questa ragione non sta scritto in splendore: nello splendore, ma «in splendoribus Sanctorum, ex utero ante luciferum genui te: negli splendori dei Santi, prima dell’aurora, prima dell’aurora io ti ho generato».

Una volta, nella festa di un Martire, mentre si cantava l’antifona: «Qui vult enire post me: chi vuol venire dietro a me», vide il Signore avanzarsi per una strada bella e fiorita, ma angusta e irta di spine. Lo precedeva una croce che, dividendo le spine, apriva un comodo passaggio. Il Signore si voltava indietro e con volto sereno invitava i suoi a seguirlo dicendo: «Qui vult venire post me, abneget semetimpsum et tollat crucem suam et sequatur me: chi vuol venirte dietro a me, prenda la sua croce e mi segua». Essa comprese che per ciascuno la sua tentazione è la sua croce. Per qualcuno sarà un a croce l’obbedienza che gli impone qualcosa di contrario alla sua inclinazione; per un altro sarà l’infermità che gli impedisce di occuparsi in cose di suo gradimento, ecc. Ciascuno pertanto deve prendere la propria croce, sopportando volentieri ciò che gli riesce contrario e non trascurando nulla, per quanto gli è possibile, di ciò che può tornare a gloria di Dio.

Il versetto: «Verba iniquorum, ecc: le parole degli empi», le fece comprendere che se qualcuno per umana fragilità commette qualche colpa ve vien corretto duramente e non soltanto a parole, l’eccesso di severità provoca la misericordia di Dio ed è occasione di accrescimento di meriti per chi ha commesso la colpa.

Mentre un giorno si cantava la Salve Regina, alle parole: «Illos tuos misericordes oculs ad nos converte: volgi a noi i tuoi occhi misericordiosi», essa desiderò di ottenere la salute del corpo, e il Signore sorridendo dolcemente le disse: «Non sai che il mio sguardo si posa su di te pieno di misericordia quando sei oppressa dalla sofferenza fisica o spirituale?».

Nella festa di alcuni Martiri, mentre si cantava il responsorio «Viri sancti gloriosum sanguinem fuderunt: I Santi sparsero il loro sangue glorioso» [dal Comune dei Martiri], osservò fra sé che, se il sangue ispira ripugnanza, tuttavia, quando è versato per Cristo, viene esaltato nella Sacra Scrittura. Allo stesso modo certe trasgressioni materiali della regola che son dovute o all’obbedienza o a qualche motivo di fraterna carità, piacciono tanto al Signore che ben a ragione possono anch’esse esser considerate gloriose.

Un’altra volta comprese che per un occulto giudizio, Iddio permette talvolta che quando un malvagio con male arti cerca di estorcere un segreto a un suo eletto, riceva una risposta atta a confermarlo nella sua ostinazione e nella sua malvagità. È ciò che dice il Profeta Ezechiele: «Chi dà ricetto nel cuore alle sue infamie e fa buon viso alle occasioni della sua iniquità, e poi venga dal Profeta, volendo per suo mezzo interrogare me, gli risponderò ben io, il Signore, rinfacciandogli la moltitudine delle sue infamie affinché senta una stretta al cuore» (Ez 14,4-5).

Le parole che si cantano in nome di S. Giovanni: «Haurit virus hic lethale: Egli beve il veleno mortale» [Dall’antica vita di S. Giovanni e dal responsorio della sua festa], le fecero capire che, come la virtù della fede preservò Giovanni dagli effetti del veleno, così il mancato consenso della volontà fa sì che l’anima resti pura da colpa, per quanto velenosa sia la suggestione che si insinua, suo malgrado, nel cuore.

Il versetto: «Dignare Domine die isto: Degnati, o Signore, in questo giorno», fu l’occasione di un’altra illuminazione. Chi si raccomanda con questa preghiera al Signore per essere preservato dal peccato, per un occulto giudizio di Dio può anche darsi che poi si accorga di esser ugualmente caduto in qualche mancanza grave. Però non accadrà mai che non trovi pronto il sostegno delle grazia per aiutarlo a tornare a Dio e rendergli più facile la penitenza.

