lunedì 28 novembre 2011

PAISIJ VELICKOVSKIJ


Tempera all’uovo su tavola cm 32x40 - stile russo - icona di Giovanni Raffa

sopra: PAISIJ VELICKOVSKIJ

(1722-1793)

Le chiese ortodosse ricordano oggi 28 novembre lo starec Paisij Velickovskij, maestro di intere generazioni di monaci. Paisij nacque nel 1722 a Poltava, in Ucraina. Desideroso di una profonda vita spirituale, egli entrò nell'Accademia teologica di Kiev. Deluso dai sistemi troppo ispirati alla teologia delle scuole occidentali e poco radicati nella tradizione patristica, egli partì alla volta dell'Athos, dove giunse all'età di 24 anni. Uomo di grande dolcezza, amante della sapienza e capace di utilizzare i moderni metodi scientifici per esplorare il pensiero dei padri, Paisij trovò presto riunita attorno a sé una folta schiera di monaci romeni e slavi. Cominciò allora a organizzare comunità cenobitiche, che strutturava attorno al duplice polo della preghiera di Gesù, da lui appresa al Monte Athos, e dello studio dei padri. Grazie a Paisij e ai suoi compagni furono tradotte per la prima volta in lingua romena e slava moltissime opere patristiche. E a lui che si deve l'edizione in slavone della Filocalia, cioè dell'antologia composta da Nicodemo Aghiorita di testi dei padri orientali sulla preghiera del cuore. Per il suo discernimento e l'enorme numero di discepoli di diverse nazionalità che aveva accolto e saputo riconciliare attorno a sé, Paisij esercitò un profondo influsso sulla vita spirituale di generazioni di cristiani e di monaci. Paisij morì il 15 novembre del 1793 nel monastero romeno di Neamt, di cui nel 1779 era divenuto starec.

TRACCE DI LETTURA

Così si edifica la vita comunitaria dei cenobi: per prima cosa, figli miei occorre che chi presiede sia molto versato in tutte le divine Scritture, in pieno possesso del dono di un vero e retto discernimento, capace di istruire e di guidare i suoi discepoli secondo la potenza delle sante Scritttire. Abbia amore vero e sincero per tutti. Sia mite e molto umile, molto paziente. Sia assolutamente libero dalla collera. In secondo luogo, i discepoli siano nelle sue mani come utensili nelle mami dell'artista, come argilla nelle mani del vasaio, corne la pecora nelle mani del pastore. Non posseggano beni particolari, nulla di nulla, nemmeno un ago. Non confidino in se stessi a proposito di nulla, ma solo nel loro padre spirititale.

Paisij Velickovskij, dalle Lettere

La vera obbedienza consiste in questo: nel non pensare che si servono gli uomini, bensì il Signore. Dall'obbedienza nasce l'umiltà e l'umiltà è il fondamento di tutti i comandamenti, così come l'amore ne è la sommità. Perciò sforzatevi, nei limiti delle vostre possibilità, di compiere tutti i comandamenti del Signore. Umiliatevi l'uno davanti all'altro; preferite l'altro a voi stessi e abbiate amore secondo Dio tra di voi. Allora ci sarà in voi un'unica anima e un unico cuore nella grazia di Cristo.

Paisij Velickovskij, dalle Istruzioni ai monaci

PREGHIERA

Diffusore per grazia
della vita monastica,
come un'ape laboriosa
hai nutrito le nostre anime
di scritti patristici,
guidando ciascuno di noi
sulla via della salvezza,
per cui ti cantiamo:
rallegrati, sapiente padre Paisij,
rinnovatore della paternità spirituale
nelle nostre terre.

* * *

APPROFONDIMENTI

MONASTERE DE NEAMŢ, CINQ SIECLES DE SPIRITUALITE

La figura di Paisij Velickovskij

Storia di una santità come fermento di umanità

La figura di Paisij Veličkovskij è stata riportata all’attenzione della coscienza ecclesiale in questi ultimi anni con la sua canonizzazione da parte della Chiesa Ortodossa russa e romena, rispettivamente nel 1988 e nel 1992. L’opera di questo grande monaco e starets, che guidava una comunità di circa un migliaio di fratelli, ha costituito senza dubbio un avvenimento di prima grandezza nella storia moderna della Chiesa Ortodossa. Qual è l’importanza di questa figura, celebrata ma ancora poco conosciuta tanto tra i cristiani d’oriente che tra quelli d’occidente?

Sarà utile anzitutto tracciare alcune coordinate storico-biografiche. Siamo nel 1700, l’epoca dell’illuminismo e della rivoluzione francese nell’Europa occidentale, il secolo delle riforme di Pietro il Grande in Russia, con i Balcani sotto il giogo dei Turchi, nel continuo scontro tra le potenze che si contendono la supremazia nell’Europa orientale: l’impero ottomano, l’Austria e la Russia. Nella prima metà del sec. XVIII, nelle regioni della Podolia e della Volinia, prende avvio il movimento chassidico. Non va dimenticato che nella sua Autobiografia Paisij rivela che suo nonno materno era ebreo[1].

Paisij nasce a Poltava, in Ucraina, la Podolia del tempo, nel 1722, in una famiglia di ecclesiastici ortodossi. Frequenta per quattro anni l’Accademia ecclesiastica di Kiev, ma gli studi, troppo letterari e occidentalizzanti, non lo appassionano più di tanto, sebbene più tardi rimpiangerà di non averli approfonditi[2]. Il suo segreto desiderio è quello di farsi monaco. Per evitare di essere ripescato dalla madre, assolutamente contraria, decide di riparare all’estero, nei territori romeni, alla ricerca di una guida spirituale sotto la cui obbedienza realizzare il suo sogno di vita monastica. Su quella stessa strada era già stato preceduto una generazione prima da tanti suoi compatrioti. In effetti, sul finire del sec. XVII si moltiplicano in Russia le misure restrittive nei confronti del monachesimo, nella linea di una politica di controllo dei beni ecclesiastici. La proibizione di fondare nuovi piccoli insediamenti monastici nel 1682, le misure antiecclesiastiche di Pietro il Grande e dei regnanti successivi nonché una politica uniate perseguita dai polacchi in Ucraina favorirono un flusso di emigrazione monastica russo-ucraina verso i territori romeni, dove i principi si distinguevano nello zelo per il sostegno alla chiesa e al monachesimo, non solo romeno, ma anche athonita e dei Luoghi Santi di Palestina.

Paisij arriva nei Principati romeni nel 1743. Ha modo di essere iniziato all’esperienza della vita esicasta allora rifiorente, merito soprattutto di quel Basilio di Poiana Mărului[3], anch’egli emigrato dall’Ucraina, che allora guidava una dozzina di comunità e che più tardi Paisij chiamerà ‘il suo starets’, essendo lui a consacrarlo monaco nel 1750 sull’Athos e ad istruirlo sul combattimento interiore. All’Athos, dove si sposta nel 1746, risiede per diciassette anni. Attorno a lui si forma una piccola di comunità di dodici fratelli, i primi otto romeni, ai quali si aggiungono quattro slavi[4], che vedono in lui il maestro e il padre che li istruisce nella via spirituale sulla base delle Scritture e degli scritti dei Padri che con immensi sforzi e grande zelo andava raccogliendo dalle biblioteche dei monasteri athoniti. Ma l’Athos, sotto la giurisdizione amministrativa delle autorità ottomane, attraversava un periodo di decadenza e non garantiva un futuro alla giovane comunità paisiana. Decide così di ritornare nei principati romeni con i suoi ormai 64 monaci e si installa nel 1763 a Dragomirna in Moldavia, con il placet del metropolita Gabriele di Iaşi e del voievod Gregorio Calimachi. In seguito alla conclusione della guerra russo-turca (1768-1774), per la cessione all’Austria di una parte della Moldavia del nord, Dragomirna si trovò nel territorio dei cattolici Asburgo e Paisij, temendo vessazioni da parte del governo giuseppinista austriaco, si sposta nel 1775 coi suoi 350 monaci a Secu. L’urgenza di costruire nuove cellette per i sempre più numerosi fratelli che bussavano alla sua porta spinge Paisij a chiedere sovvenzioni al principe Costantino Moruzi il quale, su suggerimento del metropolita Gabriele, gli ingiunge di trasferirsi a Neamţ, il più grande monastero del paese. E’ l’ultima tappa della vita del grande starets, quella che lascerà i segni più duraturi e di maggior risonanza. Neamţ in quegli anni era diventato il centro del monachesimo ortodosso, scuola della cultura spirituale per tutto l’oriente ortodosso[5]. Paisij muore nel 1794, all’età di 71 anni, amato dalla sua comunità plurinazionale di Secu e Neamţ, composta ormai da un migliaio di fratelli fra romeni, ucraini, russi, serbi, greci e bulgari.

Tre domande essenziali.

La mia riflessione ruota su tre domande. Prima domanda: perché la personalità e l’opera di Paisij ha esercitato tanto fascino?

