domenica 13 novembre 2011

Gregorio Palamas



Oggi 14 novembre la Chiesa greco-cattolica ricorda:

GREGORIO PALAMAS

(1296-1359)

monaco e pastore

Nel 1359 muore nella sua sede episcopale di Tessalonica Gregorio Palamas, monaco e pastore tra i più amati nel mondo bizantino. Di famiglia costantinopolitana, Gregorio era stato coinvolto nel movimento di rinascita esicasta, che aveva fatto del monte Athos un grande polo di attrazione in un'epoca di forte declino dell'impero bizantino. Uomo molto colto, formatosi nelle migliori scuole della capitale, egli unì nella sua esperienza monastica una profondissima vita interiore, animata dalla pratica della preghiera di Gesù, a una notevole verve da polemista. Quando infatti Barlaam il Calabro accusò di eresia tutti quei monaci che fondavano la loro vita spirituale sulla ripetizione del Nome del Signore, Gregorio si gettò in prima persona nella difesa dei «santi esicasti», dando vita a una teologia al tempo stesso fedele alla tradizione patristica e tuttavia profondamente originale. Importante fu la sua distinzione fra l'essenza e le energie di Dio, che ebbe il merito di rendere ragione sia della radicale alterità di Dio rispetto all'uomo, sia del suo libero donarsi a coloro che vivono nella preghiera un'autentica esperienza spirituale. Coinvolto nelle controversie del tempo, Gregorio conobbe la scomunica e la prigionia inflittegli dal patriarca di Costantinopoli Giovanni Caleca, ma dal successore di quest'ultimo, Isidoro, fu poi riammesso alla comunione ecclesiale, fino a diventare arcivescovo di Tessalonica.
Cantore di un Dio che è «fuoco d'amore divorante», Palamas ha lasciato ai posteri una delle più alte e complete dottrine sulla divinizzazione dell'uomo, vero fine dell'economia divina secondo la tradizione orientale.

TRACCE DI LETTURA

Il Figlio di Dio, nel suo incomparabile amore per gli uomini, non si è limitato ad unire la sua divina Ipostasi alla nostra natura, ricoprendosi di un corpo animato e di un'anima dotata d'intelligenza, per apparire sulla terra e vivere con gli uomini; ma poiché si unì - miracolo incomparabilmente sovrabbondante - alle ipostasi umane stesse, confondendosi con ogni fedele per la comunione al suo santo corpo - egli infatti diventa un sol corpo con noi e fa di noi un tempio della Divinità tutta, visto che nel corpo stesso di Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità -, come non illuminerebbe egli coloro che comunicano degnamente al raggio divino del suo Corpo che è in noi, portando luce nella loro anima, come egli illumina gli stessi corpi dei discepoli sul Tabor? Allora questo corpo, fonte della luce della grazia, non era ancora unito ai nostri corpi; esso illuminava dal di fuori coloro che gli si accostavano e inviava l'illuminazione all'anima con la mediazione degli occhi sensibili; ma oggi, poiché è mescolato con noi ed esiste in noi, egli illumina l'anima proprio dal di dentro.

Gregorio Palamas, Triadi 1,3,38

PREGHIERA

Luminare dell'ortodossia,
sostegno e maestro della chiesa,
bellezza dei monaci,
difensore invincibile dei teologi,
Gregorio taumaturgo, vanto di Tessalonica,
annunciatore della grazia,
supplica senza sosta
per salvare le nostre anime.

* * *


Gregorio Palamas e la questione dell'Esicasmo

La preghiera di Gesù era legata ad un metodo che si era sviluppato e definito gradualmente nel corso dei secoli. Sembra che la sua pratica fosse divenuta, presso molti monaci, un po' meccanica e formale. E' intorno a tale questione e alla dottrina della visione della luce increata che si scatenò l'accesa polemica tra Barlaam di Seminara, detto il Calabrese (m. 1348) e san Gregorio Palamas, monaco dell'Athos (1296-1359).

Barlaam, originario della Calabria, si stabilì a Costantinopoli verso il 1330. I suoi meriti di uomo erudito e di filosofo gli conferirono presto una solida reputazione. Giunto dall'Italia, dove cominciava ad affermarsi lo spirito rinascimentale, egli aveva coltivato la propria formazione intellettuale negli ambienti umanistici aperti alla scuola tomista. Negli scritti dello pseudo Dionigi l'Areopagita, che lo interessavano in particolare per 1' apofatismo, cioè per la tendenza a dire di Dio ciò che non è piuttosto che ciò che è, egli trovò una base metafisica per la sua riflessione sull'inconoscibilità di Dio.