Un giorno, mentre si cantava il responsorio: «Benedicens ergo Deus Noe: Dio benedicendo Noè» [Responsorio dell’antico breviario monastico per la Domenica di Sessagesima], essa, quasi in persona di Noè, si presentò davanti al Signore per chiedere la sua benedizione. Quando l’ebbe ricevuta, le parve che il Signore a sua volta aspettasse di essere da lei benedetto, e cioè magnificato. Gertrude comprese allora che l’uomo benedice e cioè santifica Iddio quando si pente di averlo offeso e implora il suo soccorso per non ricadere nel peccato. Il Signore dei cieli si china allora verso la sua creatura per mostrare che questa preghiera gli è gradita come se da essa dipendesse la salvezza del mondo intero.

Le parole: «Ubi est frater tuus Abel?: dov’è tuo fratello Abele?» (Gen 4,9), le fecero capire che il Signore chiederà conto a ciascun religioso di ogni mancanza contro la regola commessa da un suo confratello, qualora egli avesse potuto impedirla ammonendo il fratello stesso o avvertendo i Superiori. La scusa che si suol portare: Io non ho avuto l’incarico di correggere gli altri, oppure: Io son peggio di lui, non vale davanti a Dio più della risposta di Caino: «Nunquid custos fratis mei sum ego?: sono io forse il custode di mio fratello?». Davanti a Dio infatti ciascuno è tenuto a ritrarre dal male il fratello suo e ad esortarlo al bene; ogni volta pertanto che trascura questo suo dovere di coscienza pecca contro Dio. E poco gli giova affermare di non avere avuto l’incarico, perché questo incarico gli è stato dato da Dio in tutta verità come attesta la sua propria coscienza. Se lo trascura, il Signore ne chiederà conto a lui ancor più che al Superiore, il quale o non è stato presente al fatto o non l’ha rilevato. Perciò la Scrittura dice: «Vae facienti , vae, vae, consentienti: guai a chi fa il male, ma due volte guai a chi vi dà il consenso». Dà il suo consenso al male chi lo dissimula tacendo, mentre avrebbe potuto, manifestandolo, evitare un’offesa alla gloria di Dio.

Il responsorio: «Induit me Dominus: il Signore mi ha rivestita» [Dal Comune delle Vergini secondo il breviario monastico], le fece capire che chi cerca di promuovere con le parole e con le azioni la giustizia e l’osservanza religiosa, è come se rivestisse il Signore di una veste ricchissima. E il Signore lo ricompenserà nella vita eterna con la liberalità della sua regale munificenza, rivestendolo a sua volta di una veste di letizia e ponendogli sul capo una corona di gloria. Comprese ancora che chi nel combattere per il bene e per la religione avrà sopportato delle avversità, riuscirà particolarmente accetto a Dio, così com’è particolarmente gradito al povero un indumento che insieme lo veste e lo riscalda. Anche se, per l’opposizione del malvagio, il suo buon volere e il suo sforzo non fossero riusciti a nulla, la ricompensa che Dio gli riserva non soffriva alcun detrimento.

Si cantava una volta il responsorio: «Vocavit Angelus Domini: l’Angelo del Signore chiamò, ecc.» [Responsorio della Domenica di Quinquagesima], e comprese un’altra verità. L’assistenza degli Angeli sarebbe più che sufficiente a proteggere contro ogni male gli eletti, ma il Signore, nella sua paterna provvidenza, sospende talvolta la loro protezione e permette che gli eletti siano tentati, onde poterli poi ricompensare tanto più liberalmente quanto più, per la sottrazione dell’aiuto angelico, essi han trionfato del male con maggior loro sforzo.

Il responsorio che segue: «Vocavit Angelus Domini Abraham: l’Angelo del Signore chiamò Abramo», l’aiutò a capire che come il Padre dei credenti meritò per la sua fede di esser trattenuto da un Angelo nel momento in cui stendeva il braccio per compiere gli ordini del cielo, così il giusto che, per amore di Dio, si sottomette e si accinge con perfetta buona volontà a compiere un’opera difficile, merita al momento opportuno di essere sostenuto dalle dolcezze della grazia e consolato dalla testimonianza della sua coscienza. E questo è il dono col quale la munifica liberalità di Dio anticipa l’eterna ricompensa che verrà concessa a ciascuno in proporzione del merito.