Non si può che costatare come con Paisij la vita monastica torni ad essere vissuta come un ideale appassionante[6]. Da notare che non è tanto la persona di Paisij a suscitare fascino quanto la sua comunità. Paisij è da vedere e da leggersi in funzione della sua comunità. Conosce per esperienza diretta tutte e tre le vie che caratterizzano il monachesimo secondo la tradizione: quella eremitica (per la quale però non si sente all’altezza, non gli risulta congeniale), quella ‘regale’ (che ha sempre sognato ma che, controvoglia, ha dovuto lasciare), quella cenobitica (di cui è diventato l’emblema stesso, rinnovandola nello spirito più genuino della tradizione). Il genio spirituale di Paisij si rivela nel fatto di far confluire i carismi della via regale nella via cenobitica ed in questo si realizza il mistero della sua santità. Con tutto se stesso ha voluto e cercato di vivere la grazia del monachesimo in tutta la sua potenza. Dice molto bene il suo biografo Mitrofan: “Nei tempi in cui il monachesimo si era tanto illanguidito e mostrava solo il suo aspetto esteriore, [Paisij] fece conoscere cosa fosse il monachesimo, quale fosse il mistero dell'obbedienza, quale grande profitto arrecasse al novizio l'avanzare nell'intelligenza spirituale, quale fosse l'azione e la contemplazione, la preghiera mentale del cuore, quella compiuta dalla mente nel cuore.”[7]. L’ordinamento della vita comunitaria, come si desume dalla sua Regola[8], si basa sull’obbedienza e su di una stretta povertà; il superiore deve condurre i fratelli a partire dalle Scritture e dai Padri; la pratica di preghiera preferita è la preghiera di Gesù; il superiore deve essere eletto tra i membri della comunità e deve conoscere il greco, lo slavo e il romeno. Ma al di là degli ordinamenti è un certo clima particolare a caratterizzare la vita della comunità paisiana, centrata sul mistero dell’obbedienza: il clima che deriva da un’obbedienza praticata in umiltà e mansuetudine, come sottomissione ai fratelli (Paisij insiste molto di più sull’obbedienza vicendevole che sull’obbedienza al superiore[9]) e da quel ‘lavorio del cuore’ unito alla preghiera incessante che dà un respiro esicasta alla vita del cenobio. “Per imparare l'umiltà, non esiste apprendimento più conveniente di quello che possiamo effettuare nel segreto del nostro cuore: ognuno biasimi se stesso, si ritenga sotto i piedi di tutti, si pensi polvere e cenere ... L'istruzione che agisce nell'intimo, insieme alla lettura, è casa dell'anima dove non ha accesso l'avversario, è pilastro incrollabile, porto tranquillo, senza agitazione e senza scosse, che salva l'anima. I demoni in effetti si agitano grandemente e si arrabbiano molto quando il monaco si premunisce con le armi di questo lavorio interiore di istruzione e con l'incessante invocazione: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore", insieme ad una lettura conveniente[10]. Con Paisij - e questa è una vera rivoluzione! - la ‘vita comune’, scuola impareggiabile della vera obbedienza, dalla quale fiorisce l’umiltà, giunge ad essere il vero luogo della pratica esicasta, senza cui si finirebbe per fraintenderla[11]. Ora, la vera forza di Paisij sta nel mettere in mano ai suoi discepoli la chiave per comprendere dall’interno ciò che li esorta a praticare. In questo contesto riceve tutto il suo significato la lettura assidua ed amorosa delle Scritture e dei Padri insieme alle pratiche della confessione quotidiana dei pensieri e la preghiera di Gesù. Lo scrutare, giorno e notte, le Scritture e gli scritti patristici, è la risposta di Paisij alla mancanza di guide sperimentate. Risposta così seria e impegnativa che lo studio dei testi patristici, unito allo sforzo di tradurli in slavo ecclesiastico e in romeno, è diventato poco a poco l’attività principale del nostro starets, il fondamento, il punto di forza della sua opera. Quello che però resta come grandioso nella coscienza dei suoi discepoli non sarà il risultato di questo immenso lavoro di correzione e traduzione dei testi patristici, bensì lo scopo e la vitalità spirituale con cui era vissuto tale compito. E’ risaputa la grande importanza e la diffusione che ha goduto nel mondo slavo il Dobrotoljubie, la versione slavonica della Filocalia edita a Mosca nel 1793, undici anni dopo l’edizione greca di Venezia. Nessuna delle cinque biografie conosciute di Paisij, composte dai suoi discepoli circa una ventina d’anni dopo la sua morte, ne fa menzione. Eppure tutti unanimemente sottolineano la straordinaria fecondità del lavoro di correzione e traduzione dei testi patristici ad opera del nostro starets, lavoro che costituisce il contesto più diretto di quel rinnovamento monastico che ha così colpito i contemporanei[12].

Seconda domanda: l’esperienza paisiana è tanto singolare da essere irripetibile?

Indubbiamente, nonostante l’enorme influenza esercitata, l’opera di Paisij è rimasta unica nelle sue caratteristiche precipue. Tutti si sono appellati a lui, ma nessuno ha riprodotto il modello integralmente. I carismi specifici che si attribuiscono a Paisij - a riferircelo è lo starets Gheorghe di Cernica, paisiotul, come lo definiscono le fonti romene, transilvano di origine e discepolo della prima ora di Paisij, che conosceva molto bene per essere stato suo discepolo per 24 anni, accompagnandolo sull'Athos, a Dragomirna, a Secu e a Neamţ - sono: il dono della preghiera del cuore (Paisij aveva fama di maestro della preghiera del cuore, sebbene lasci ad altri il compito di insegnarla ai fratelli); il dono di guidare una moltitudine di fratelli (come starets dei monasteri di Secu e Neamţ aveva la guida di circa un migliaio di monaci); il dono, assai raro, di tenere insieme i fratelli di varie nazionalità (nella comunità di Paisij vivevano insieme monaci romeni, ucraini, russi, bulgari, serbi, greci).

Distinguerei tra singolarità e unicità. In sostanza, la singolarità dell’esperienza paisiana mi sembra fondata sul principio di ancorare la pratica ascetica all'intelligenza spirituale, concependo il fare in funzione del contemplare, l'agire, esteriore e interiore, in funzione del vedere spirituale. Sintetizzerei il suo insegnamento in questo modo. Perché la lettura? Insieme alle fatiche ascetiche è necessario abbinare anche la mente, la capacità di giudizio, perché tutta la nostra vita, la nostra condotta proceda secondo la potenza delle S. Scritture. La lettura illumina la mente e accende il desiderio di praticare i comandamenti.

Perché i Padri? Dal momento che noi, uomini passionali, non possiamo comprendere la luce delle Scritture, seguiamo i Padri ai quali, per aver avuto un cuore puro, illuminato dallo Spirito Santo, sono stati aperti i segreti del regno dei cieli, ossia la profondità della S. Scrittura. Nella loro interpretazione delle Scritture ci svelano gli inganni del diavolo e ci fortificano nello zelo per osservare i comandamenti.

Come leggere? Non c'è alcun vantaggio se uno legge solamente nero su bianco e non si dà cura di conoscere anche la potenza di quel che legge.

Altro elemento di singolarità è sicuramente la capacità di Paisij di coniugare persona e istituzione. L'obbedienza in sottomissione reciproca crea comunione nel rispetto di ciascuno: è il primato della persona sull'organizzazione. Ecco perché é così importante che la comunità non si regga su giudizi o mire umane sia da parte del superiore che dei fratelli; sarebbero in qualche modo sacrificate le persone. Una comunità evangelica è sempre e sopra tutto una comunità di persone, che cresce se ciascuno cresce. E' straordinario che Paisij, alla guida di una comunità tanto numerosa e multietnica, non abbia mai perso di vista questo punto! « Preferiva che andasse in rovina il monastero o qualche altra cosa di valore piuttosto che l'anima di un fratello si perdesse e cadesse in peccato» riporta Isaac nella sua biografia[13]. Voleva che i lavori fossero compiuti senza agitazione e pressione, secondo l'energia propria di ciascuno. Conosceva bene la sua imperizia nei lavori (basta leggere la sua autobiografia!). L'unica cosa che gli premeva e che sapeva trasfondere nei fratelli era l'anelito a progredire spiritualmente, era l'obbedienza di tutti, in sottomissione reciproca, a Cristo. Paisij ha saputo, e non è certo l'ultimo titolo di merito che ha, tenere insieme una comunità capace di promuovere una comunione ed un amore sincero tra gli uomini, modellando senza posa l'umano e levando quell'opacità che gli impedisce di riflettere il divino.

L’unicità, invece, va addebitata al contesto specifico in cui Paisij è venuto modellando la sua esperienza, vale a dire al fatto del grande numero di fratelli che vivevano radunati in un’unica comunità e al fatto che tali fratelli fossero di provenienza e di popoli diversi. Queste due condizioni non hanno retto alla prova del tempo. Per le mutate circostanze storiche sopraggiunte sul finire della vita di Paisij con la Moldavia occupata dall’esercito russo, con le tensioni ecclesiastiche che si erano scatenate, con l’insorgere di un nuovo spirito nazionale, se non nazionalistico?[14] O per la diminuita tensione interiore della comunità paisiana stessa? Eppure, venendo meno queste due caratteristiche, viene meno sicuramente quel fascino che aveva attirato tanti e suscitato tanta ammirazione. Lo stesso starets aveva profetizzato che quando fosse venuta meno la sete della parola di Dio, cioè lo studio attento e amoroso delle Scritture e dei Padri, sarebbero subentrate negligenza e divisioni tra i fratelli, affievolimento dello zelo per il Signore e di conseguenza ricerca della volontà propria e delle comodità[15].