Gregorio Palamas si levò contro tale posizione e contro l'agnosticismo di Barlaam, inviandogli alcune lettere. Barlaam, messo in difficoltà dall'avversario, cominciò a frequentare alcuni monaci esicasti.

La sua sensibilità umanistica e neoplatonica fu vivamente urtata dalle loro pratiche. Li accusò apertamente definendoli omphalo'psychoi, perché si concentravano sul loro ombelico, e nella loro pratica della preghiera costante gli parve di riconoscere una prova di messalianismo. Egli sapeva che i messaliani (« coloro che pregano», in siriaco) o euchiti (lo stesso senso in greco) hanno dato vita a un'eresia condannata al concilio di Efeso del 431. Essi avrebbero insegnato che Satana e lo Spirito Santo coabitano nell'anima del battezzato. Il battesimo e' infatti inefficace contro il Maligno, solo la preghiera riesce a cacciarlo con potenza quasi magica.

Credeva così di averli smascherati: gli esicasti erano degli eretici. Per completare il quadro della loro eresia, aggiunse che essi pretendevano di vedere la luce divina. La polemica era innescata. Secondo la visione messaliana, nonostante il battesimo l'anima è abitata dal demonio, che va sconfitto ed eliminato. Per riuscirvi, arma di combattimento spirituale è la preghiera costante, dotata di virtù apotropaiche, cioè efficaci contro gli influssi del Maligno. Sforzo puramente umano, che procura la grazia ma è indipendente dall'intervento divino, la preghiera diviene un mezzo infallibile e automatico che esclude ogni altra attività. D'altra parte, così come il male è sperimentato in modo sensibile, la presenza dello Spirito Santo infuso nell'anima è percepita fisicamente e viene accompagnata da fenomeni luminosi, da estasi ecc.

Gregorio stesso, postosi a difesa degli esicasti, non negò i malintesi o le approssimazioni che potevano indurre i monaci in grossolani errori e pericolose confusioni. E ammise che Niceforo aveva composto la sua opera «in modo semplice e senza approfondire ». Per contro, un'altra opera fu al centro del dibattito: il Metodo, erroneamente attribuita a san Simeone il Nuovo Teologo. In questo testo lo pseudo Simeone invita i suoi lettori ad appoggiare il mento sul petto e a dirigere lo sguardo e al tempo stesso il pensiero verso il centro del ventre, sull'ombelico. Trattenuto il respiro, l'esicasta deve, secondo l'autore, scrutare mentalmente l'interno delle proprie viscere per trovarvi la sede del cuore. Allora, dopo aver conosciuto la propria oscurità, lo spirito può, se l'esercizio viene ripetuto giorno e notte, vedere se Stesso completamente inondato di luce.

Il metodo appare così semplice, basta fare uno sforzo di volontà per attenersi ad esso fino a quando mostra la sua efficacia... La pretesa di vedere la luce divina increata con gli occhi del corpo era per Barlaam motivo di scandalo: «dottrine assurde [...] prodotti di una fallace credenza e di un'immaginazione sconsiderata» (Lettera V a Ignazio).

L'opinione pubblica si appassionò alla questione dell'esicasmo. Mentre l'Impero Bizantino dava sempre più gravi segni del proprio declino, ci si abbandonava al gusto della polemica e ci si schierava a favore o contro la possibilità di vedere la « luce taborica».

La disputa dottrinale scosse la Chiesa greca, e ambizioni politiche e intrighi di palazzo vi si mescolarono. Nel 1341 si riunì un concilio in Santa Sofia sotto la direzione del basileus Andronico III. Quest'ultimo dichiarò che soltanto i vescovi potevano deliberare sui dogmi, e costrinse Barlaam a porgere le proprie scuse ai monaci che aveva criticato. Sconfitto, Barlaam tornò in Occidente e morì in Italia, vescovo di Gerace. La polemica non era conclusa e alcuni umanisti bizantini che condividevano le posizioni del filosofo calabrese continuarono ad opporsi a Gregorio Palamas.

Dopo la morte di Andronico III, Gregorio venne sospettato di aver appoggiato il colpo di stato del reggente Giovanni VI Cantacuzèno. Guerra civile, peste nera proveniente dall'Asia centrale (1348), minacce ottomane e controversie religiose turbarono il regno di Giovanni VI. Gregorio Akyndinos, vecchio discepolo di Gregorio Palamas, criticò alcune affermazioni del maestro, il quale fu condannato da un concilio presieduto dal vescovo di Costantinopoli, il patriarca Giovanni Calecas.