Una volta, ripensando ad alcune avversità incontrate nella vita passata, domandò al Signore perché avesse permesso a certe persone di molestarla. Il Signore rispose: «Quando la mano del padre vuol correggere il figlio, la verga non potrebbe opporsi alla mano. Perciò i miei eletti non dovrebbero mai riferire i mali che soffrono agli uomini che ne sono lo strumento, ma dovrebbero sempre solo considerare il mio paterno affetto. Io non permetterei che il minimo soffio d’aria li molestasse se non avessi di mira la salvezza eterna con cui ricompenserò la loro sofferenza. Piuttosto dovrebbero compatire coloro che, perseguitandoli, macchiano la loro propria coscienza. Questo è il loro castigo».

Un giorno, alle prese con un lavoro difficile, disse all’eterno Padre: «Signore, ti offro questo lavoro per il tramite del Figlio tuo unigenito, nella virtù del tuo Santo Spirito, a eterna tua gloria». Capì in quel momento tutta la forza di questa preghiera. Si rese conto infatti che tale intenzione dà alla cosa offerta un valore più che umano e la rende gradita a Dio Padre. Come un oggetto guardato attraverso ad un vetro colorato assume per l’occhio lo stesso colore del vetro, così un’offerta fatta attraverso l’Unigenito figlio di Dio appare a Dio Padre sommamente accetta e gradita.

Stando in orazione, chiese un giorno al Signore che vantaggio ricavavano i suoi amici da tante preghiere che per essi faceva, dato che non ne vedeva alcun effetto. Il Signore l’illuminò con questa similitudine: «Quando il figlio, ancora bambino, di un nobile ritorna dalla corte dell’Imperatore che l’ha investito di un grandissimo feudo, coloro che lo vedono passare non scorgono in lui che il bambino, e non si accorgono affatto dell’investitura che farà di lui più tardi un grande e potente signore. Non ti stupire dunque se non puoi constatare con gli occhi l’effetto delle tue preghiere, perché Io ne dispongo secondo la mia eterna sapienza per il tuo maggior bene. Quanto più spesso si prega per qualcuno, tanto più grande è la felicità che gli si procura. Nessuna preghiera rimane senza frutto, anche se gli uomini non possono rendersi conto del modo con cui essa opera».

Desiderò una volta di capire qual frutto di santità provenga all’anima dallo sforzo di dirigere ogni suo pensiero a Dio. Ricevette questo insegnamento. Quando l’uomo meditando e pregando tiene il suo pensiero fisso in Dio, è come se presentasse davanti al trono della divinità uno specchio tersissimo, nel quale il Signore contempla con gioia la propria immagine. Infatti è Lui che ispira e dirige tutto ciò che è bene. L’uomo, per la sua debolezza, incontra talvolta nell’esercizio della preghiera delle difficoltà, ma quanto più grave è lo sforzo che egli deve fare, tanto più terso sarà lo specchio che eglipresenta all’adorabile Trinità e a tutti i Santi. E questo specchio rimarrà in eterno, a gloria di Dio e a perenne gioia dell’anima.

In una certa festa non poté prender parte al canto per il suo solito mal di capo. Domandò allora al Signore perché mai permettesse che questo mal di capo le venisse di preferenza nei giorni festivi. E il Signore: «Per impedire che, tutta presa dal piacere del canto, tu diventi meno atta a ricevere le mie grazie». «Ma, Signore – ella disse – la tua grazia potrebbe preservarmi da questo pericolo». E il Signore: «Sì, ma riesce di maggior vantaggio all’uomo che l’occasione di una caduta gli sia tolta dalla prova delle sofferenza, perché in tal caso ha doppio merito: quello della pazienza e quello dell’umiltà».

Nell’impeto del suo affetto, un giorno diceva al Signore: «O Signore, se un fuoco ardente potesse liquefare la sostanza della mia anima, sì da permetterle di potersi più facilmente trasfondere in Te!». «Sia la tua volontà questo fuoco» le rispose il Signore. Essa comprese da questa parola che con la sola volontà l’uomo può conseguire il pieno effetto di tutti i desideri che hanno Dio per oggetto [sempre supponendo che nulla possiamo di buono senza la grazia di Dio]

Cercava spesso di ottenere da Dio con la preghiera l’estirpazione di qualche vizio in sé o negli altri; e le pareva che il miglior modo in cui Dio poteva concederle questa grazia fosse quello di indebolire la forza degli abiti cattivi, perché allora, tenuta a freno da una specie di necessità che risulta dalla consuetudine e che è chiamata una seconda natura, l’anima può facilmente resistere al male. Ma riconobbe poi anche in ciò un’ammirabile disposizione della divina bontà a salvezza del genere umano. Per accrescere l’eterno peso di gloria delle anime, Dio permette che esse siano talvolta violentemente attaccate dalla tentazione affinché possano esultare di un più felice trionfo.