Diventa urgente quindi la domanda, la terza: qual è allora la sua eredità?

Gli studi storici avranno certamente molto da precisare nel ripercorrere le vie attraverso le quali si è irradiata l’opera paisiana in Romania come in Russia, nel monachesimo come nella chiesa. Ma io vorrei suggerire qui un’altra ottica per considerare l’eredità paisiana, l’ottica della sua santità.

Vedo Paisij come un uomo liberato dai confini angusti e irrigiditi in cui chiudiamo noi stessi ed i nostri fratelli, le persone come le comunità, i singoli come le chiese. “Beati i miti, perché erediteranno la terra” (Mt 5,5), compreso nell’ottica dell’altro versetto “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi ... imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime” (Mt 11,28-29), rivela la grazia e lo splendore di quella liberazione. Mitezza ed umiltà sono il paradigma di tutte le disposizioni buone nell'uomo, quando l'io diventa capace di una misura piena ‘scossa e traboccante’(cfr. Lc 6,38), come costituisse l’esito finale e maturo di una ascesi volta a purificare la volontà, capace di sprigionare fascino per i cuori. Forse, più che cercare di ‘volere bene’ a qualcuno, dove bene è il complemento oggetto del volere, si dovrebbe imparare a ‘volere bene’ qualcuno, dove bene è un avverbio che esprime il modo adeguato di volere che qualcuno o qualcosa siano. L’ascesi per la santità è un’ascesi che tende a generare un nuovo modo di volere in cui l’accento non sia posto tanto sull’affermazione di sé quanto sulla disponibilità a servire ciò che è voluto, ad accompagnarlo al suo destino, servitori e testimoni di un mistero che ci supera e ci racchiude. Un uomo libero è un uomo che in mitezza ed umiltà ‘vuole bene’ chiunque: non ha più ostruiti i sentieri interiori verso chiunque o qualunque cosa. Il mondo può risplendere ancora della primitiva luce di Dio. Accogliere l’altro semplicemente non è sufficiente. La fede e l’ideale di santità che ne deriva dovrà essere tanto radicata e capace di modellare l’umano che l’altro è sentito parte viva di quel mistero di comunione, in mitezza ed umiltà, che siamo chiamati a vivere. Paisij ha vissuto tutto questo nella e per la sua comunità, così composita e numerosa e credo sia questo il messaggio più significativo che lascia alle persone come alle chiese. In questo, nel prendere sul serio l’ideale della santità nel contesto delle vicende storiche della nostra umanità, così provata e ferita, non può risiedere il compito per coloro che vogliono essere oggi in qualche modo discepoli di questo grande starets?

______________________

Padre ELIA CITTERIO

Fratelli Contemplativi di Gesù

15060 CAPRIATA D’ORBA (AL) - ITALIA



[1] PAISIJ VELIČKOVSKIJ, Autobiografia di uno starets. Introduzione, traduzione e note a cura della comunità dei Fratelli Contemplativi di Gesù, ed. Scritti monastici, Abbazia di Praglia 1988, p. 60. Cfr. anche JURIJ M. KOBIŠČANOV, Le radici famigliari di Paisij Velyčkovs’kyj in N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS, V. PELIN E AA.VV., Paisij, lo starec. Atti del III Convegno ecumenico internazionale di spiritualità russa “Paisij Veličkovskij e il suo movimento spirituale”, Bose, 20-23 settembre 1995, a cura di A. Mainardi, Qiqajon, Bose 1997, p. 97-114.

[2] “Prima di tutto, un traduttore di libri deve essere istruito completamente, cioè non deve solo conoscere la grammatica, l’ortografia e le caratteristiche di entrambe le lingue, ma deve anche essere preparato e non superficialmente, negli studi superiori, intendo dire la retorica, la poetica, la filosofia e la stessa teologia. Ma io, sebbene nella mia giovinezza avessi frequentato per quattro anni le scuole di Kiev, avevo appreso in parte solo la grammatica latina, senza accedere agli insegnamenti superiori, per il desiderio di farmi monaco.”, Seconda lettera a Teodosio, tr. it. p. 287. Il testo completo, secondo l’edizione di V. Pelin, “The Correspondence of Abbot Paisie from Neamts, III. Letter to Theodosie, Archimandrite at the Sofroniev Hermitage”, in REVUE DES ETUDES SUD-EST EUROPEENNES 32 (1994), pp. 349-366, nella versione italiana di A. Mainardi, si può leggere in : N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS, V. PELIN E AA.VV., Paisij, lo starec. Atti del III Convegno ecumenico internazionale di spiritualità russa “Paisij Veličkovskij e il suo movimento spirituale”, Bose, 20-23 settembre 1995, a cura di A. Mainardi, Qiqajon, Bose 1997, p. 270-304.

[3] Cfr. D. RACCANELLO, La preghiera di Gesù negli scritti di Basilio di Poiana Mărului, Alessandria 1986. [in versione romena: Rugăciunea lui Iisus în scrierile stareţului Vasile de la Poiana Mărului cu traducerea integrală a Scrierilor, a cura di M.-C. Oros e I. I. Ică, Deisis, Sibiu 1996].

[4] Isaac Dascălul è l’unico biografo a dare questa precisazione. Cfr. “Biografia inedită a stareţului Paisie cel Mare”, a cura di D. Zamfirescu, in REVISTA FUNDAŢIEI DRĂGAN 3-4 (1987), pp. 457-556.

[5] Significativa la testimonianza di Nicodemo Aghiorita: «[Nicodemo] venne a sapere della buona fama del cenobiarca Paisij, di origine russa, il quale si trovava nella Bogdania [=Moldavia] e dirigeva più di mille fratelli. Siccome insegnava loro la preghiera del cuore e lui stesso [Nicodemo] amava questa divina pratica, si imbarcò per partire alla ricerca della sua diletta divina preghiera». Si veda: Bivo" kai; politeiva kai; ajgw'ne" dia; dovxan th'" hJmw'n jEkklhsiva" telesqevnte" para; tou' oJsiologiwtavtou kai; makarivtou kai; ajoidivmou Nikodhvmou monacou', suggrafevnte" de; para; tou' ejn Cristw'/ ajdelfou' tou' Eujqumivou iJeromonacou' (Vita, azioni e lotte ascetiche sostenute a gloria della nostra Chiesa dal beato monaco Nicodemo, ricolmo di ogni sapere e degno di perenne memoria, descritte dal suo fratello in Cristo, ieromonaco Euthymio ) in GRIGORIOS O PALAMAS 4 (1920), p. 641.

[6] «Un tal tipo di vita cenobitica tra tutti i fratelli riuniti nel nome di Cristo li lega in un amore tale che, sebbene provengano da varie nazioni e paesi, formano tutti un unico corpo, membra gli uni degli altri, avendo tutti un solo capo, Cristo; tutti ardenti di amore per Dio, per il loro padre in Dio e gli uni per gli altri; mirando tutti, un'anima sola ed una sola mente, a questo unico obiettivo: custodire e compiere con zelo i comandamenti di Dio, esortandosi a vicenda e sottomettendosi l'uno all'altro con quell'unico pensiero in testa, portando i pesi gli uni degli altri, maestri e servi gli uni degli altri. Con un tal genere di amore spirituale, in unità di intenti, si fanno imitatori della vita del Signore e degli apostoli e degli angeli, sottomettendosi in ogni cosa con fede e amore al loro padre e istruttore in Cristo come a Dio stesso ». Lettera a Demetrio, del 16 maggio 1766, da Dragomirna, in Žitie i pisanija moldavskago starca Paisija Veličkovskago. S prisovukupliem predislovij na knigi sv. Grigorija Sinaita, Filotheija Sinaiskago, Isichija presvitera i Nila Sorskago, sočinennich drugom ego i spostnikom, starcem Vasiliem Poljanomerulskim, o umnom trezvenii i molitve (Vita e scritti dello starets moldavo Paisij Velickovskij. Comprendente le introduzioni ai libri di san Gregorio Sinaita, Filoteo Sinaita, Esichio presbitero e Nil Sorskij, composte dal suo amico e compagno, lo starets Basilio di Poiana Mărului, sulla sobrietà e preghiera interiore), ed. a cura del Monastero di Optino, Mosca 1892, 3° ed., p. 228.

[7] Il testo slavonico della biografia di Mitrofan si trova in A.-E.N.TACHIAOS, The revival of byzantine mysticism among Salvs and Romanians in the XVIIIth century. Texts relating to the life and activity of Paisy Velichkovsky (1722-1794), Thessaloniki 1986. La citazione si trova a p. 142 (ms. f. 149-149v). [trad. inglese a cura di J. M. E. Featherstone : The life of Paisij Velyčkovs’'kyj, Harvard University press, Harvard 1989 (Harvard library of early ukrainian literature, IV) ].