Entrato in Costantinopoli, Giovanni Cantacuzeno fece deporre Giovanni Calecas e, favorevole a Gregorio, convocò un concilio nel quale vennero condannati gli avversari del monaco esicasta. Gregorio Palamas venne consacrato arcivescovo di Tessalonica. Si succedettero diversi vescovi «palamiti » e fu grazie ai loro sforzi che Gregorio, morto il 14 novembre 1359, venne canonizzato nel 1368.

L'adozione delle formule di san Gregorio Palamas confermò lo scisma tra la Chiesa greca e quella di Roma.

L'opera di san Gregorio Palamas

Per ribattere alle critiche di Barlaam era necessario correggere alcuni precetti del metodo esicastico e soprattutto dimostrare che la posta in gioco interna al dibattito era di stampo prettamente teologico, essenziale per la comprensione delle conseguenze dell'incarnazione del Figlio di Dio. Fu Gregorio Palamas l'autore di questa fondamentale riflessione. Dal suo eremo di San Saba, nei pressi della Grande Laura nella penisola athonita, egli reagì agli attacchi di Barlaam redigendo le sue Triadi in difesa dei santi esicasti.

Difesa del metodo psicosomatico

Palamas non nega gli equivoci. Quel che preme non perdere di vista è, secondo lui, il coinvolgimento del corpo nella preghiera. Tale principio si basa sulla pratica sacramentale e sulla considerazione che la salvezza in Cristo riguarda l'uomo nella sua totalità di corpo, anima e spirito. Dal battesimo e dall'eucarestia «dipende tutta la nostra salvezza, poiché in essi si trova interamente riassunta l'economia divino-umana» (Omelia LXII).

L'individuo trova espressione nel corpo e la dualità di corpo e anima, che tanto ha segnato il pensiero occidentale, non è né biblica né cristiana. Il cristianesimo è la religione dell'incarnazione, la vita in Cristo non può venire disincarnata. L'assunzione della natura corporea da parte del Verbo implica per l'uomo un destino superiore a quello degli esseri incorporei, gli angeli. Che il corpo possa partecipare alla preghiera costituisce una necessità, perché l'uomo è un tutto votato obbligatoriamente ad essere riunificato.

Difesa della visione della luce divina

Attraverso la visione è dato all'uomo di entrare in comunione con Dio. La teofania (theòs: Dio; phainein: apparire) che ebbe luogo con la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor significò la manifestazione dell'umanità deificata e circonfusa di luce divina increata. Quando gli apostoli videro Gesù splendente di gloria, non videro altro che il Dio-Uomo, l'uomo deificato. Il loro sguardo, esso stesso trasfigurato, era sommamente penetrante.

«Nessuno, uomo o angelo che sia, ha veduto Dio né mai lo vedra', poiché non vede che attraverso i propri sensi e la propria mente [...]. Al contrario, come potrebbe, colui che è divenuto Spirito e vede in Spirito, non contemplare ciò che è simile alla forma della sua contemplazione [...]? Nella visione spirituale, tuttavia, la luce trascendente di Dio non appare che ancor più nascosta» (Tnadi, Il, 3, 31).

Verso la deificazione

Secondo la bella espressione di sant'Atanasio di Alessandria (295-373), « Dio si è fatto uomo perché l'uomo possa divenire Dio». La deificazione (théòsis) rappresenta il nostro giusto desti­no. La struttura teologica che sta alla base della dottrina di Palamas sulla deificazione è quella elaborata dai concili di Calcedonia (451) e di Costantinopoli (680-681). L'interpretazione simbolica della théosis viene rifiutata: « Quando avrai nella tua anima lo stato divino, allora veramente possederai Dio dentro di te. Il vero stato divino è l'amore per Dio, e si afferma solo attraverso la pratica dei suoi comandamenti». Palamas si pone sulla linea dei padri, in particolare di Massimo il Confessore (580-662) e di Giovanni Damasceno (?-750 ca.). La dottrina patristica della deificazione viene in genere definita nei termini di visione di luce, in accordo con il grande tema giovanneo del prologo, ma anche con riferimenti al neoplatonismo. Su questo punto Palamas si trovava costretto a difendersi dall'accusa di messalianismo.