Durante una predica, intese dire una volta che nessuno si salva senza l’amore di Dio, almeno senza quel minimo grado di amore verso Dio che induce a pentirsi dei peccati per amor suo e ad emendarsene. Essa pensò fra sé che molti se ne vanno da questo mondo pentiti dei loro peccati più per il timore dell’inferno che per amore di Dio. ma il Signore le disse: «Quando vedo in agonia un’anima che qualche volta ha pensato con dolcezza a Me durante la sua vita, o che ha compiuto qualche opera buona almeno nei suoi ultimi giorni, Io mi mostro a lei con tanta bontà e misericordia che essa si pente dal profondo del cuore di avermi in passato offeso, e questo pentimento la salva. Vorrei che i miei eletti mi rendessero particolari azioni di grazie per tale beneficio».

Una volta, meditando su stessa, fu così colpita dalla propria interiore deformità e ne provò tanto disgusto, che con ansia cominciò a chiedersi se potesse mai riuscire accetta a Dio che vedeva la sua anima macchiata di tante colpe. Essa ne vedeva infatti qualcuna, ma per lo sguardo penetrante di Dio esse erano innumerevoli. Il Signore le diede questa consolante risposta: «Ãˆ l’amore che mi rende accette le anime». Capì allora che se, sulla terra, l’amore ha tanta forza da rendere amabili anche esseri deformi, tanto da far persino desiderare di essere simili a loro, come potremmo diffidare di Dio, e pensare che Egli che è Carità, non possa in forza del suo amore compiacersi in coloro che ama?

Desiderava ardentemente, come l’Apostolo, di venir liberata dal corpo per essere col Cristo, e dal profondo del cuore faceva salire a Dio il suo gemito di implorazione. Il Signore degnò un giorno di consolarla con questa risposta: Ogni qual volta essa, con sincerità di cuore, avesse espresso il desiderio di venir liberata da questo carcere di morte, aderendo però alla volontà di Dio e accettando di rimanere nel corpo finché a Lui piacesse, altrettante volte il Figlio di Dio le avrebbe applicato i meriti della sua santissima vita, onde prepararla in questo mirabile modo a comparire al cospetto del Padre suo.

Ripensava un giorno alle numerose e svariate grazie che la liberale misericordia di Dio le aveva elargito, e si riconosceva misera ed indegna di ogni bene per aver sciupato con la sua negligenza innumerevoli doni. Non ne aveva ricavato alcun frutto per sé, non aveva saputo renderne grazie, e d’altra parte il prossimo, che le ignorava, non aveva potuto trarne alcuna edificazione né aiuto per elevarsi ad una più profonda conoscenza di Dio. Fu confortata dal Signore con questa illuminazione. Il Signore non spande i suoi doni sugli eletti perché attenda da ciascun dono un frutto speciale – Egli sa che la fragilità dell’uomo non può esser da tanto – ma perché non può contenere la ricchezza della sua misericordia e della sua liberalità, e vuole in tal modo preparare la creatura alla sovrabbondanza della celeste beatitudine. Suole accadere così anche per i beni terreni di cui qualche volta viene arricchito un bambino: egli non sa trarne per il momento alcuna utilità, ma quando sarà adulto entrerà in possesso di grandi ricchezze. Così il Signore conferendo in questa vita la sua grazia agli eletti, li arricchisce di un bene di cui potranno godere soltanto quando entreranno nel giardino eterno del cielo.

Una volta si doleva in cuor suo di non sentire un desiderio abbastanza grande di lodare il Signore. Una illuminazione soprannaturale le apprese che Dio si accontenta che l’anima, quando non può far di meglio, si applichi a voler avere un grande desiderio del bene: quanto più intensa è questa volontà, tanto più grande è in realtà il suo desiderio agli occhi di Dio. Quando il cuore contiene questo desiderio – Dio si compiace di abitare in esso come l’uomo si compiace di abitare in primavera in un luogo ameno e fiorito.