[8] Il testo della sua Regola in 18 punti con la sua lettera di presentazione al metropolita della Moldavia si trova in vari manoscritti. Tra quelli che ho consultati ci sono: ms. 117 della Biblioteca della metropolia di Iaşi, f. 6-30; ms. 34 della Biblioteca di Stato di Chişinău, proveniente da Noul Neamţ, trascritto da Platone, segretario di Paisij, f. 3-23; ms. 117 della stessa biblioteca, trascritto da Andronic, f. 160-174. Tutti questi sono in slavonico. Un testo romeno, che riporta una redazione posteriore della Regola, in nove punti, scritta a Secu, si trova nel ms. 116 della Biblioteca di Stato di Chişinău, proveniente da Noul Neamţ, trascritto da Andronic, f. 106v-111. Per la descrizione dei manoscritti paisiani della Biblioteca di Noul Neamţ, custoditi nella Biblioteca di Stato di Chişinău, fondo 2119, si veda V. OVČINIKOVA-PELIN, Colecţia bibliotecii mănăstirii Noul Neamţ (sec. XIV-XIX) in Catalogul general al manuscriselor moldoveneşti păstrate în URSS (testo in romeno e russo), Chişinău 1989.

[9] Si veda D. Zamfirescu, “Biografia inedită a stareţului Paisie cel Mare”, p. 547. Cfr. Lettera ai padri rimasti a Dragomirna dopo lo spostamento nel monastero di Secu, in Adunare a cuvintelor celor pentru ascultare, Neamţ 1817, p. 352-353. Cfr.ancora Lettera per i fratelli alla mietitura, in Adunare a cuvintelor, p. 339. Il testo di questa lettera si può trovare anche in I. BĂLAN, Pateric românesc ce cuprinde viaţa şi cuvintele unor cuvioşi părinţi ce s-au nevoit în mînastirile româneşti secolele XIV-XX, Bucarest 1980, p. 256-259. Cfr. anche Lettera ai padri di Poiana Mărului, in Žitie, p. 220.

[10] Lettera per i fratelli alla mietitura, pp. 342-343.

[11] Cfr. E. CITTERIO, La scuola filocalica di Paisij Velichkovskij e la Filocalia di Nicodimo Aghiorita. Un confronto, in T. SPIDLIK, K. WARE, E. LANNE, M. VAN PARYS e AA.VV., Amore del bello. Studi sulla Filocalia, Qiqajon, Comunità di Bose 1991, p. 187-8.

[12] Valga per tutti la testimonianza di Grigorie Dascălul : “Mostrerò invece come e quando, con la venuta di questo beato starets e il costituirsi di questa grande comunità, si sia dato avvio, secondo la benevola provvidenza dell’Altissimo, ad un’opera che ora non ha riscontro in tutta l’Ortodossia”. Cfr. Povestire din parte a vieţii prea cuviosului părintelui nostru Paisie [1817] in D. Zamfirescu, Paisianismul, un moment românesc în istoria spiritualităţii europene, Roza vânturilor, Bucureşti 1996, p. 119.

[13] Biografia inedită a stareţului Paisie cel Mare”, p. 534.

[14] Si veda Ioan I. Ică, La posterità romena dello ‘starec’ Paisij in N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS, V. PELIN E AA.VV., Paisij, lo starec. Atti del III Convegno ecumenico internazionale di spiritualità russa “Paisij Veličkovskij e il suo movimento spirituale”, Bose, 20-23 settembre 1995, a cura di A. Mainardi, Qiqajon, Bose 1997, p. 245-266.

[15] Cfr. soprattutto la Lettera ad Agatone e quella a Demetrio.

* * *

LA DOTTRINA SPIRITUALE DELLO
STARETS PAISIJ

RADIOGRAFIA DI UNA COMUNITA'

Bose, 21-23 settembre 1995

Nella coscienza dei discepoli e delle generazioni successive, lo starets Paisij ha il merito precipuo di aver rinnovato la vita monastica. I biografi glielo riconoscono come massimo titolo di lode, insieme a quello di aver ripreso con vigore l'insegnamento dei Padri con la suaattività di correzione e traduzione dei testi patristici; le testimonianze dei discepoli lo sottolineano concordi. Con lui la vita monastica ritorna ad essere vissuta come un ideale appassionante. Una citazione da una sua stessa lettera ce ne fornisce probabilmente la descrizione più accattivante: «Un tal tipo di vita cenobitica tra tutti i fratelli riuniti nel nome di Cristo li lega in un amore tale che, sebbene provengano da varie nazioni e paesi, formano tutti un unico corpo, membra gli uni degli altri, avendo tutti un solo capo, Cristo; tutti ardenti di amore per Dio, per il loro padre in Dio e gli uni per gli altri; mirando tutti, un'anima sola ed una sola mente, a questo unico obiettivo: custodire e compiere con zelo i comandamenti di Dio, esortandosi a vicenda e sottomettendosi l'uno all'altro con quell'unico pensiero in testa, portando i pesi gli uni degli altri, maestri e servi gli uni degli altri. Con un tal genere di amore spirituale, in unità di intenti, si fanno imitatori della vita del Signore e degli apostoli e degli angeli, sottomettendosi in ogni cosa con fede e amore al loro padre e istruttore in Cristo come a Dio stesso ... ».

Quale ventata d'aria nuova ha portato Paisij al monachesimo? Come è arrivato a giocare quel ruolo di 'rinnovatore' che assolutamente non aveva cercato e che, anzi, quasi controvoglia ha accettato di assumere?

Paisij si è sempre visto scombinare i suoi piani dalla Provvidenza e per questo la sua opera non si è imposta come 'sua', ma come l'opera dello Spirito, sigillo della sua santità personale e del suo genio spirituale.

Una biografia in controluce.

Una preziosa testimonianza ci rivela i carismi specifici dello starets Paisij:

- il dono della preghiera del cuore ( Paisij aveva fama di maestro della preghiera del cuore).

- il dono di guidare una moltitudine di fratelli (come starets dei monasteri di Secu e Neamt aveva la guida di circa un migliaio di monaci).

- il dono, assai raro, di tenere insieme i fratelli di varie nazionalità (nella comunità di Paisij vivevano insieme monaci romeni, ucraini, russi, bulgari, serbi, greci).

A riferircelo è lo starets Giorgio di Cernica, 'paisiotul', come lo definiscono le fonti romene, transilvano di origine e discepolo della prima ora di Paisij. Conosceva molto bene il suo starets per essere stato suo discepolo per 24 anni, accompagnandolo sull'Athos, a Dragomirna, a Secu e a Neamt. Quando Paisij con i suoi 64 monaci, nel 1763, esce dall'Athos, lui è uno dei tre fratelli della delegazione che cerca invano dal metropolita di Bucarest di ottenere un monastero. Sarà loro messo a disposizione, invece, dal metropolita Gabriele di Iasi e dal voievod della Moldavia Gregorio Calimachi, il monastero di Dragomirna con tutti i suoi poderi e libero da ogni obbligo di imposta. La sua testimonianza è reperibile nel Testamento, redatto nel 1785, allorché una malattia che sembrava mortale lo induce a formulare per iscritto una sorta di regola di vita per il nuovo cenobio che aveva fondato a Cernica nel 1781, sul modello della comunità paisiana. Tanto consapevole della particolarità di questi tre carismi che ritiene di non poterseli attribuire e quindi invita i fratelli della sua comunità a dedicarsi alla pratica della preghiera di Gesù, senza preferirla in assoluto, almeno fin tanto che non si sia purificati da tutte le passioni; limita a 103 il numero dei fratelli della comunità e considera la possibilità che i monaci romeni, russi e greci, vivano separatamente, senza per questo diminuire nell'amore reciproco. In effetti l'opera di Paisij è rimasta unica nelle sue caratteristiche precipue. Tutti si sono appellati a lui, ma nessuno ha riprodotto il modello integralmente.

Un'altra testimonianza, benchè alquanto posteriore nel tempo, ma degna di fede per i riscontri indiretti nelle fonti dell'epoca, mette in luce un altro aspetto particolare di Paisij. Egli scrive sulla preghiera di Gesù, la difende a spada tratta, invita a praticarla con zelo, ma non l'insegna personalmente. Ci riferisce Ignazio Brjancaninov (1807-1867):

« I monaci del monastero moldavo di Neamt mi hanno raccontato che il loro celebre starets Paisij Velickovskij, il quale era stato gratificato, al di fuori delle vie ordinarie, del dono della preghiera del cuore per un disegno speciale di Dio, non osava, proprio per tale motivo, insegnarla ai fratelli e affidava quell'insegnamento agli altri padri che avevano ottenuto la preghiera per via normale».

Credo bastino queste due testimonianze a renderci più curiosi del nostro personaggio. E' possibile seguirlo nel suo cammino di vita e farci un'idea della sua opera dall'interno, nel suo svolgersi? Ho indagato le fonti dell'epoca, gli scritti e specialmente le lettere di Paisij, molte delle quali ancora inedite, le testimonianze dei biografi (Vitalie, Mitrofan, Isaac Dascalul, Grigorie e Platone) e dei discepoli, mettendole a confronto, nel tentativo di cogliere il mondo interiore di Paisij, nel quale è maturato il suo 'genio' spirituale che tanti frutti ha lasciato in eredità.