Al fine di eliminare ogni ambiguità e di rendere chiara la propria opposizione all'errore dei messaliani, Palamas distingue l'essenza divina dalle sue operazioni (enérgeia). Tale posizione dottrinale è importantissima. Distinguere senza separare, poiché in Dio non è data alcuna dualità. L'essenza divina, sempre trascendente, è « causa» o «origine» delle operazioni, dato che Dio resta trascendente alla sua propria rivelazione e tali operazioni o energie rendono partecipi le creature della vita divina.

Le proprietà costituiscono il modo in cui la natura divina palesa la sua esistenza pur rimanendo trascendente. Dio è completamente presente e attivo in ciascuna di esse, che non sono degli intermediari, delle emanazioni tra il Creatore e le creature. La distinzione tra il Creatore e le creature è mantenuta al livello dell'essenza e delle proprietà, ma in Cristo c'è unione ipostatica: nella persona del Verbo, l'increato e il creato si uniscono senza confondersi: «Con la sua grazia, Dio rende dèi sempiterni coloro che partecipano delle proprietà e che agiscono in comunione con esse »(Apologia).

(tratto da H-P. RINCKEL, La preghiera del cuore - ed. Paoline).


APPROFONDIMENTI:

San Gregorio Palamas, arcivescovo di Tessalonica

IN DIFESA DEI SANTI ESICASTI

Domanda: Essi (certi professionisti della cultura profana) pretendono che noi abbiamo torto a voler rinchiudere lo spirito nel corpo: dovremmo piuttosto espellerlo a ogni costo. I loro scritti maltrattano alcuni dei nostri, col pretesto ch'essi consigliano ai principianti di portare i loro sguardi su se stessi e di introdurre, per mezzo della inspirazione, il loro spirito nel loro interno. Lo spirito, essi dicono, non è separato dall'anima; come può introdurre in sé ciò che non è separato, ma unito? Essi aggiungono che alcuni dei nostri parlano di introdurre la grazia in loro per le vie nasali. Io so che questa è una calunnia (perché io non ho mai inteso cose simili nel nostro ambiente), una malignità aggiunta alle altre. A colui che deforma costa poco inventare. Spiegami dunque, padre mio, perché noi applichiamo tutte le nostre cure a introdurre in noi il nostro spirito e non abbiamo torto alcuno a rinchiuderlo nel nostro corpo...

Risposta di Gregorio: "Il nostro corpo non ha niente di cattivo: esso è buono per sua natura; condannabile è solo lo spirito carnale, cioè il corpo prostituito al peccato). Il male non viene dalla carne, ma da ciò che la abita.Non è male che lo spirito abiti nel corpo, ma piuttosto che si eserciti nelle nostre membra la legge opposta alla legge dello spirito. Ecco perché noi insorgiamo contro la legge del peccato e la cacciamo fuori dal corpo per introdurvi il dominio dello spirito. Grazie a questo dominio, noi stabiliamo la legge per ogni potenza dell'anima e per ogni membro del corpo: a ciascuno secondo ciò che gli conviene. Per i sensi, la natura e il limite del loro esercizio: questa legge porta il nome di temperanza; per la parte passionale dell'anima, procuriamo l'abitudine più nobile: la carità; resta la parte razionale, che noi cerchiamo di migliorare rigettando tutto ciò che si oppone all'ascesa dello spirito verso Dio: questa parte della legge si chiama sobrietà. Colui che ha purificato il suo corpo con la temperanza, che con la carità ha fatto della parte irascibile e concupiscibile delle occasioni di virtù e che presenta a Dio uno spirito purificato dalla preghiera, acquista e vede in se stesso la grazia promessa ai cuori puri... «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (2Cor 4,6-7), intendendo con questa parola i nostri corpi. Come dunque, ritenendo il nostro spirito nel profondo del nostro corpo, mancheremmo alla sublime nobiltà dello spirito?...

La nostra anima è un' essenza fornita di potenze multiple e ha per organo il corpo che essa vivifica. La sua potenza - lo spirito, come noi lo chiamiamo - opera per mezzo di alcuni organi. Chi ha mai supposto che lo spirito possa risiedere nelle unghie, nelle palpebre, nelle narici o nelle labbra? Tutti sono d'accordo a porlo nel nostro interno. I pareri divergono quando si tratta di designare l'organo interiore. Alcuni collocano lo spirito nel cervello come in una specie di acropoli; altri gli attribuiscono la parte centrale del cuore, quella che è pura da ogni soffio animale. In quanto a noi, sappiamo con certezza che la nostra anima ragionevole non è dentro di noi come in un vaso - poiché è incorporea - né all'esterno di noi - perché è unita al corpo -, ma che è nel cuore come in un organo.

