mercoledì 16 novembre 2011

Gertrude di Helfta

Oggi 16 novembre abbiamo celebrato la memoria liturgica di santa Gertrude di Helfta. Di seguito la catechesi che il Papa le ha dedicato lo scorso anno.


BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 6 ottobre 2010


Santa Gertrude la Grande

Cari fratelli e sorelle,

Santa Gertrude la Grande, della quale vorrei parlarvi oggi, ci porta anche questa settimana nel monastero di Helfta, dove sono nati alcuni dei capolavori della letteratura religiosa femminile latino-tedesca. A questo mondo appartiene Gertrude, una delle mistiche più famose, unica donna della Germania ad avere l’appellativo di “Grande”, per la statura culturale ed evangelica: con la sua vita e il suo pensiero ha inciso in modo singolare sulla spiritualità cristiana. È una donna eccezionale, dotata di particolari talenti naturali e di straordinari doni di grazia, di profondissima umiltà e ardente zelo per la salvezza del prossimo, di intima comunione con Dio nella contemplazione e di prontezza nel soccorrere i bisognosi.

A Helfta si confronta, per così dire, sistematicamente con la sua maestra Matilde di Hackeborn, di cui ho parlato nell’Udienza di mercoledì scorso; entra in rapporto con Matilde di Magdeburgo, altra mistica medioevale; cresce sotto la cura materna, dolce ed esigente, della Badessa Gertrude. Da queste tre consorelle attinge tesori di esperienza e sapienza; li elabora in una propria sintesi, percorrendo il suo itinerario religioso con sconfinata confidenza nel Signore. Esprime la ricchezza della spiritualità non solo del suo mondo monastico, ma anche e soprattutto di quello biblico, liturgico, patristico e benedettino, con un timbro personalissimo e con grande efficacia comunicativa.

Nasce il 6 gennaio del 1256, festa dell’Epifania, ma non si sa nulla né dei genitori né del luogo di nascita. Gertrude scrive che il Signore stesso le svela il senso di questo suo primo sradicamento: “L'ho scelta per mia dimora perché mi compiaccio che tutto ciò che c'è di amabile in lei sia opera mia […]. Proprio per questa ragione io l'ho allontanata da tutti i suoi parenti perché nessuno cioè l'amasse per ragione di consanguineità e io fossi il solo motivo dell'affetto che le si porta” (Le Rivelazioni, I, 16, Siena 1994, p. 76-77).

All’età di cinque anni, nel 1261, entra nel monastero, come si usava spesso in quella epoca, per la formazione e lo studio. Qui trascorre tutta la sua esistenza, della quale lei stessa segnala le tappe più significative. Nelle sue memorie ricorda che il Signore l’ha prevenuta con longanime pazienza e infinita misericordia, dimenticando gli anni della infanzia, adolescenza e gioventù, trascorsi - scrive - “in un tale accecamento di mente che sarei stata capace […] di pensare, dire o fare senza alcun rimorso tutto ciò che mi fosse piaciuto e dovunque avessi potuto, se tu non mi avessi prevenuta, sia con un insito orrore del male ed una naturale inclinazione per il bene, sia con la vigilanza esterna degli altri. Mi sarei comportata come una pagana […] e ciò pur avendo tu voluto che fin dall'infanzia e cioè dal mio quinto anno di età, abitassi nel santuario benedetto della religione per esservi educata fra i tuoi amici più devoti” (Ibid., II, 23, p. 140s).

Gertrude è una studentessa straordinaria, impara tutto ciò che si può imparare delle scienze del Trivio e del Quadrivio, la formazione di quel tempo; è affascinata dal sapere e si dà allo studio profano con ardore e tenacia, conseguendo successi scolastici oltre ogni aspettativa. Se nulla sappiamo delle sue origini, molto ella ci dice delle sue passioni giovanili: letteratura, musica e canto, arte della miniatura la catturano; ha un carattere forte, deciso, immediato, impulsivo; sovente dice di essere negligente; riconosce i suoi difetti, ne chiede umilmente perdono. Con umiltà chiede consiglio e preghiere per la sua conversione. Vi sono tratti del suo temperamento e difetti che l’accompagneranno fino alla fine, tanto da far stupire alcune persone che si chiedono come mai il Signore la prediliga tanto.

Da studentessa passa a consacrarsi totalmente a Dio nella vita monastica e per vent’anni non accade nulla di eccezionale: lo studio e la preghiera sono la sua attività principale. Per le sue doti eccelle tra le consorelle; è tenace nel consolidare la sua cultura in svariati campi. Ma, durante l’Avvento del 1280, inizia a sentire disgusto di tutto ciò, ne avverte la vanità e il 27 gennaio del 1281, pochi giorni prima della festa della Purificazione della Vergine, verso l’ora di Compieta, la sera, il Signore illumina le sue dense tenebre. Con soavità e dolcezza calma il turbamento che l’angoscia, turbamento che Gertrude vede come un dono stesso di Dio “per abbattere quella torre di vanità e di curiosità che, pur portando ahimè e il nome e l'abito di religiosa, io ero andata innalzando con la mia superbia, onde almeno così trovar la via per mostrarmi la tua salvezza” (Ibid., II,1, p. 87). Ha la visione di un giovanetto che la guida a superare il groviglio di spine che opprime la sua anima, prendendola per mano. In quella mano, Gertrude riconosce “la preziosa traccia di quelle piaghe che hanno abrogato tutti gli atti di accusa dei nostri nemici” (Ibid., II,1, p. 89), riconosce Colui che sulla Croce ci ha salvati con il suo sangue, Gesù.