Una volta, a causa delle sue infermità, aveva per alcuni giorni atteso a Dio con minor diligenza, e, ritornata poi in sé; piena di rimorso cercava con umile devozione di confessare la sua colpa al Signore. Era presa dal timore di dover sospirare chissà quanto tempo prima di poter di nuovo sperimentare la soavità della grazia di Dio. Ma ecco che in quello stesso momento, si sentì circondata con grande dolcezza dalla misericordia divina che si chinava su di lei e le diceva: «Figliuolina, tu sei sempre con me, e tutto ciò che è mio è tuo». Queste parole le fecero capire che se, per fragilità, l’uomo talvolta trascura di dirigere a Dio la sua intenzione, tuttavia la pia misericordia del Signore non cessa dal giudicare degna di eterna ricompensa ogni sua opera, purché la sua volontà non si allontani da Lui ed egli sia sempre pronto a pentirsi di ogni colpa di cui abbia coscienza.

All’approssimarsi di una certa festa, ebbe il presentimento di una prossima malattia, e pregò il Signore di conservarla in salute fin dopo la solennità, o almeno di far in modo che il male non le impedisse di prender parte alla festa, sottomettendosi però in tutto alla sua volontà divina. «La disposizione d’animo che t’induce a farmi questa preghiera – rispose il Signore – e a rimetterti insieme alla mia volontà, è per me come un giardino di delizie tutto pieno di aiuole fiorite. Ma se ti esaudisco e ti lasci prender parte alla festa, sarò io che ti seguirò verso l’aiuola che preferisci; se invece non ti esaudisco e tu conservi la pazienza, sei tu che segui me verso l’aiuola che più mi piace. Se questo buon desiderio sarà unito in te a un po’ di sofferenza, Io potrò infatti compiacermi in te assai di più che se tu mi esprimessi la tua devozione con la gioia di veder soddisfatto il tuo desiderio».

Si domandava un giorno per qual segreto giudizio alcuni godessero di tanta ricchezza di consolazioni nel servizio di Dio e altri rimanessero invece tanto aridi. Fu così illuminata dal Signore: «Dio ha creato il cuore dell’uomo per la gioia, come la brocca è stata fatta per contenere l’acqua. Se però la brocca perdesse il liquido attraverso impercettibili incrinature, finirebbe per vuotarsi e rimanere asciutta. Allo stesso modo se l’uomo quando ha il cuore pieno di gaudio spirituale lo lascia sfuggire attraverso i sensi esterni, guardando ed ascoltando tutto ciò che gli piace e soddisfacendo tutte le sue inclinazioni, può darsiche lasci svaporare tutto il suo contenuto spirituale, tanto da ridursi a non saper più trovare la sua gioia in Dio».

«Ciascuno può farne l’esperienza in se stesso quando gli viene il desiderio di guardar qualcosa o di dire una parola da cui possa ricavare poco o nessun profitto. Chi segue subito l’impulso naturale dà prova di poco amore per i beni spirituali, e il cuore allora ne resta privo come resta priva d’acqua la brocca incrinata. Se invece per amor di Dio resiste all’impulso, la gioia spirituale cresce di tanto che il cuore non vale più a contenerla. Chi impara a vincersi in queste cose si avvezza a poco a poco a cercar in Dio le sue delizie, ed esse sono tanto più grandi quanto maggiore sarà stato lo sforzo con cui ha dovuto conquistarle».

Un giorno in cui si sentiva profondamente depressa per una piccola cosa, offrì durante l’elevazione dell’Ostia la sua desolazione al Signore ad eterna sua gloria. Il Signore parve allora attirarla a sé con l’Ostia sacrosanta attraverso ad una misteriosa porta, e la fece dolcemente riposare sul suo petto dicendo: «Ecco, qui troverai sollievo ad ogni tua pena; ma ogni volta chete ne allontanerai, l’amarezza del cuore ti riprenderà e ti servirà da antidoto salutare per richiamarti a Me».

Un giorno, sentendosi spossata di forze, diceva al Signore: «Signore, che cosa succederà? Che disegno hai su di me?». Il Signore rispose: «Come una madre consola i suoi figli, così Io sempre ti consolerò». E aggiunse: «Hai visto qualche volta una madre nell’atto di consolare il suo figliuolino?». Essa tacque, non avendo presente lì per lì alcun ricordo del genere. Il Signore allora le ricordò che, circa sei mesi prima, aveva appunto visto una mamma che consolava il suo bambino, e le fece rilevare tre cose che allora aveva avvertito. Anzitutto la mamma chiedeva spesso al suo bambino di abbracciarla, e il piccino, le cui membra erano ancora tenere e delicate, cercava tuttavia di fare uno sforzo per alzarsi. Allo stesso modo, le disse il Signore, essa doveva fare tutto quanto stava in lei per giungere, attraverso la contemplazione, a godere la dolcezza del suo amore.