Non lo sappiamo da un uomo, ma da Colui che ha plasmato l'uomo. Egli ci ha detto: «Non quello che entra nella bocca rende impuro un uomo, ma quello che ne esce... perché è dal cuore che vengono i cattivi pensieri» (Mt 15,11,19). E il grande Macario non parla in modo diverso: «Il cuore presiede a tutto l'organismo. Quando la grazia si è impadronita dei pascoli del cuore, essa regna su tutti i pensieri e su tutte le membra, perché è là che si trovano lo spirito e tutti i pensieri dell'anima». Il nostro cuore è dunque la sede della ragione ed è il suo principale organo corporeo. Se vogliamo applicarci a sorvegliare e raddrizzare la nostra ragione mediante un'attenta sobrietà, non c'è modo migliore di sorvegliarla se non raccogliendo il nostro spirito disperso al di fuori delle sensazioni e ricondurlo dentro di noi fino allo stesso cuore che è la sede dei pensieri. Per questo Macario prosegue un po' più avanti: «E' dunque là che bisogna guardare per vedere se la grazia vi ha impresso la legge dello spirito». Dove là? Nell'organo direttivo, il trono della grazia, dove si trovano lo spirito e tutti i pensieri dell'anima, in breve, nel cuore. Vedi subito perciò la necessità, per quelli che hanno deciso di sorvegliarsi nella quiete, di ricondurre e rinchiudere lo spirito nel loro corpo e soprattutto nel suo centro che noi chiamiamo cuore...

Se «il Regno dei cieli è dentro di noi» (Lc 17,21), come non si escluderebbe dal regno colui che deliberatamente si applica a far uscire il suo spirito? Dice Salomone: «Il cuore retto cerca il senso» (Pro 27,2ì), quel senso che altrove chiama «spirituale e divino» (Pro 2,5) e del quale i Padri ci dicono: «Lo spirito interamente spirituale è avvolto da una sensibilità spirituale; non cessiamo mai di ricercare questo senso a un tempo in noi e fuori di noi»

Comprendi allora che, se uno vuole levarsi contro il peccato, acquistare la virtù e la ricompensa del combattimento virtuoso, o più esattamente, se vuole la caparra di questa ricompensa, il sentimento spirituale, è necessario che riconduca lo spirito nell'intimo del suo corpo e di se stesso. Voler far uscire lo spirito, non dico dal pensiero carnale, ma dal corpo stesso, per andare incontro a spettacoli spirituali, è il colmo dell'errore greco (= pagano)... Quanto a noi rimandiamo lo spirito non solo nel corpo e nel cuore, ma in se stesso. Quelli che affermano che lo spirito non è separato, ma unito, possono opporre: «Come potrebbe uno far rientrare in sé il suo spirito?». Ma essi ignorano che l'essenza dello spirito è una cosa e che il suo atto (la sua energia) è un'altra. A dire il vero, essi non sono vittime di un inganno, ed è deliberatamente che, al riparo di un equivoco, si schierano tra gli impostori... Non sfugge loro che lo spirito non è come l'occhio che vede gli altri oggetti senza vedere se stesso. Lo spirito compie gli atti esterni della sua funzione seguendo un movimento longitudinale, per parlare come Dionigi; ma ritorna anche a se stesso e opera in sé il suo atto quando guarda se stesso: è ciò che Dionigi chiama movimento circolare. Quest'ultimo è l'atto più eccellente, l'atto proprio dello spirito. Attraverso questo atto, in certi momenti, esso si trascende per unirsi a Dio.

«Lo spirito - dice san Basilio - che non si spande al di fuori (dunque egli esce e deve perciò rientrare!) ritorna a se stesso e si eleva da sé a Dio per un cammino infallibile». Dionigi, l'infallibile contemplatore del mondo spirituale, ci dice che questo movimento dello spirito non potrebbe ingannarsi. Il padre dell'errore e della menzogna che non ha mai cessato di voler sviare l'uomo... ha trovato dei complici, se è vero che certi individui compongono trattati in questo senso e persuadono molti, anche coloro che hanno abbracciato la vita superiore della quiete, che è meglio, durante la preghiera, tenere il loro spirito fuori dal corpo. E questo lo fanno a dispetto della definizione di Giovanni Climaco, il quale, nella sua Scala celeste, dice: «L'esicasta è colui che si sforza di circoscrivere l'incorporeo nel corpo». I nostri Padri spirituali ci hanno insegnato tutti la stessa cosa...