Da quel momento la sua vita di comunione intima con il Signore si intensifica, soprattutto nei tempi liturgici più significativi - Avvento-Natale, Quaresima-Pasqua, feste della Vergine - anche quando, ammalata, era impedita di recarsi in coro. È lo stesso humus liturgico di Matilde, sua maestra, che Gertrude, però, descrive con immagini, simboli e termini più semplici e lineari, più realistici, con riferimenti più diretti alla Bibbia, ai Padri, al mondo benedettino.

La sua biografa indica due direzioni di quella che potremmo definire una sua particolare “conversione”: negli studi, con il passaggio radicale dagli studi umanistici profani a quelli teologici, e nell’osservanza monastica, con il passaggio dalla vita che ella definisce negligente alla vita di preghiera intensa, mistica, con un eccezionale ardore missionario. Il Signore, che l’aveva scelta dal seno materno e fin da piccola l’aveva fatta partecipare al banchetto della vita monastica, la richiama con la sua grazia “dalle cose esterne alla vita interiore e dalle occupazioni terrene all'amore delle cose spirituali”. Gertrude comprende di essere stata lontana da Lui, nella regione della dissomiglianza, come ella dice con sant’Agostino; di essersi dedicata con troppa avidità agli studi liberali, alla sapienza umana, trascurando la scienza spirituale, privandosi del gusto della vera sapienza; ora è condotta al monte della contemplazione, dove lascia l’uomo vecchio per rivestirsi del nuovo. “Da grammatica diventa teologa, con l'indefessa e attenta lettura di tutti i libri sacri che poteva avere o procurarsi, riempiva il suo cuore delle più utili e dolci sentenze della Sacra Scrittura. Aveva perciò sempre pronta qualche parola ispirata e di edificazione con cui soddisfare chi veniva a consultarla, e insieme i testi scritturali più adatti per confutare qualsivoglia opinione errata e chiudere la bocca ai suoi oppositori”(Ibid., I,1, p. 25).

Gertrude trasforma tutto ciò in apostolato: si dedica a scrivere e divulgare la verità di fede con chiarezza e semplicità, grazia e persuasività, servendo con amore e fedeltà la Chiesa, tanto da essere utile e gradita ai teologi e alle persone pie. Di questa sua intensa attività ci resta poco, anche a causa delle vicende che portarono alla distruzione del monastero di Helfta. Oltre all’Araldo del divino amore o Le rivelazioni, ci restano gli Esercizi Spirituali, un raro gioiello della letteratura mistica spirituale.

Nell'osservanza religiosa la nostra Santa è “una salda colonna […], fermissima propugnatrice della giustizia e della verità” (Ibid., I, 1, p. 26), dice la sua biografa. Con le parole e l’esempio suscita negli altri grande fervore. Alle preghiere e alle penitenze della regola monastica ne aggiunge altre con tale devozione e tale abbandono fiducioso in Dio, da suscitare in chi la incontra la consapevolezza di essere alla presenza del Signore. E di fatto Dio stesso le fa comprendere di averla chiamata ad essere strumento della sua grazia. Di questo immenso tesoro divino Gertrude si sente indegna, confessa di non averlo custodito e valorizzato. Esclama: “Ahimè! Se Tu mi avessi dato per tuo ricordo, indegna come sono, anche un filo solo di stoppa, avrei pur dovuto riguardarlo con maggior rispetto e reverenza di quanto ne abbia avuta per questi tuoi doni!” (Ibid., II,5, p. 100). Ma, riconoscendo la sua povertà e la sua indegnità, ella aderisce alla volontà di Dio, “perché – afferma - ho così poco approfittato delle tue grazie che non posso risolvermi a credere che mi siano state elargite per me sola, non potendo la tua eterna sapienza venir frustrata da alcuno. Fa’ dunque, o Datore di ogni bene che mi hai gratuitamente elargito doni così indebiti, che, leggendo questo scritto, il cuore di uno almeno dei tuoi amici sia commosso al pensiero che lo zelo delle anime ti ha indotto a lasciare per tanto tempo una gemma di valore così inestimabile in mezzo al fango abominevole del mio cuore” (Ibid., II,5, p. 100s).

In particolare due favori le sono cari più di ogni altro, come Gertrude stessa scrive: “Le stimmate delle tue salutifere piaghe che mi imprimesti, quasi preziosi monili, nel cuore, e la profonda e salutare ferita d'amore con cui lo segnasti. Tu mi inondasti con questi Tuoi doni di tanta beatitudine che, anche dovessi vivere mille anni senza nessuna consolazione né interna né esterna, il loro ricordo basterebbe a confortarmi, illuminarmi, colmarmi di gratitudine. Volesti ancora introdurmi nell’inestimabile intimità della tua amicizia, aprendomi in diversi modi quel sacrario nobilissimo della tua Divinità che è il tuo Cuore divino […]. A questo cumulo di benefici aggiungesti quello di darmi per Avvocata la santissima Vergine Maria Madre Tua, e di avermi spesso raccomandata al suo affetto come il più fedele degli sposi potrebbe raccomandare alla propria madre la sposa sua diletta” (Ibid., II, 23, p. 145).

Protesa verso la comunione senza fine, conclude la sua vicenda terrena il 17 novembre del 1301 o 1302, all’età di circa 46 anni. Nel settimo Esercizio, quello della preparazione alla morte, santa Gertrude scrive: “O Gesù, tu che mi sei immensamente caro, sii sempre con me, perché il mio cuore rimanga con te e il tuo amore perseveri con me senza possibilità di divisione e il mio transito sia benedetto da te, così che il mio spirito, sciolto dai lacci della carne, possa immediatamente trovare riposo in te. Amen” (Esercizi, Milano 2006, p. 148).