In secondo luogo la madre metteva a prova la volontà del suo bambino dicendogli: «Vuoi che faccia così? vuoi che faccia in quest’altro modo?», ma poi non faceva né l’una né l’altra cosa. Così Dio alle volte prova l’uomo mettendogli davanti la possibilità di qualche pena che poi non sopraggiunge, e tuttavia, poiché l’uomo ha fatto un atto di adesione alla sua volontà, il Signore è contento e lo giudica degno di un’eterna ricompensa. Infine le fece osservare che nessuno dei presenti, all’infuori della madre, capiva il linguaggio del bambino che no nera ancora capace di articolare le parole. Così solo Dio comprende l’intenzione dell’uomo e secondo questo lo giudica, ben diversamente da quanto fanno gli uomini che giudicano soltanto dalle apparenze esterne.

Una volta, il ricordo dei suoi peccati passati la coprì di tanta confusione che nella sua umiltà avrebbe voluto nascondersi anche agli occhi di Dio. Ma il Signore si chinò su di lei con tanta degnazione che tutta la corte celeste, quasi presa da stupore, avrebbe voluto trattenerlo. «Non posso fare a meno, dichiarò il Signore, di chinarmi verso quest’anima che con tanta forza di umiltà attira a sé il mio Cuore divino».

Chiese un giorno al Signore a che cosa desiderava che si applicasse in quel momento: «Voglio che ti applichi alla pazienza». Essa, che era tutta agitata per una certa contrarietà, rispose: «E in che modo e con quale mezzo posso impararla?». Il Signore allora attirandola a sé come un buon maestro fa col suo piccolo discepolo, le propose tre esempi che dovevano animarla a praticar questa virtù: «Osserva con quanta familiarità il Re tratta coloro che, più degli altri, son sempre pronti a seguirlo in ogni impresa; e pensa quanto s’accresca, per conseguenza, il mio affetto per te quando per mio amore sopporti come ho fatto le ingiurie». Poi passò al secondo esempio: «Osserva ancora con quanto rispetto tutti i membri della corte trattino colui che il Re onora della sua particolare amicizia e associa a tutte le sue imprese; e pensa perciò quanta gloria avrai in cielo per la tua pazienza». In terzo luogo le disse: «Considera quanto conforto si trova nell’affettuosa compassione di un amico fedelissimo; e pensa con quanta soave bontà Io ti consolerò in cielo per ogni pena che avrai provata anche solo per un pensiero che ti sia causa di contrarietà».

Casella di testo: 31 – Una processione col Crocifisso

Un giorno, mentre rientrava in coro, preceduta dalla croce, una processione che era stata prescritta per ottenere il ritorno del tempo buono, essa udì che il Figlio di Dio dalla croce diceva: «Ecco, o Padre: rivestito della natura umana che ho assunta per redimere il mondo, Io vengo a supplicarti». Essa comprese che il Padre celeste era stato placato da queste parole come se gli fosse stata offerta una riparazione cento volte più grande di quella che gli era dovuta per tutti i peccati del mondo. E le parve che il Padre eterno innalzasse la croce nel cielo dicendo «Hoc signum ereit fÅ“deris inter me et terram: questo sarà il segno del patto tra me e la terra» (cf Gen 9,13).

Un’altra volta la popolazione era estremamente afflitta per il perdurare del maltempo. Essa, che aveva spesso supplicato insieme agli altri la misericordia di Dio e non vedeva esaudita la sua preghiera, disse infine al Signore: «O Signore che sei pieno di bontà per noi, come puoi rimandare così a lungo di esaudire le preghiere di tanta gente? Io benché indegna, ho tanta fiducia nella tua pietà che da sola ardirei di far violenza alla tua misericordia anche in cose più importanti». E il signore: «Tu non troveresti strano che un padre negasse ripetutamente al figlio una piccola moneta se, nello stesso tempo, ad ogni richiesta mettesse da parte per lui cento marchi. Allo stesso modo m, non ti stupire se io in questa circostanza non esaudisco prontamente le vostre preghiere. Ogni volta infatti che voi mi invocate, anche con poche parole o con il più piccolo pensiero, Io metto da parte per voi dei beni eterni che superano infinitamente il valore di cento marchi».