Constata, fratello mio, come alle considerazioni spirituali si aggiunge la ragione per mostrare la necessità, quando uno aspira a possedersi veramente e a divenire vero monaco secondo l'uomo interiore, di far rientrare e mantenere lo spirito all'interno del corpo. Non è dunque fuori posto invitare soprattutto i principianti a sorvegliare se stessi e a introdurre il loro spirito in se stessi con il soffio. Quale spirito sensato distoglierebbe colui che non è ancora pervenuto a contemplare se stesso, dall'usare certi procedimenti per ricondurre a sé il proprio spirito? E un fatto che in coloro che hanno appena iniziato il combattimento, lo spirito è appena raccolto che subito sfugge; per cui devono metter la stessa ostinazione nel ricondurlo dentro. Ancora novizi, essi non si rendono conto che niente al mondo è più restio all'esame di se stesso né più pronto a disperdersi. Ecco perché certuni raccomandano loro di controllare il viavai del soffio, rallentandolo un poco in modo da trattenere anche lo spirito, mentre restano sulla loro inspirazione nell'attesa che, con l'aiuto di Dio, abbiano fatto progressi, abbiano purificato lo spirito, gli abbiano interdetto il mondo esterno e possano ricondurlo perfettamente in una concentrazione riunificatrice

Ognuno può costatare che questo è un effetto spontaneo dell'attenzione dello spirito: il viavai del soffio si fa più lento in ogni atto di riflessione intensa, e ciò particolarmente in coloro che praticano la quiete dello spirito e del corpo. Essi celebrano veramente il sabato spirituale; sospendono tutte le opere personali, sopprimono, in quanto possibile, l'attività mobile e mutevole, fiacca e molteplice delle potenze conoscitive dell'anima assieme a ogni attività dei sensi, in breve, ogni attività corporale che dipende dal nostro volere. Quanto a quelle che non dipendono interamente da noi, come la respirazione, essi la riducono al minimo. Questi effetti si verificano spontaneamente e senza pensarci in coloro che sono progrediti nella pratica esicasta; si producono necessariamente e spontaneamente nell'anima perfettamente concentrata e raccolta.

Presso i principianti questo non si compie senza dolore. Usiamo un paragone: «La pazienza è un frutto della carità; la carità infatti, sopporta tutto» (1Cor 13,7); ora, non ci insegnano a usare tutti i mezzi per ottenerla e così pervenire alla carità? Qui si tratta dello stesso caso. Tutti coloro che hanno esperienza se ne ridono delle obiezioni dell'inesperienza; il loro maestro non è il ragionamento, ma lo sforzo e l'esperienza che lo genera. L'esperienza che porta un frutto utile e che rovescia i propositi sterili di coloro che cavillano inutilmente.

Un grande dottore ha scritto che «dopo la trasgressione l'uomo interiore si modella sulle forme esterne». Perciò, colui che vuole concentrare il suo spirito e imporgli, invece del movimento longitudinale, il movimento circolare e infallibile, non trarrebbe un grande profitto piuttosto che lasciare andare il suo spirito qua e là a calarlo sul suo petto o sul suo ombelico? Raccogliendosi esternamente come in cerchio, egli imita il movimento interiore dello spirito e con questo atteggiamento del corpo introduce nel suo cuore la potenza dello spirito che la vista spande al di fuori. Se è vero che la potenza della bestia interiore ha la sua sede nella regione dell'ombelico e del ventre, dove la legge del peccato esercita il suo dominio e gli fornisce il pascolo, perché non porre in quel luogo l'arma della preghiera, la legge che si oppone alla prima? Questo per impedire che lo spirito malvagio, scacciato col bagno della rigenerazione, non ritorni con sette spiriti peggiori di lui e vi si installi una seconda volta e la nuova situazione sia peggiore della prima.«Bada bene a te stesso» ha detto Mosè (Dt 15,9).