Mi sembra ovvio che queste non sono solo cose del passato, storiche, ma l’esistenza di santa Gertrude rimane una scuola di vita cristiana, di retta via, e ci mostra che il centro di una vita felice, di una vita vera, è l’amicizia con Gesù, il Signore. E questa amicizia si impara nell’amore per la Sacra Scrittura, nell’amore per la liturgia, nella fede profonda, nell’amore per Maria, in modo da conoscere sempre più realmente Dio stesso e così la vera felicità, la meta della nostra vita. Grazie.









Messaggio spirituale di Geltrude

Geltrude è santa e mistica. Ma cosa vuol dire mistica e vita mistica? Ecco la definizione di un teologo.

“La vita mistica è caratterizzata dalla presa di coscienza della presenza dentro di sé del Dio vivente, il Dio dell’amore. Come tale essa non è il risultato di uno sforzo, perché l’uomo è incapace di accedervi con le sue sole proprie forze. Essa è un dono divino.

Ma tale dono non può essere conseguito se non si marcia speditamente e con pazienza sul duro sentiero della preghiera, se non ci si impegna a compiere, fedelmente, giorno per giorno, la volontà di Dio, se non si consente a svelare (o riconoscere) la propria profonda miseria e non si rinuncia definitivamente a compiacersi di se stessi; soprattutto, se non si crede ostinatamente nell’amore del Padre, accettando le purificazioni di questo amore” (Giannino Piana).

E a questa esperienza dell’unione mistica con Dio siamo chiamati tutti, come afferma il Catechismo Universale (n. 2014):

“Il progresso spirituale tende all’unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama mistica, perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti – i santi misteri – e, in lui, al mistero della santa Trinità. Dio chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concessi grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica...”.

Le esperienze propriamente mistiche sono quindi un dono di Dio. Ma come tutti i doni di Dio anche questo è impegnativo: richiede a tutti pazienza e l’impegno duro nella lotta quotidiana per il bene (ascesi); un dono da mantenere e meritare ancora “portando la propria croce”, nella ricerca e nel compimento pieno di amore della volontà di Dio. Come ha fatto Geltrude e tutti i santi.
MARIO SCUDU SDB


“CRISTO, VITA DELLA MIA VITA”

O vita della mia vita, possano gli affetti del mio cuore
accesi dalla fiamma del tuo amore, unirmi intimamente a Te.
Possa la mia anima essere come morta
riguardo a tutto ciò che potrebbe cercare all’infuori di Te.

Tu sei lo splendore di tutti i colori, la dolcezza di tutti i sapori,
la fragranza di tutti i profumi, l’incanto di tutte le melodie,
la tenerezza dolcissima dei più intimi amplessi.
In Te si trova ogni delizia, da Te scaturiscono acque copiose di vita, a Te attira un fascino dolcissimo,
per Te l’anima si riempie degli affetti più santi.


Tu sei l’abisso straripante della Divinità,
o Re, nobilissimo tra tutti i re,
o Sovrano eccelso, o Principe chiarissimo,
o Signore mitissimo, o Protettore potentissimo.
O Gemma nobilissima di vivificante umanità.
O Creatore di tutte le meraviglie.

O Maestro dolcissimo, o Consigliere sapientissimo,
o Soccorritore benignissimo, o Amico fedelissimo.
Tu unisci in Te tutti gli incanti di un’intima dolcezza.
Tu accarezzi con soavità, ami con dolcezza,
prediligi con ardore, o Sposo dolcissimo e gelosissimo.
Tu sei un fiore primaverile di pura bellezza,
o Fratello mio amabilissimo, pieno di grazia e di forza,
o Compagno giocondissimo, Ospite liberale e generosissimo.

Io preferisco Te ad ogni creatura,
per Te rinuncio ad ogni piacere,
per Te sopporto ogni avversità,
non cercando in ogni cosa che la tua lode.
Col cuore e con la bocca confesso che Tu sei il Principio di ogni bene...”.

Dalle Rivelazioni, Libro III, Cap. LXVI

Preghiera alla Trinità

“O Fonte delle Luci eterne, Trinità Santa che sei Dio...
Padre Santo, accoglimi nella tua clementissima paternità...
Gesù amatissimo, accoglimi nella tua soavissima fraternità,
Spirito Santo, Dio Amore, accoglimi nella tua benevola misericordia e carità.
O Amore che unisce, Dio del mio cuore.
Quando mi assorbirà quel dolcissimo raggio, per essere con Te un solo amore
e un solo spirito?”.

(Dagli Esercizi, VI)

PREGHIERA ISPIRATA DAL SIGNORE A SANTA GELTRUDE

Preghiere di adorazione ce ne sono tante in uso; i manuali delle Ore Sante ne sono ricche.. Se ne suggerisce, diverse:

- Ti adoro, Dio Padre! Ti adoro, Dio Figlio! Ti adoro, Dio Spirito Santo! Glo­ria, omaggio, onore all'augustissima Trinità, un solo Dio in tre Persone!

- Vi adoro Divine Perfezioni ed adoro specialmente l'Amore Misericordioso!

- Ti adoro, Gesù Verbo Incarnato, Figlio Eterno dell'Altissimo e Figlio di Maria Vergine!

- Ti adoro, Gesù Crocifisso, Reden­tore del mondo!

- Ti adoro, Gesù Sacramentato, in tut­ti i Tabernacoli del mondo e ti offro per le mani della Madre tua tutte le adora­zioni che ti rendono il Cielo e la terra!

- Santo, Santo, Santo è il Signore Dio dell'universo! I cieli e la terra sono pie­ni della tua gloria. Osanna nell'alto dei Cieli! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell'alto dei Cieli!

Simile alla preghiera di adorazione è quella di lode. Ogni anima, pervasa d'a­more divino, formula preghiere di lode spontaneamente, lasciando parlare il cuore. Quante di tali preghiere ci han­no lasciato i Santi! Sono capolavoro di lode divina le preghiere di San Francesco d'Assisi, di Santa Caterina da Siena, di 'San Giovanni della Croce, di S. Teresa d'Avila...