Parlavo poc'anzi di piani scombinati dalla Provvidenza. Il supremo desiderio di Paisij, fin da giovanissimo, è stato quello di entrare nel monachesimo. E lo dico a due titoli: lasciare il mondo per entrare in un monastero e vivere la grazia del monachesimo in tutta la sua potenza, come dirà molto bene il suo biografo Mitrofan:

« ... nei tempi in cui il monachesimo si era tanto illanguidito e mostrava solo il suo aspetto esteriore, [Paisij] fece conoscere cosa fosse il monachesimo, quale fosse il mistero dell'obbedienza, quale grande profitto arrecasse al novizio l'avanzare nell'intelligenza spirituale, quale fosse l'azione e la contemplazione, la preghiera mentale del cuore, quella compiuta dalla mente nel cuore ...»[5].

Sognava di trovare una guida spirituale per godere del dono divino dell'obbedienza e confessa di non averla mai trovata :

«Non sono più riuscito in nessun posto a pormi sotto l'obbedienza di un qualche padre spirituale. Come devo ora riconoscere, la mia predisposizione interiore da giovane era molto incline a mettersi sotto l'obbedienza, ma non sono stato degno, misero qual sono, di ricevere un tale dono divino ».

Probabilmente, se l'avesse trovata così come era nelle sue intenzioni, noi non conosceremmo uno starets Paisij!

Si era solennemente ripromesso che non sarebbe mai vissuto in grandi monasteri dove sono di casa agi e onori e finisce per vivere nel monastero più grande e rinomato di tutta l'Ortodossia ai suoi tempi.

Non intendeva assolutamente diventare sacerdote, evitando perfino di recarsi a Poiana Marului, dove risiedeva lo starets Basilio, 'il suo starets' come lui lo chiama e più tardi riparando all'Athos, proprio per evitare tale eventualità. Ma pochi anni dopo dovette accettare l'ordinazione su pressione dei fratelli che si erano riuniti attorno a lui.

La sua vita è un continuo rinnovarsi di solenni e 'definitive' decisioni che di lì a poco sono superate dagli stessi eventi. Sull'Athos, dopo essersi arreso all'idea di accogliere qualche fratello a condividere il suo stesso ritmo di vita, esteriore e interiore, si accorge presto che si deve esporre a continue fatiche nell'illusione di trovare quella pace che però non viene mai. Le celle non bastano mai, i lavori non sono mai finiti, sempre alla ricerca di nuovi spazi per il crescente numero dei fratelli, all'Athos come in Moldavia. Appena trovata la quiete a Dragomirna, alla conclusione della guerra russo-turca (1768-1774), allorquando il monastero passa sotto la giurisdizione austriaca con tutta la Bucovina, temendo vessazioni da parte del governo cattolico, deve partire per Secu. Ma le celle non bastano e per aver chiesto sovvenzioni al principe Costantino Moruzi, si vede pervenire l'ingiunzione di spostarsi , del tutto controvoglia, a Neamt. Eppure, sarà proprio a Neamt, nonostante le riserve dei suoi biografi, che la sua opera lascerà i segni più duraturi e di maggiore risonanza.

Voglio attirare l'attenzione su di un punto particolare, sul fatto cioè che Paisij dice di non aver mai trovato una guida spirituale e che per questo ha incominciato a prendere come guide spirituali la stessa Scrittura e i Padri. Come interpretare questa confidenza? Forse che vuole insinuare che i suoi tempi sono così grami che non esistono uomini ripieni dello Spirito e quindi capaci a loro volta di aprire i cuori all'azione di quello stesso Spirito? Si tratta forse di una semplice ammissione retorica, una specie di cliché obbligato? In effetti le parole di Mitrofan suonano piuttosto perentorie:

« ... lui è stato istruito da Dio e dalla dottrina dei santi Padri tramite la lettura e la traduzione dei loro testi. I santi Padri antichi hanno avuto modelli che risplendettero nei vari luoghi con la luce delle loro vite gradite a Dio e della loro retta dottrina. Ebbero anche maestri dai quali poter imparare, restando presso i quali fin dalla giovinezza e contemplando le loro vite senza macchia e il loro insegnamento come pilastri viventi, diventarono a loro volta essi stessi pilastri viventi e si fecero così luce, pilastri e maestri della vita monastica di tipo cenobitico e di quella esicasta in solitudine. Il nostro beato padre, invece, non ebbe un simile maestro; lo cercò, ma non gli fu possibile trovarne uno. Lavorò con fatica illuminato dalla grazia divina, scavò con l'umiltà e le lacrime e trovò nel suo cuore una sorgente di acqua zampillante, che servì a dissetare se stesso e gli altri in abbondanza; anzi, più se ne attingeva, più abbondantemente sgorgava ».

Dobbiamo pensare che Paisij fu autodidatta?

Quando Paisij nella sua lettera del 1766 a Demetrio, amico di gioventù e compagno di scuola a Kiev, illustra i tre tipi della vita monastica, ha già aderito alla scelta impostagli dalla Provvidenza. Delle tre vie, quella eremitica, quella 'regale', quella cenobitica, Paisij vive ormai la vita cenobitica. Ma non era stato questo il suo sogno, come già ho detto. Era espatriato proprio alla ricerca di un eremitaggio dove vivere in povertà, con qualche fratello, sottoposto all'obbedienza di un padre spirituale sperimentato. Nella Muntenia, a Traisteni, Dalhauti, Cîrnul, dove sperimenta per la prima volta la grazia del monachesimo, nella scia di quel rinnovamento spirituale che fa capo allo starets Basilio di Poiana Marului, incontra piccole comunità, il cui ritmo di vita si definisce meglio con il tipo 'regale' che con quello cenobitico. All'Athos, non trovando nessuno disposto ad accoglierlo, finisce per decidere di vivere solitario, ma non se ne sente all'altezza, non gli è congeniale. Risale a questo periodo il suo leggere le Scritture ed i Padri con uno scopo tutto particolare o, perlomeno, con una forza tutta particolare:

« Non trovando un posto dove vivere in obbedienza [...] ho pensato che avrei potuto vivere secondo la via regale, con un fratello cioè che fosse un'anima sola ed un'unica mente con me. Al posto di un padre, avere come maestro Dio stesso e l'insegnamento dei santi Padri; sottometterci in obbedienza l'uno all'altro, servirci l'un l'altro, avere un'anima sola ed un cuore solo e usare di ogni cosa in comune per le nostre necessità, sapendo che, stando ai Padri, tale genere di vita è fondato sulla Sacra Scrittura ».

Dopo aver ricordato che si è unito a lui Visarion, venuto dalla Moldavia, continua:

« Allora, per la grazia di Cristo, la mia anima ha potuto trovare in parte una certa consolazione ed il riposo tanto desiderato. Così io, miserabile, ho avuto l'opportunità di costatare almeno un poco il vantaggio della santa obbedienza, che ci davamo l'un l'altro tramite la rinuncia alle nostre volontà, avendo al posto di un padre e di una guida l'insegnamento dei nostri santi Padri, sottomettendoci l'un l'altro nell'amore di Dio ».

Dopo Visarion, che però non accetta come discepolo, ma solo come fratello (in questo senso il riferimento alle Scritture e ai Padri fa da perno all'obbedienza reciproca), si aggiungono altri fratelli fino a costituire un piccolo cenobio di dodici fratelli. Paisij passa come naturalmente, benché come costretto, dalla via regale a quella cenobitica. Sarà proprio questo passaggio che gli permetterà di far confluire i carismi della via regale nel cenobio. Paisij non restaura, non riforma il monachesimo; egli lo rivitalizza, gli dà modo di attingere nuovamente alla sua grazia specifica. In questo si rivela il suo genio spirituale.


Il mistero dell'obbedienza.

Centrale nella visione di Paisij è il mistero dell'obbedienza. Un suo biografo riassume così l'esperienza dei tre anni passati nelle skiti della Muntenia:

« Da quei padri ha compreso cos'è la vera obbedienza, da cui nasce la vera umiltà, nella quale si arriva a far morire la propria volontà e la propria opinione personale, anche nei confronti di tutte le cose di questo mondo, fatto che costituisce l'inizio e la fine interminabile della vera opera monastica; che cos'è l'attenzione e la vera pace della mente, la preghiera attenta compiuta soprattutto nel cuore».

Ma le parole del biografo non sono che l'eco delle parole stesse dello starets:

« Non c'è altro genere di vita che favorisca il progresso di un uomo più della vita cenobitica, vissuta con scienza nella benedetta obbedienza. Lo libera in breve tempo da tutte le passioni dell'anima e del corpo a motivo dell'umiltà che nasce appunto dalla beata obbedienza, lo conduce al primitivo genere di vita allorquando l'uomo era veramente ad immagine e somiglianza di Dio proprio come era stato creato agli inizi. Permette al dono di Dio ricevuto nel santo battesimo di risplendere al di sopra di ogni altro dono di cui possa essere favorito il vero novizio attraverso la sua genuina umiltà, per grazia divina, come potrà sentire lui stesso molte volte nella sua anima per mezzo del suo senso spirituale».