Bada a tutto te stesso, non a quello o a questo sol­tanto. In che modo? Mediante lo spirito. Non esiste altro mezzo per sorvegliarsi. Metti questa guardia davanti alla tua anima e al tuo corpo; essa ti libererà facilmente dalle passioni cattive dell'anima e del corpo... Non lasciare senza sorveglianza nessuna parte della tua anima e del tuo corpo: cosi supererai la zona delle tentazioni inferiori e ti presenterai con sicurezza a Colui che «scruta le reni e i cuori», perché tu stesso li avrai già scrutati prima. «Giudichiamoci da noi stessi e non saremo giudicati» (iCor 11,31). E avrai parte alla felice esperienza di Davide: «Le tenebre per te non saranno più oscure e la notte è chiara come il giorno, perché sei tu che hai creato le mie viscere» (Sal 138,12-13). Tu non hai solamente fatta tua tutta la parte concupiscibile della mia anima, ma se restava nel mio corpo qualche focolaio di questo desiderio, tu l'hai ricondotto alla sua origine e con la forza stessa di questo desiderio esso ha preso il volo verso di te, si è unito a te. Coloro che si attaccano ai piaceri sensibili della corruzione, esauriscono nella carne tutta la potenza del desiderio della loro anima e divengono interamente carne. Lo Spirito non potrebbe dimorare in essi. Contrariamente accade a coloro che hanno elevato il loro spirito a Dio, stabilito la loro anima nell'amore di Dio; la loro carne, trasformata, partecipa al volo dello spirito e si congiunge a lui nella comunione divina. Diviene essa stessa proprietà e dimora di Dio, non accoglie più l'inimicizia divina né ha più desideri contrari allo spirito.

Qual luogo più indicato allo spirito della carne che sale in noi dal basso? Lo spirito o la carne? Non è forse la carne che non ospita niente di buono, ci dice l'Apostolo, finché non abita in essa la legge della vita? Ragione per cui non si deve mai lasciarla senza sorveglianza. Come ci apparterrà, come interdiremo il suo accesso al nemico, soprattutto noi che non possediamo ancora la scienza spirituale richiesta per respingere gli spiriti del male, se non addestrandoci alla vigilanza per mezzo di un atteggiamento esteriore? Perché fare il nome di coloro che stanno appena mettendosi all'opera, quando se ne vedono di quelli assai più perfetti utilizzare questo atteggiamento nella preghiera e piegare così la benevolenza di Dio? E non solo tra quelli che sono venuti dopo la venuta di Cristo tra noi, ma anche tra coloro che l'hanno preceduto. Elia stesso, consumato nella contemplazione di Dio, appoggia la testa sulle ginocchia, riunisce strenuamente il suo spirito in se stesso e in Dio e mette così fine a una siccità di vari anni.

Le persone di cui tu mi riporti i discorsi, mi sembra che condividano il male del fariseo... Essi disdegnano l'atteggiamento della preghiera giustificatrice del pubblicano ed esortano gli altri a non imitarlo nella loro preghiera. «Egli non osava nemmeno alzare gli occhi su se stesso». Quelli che danno loro il soprannome di «onfalopsichici», calunniano i loro avversari - chi mai ha situato l'anima nell'ombelico? - e si comportano inoltre da detrattori di pratiche lodevoli e non come raddrizzatori di torti. Infatti, non è la causa della vita esicasta e della verità che li spinge a scrivere, ma la vanità. Non è il desiderio di condurre alla sobrietà, ma di allontanare da essa. Essi si adoperano con tutti i mezzi per rovinare l'opera di coloro che vi si dedicano con zelo. Essi potrebbero allora ugualmente chiamare «chiliopsichico» colui che ha detto: «Il mio ventre freme come una cetra» (Is 16,11) e avvolgere nella stessa calunnia tutti coloro che rappresentano, nominano e perseguono le realtà invisibili per mezzo di simboli corporei...

Tu conosci la vita di Simeone il Nuovo Teologo, i suoi scritti... e Niceforo l'Aghiorita... Essi insegnano chiaramente ai principianti ciò che alcuni - come dici tu - combattono. E perché limitarmi ai santi del passato? Alcuni uomini ai quali la potenza dello Spirito Santo ha reso testimonianza, ci hanno insegnato questo con la loro bocca: Teolepto, vescovo di Filadelfia, Atanasio il Patriarca. Tu li senti tutti, e altri prima di loro, con loro e dopo di loro, invitare a conservare questa tradizione che i nostri nuovi maestri in esicasmo si applicano a disprezzare, deformare e rovinare senza vantaggio per coloro che li ascoltano. Noi stessi abbiamo vissuto con alcuni dei santi sopraddetti; essi furono i nostri maestri. Come non faremo conto di coloro che l'esperienza congiunta alla grazia ha formato, per limitarci a seguire coloro che non hanno altro titolo per ingannarci che il loro orgoglio? E' impossibile; questo non deve avvenire.

Fuggi quelle persone e di' saggiamente a te stesso, sull'esempio di Davide: «La mia anima benedica il Signore e tutto ciò che è in me benedica il suo santo nome.» (SaI 102,1). Ascolta docilmente i Padri, e ascoltali quando ti consigliano il modo di far rientrare lo spirito.