Una in particolare merita di essere conosciuta e diffusa, formulata da Santa Geltrude. La riporto nella sua integrità, com'è espressa nel 66° Capitolo del Li­bro Terzo della Santa.

In un certo periodo, prima della Qua­resima, Geltrude si era abituata a ripetere queste parole, rivolte a nostro Signore: «Eccellentissimo Re dei re, illu­strissimo Principe» ed altre simili.

Una mattina, mentr'era raccolta in preghiera, chiese al Signore:

“O mio amatissimo Gesù, che ne farai di queste espressioni che mi ritornano. così spesso alla mente e sulle labbra?” Gesù allora le mostro una collana d'oro composta di quattro parti. Mentre stava riflettendo cosa significassero, comprese per ispirazione divina che la prima indicava 1a Divinità di Gesù Cri­sto; la seconda la sua Santissima Ani­ma; la terza l'anima fedele riscattata col suo preziosissimo Sangue; infine la quarta rappresentava il Corpo Immaco­lato del Salvatore.

Geltrude, notò che l'anima fedele si trovava tra l'Anima ed il Corpo di Gesù, per significare il vincolo d'amore indis­solubile, col quale il Signore avrebbe uni­ta a sé la sua diletta Sposa.

Ad un tratto la Santa fu rapita in estasi e nel momento in cui la Grazia inondava con dolce violenza il suo cuore, disse la seguente ispirata preghiera:

O Vita dell'anima mia, che gli affet­ti del cuor mio assorbiti dal fuoco del tuo amore, mi uniscano intimamente a Te! Che il mio cuore rimanga privo di vita, qualora amasse alcuna cosa senza di Te! Non sei Tu che dai ai fiori bellezza, ai sapori delizia, agli odori profumo, ai suoni armonia, alle più care affezioni attrattiva e dolcezza?

SI, in Tè si trovano i più deliziosi godimenti, da Te zampillano le acque abbondanti della vita, verso di Te attrae un incanto irresistibile, per Te l'anima è inondata di santi affetti, poiché Tu sei l'abisso illimitato della Divinità!

O degnissimo Re dei re, o Sovrano supremo, Principe di gloria, Maestro dol­cissimo, Protettore onnipotente, Tu sei la perla vivificante della dignità umana, Creatore delle meraviglie, Consigliere di sapienza infinita, aiuto generoso, Amico fedelissimo.

Chi si unisce a Te, gusta le più caste delizie; riceve le più tenere carezze da Te, che sei il più dolce degli amici, il più tenero dei cuori, il più affettuoso degli sposi, il più casto degli amanti!

I fiori di primavera non più sorri­dono se si paragonano a Te, fiore rag­giante dello splendore di Dio. O amabilissimo Fratello, o Giovane pieno di grazia e di forza, o Compagno infinitamente caro, ospite generoso, albergatore munifico che servi i tuoi amici come se fossero tanti re, io rinunzio a tutte le creature per scegliere Te solo!

Per Te respingo ogni piacere, per Te supero ogni contrarietà e, dopo avere fatto tutto per Te, non voglio essere ap­prezzata da alcuno, ma solo da Te!

Riconosco, con il cuore e con la bocca, che sei l'Autore ed il Conservatore di ogni bene. Struggendo il mio povero cuo­re nel fuoco che infiamma il tuo Cuore Divino, unisco i miei desideri e la mia devozione alla forza irresistibile delle tue preghiere, affinché per questa intera e divina unione io sia condotta alla vet­ta della più alta perfezione, dopo di ave­re estinto in me tutti i movimenti della natura ribelle.

Geltrude vide che ciascuna di queste aspirazioni brillava come perla incasto­nata in monile d'oro.

La seguente domenica, prima della Comunione, assistendo alla Messa, reci­tava con grande devozione la suddetta preghiera e vide che Gesù ne provava gioia immensa. Allora gli disse: “O ama­tissimo Gesù, poiché questa supplica ti è tanto gradita, voglio diffonderla e così molti potranno offrirtela a modo di un aureo gioiello.”

Il Signore le rispose:Nessuno può darmi ciò che è mio; sappi che se alcu­no reciterà devotamente questa preghie­ra, otterrà la grazia di conoscermi me­glio e, per l'efficacia delle parole che Contiene, attirerà sopra di sè e riceverà nell'anima sua lo splendore della Divinità, come colui che, girando verso il sole una piastra di puro oro, vede riflettere in essa il fulgore dei raggi di luce”.

Geltrude provò subito l'efficacia di ta­le promessa, perchè, avendo terminata la preghiera, vide l'anima sua investita dal­la luce divina e provò, come non mai, la dolcezza della conoscenza di Dio.

* * *



PREGHIERA AL NOME DI GESU'



"O buon Gesù, o tenero Gesù, Figlio di Dio e della Vergine Maria, pieno di misericordia e tutto cuore.

O dolce Gesù abbiate pietà di me secondo la vostra grande misericordia.

O clementissimo Gesù, pel sangue preziosissimo che avete sparso pei peccatori, lavatemi ve ne supplico da tutte le mie iniquità e quantunque io sia una miserabile ed indegna creatura, abbassate gli occhi sopra di me: io vi domando perdono e invoco il Santo Nome di Gesù.

O Nome di Gesù, Nome tanto dolce!

O Nome di Gesù, Nome tanto delizioso!

O Nome di Gesù, il più amabile tra tutti i nomi!

Che altro è Gesù se non Salvatore?

Dunque Gesù in virtù del Vostro Santo Nome siatemi Gesù e salvatemi.

Ah! Non permettere ch'io mi danni dopo che sono stato ricomprato dal Vostro preziosissimo sangue.