L'immagine più adatta a comprendere la dinamica interiore della comunità paisiana mi sembra quella dell'obbedienza come di un triplice albero piantato prima nei cieli, dove solo gli angeli obbedienti vivono nella visione di Dio, poi nel paradiso terrestre, dove Adamo gode della gioia di Dio finché rimane nell'obbedienza ed infine sulla terra, dove il Cristo, servo obbediente, raduna gli apostoli, dai quali si stacca solo Giuda per la sua disobbedienza. I monaci sono idealmente gli eredi degli apostoli per voler vivere lo stesso mistero dell'obbedienza, vale a dire l'osservanza di tutti i comandamenti di Cristo. Sono anche i nuovi 'martiri', nel senso di testimoni dell'obbedienza al Cristo fino alla fine della loro vita, fino allo stremo. La differenza, nell'ordine monastico, tra gli anacoreti ed i cenobiti, si risolve nell'intensità del vissuto dell'obbedienza, nel senso che un anacoreta è un con-crocifisso con Cristo, accompagna il Cristo sulla croce, mentre il cenobita è un 'con-patente', accompagna il Cristo nel suo cammino di passione. Sarebbe questo il motivo per cui non è possibile scegliere la vita anacoretica prima di essere passati per la vita cenobitica. Sarebbe presuntuoso desiderare di essere con-crocifissi con Cristo prima di essergli stati compagni nella sua passione.

Si riportano spesso le parole di Paisij: «Quando vedo i fratelli, non fratelli, ma angeli li reputo». Non sono parole generiche, sentimentali. Paisij è consapevole del fatto che è più sicuro ed agevole osservare i comandamenti divini, rinunciando alle proprie volontà, formando un cuor solo con tutti, portando i pesi gli uni degli altri, se ci si è affidati anima e corpo a un padre in Cristo, all'unico padre in Cristo per tutta la comunità. Così, vedendo i suoi figli pieni di zelo nell'osservare i comandamenti di Dio, li vede angeli per il dono dell'obbedienza, dono di cui lui si sente privo:

« Guardando i fratelli come angeli di Dio, tutti decisamente dediti alla santa obbedienza, mi giudico incapace di seguire le loro orme, considerandomi privo di tale grazia divina, vale a dire della santa obbedienza».

Evidentemente, man mano che gli anni passano e la comunità si ingrossa, Paisij sa che i fratelli guardano a lui come alla loro guida, al loro padre, al loro maestro. Ma l'importanza che annette all'esercizio di tale compito è direttamente proporzionale alla capacità di indirizzare le anime sulla via dei comandamenti, basandosi esclusivamente sulle Scritture e sull'insegnamento dei Padri. Ciò che occorre al superiore del cenobio non è che l'intelligenza spirituale, più l'umiltà e la dolcezza, non altro. Perché il contesto in cui opera il superiore non può essere che questo:

« Là [=Dragomirna] avevo riunito la comunità dei fratelli che desideravano esercitarsi per il Signore nella santa obbedienza, formando un'anima sola. Erano un centinaio di monaci, più i novizi. Ci accomunava tutti un unico desiderio: combattere la battaglia spirituale davanti a Dio, custodendo gelosamente i suoi divini comandamenti».

Il mondo interiore di una comunità.

Se nella visione di Paisij centrale è il mistero dell'obbedienza, ci si può allora chiedere come si cercasse di vivere nella sua comunità, quali erano le accentuazioni caratteristiche del suo insegnamento in proposito. Io sintetizzerei l'esperienza di vita della comunità paisiana in sei punti :

1) Anzitutto l'ambiente, il contesto in cui si viene a costituire la comunità. In un'epoca in cui una fondazione monastica veniva spesso subordinata coi suoi averi alla giurisdizione di un altro monastero che poteva vantare diritti sulle sue proprietà e al quale dovevano essere devoluti una parte dei suoi proventi a titolo di usufrutto, la cosiddetta 'inchinarea', Paisij sceglie decisamente l'indipendenza insieme alla povertà che la custodisce :

« Quanto al luogo dove condurre tal genere di vita non sia una skite, ma un monastero, in qualunque posto esso sorga, evitando di dover versare un qualsiasi tipo di tassa o imposta. Non essendo sottomesso né 'inchinato', ma sovrano e indipendente, sarebbe veramente possibile, con una guida siffatta secondo Dio, costituire una comunità cenobitica ...».

Anzi, la povertà è vissuta prima come garanzia di autonomia nei confronti di ogni interferenza esterna alla comunità che come sigillo della sequela di Cristo. E a salvaguardia di tale autonomia, anche organizzativa, Paisij si adopererà presso le autorità politiche e religiose per far spostare le famiglie dei contadini che abitavano nelle vicinanze del monastero, non volendo che vi entrassero donne. Così ha fatto a Secu e poi a Neamt. Non solo, ma voleva che tutti i lavori fossero svolti dai fratelli, senza l'ausilio di esterni. A Dragomirna e poi a Secu Paisij lavorava con i fratelli; invece a Neamt, a causa della vecchiaia e della malattia, stava quasi sempre ritirato in cella.

Se l'indipendenza costituiva il requisito esteriore della povertà, aveva la massima importanza soprattutto la sua dimensione interiore. La povertà, ricorda Paisij, è la prima condizione della vita comune già secondo Basilio Magno. Il primo articolo della sua Regola, ancora inedita, in vigore a Dragomirna, è proprio quello in cui si dice che nessuno può dire mio o tuo nulla, che nessuno possegga in proprio qualcosa, che nessuno tenga per sé la sia pur minima cosa:

«Nella nostra comunità tale regola è stata così scrupolosamente osservata che a nessuno dei fratelli veniva nemmeno in mente di desiderare di possedere qualcosa di personale, perché sapevano che così si era comportato Giuda il traditore. Perciò chiunque domandava di abitare nella nostra comunità deponeva ai piedi miei e dei fratelli ciò che possedeva, qualora fosse stato padrone di qualcosa e tutte le sue cose, anche le minime. Le rimetteva al Signore, impegnandosi, anima e corpo, nella santa obbedienza fino alla morte. Diversamente, non era possibile che venisse accettato nella nostra comunità».

La povertà è condizione essenziale per vivere nell'obbedienza. Più accentuato è il mistero dell'obbedienza, più radicale la condizione di povertà. E su questo Paisij non transigeva; ne andava di mezzo l'ideale stesso della vita comunitaria. Delle sue decisioni giovanili, quella di vivere in povertà l'ha sempre mantenuta con rigore, insieme ad un'altra che vedremo tra poco.

Altro aspetto significativo di questa spoliazione totale rispetto alle cose è l'uguaglianza tra i fratelli, tutti ricevendo ciò che attiene alle proprie necessità dall'unico padre in Cristo di tutti.

2) C'è poi un clima particolare che caratterizza la pratica dell'obbedienza nella comunità paisiana: l'obbedienza come sottomissione ai fratelli, l'obbedienza in umiltà. E' il carisma specifico della cosiddetta via regale che trapassa nel cenobio. Nelle sue esortazioni Paisij insiste molto di più sull'obbedienza vicendevole che sull'obbedienza al superiore. Credo che il fascino della comunità paisiana derivi in gran parte da tale clima di obbedienza che permette di vivere, un cuor solo e un'anima sola, la tensione che tutti accomuna, quella di praticare fino in fondo tutti i comandamenti del vangelo.

«Con le parole della Scrittura insegnava ai fratelli che di qualsiasi obbedienza fossero incaricati, si sforzassero di compierla con umiltà, obbedendo l'uno all'altro e chinando il capo l'uno verso l'altro».

Scrivendo ai padri rimasti a Dragomirna, dopo lo spostamento della comunità a Secu, Paisij raccomanda soprattutto di stare mansueti e umili verso tutti, imitando la mansuetudine e l'umiltà di Cristo, sottomessi l'uno all'altro. Anche in altre lettere riprende lo stesso ammonimento:

«Soprattutto, non seguite le vostre volontà, rinunciate al vostro giudizio, non resistete l'uno all'altro; tutte azioni, queste, invise a Dio e quanto avverse e disgustose per me e per tutti i fratelli».

«Allo stesso modo, umiliatevi l'uno davanti all'altro; preferite l'altro a voi stessi e abbiate amore secondo Dio tra di voi. Allora ci sarà in voi un'unica anima ed un unico cuore nella grazia di Cristo».

E' proprio in rapporto a tale clima che Paisij vede la maturità dei suoi discepoli. Ne parlano anche i biografi, ma sulla base di una lettera del loro starets. Se dovessi tradurre con un'immagine mia le sue parole, direi che si può definire così il livello di maturità dei suoi discepoli. Ci sono fratelli, e costituiscono il maggior numero, che sono contenti quando ricevono schiaffi; sono quelli che hanno fatto morire la loro volontà propria. Ce ne sono altri, e non sono pochi, che riescono con fatica a non rispondere quando ricevono uno schiaffo; sono coloro che hanno fermamente deciso di far morire la loro volontà propria, ma sono ancora combattuti. Ce n'è poi un piccolo numero che ha ancora bisogno di carezze; sono quelli che senza la misericordia e l'amore dei fratelli non riuscirebbero a resistere. Tutti però sono accomunati dal desiderio di voler osservare i comandamenti del Signore.