Del modo con cui i cristiani debbano sempre pregare

Miei fratelli cristiani, vi esorto ancora, per la salvezza dell'anima vostra, non trascurate la pratica di questa preghiera [la preghiera di Gesù o preghiera del cuore]...

Sul principio vi apparirà difficoltosa, ma vi assicuro, da parte di Dio Onnipotente, che il nome del Signore Gesù invocato costantemente, vi aiuterà a superare gli ostacoli, e, quando col progredire del tempo vi sarete resi familiari a questo esercizio gusterete quanto è soave il nome del Signore. Con l'esperienza imparerete che è effettuabile e piacevole. Per questo S. Paolo che più di noi conosceva il grande bene che questo esercizio procura, ci comanda di pregare senza interruzione. Non avrebbe mai imposto quest'obbligo se fosse stato molto difficoltoso e inattuabile, in questo caso avrebbe pensato anticipatamente che non avendo la possibilità di adempirlo saremmo stati disobbedienti e trasgressori, così da incorrere nel biasimo e nella riprovazione. L'Apostolo non poteva avere questa intenzione.

Ricordiamo, per comprendere la possibilità della preghiera incessante, che il metodo consiste nel pregare con la mente. Questo lo possiamo fare ogni qualvolta lo vogliamo. Lavorando con le nostre mani, camminando, mangiando o bevendo, possiamo pregare con la mente e così praticare la preghiera mentale, l'unica gradita a Dio. Lavoriamo col corpo e preghiamo con la mente, il nostro uomo esteriore compia i suoi impegni corporali, l'uomo interiore sia del tutto dedicato al servizio di Dio, mai tralasci questo esercizio della preghiera mentale, in conformità a quanto Gesù, Dio e Uomo, ci ha ordinato: "Quando preghi, entra nella tua cella, quando avrai chiuso la porta prega il Padre che è nel segreto" .

La cella dell'anima è il corpo; le porte sono i cinque sensi. L'anima entra nella cella quando la mente cessa di vagolare qua e là, vagabondando in mezzo alle cose e agli affari del mondo, ma si stabilisce nell'interiorità, nel cuore. I sensi si chiudono e rimangono chiusi, quando li teniamo immuni dalle realtà sensibili esterne. Dio, che conosce tutte le cose segrete, vede la preghiera mentale e la ricolma in maniera percepibile con i suoi munifici doni. Vera e perfetta è quella preghiera che colma l'anima di grazia divina e di doni spirituali. Un balsamo colma col suo profumo il vaso che è accuratamente sigillato, altrettanto la preghieta quanto più è raccolta nel cuore, sovrabbonda di grazia divina.

Beati quelli che acquistano l'abitudine di questo esercizio celeste, supereranno le tentazioni dei demoni malefici, come David sconfisse l'orgoglioso Golia. Placa le disordinate passioni della carne, come i tre fanciulli spensero le fiamme della fornace. La consuetudine della preghiera interiore doma le passioni, come Daniele domò le fiere selvatiche. La rugiada dello Spirito discende nel cuore, come la pioggia invocata da Elia scese sul monte Carmelo. La preghiera della mente ascende fino al trono di Dio. ove viene riposta in fiale preziose, come profumo che si espande al cospetto dell'Altissimo. San Giovanni così le descrive nell'Apocalisse: "I ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello, ognuno teneva in mano la cetra e delle fiale d'oro, piene di profumo, esse sono le preghiere dei santi" . La preghiera della mente è la luce che illumina l'anima dell'uomo, ne riscalda il cuore con l'amore di Dio. E la catena che unisce Dio con l'uomo e l'uomo con Dio. Cosa più che meravigliosa è il trovarsi con il corpo in mezzo agli uomini e con la mente in intimo colloquio con Dio.. . Quale dono più grande puoi desiderare di questo che ti permette di essere costantemente davanti a Dio e di conversare con Lui, conversare con Dio, senza di Lui, nessuno può esser benedetto né nella presente né nella futura vita?

Fratello, chiunque tu sia, quando avrai preso in mano questo libro e l'avrai letto e vorrai mettere in pratica i vantaggi che la preghiera della mente apporta all'anima, ti esorto ad usare l'invocazione: Signore abbi pietà, per l'anima di colui che ha lavorato alla stesura di questo libro e di chi l'ha aiutato a pubblicarlo. Essi hanno grande bisogno della tua preghiera per ottenere la misericordia divina per le loro anime, come Tu ne hai bisogno per la Tua. E così sia.

Filocalia, vol. V, p. 107-112.