O buon Gesù, sono l'opera della Vostra onnipotente bontà; che le mie iniquità non mi perdano.

O buon Gesù, abbiate pietà di me nel tempo della misericordia affinché non m'abbiate a condannare nel giorno del giudizio.

O dolce Gesù, se la Vostra severa giustizia vuol condannarmi ricorro alla Vostra tenera misericordia e mi rifugio nel suo seno.

O amantisimo Gesù, e desiderabilissimo Gesù,

O dolcissimo Gesù,

O Gesù, Gesù, Gesù,

accoglietemi nel numero dei Vostri eletti.

O Gesù, fiducia di coloro che si rifugiano in Voi.

O Gesù, dolcezza dei cuori che Vi amano.

Fate che m'infiammi per Voi, che resti fedelmente unita con Voi e che dopo questa trista e miserabile vita, pervenga felicemente a Voi.

Così sia.

* * *

APPROFONDIMENTI

Elena Cristina Bolla

GERTRUDE E LE RAGIONI DEL CUORE

Per i tedeschi iL duemiladue è stato "St. Gertrudjahr", l'anno di santa Gertrude. Le celebrazioni si sono concluse il diciassette novembre, festa liturgica della santa e data probabile della sua "nascita al cielo". L'anno era il 1301 o 1302: per le celebrazioni del settimo centenario ci si è accordati su quest'ultima data.

Gertrude die Grosse, la grande. Verosimilmente l'unica donna tedesca insignita di questo appellativo. La chiamano anche "la santa Teresa di Germania" ed in effetti la sua vicenda ricorda sotto certi aspetti quella dell'altra "grande" spagnola. Molti anni di chiostro senza particolari fervori, poi una "conversione" che ti cambia la vita e ti dà ali per raggiungere l'infinito. E la gloria. Magari dopo secoli di silenzio. Ma che cosa sono i secoli di fronte all'eternità?

Il cenacolo di Helfta

Nel 1342 la rabbia del vescovo ribelle Alberto di Brunswick rade al suolo il monastero di Helfta, presso Eisleben, in Turingia. Scompare così uno dei più straordinari centri monastici di cultura e di religiosità del medioevo. E già incalzano i tempi nuovi: Eisleben, dove pare sia nata la nostra santa, sarà poi famosa come la città di Martin Lutero

"Con santa Gertrude - scrive Gregorio Penco - siamo ormai alla fine del Medio Evo e al termine del grande sviluppo storico-dottrinale della spiritualità monastica, mentre altre correnti acquistano il sopravvento". Quando, soprattutto, il potere passa nelle mani delle università, mondo esclusivamente clericale e maschile, per la cultura monastica femminile suona la campana a morto. E ben poca cura si avrà di conservarne i documenti. L'immenso patrimonio della cultura monastica femminile è tuttora in gran parte sconosciuto.

Ne è prova il lungo silenzio sui tesori di Helfta e l'abbagliato stupore dei "riscopritori", a distanza di secoli. Tesori non solo di mistica - questa eternamente sospetta e screditata "specialità" femminile - ma di cultura profana, di teologia, di scienza. Vi si studiavano, a livello diremmo oggi universitario, le scienze umane, la medicina, la Scrittura, la patristica e tutto il bagaglio di nozioni che caratterizzano la sapienza monastica del medioevo. Ovviamente non mancava il supporto delle attività manuali necessarie alla vita di una comunità benedettina: laboratori artigianali di ricamo, di tessitura, e - prima tra tutte - la produzione di libri. Dovremo deciderci ad abbandonare l'immagine stereotipata del monaco chino sul tavolo di lavoro a miniare codici. Il copista molto spesso era una copista, dichiarata o anonima. I monasteri femminili non solo copiavano i libri a proprio uso, ma accettavano spesso commissioni esterne. E non si trattava solo di copiste: autore ed editore spesso coincidevano. La prima enciclopedia illustrata che si conosca è opera di una badessa.

A Helfta nacquero alcuni dei capolavori della letteratura religiosa latino-tedesca. L'insediamento benedettino (forse cistercense) vi era durato meno di un secolo, poiché la comunità vi si era stabilita nel 1258. Ma fu un quasi-secolo di intensissimo fervore culturale e spirituale. Vi brillarono almeno quattro grandi personalità, tre monache e una "consacrata laica", come diremmo oggi. Due si chiamavano Gertrude (o Geltrude), due Matilde (o Mechtilde).

Anche gli storici faticano ad orientarsi tra tutte queste Gertrudi e Matildi. Ancor oggi Gertrude la Grande è spesso raffigurata con il pastorale e definita "la santa badessa di Helfta". Ma badessa non fu: l'equivoco è con la sua superiora, Gertrude di Hackeborn. La sorella di questa, Matilde (o Mechtilde) di Hackeborn è un'altra grande figura mistica, che consegnò le sue esperienze soprannaturali a uno scritto, il Liber specialis gratiae, a cui forse Gertrude la Grande collaborò (secondo alcuni l'intero libro è opera sua).

A completare il quartetto, sul finire della sua vita approda ad Helfta Matilde di Magdeburgo, colta e geniale "beghina" a cui dobbiamo un capolavoro, La luce fluente della divinità, poema scritto "nel più affascinante tedesco che si sia mai letto", come afferma il suo riscopritore Enrico di Noerdlingen. Sembra ormai accertato che la Matelda dantesca, la bella donna "che si gia - cantando ed iscegliendo fior da fiore" alle soglie del paradiso, altri non sia che Matilde di Magdeburgo.

Dopo alterne vicende di distruzioni e ricostruzioni da far invidia a Montecassino (si fa per dire!) oggi Helfta rivive. Dal 1999, il monastero, restaurato, accoglie una comunità di monache cistercensi e torna ad essere centro di cultura e di accoglienza. Ha perfino, segno dei tempi, un sito Internet.