3) L'obbedienza non è fine a se stessa; essa tende come tutta l'ascesi all'intimità della preghiera e, come quest'ultima, esige un lungo lavorio del cuore:

« ... e soprattutto cercate di ottenere nei vostri cuori un pensare umile, per mezzo del quale potrete spegnere ogni freccia infuocata del diavolo ...».

« Per imparare l'umiltà, non esiste apprendimento più conveniente di quello che possiamo effettuare nel segreto del nostro cuore: ognuno biasimi se stesso, si ritenga sotto i piedi di tutti, si pensi polvere e cenere ... L'istruzione che agisce nell'intimo, insieme alla lettura, è casa dell'anima dove non ha accesso l'avversario, è pilastro incrollabile, porto tranquillo, senza agitazione e senza scosse, che salva l'anima. I demoni in effetti si agitano grandemente e si arrabbiano molto quando il monaco si premunisce con le armi di questo lavorio interiore di istruzione e con l'incessante invocazione: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore", insieme ad una lettura conveniente ».

Con questo 'lavorio del cuore', unito alla preghiera incessante, Paisij dà un respiro 'esicasta' alla vita del cenobio. Il silenzio, che i monaci sono invitati a custodire sempre e dovunque, non serve che a favorire questo lavorio del cuore unito alla preghiera. Ma il vero silenzio non sorge che rinunciando totalmente alla volontà propria. La lotta che Paisij dichiara alla vita idioritmica, che pure ha radici solide nella tradizione, parte appunto dalla convinzione che non si può arrivare al silenzio interiore se si vive secondo la volontà propria, poiché dalla volontà propria non possono che provenire illusioni. Qui tocchiamo il nucleo del mistero dell'obbedienza monastica, che non è altro se non il mistero del pentimento:

«Molti hanno lavorato e lavorano, anche per tanti anni, ma senza lo zelo infuocato del cuore per le fatiche del pentimento, così restano privi della purità e non diventano partecipi dello Spirito Santo».

Paisij definisce così l'opera per eccellenza del monaco:

«Similmente, leggi con diligenza e con solerte attenzione, scrutandoli, i libri dei Padri sulla preghiera che si compie con la mente nel cuore, la quale è l'opera per eccellenza del monaco, la più gradita a Dio».

Ma Paisij ha sempre temuto la presunzione di accedere a questa stanza segreta del cuore senza la pratica dell'obbedienza. La sua resistenza alla pubblicazione del Dobrotoljubie è dovuta appunto al timore che si possa presumere di arrivare alla preghiera del cuore senza la vera obbedienza, dalla quale fiorisce l'umiltà. Con Paisij -e questa è una vera rivoluzione!- la 'vita comune', scuola impareggiabile della vera obbedienza, giunge ad essere il vero luogo della pratica esicasta, senza cui si finirebbe per fraintenderla. In sostanza, il principio rinnovatore basilare che Paisij adotta è quello di ancorare la pratica ascetica all'intelligenza spirituale, concependo il fare in funzione del contemplare, l'agire, esteriore e interiore, in funzione del vedere spirituale. Come riportavo più sopra citando un testo di Mitrofan: « [Paisij] fece conoscere cosa fosse il monachesimo, quale fosse il mistero dell'obbedienza, quale grande profitto arrecasse al novizio l'avanzare nell'intelligenza spirituale, quale fosse l'azione e la contemplazione ... ». La forza di Paisij sta nel mettere in mano ai suoi discepoli la chiave per comprendere dall'interno ciò che li esorta a praticare.

Oltre alla lettura delle Scritture e dei Padri, che tratteremo nel punto seguente, due sono le pratiche su cui fa leva il nostro starets per indurre i suoi figli spirituali a questo lavorio del cuore: la confessione quotidiana dei pensieri e la preghiera di Gesù. Della prima è detto espressamente nella sua Regola in nove punti, scritta a Secu sintetizzando la precedente in diciotto punti di Dragomirna:

«Tutti i fratelli, specie i novizi, si confessino ogni giorno e manifestino al proprio padre spirituale qualunque cosa, tutti i segreti del proprio cuore, senza nascondergli nulla. In effetti, senza confessione non è possibile arrivare a indirizzare bene la propria anima e condurla sulla via del Signore».

Alla pratica della preghiera di Gesù è dedicato il paragrafo sesto della sua Regola di Dragomirna:

«Nelle celle i fratelli, secondo la tradizione dei Padri, devono stare con timor di Dio, preferendo ad ogni altro esercizio ascetico la preghiera mentale (evye. vjkbnde), poiché con la mente nel cuore l'amore divino, fonte delle virtù, giunge a perfezione, come insegnano molti padri teofori, quali Giovanni Crisostomo, Callisto II patriarca di Costantinopoli, Simeone metropolita di Tessalonica, Diadoco di Fotica, Esichio di Gerusalemme, Nilo Sinaita, Giovanni Climaco, Massimo Confessore, Pietro Damasceno, Simeone Nuovo Teologo, Gregorio Sinaita. Tutti questi e altri padri teofori insegnano tale pratica spirituale, cioè la preghiera mentale».

Quello che è importante sottolineare è il fatto che la confessione dei pensieri e la preghiera di Gesù sono dati come gli strumenti ideali per la battaglia spirituale, nella lotta per custodire tutti i comandamenti del Signore. Con tali strumenti impariamo a vedere l'estensione dei comandamenti e quanto siamo distanti dal custodirli nell'intimo e in verità; ci provocano al pentimento, il quale ci schiude all'obbedienza, la quale, nell'umiltà che le tiene dietro, ci apre alla visione. In sostanza Paisij riprende l'insegnamento del suo starets Basilio di Poiana Marului, come ancora da lui riprende la distinzione tra lo stadio 'pratico' della preghiera, quello di invocare senza posa il nome di Gesù, accessibile a chiunque, fin dai primi passi nella via spirituale e lo stadio 'contemplativo', quello della preghiera 'nel cuore' o 'del cuore' o 'dal cuore', dono esclusivo della grazia divina e riservato ai perfetti secondo come piace a Dio. Il punto in cui Paisij si discosta dal suo maestro è costituito dalla 'tecnica' che nella tradizione spesso accompagna l'insegnamento della preghiera di Gesù. Basilio la scarta a favore di una propria intuizione, quella di pregare fissando l'attenzione 'sopra il cuore' (suggerimento che ha goduto particolare fortuna nella tradizione spirituale romena), mentre Paisij l'accoglie, seppur con riserva e sebbene non se ne faccia maestro e senza annettervi grande importanza.

Queste due pratiche sono strettamente abbinate alla lettura attenta e amorosa delle Scritture e dei Padri, perché l'unico vero pericolo da evitare è di cadere nell'illusione che proviene dal pensare e dal condursi scondo modi propri, secondo modi umani. Tanto che per la persona del padre spirituale Paisij non spende molte parole, se non queste, e tassative: non deve insegnare nulla di testa sua, ma tutto secondo le Scritture e i Padri. A questo lui stesso si è rigorosamente attenuto. Ha una tal forza questa convinzione che resterà come l'eredità specifica dell'opera paisiana, con tutto quel lavorio di correzione e traduzione di testi patristici che ha comportato.

4) L'obbedienza è fondata sulla Scrittura e sui Padri. E' il desiderio di vivere il mistero dell'obbedienza che dà vigore all'esigenza di leggere Scrittura e Padri per non cadere vittima dell'illusione di seguire idee proprie. Lo scrutare, giorno e notte, le Scritture e gli scritti patristici, è la risposta di Paisij alla mancanza di guide sperimentate. Lo studio dei testi patristici, unito allo sforzo di tradurli in slavonico ed in romeno, è diventato poco a poco l'attività principale del nostro starets, il fondamento, il punto di forza della sua opera.

Il percorso di Paisij è lineare. Appassionato lettore fin da giovane della Scrittura (di tutta la Scrittura, Nuovo come Antico Testamento, Cantico dei Cantici compreso, come ricorda il suo biografo Mitrofan, commiserando i suoi tempi in cui certi libri della Scrittura sono proibiti!), pieno di fede e di amore per i testi dei Padri in cui trovava il nutrimento conveniente al suo zelo spirituale. Quando si rassegna all'idea di non poter trovare una guida spirituale per vivere nel modo che aveva sognato, si affida per la sua istruzione alla guida delle Scritture e dei Padri, che va ricercando con sempre maggior determinazione. Trovandosi poi controvoglia alla guida di altri fratelli, non fa che estendere anche a loro quello che ha imposto a se stesso: ora che non ci sono più uomini che vengano illuminati direttamente da Dio, è necessario affidarsi alla Scrittura e all'insegnamento dei Padri, per non cadere nell'illusione della propria sapienza. A Dragomirna la sua occupazione principale consisteva nel 'servizio della parola' - espressione che usano i suoi discepoli!-, nel preparare cioè i capitoli serali per la comunità, alternativamente in romeno e in slavonico, dove leggeva e spiegava i testi che andava traducendo insieme ai suoi più stretti collaboratori. A Neamt, ormai malato, nonostante il peso della guida di una comunità tanto numerosa, non si risparmiava in questo lavoro di studio e traduzione dei testi patristici (dal suo soggiorno athonita si era abituato a dormire molto poco, in genere seduto al tavolo), arrivando a costituire una vera e propria scuola di traduttori.