"La Grande"

"Il principe suo padre, volendo darle un nome che risvegliasse immediatamente l'idea del chiostro, e che fosse stato portato da una santa d'alti natali, la chiamò Gertrude". A chi pensava il Manzoni scrivendo queste righe? A Gertrude di Nivelles o a Gertrude di Helfta? Anche a questa, un antico biografo attribuisce una nascita nobile. Ancora una confusione tra Gertrudi diverse, durata fino alla pubblicazione ottocentesca delle Revelationes getrudianae, due anni dopo la morte del Manzoni.

La nostra fonte più certa è il Legatus divinae pietatis, con la biografia della santa che ne costituisce il primo libro, manifestamente compilata da una dotta consorella a lei molto vicina. Apprendiamo così che la piccola "Trude" viene affidata al monastero all'età di sei anni (era nata nel 1256, il giorne dell'Epifania) e che subito si conquista l'affetto di tutti per la sua dolcezza e la simpatia che emana. doti che le resteranno sempre caratteristiche. Ma ben presto si rivela la sua vivissima intelligenza e la sua sete di sapere, che nel monastero trovano un terreno ideale di espansione.

Dell'educazione di Gertrude si occupano soprattutto Gertrude di Hackeborn, la badessa, e Matilde di Hackeborn, futura santa, che fu tra l'altro sua insegnante di canto e di musica. Quanto alla nostra Gertrude, non ebbe altro incarico ufficiale, in monastero, che di affiancare Matilde come aiuto-cantoressa, domna cantrix.

A venticinque anni, Gertrude ha imparato tutto l'imparabile. E' un pozzo di scienza, ma soprattutto per quel che riguarda le conoscenze profane. Conduce un'esistenza claustrale tranquilla e, in apparenza, appagante: lavoro, preghiera, studio, lectio divina, canto, insomma il normale bagaglio quotidiano di ogni buon benedettino (o benedettina). Forse con una sfumatura di orgoglio intellettualistico? C'è da sospettarlo, a quanto lei stessa ci confida, quando racconta sorridendo che "il Signore si adoperò a piegare al suo dolce giogo un'irriducibile testa dura". Un fatto è certo: niente, nella forma mentis di Gertrude, lascia prevedere un'esperienza mistica.

E invece è proprio quello che le accade, il 27 gennaio 1281. Del resto, le esperienze mistiche autentiche non càpitano mai a chi se le va a cercare: è una costante e uno dei più sicuri criteri di giudizio. Gertrude stava male da tempo, male dentro: la classica e salutare crisi dell'intellettuale che si rende conto dell'insufficienza della ragione, tanto esemplarmente descritta da Pascal quasi quattro secoli dopo. Si sente sola, vuota, triste, avvilita. Non trova più gioia in ciò che prima bastava a riempirle la vita, le sue dilette scienze del "trivio" e del "quadrivio". Da più di un mese si dibatte in questo stato, e non sa come uscirne.

Quella sera, passata compieta, Gertrude sta attraversando il dormitorio ed ha appena salutato con un piccolo inchino una consorella più anziana, quando, rialzando la testa, si vede davanti un bellissimo adolescente di sedici anni circa, splendente di grazia e di bellezza. "Presto la tua salvezza verrà: perché ti tormenti?" le chiede il ragazzo con dolcezza. "Non hai in chi confidare?".

Gertrude sa di essere nel dormitorio del monastero, ma nello stesso tempo si ritrova nel suo stallo in coro, "là dove soleva fiaccamente pregare". Qui il ragazzo le porge una mano (gentile e delicata, nota Gertrude) e le promette di liberarla e di salvarla. Ma vi è tra loro una siepe di spine. Gertrude non sa come superarla, ma il giovane, tenendola per mano, senza sforzo l'attira accanto a sé. A quel punto Gertrude riconosce sulla mano del giovane la ferita della croce.

Da quel momento, la neo-convertita (così si definisce) prende il volo. Sembra davvero di leggere il diario della "seconda conversione" di Pascal: Certitude. Certitude. Sentiment. Joie. Paix. "Dio di Gesù Cristo… non dei filosofi e degli scienziati". Gertrude rinasce a nuova vita. De grammatica facta theologa, si dà con entusiasmo allo studio delle scienze sacre: la Scrittura, i Padri. Ansiosa di diffondere e contemplata aliis tradere (soprattutto dopo l'espresso comando del Signore di trasmettere le grazie ricevute) scrive opere divulgative accessibili al popolo, traduce in volgare tedesco i testi sacri, procura libri a chi ne è privo, si fa consigliera, maestra, annunciatrice della Parola ai dubbiosi che vengono a consultarsi con lei. "Quando venivano a chiederle consiglio" riferisce la biografia del Legatus - la sua lingua sembrava uno stilo intinto nel sangue del suo cuore, e parlava con tanto affetto, grazia e sapienza, che non v'era cuore tanto duro o mente tanto perversa da restare insensibile".

Le esperienze mistiche proseguono, anzi diventano quotidiana e gioiosa normalità. Quasi un ristabilimento delle condizioni umano-divine di "prima della caduta", quando Dio passeggiava amichevolmente con l'uomo in un giardino di delizie. Caso forse unico, Gertrude sembra aver percorso a rovescio il classico itinerario mistico che prevede, ordinariamente, le dolcezze e le consolazioni sensibili all'inizio, poi la crisi e la "notte oscura" da cui si esce con le ossa rotte ma con una fede purificata e confermata, non senza il recupero delle dimensioni intellettuali e speculative. Per Gertrude dolcezza, gioia, consolazioni sono il bagaglio della seconda parte della sua vita: un itinerario quasi senza ombre. Gli inevitabili momenti di stanchezza, più che giustificabile con le precarie condizioni di salute della santa, naufragano subito in un mare di fiducia e di abbandono..

C'è da stupirsi se Gertrude diventa una consigliera illuminata, un giudice infallibile di colpe e di drammi spirituali, una profonda interprete della Parola? Quando ha un dubbio, si rivolge a Gesù in persona. E le risposte sono spesso innovative, acutamente illuminanti. Il tesoro. teologico del Legatus non è ancora adeguatamente esplorato, anche se molti vi hanno attitnto a proprio beneficio. Compresi i protestanti, che individuano in Geltrude una precorritrice del luteranesimo, verosimilmente per certe affermazioni sulla predestinazione (peraltro più che compensate dal contesto, perfettamente ortodosso).

Certo, a questo punto è inevitabile porsi il grande, annoso problema della teologia di dichiarata origine mistica nella produzione letteraria femminile. Quanto è veramente "rivelazione privata", quanto è risultato di elaborazione personale? Abbiamo già sottolineato più volte che la formula "il Signore mi ha rivelato", opportunamente elastica, è stata per secoli l'unica opportunità per una donna di far accettare i propri scritti, le proprie affermazioni. E in quale misura i mistici, o sedicenti tali, sono in grado di distinguere un pensiero proprio da una locuzione interiore? Il loro costante, incessante stato di preghiera può assumere insensibilmente le forme di un dialogo, di una vera e propria risposta soprannaturale. Il problema, qui esposto molto semplicisticamente, è in realtà estremamente complesso.

Nel caso di Gertrude, però, sembra che non vi siano dubbi. Vive ogni giorno, ogni momento in contatto con Gesù, con la Trinità, Maria, gli angeli, i santi. Gesù le parla, le prodiga gesti di tenerezza, canta, celebra la messa per lei. Le sue stesse consorelle finiscono con l'accettare come fatto normale il continuo, quotidiano, felice contatto di "Trude" con la divinità. Quanto a lei, da buona ragionatrice, è la prima a meravigliarsi della concretezza delle sue visioni, dei simboli materiali che Dio usa con lei per veicolare i concetti più astratti. Il cuore di Gesù, ad esempio, si presenta via come fonte zampillante, lampada accesa, liuto, chiostro, giardino, incensiere. Gesù le risponde che è quello il miglior modo, se non l'unico, di attingere l'intelligenza umana (nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu…). E' un dato da tenere fermamente presente perché la lettura del Legatus e delle altre pagine gertrudiane non diventi troppo sconcertante.

Le opere

Che cosa resta degli scritti di Gertrude di Helfta? Perduti, a quanto sembra, quelli in volgare tedesco. Del Legatus è di sua mano il secondo libro, l'unico dei cinque scritto in prima persona. Gli altri sono in terza persona, ma verosimilmente scritti sotto dettatura o puntuale indicazione della santa. Il titolo Legatus divinae pietatis, suggerito da Gesù stesso, viene solitamente tradotto L'Araldo del divino amore (legatus è il libro stesso).

E' un'opera davvero singolare, che allinea in quantità incredibile testimonianze biografiche, aneddoti sulla santa e su altri personaggi, spunti di altissima teologia e suggerimenti pratici di devozione, accessibili a qualsiasi fedele. Ad esempio la recita di 225 Pater Noster, o l'impegno di compiere per un mese un'opera buona al giorno come rivolta a Gesù in persona. Un livre de chevet da meditare per anni.

Restano inoltre gli Exercitia spiritualia (Gertrude precorre sant'Ignazio), altra opera "traboccante a un tempo di esattezza teologica e di splendida poesia" (mons. Gay). E' un itinerario sette tappe di perfezionamento spirituale: il recupero dell'innocenza battesimale, la "conversione", la consacrazione, il rinnovamento della professione religiosa, i mezzi dell'amore divino, il ringraziamento, la penitenza e l' "apparecchio alla morte", indicazioni che la stessa Gertrude seguirà puntualmente nell'ultima agonia.

E' da notare come tanto gli Exercitia quanto il Legatus e la stessa vicenda mistica della santa si svolgano sul filo della liturgia, dell'opus Dei, il che conferisce all'insieme un'impronta marcatamente benedettina. San Benedetto è esplicitamente indicato come padre della comunità di Helfta, nel quinto libro del Legatus.

Singolare, il destino degli scritti di Gertrude di Helfta. "Riscoperti" periodicamente a distanza di secoli, destano entusiasmi incontenibili e poi ripiombano nell'oblio. Dal primo sonno di due secoli emergono ad opera di Paolo di Weida, domenicano, che traduce il Legatus in tedesco ad uso di una duchessa. Giovanni Lanspergis (o Lanspergio), certosino, pubblica poi gli scritti nell'originale, a Colonia nel 1536. Un best seller: traduzione in varie lingue, diffusione a largo raggio.

Nel sei e settecento Gertrude è venerata come santa, titolo non ufficiale ma praticamente confermato da Clemente XII che ne estende il culto all'intera Chiesa. L'opera di Gertrude ispira altri teologi (Fernandez, Stelzel), ma. l'edizione più o meno critica delle opere della santa risale al 1875: Revelationes Gertrudianae ac Mechtildianae, presso i benedettini di Solesmes.

L'opera di Gertrude è letterariamente pregevole: la santa maneggia il latino "con grazia e facilità", come nota una moderna traduzione italiana del Legatus. Il suo stile "è caratteristico ed ha un andamento tutto suo. I torrenti di luce di cui era inondata, gli aspetti multiformi sotto cui la verità le appariva, esigevano il calamum velociter scribentis, di cui parla il Salmista… per adeguare la parola al pensiero, moltiplica le frasi, gli epiteti, i paragoni, le opposizioni, imprimendo alla frase latina il sigillo della fecondità del genio tedesco".

Sapientia cordis

Gertrude di Helfta è ritenuta l'iniziatrice della devozione al Sacro Cuore. E' detta infatti "la teologa del Sacro Cuore", o "la santa dell'umanità di Cristo". Su questo punto, santa Teresa le deve molto. E' raffigurata con un cuore ardente visibile sul petto, con l'immagine di Gesù (di solito bambino) al centro. In corde Gertrudis invenietis me, canta l'antifona dei vespri nella festa della santa. La frase sarebbe stata rivelata da Gesù stesso a un'anima devota.

Cuore di Gertrude o cuore di Gesù? In realtà si sovrappongono, coincidono, segno di quello "scambio dei cuori" che poi diventerà familiare ai mistici e di cui si parla già espressamente nel Legatus. I riferimenti al cuore di Gesù, metafora dell'amore infinito di Dio per la sua creatura, sono numerosissimi nei suoi scritti.

Ma non si tratta solo di una metafora. La dimensione affettiva, diremmo oggi sentimentale, è la nota di fondo di tutta la vicenda mistica gertrudiana. Vi si vuole vedere un'influenza della "cordiale" spiritualità cistercense: è uno dei punti di forza di chi sostiene l'appartenenza di Helfta all'ordine di san Bernardo, un santo spesso citato nel Legatus. In ogni caso, colpisce nella vicenda gertrudiana l'abbondanza di espressioni e di gesti intensamente affettuosi, come baci, abbracci, carezze. Di che restare perplessi.

E' noto il generale discredito dei commentatori "laici" (ma non solo di quelli) verso la mistica femminile, spesso intensamente affettiva. Cose da donne: sentimento, emotività, compensazioni sentimental-sessuali da zitelle frustrate: la condanna è fin troppo facile. Anche da parte cristiana, e perfino nei commentatori più benevoli, serpeggia comunque la convinzione che si tratti di manifestazioni infrarazionali, situate nella sfera del sentimento e dell'emozione, piuttosto che soprarazionali o soprannaturali.

Ancora una volta, è illuminante il riferimento a Pascal, il filosofo delle "ragioni del cuore". Fortunatamente, nessuno metterà in dubbio la sua statura di pensatore e di scienziato; ancor più fortunatamente, non era una donna. Il "cuore", per il grande matematico-filosofo, supera la ragione, così come l'"ordine della carità" supera infinitamente l'"ordine delle menti", ed ancor più quello dei sensi e della materialità, che si trova al gradino più basso. "Tutti i corpi insieme non potranno mai produrre il minimo pensiero; tutti i corpi e tutte le menti insieme non potranno mai produrre il minimo movimento di carità. E' cosa di un altro ordine".

Il messaggio della vicenda di Gertrude, come di quella di Pascal, è chiaro: l'intelligenza, la ragione, non esaurisce tutto l'uomo. Anzi: è forse qui la radice del peccato d'origine, l'eterna, sottile tentazione dei teologi di professione. Semmai, secondo la celebre espressione agostiniana, è l'amore che esaurisce l'uomo: amare et amari, hic est totus homo. "E' il cuore, non la ragione, che sente Dio" commenta Pascal.

Certo, occorre intendersi sul significato del termine "cuore", senza perdere di vista il simbolismo occidentale e soprattutto quello ebraico (in cui il "cuore" designa il nucleo, l'essenza dell'uomo). L'ordine della carità sovrasta gli altri due, ma li ingloba. I segni dell'affetto terreno (amore sponsale, filiale ecc.) diventano, appunto, "segni", senza per questo perdere della loro umanità. Lo chiarisce un passaggio del Legatus (V, 16): "Mi compiaccio singolarmente quando l'uomo a me rivolge le sue emozioni naturali insieme allo slancio della buona volontà; allora la sua offerta è completa." La "buona volontà", la volontà di bene, è teologicamente l'ambito della caritas, il riflesso dello Spirito.

E' bene comunque precisare che nelle affettuosissime pagine di Gertrude - soprattutto quelle di prima mano - manca quasi del tutto quell'insistita, anzi ossessiva atmosfera pseudo-erotica che tanto spesso pervade le opere delle scrittrici mistiche e che suscita, come si è detto, i sogghigni degli psicanalisti e il disagio dei devoti. Certo, la metafore sponsali non mancano, com'è d'uso. Ma Gesù è altrettanto spesso identificato come "fratello", "amico", "compagno", "padre" e perfino "madre". In particolare, nei momenti più intensamente affettuosi Gesù si paragona a una madre che accarezza e tiene in grembo il suo bambino. In una celebre preghiera litanica, Gertrude chiama bensì il suo Amato "Sponse dulcissime", ma anche "Frater amabilissime", "Comes iucundissime", "Amice fidelissime". Gesù è l'amore di tutti gli amori, così come è la bellezza di tutti i colori, la dolcezza di tutti i sapori, la fragranza di tutti i profumi, il diletto di tutti i suoni (amoenitas omnium colorum, dulcor omnium saporum, fragrantia omnium odorum, delectatio omnium sonorum).

Insomma: Dio è l'assoluto di ogni relativo, e il linguaggio umano, per quanto poetico, è costretto a balbettare. Ma forse Gertrude ci offre un'altra salutare lezione. Dovremmo lasciare un po' da parte le nostre teorie su come amare Dio, e chiederci piuttosto come vuol essere amato lui.

Ascoltare, insomma, le ragioni del cuore di Dio, oltre che le nostre. Pare evidente: Dio vuole tutto l'uomo. Vuole intelligenza, ma anche tenerezza. Amor Dei intellectualis, d'accordo; ma l'omaggio dell'intelligenza, nella "creatura che ha in sé ragione", è solo un dono a metà. Un po' poco, in cambio del dono di un Dio che ha dato tutto, fino alla morte, e alla morte di croce.