Ora, l'attività di ricerca, correzione e traduzione dei testi patristici, esicasti in special modo, procede dalla fame della parola di Dio nella sua comunità, è finalizzata alla comunità. E' tutta la comunità ad essere organizzata attorno alla riscoperta dei Padri, che va di pari passo con la riscoperta della pratica della preghiera di Gesù. E' in tale contesto che assume una straordinaria importanza per la vita della comunità l'introduzione di quei capitoli serali in cui si affrontano i temi della battaglia interiore sulla base dell'esegesi delle Scritture e dell'insegnamento dei Padri. Paisij li aveva visti praticare nelle skite della Valacchia negli anni 1743-46. Li riprende, li regola e li anima sulla base di tutto quel lavoro di traduzione e correzione di testi patristici, soprattutto 'filocalici', che andava organizzando. Non si dimentichi che già nel 1769, a Dragomirna, il monaco Rafail può già raccogliere in una voluminosa antologia di 626 pagine una serie di testi sulla preghiera di Gesù, frutto di traduzioni romene antiche e nuove, comprendente gli autori della famosa 'Filocalia', più due autori moderni, vale a dire l'opera di Nil Sorskij e dello starets Basilio di Poiana Marului. I capitoli si tenevano nel periodo invernale, quando tutti i fratelli, terminati i lavori agricoli, rientravano nel monastero e la comunità si trovava riunita al completo. Iniziavano con il digiuno in preparazione del Natale, il 15 novembre e terminavano la vigilia della Domenica delle Palme. Sono valsi a Paisij il titolo di 'bocca d'oro' della Moldavia.

Potremmo sintetizzare il suo insegnamento su questo punto con flash veloci usando le sue stesse parole.

Perché la lettura? Insieme alle fatiche ascetiche è necessario abbinare anche la mente, la capacità di giudizio, perché tutta la nostra vita, la nostra condotta proceda secondo la potenza delle S. Scritture. La lettura illumina la mente e accende il desiderio di praticare i comandamenti.

Perché i Padri? Dal momento che noi, uomini passionali, non possiamo comprendere la luce delle Scritture, seguiamo i Padri ai quali, per aver avuto un cuore puro, illuminato dallo Spirito Santo, sono stati aperti i segreti del regno dei cieli, ossia la profondità della S. Scrittura. Nella loro interpretazione delle Scritture ci svelano gli inganni del diavolo e ci fortificano nello zelo per osservare i comandamenti.

Come leggere? Non c'è alcun vantaggio se uno legge solamente nero su bianco e non si dà cura di conoscere anche la potenza di quel che legge. Paisij soleva ripetere che quando fosse venuta meno la sete della parola di Dio, cioè lo studio attento e amoroso delle Scritture e dei Padri, sarebbero subentrate negligenza e divisioni tra i fratelli, affievolimento dello zelo per il Signore e di conseguenza ricerca della volontà propria e delle comodità.

Un'annotazione curiosa. Paisij aveva ottenuto l'autorizzazione a istallare la stamperia a Neamt fin dal 1792, ma la cosa si concretizzò soltanto nel 1807 per iniziativa del metropolita di Moldavia, Veniamin Costachi. L'unica opera che Paisij vide pubblicata fu quindi il Dobrotoljubie nel 1793, a Mosca. Ma la prima opera che pubblicò il suo discepolo romeno Gherontie, inviato a Bucarest da Neamt per specializzarsi nella lingua greca, fu il Manuale della confessione, Bucarest 1799, opera di Nicodemo Aghiorita, ma modellata su un testo del gesuita Paolo Segneri.

5) L'obbedienza comporta un frutto, sboccia nell'amore. L'amore verifica la sincerità di cuore nell'obbedienza. In effetti la rinuncia alla volontà propria tende a far spazio alla mitezza, ad allargare il cuore all'amore verso Dio e verso i fratelli. E' la vittoria sull'ira:

«Nessuno si irriti contro il proprio fratello, proprio contro nessuno, perché ci si irrita contro Cristo. Ho udito una volta un tale adirarsi contro il suo fratello e gli ho detto: "Fratello, non hai timore, non ti spaventa il fatto di adirarti contro il tuo fratello? Non sai che ti adiri contro Cristo?". E lui mi rispose:"Ma io non mi adiro contro Cristo -Dio me ne guardi!- ma solamente contro il fratello". Ditemi allora, voi che vi adirate contro gli altri: Credete al santo Vangelo? Cosa dice il Cristo nel Vangelo? "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Perciò, chiunque si adira contro il suo fratello e non ritiene di adirarsi contro Cristo, vuol dire che non crede nemmeno nel santo Vangelo. Di conseguenza stia attento a non venire condannato insieme agli infedeli!».

A un fratello che si era rivolto risentito al suo starets accusandolo di ira perché lo aveva rimproverato risponde:

«Fratello carissimo, l'ira è contraria alla vita evangelica e chiunque odia un altro cade in rovina. Se il Vangelo comanda di amare perfino i nemici, come potrei odiare il mio figlio spirituale? Quanto al rimproverarti con ira, possa il Signore farti dono di tale ira. Io assumo su di me le disposizioni d'animo di ciascun fratello: davanti ad alcuni di loro sono indotto ad apparire arrabbiato, sentimento che, per grazia di Cristo, io non ho mai provato; davanti ad altri, invece, sono indotto a piangere perché in un modo o nell'altro, a destra o a sinistra, possa arrecare beneficio. Io però non sono mai vittima della passione dell'ira ... In gioventù ho fatto questo voto davanti a Dio: Signore, se io dovessi mai accusare il mio fratello, anche se lo vedessi peccare con i miei occhi, mi inghiotta la terra. Ho posto un bavaglio alle mie labbra di modo che non possa mai dire neanche una parola a qualcuno di quanto ho visto o udito e per grazia di Cristo ho custodito questo voto lungo tutta la mia vita finché ho incominciato a vivere con i fratelli. Ora, benché controvoglia, sono diventato vostro giudice. Sono i fratelli a permettermi di parlare loro e di coinvolgermi nei loro confronti per loro beneficio; prima io non dicevo niente».

Segno concreto di questo amore mite tra i fratelli nella comunità è la predilezione per i malati. A Neamt Paisij fa predisporre un'infermeria all'interno del monastero, oltre a quella già in funzione all'esterno per i poveri e i pellegrini. Il padre Onorie, l'infermiere, era l'unico che poteva entrare liberamente nella cella dello starets e prendere soldi senza chiedere alcun permesso per la cura dei fratelli ammalati. In occasione della guerra russo-turca del 1768-1774 e quella del 1787-1791, Paisij offre asilo e svuota le dispense di Dragomirna e Neamt per gli sfollati, raccogliendo in monastero le donne e i bambini.

La lettera del 24 aprile 1789 alla staretsa Nazaria, da lui invitata ad abbandonare la sua solitudine sui monti Ceahlau per venire a costituire la comunità cenobitica di Varatec, rivela la molla che lo anima:

«Ti prego, caccia ogni repulsione ed afflizione dalla tua anima e con ogni zelo e gioia compi l'ufficio che ti è stato affidato dal Signore, sapendo che tutte le molestie e le tentazioni di questo mondo sono temporanee e passeggere, mentre la ricompensa e la gioia che ci procurano sono eterne, non transeunti. Non dubitare che, per quanto ti ritrovi in varie forme di agitazione e di dissipazione rispetto alla tranquillità che godevi lassù, questo ti procuri qualche danno o diminuzione nella virtù. Trovandoti in mezzo alle sorelle e servendole in vista della loro salvezza, non pensare in alcun modo che tutto questo ti procuri danno, ma piuttosto una maggiore e più larga ricompensa e una corona ancor più splendida. In effetti, come l'amore è più grande di tutte le virtù, così anche quest'opera che ti è stata affidata, essendo opera di amore, è più grande di tutto il resto».

6) L'obbedienza crea comunione nel rispetto di ciascuno: è il primato della persona sull'organizzazione. Ecco perché é così importante che la comunità non si regga su giudizi o mire umane sia da parte del superiore che dei fratelli; sarebbero in qualche modo sacrificate le persone. Una comunità evangelica è sempre e sopra tutto una comunità di persone, che cresce se ciascuno cresce. E' straordinario che Paisij, alla guida di una comunità tanto numerosa e multietnica, non abbia mai perso di vista questo punto! « Preferiva che andasse in rovina il monastero o qualche altra cosa di valore piuttosto che l'anima di un fratello si perdesse e cadesse in peccato» riporta Isaac nella sua biografia. Voleva che i lavori fossero compiuti senza agitazione e pressione, secondo l'energia propria di ciascuno. Conosceva bene la sua imperizia nei lavori (basta leggere la sua autobiografia)! L'unica cosa che gli premeva e che sapeva trasfondere nei fratelli era l'anelito a progredire spiritualmente, era l'obbedienza di tutti, in sottomissione reciproca, a Cristo. Paisij ha saputo, e non è certo l'ultimo titolo di merito che ha, tenere insieme una comunità capace di promuovere una comunione ed un amore sincero tra gli uomini, modellando senza posa l'umano e levando quell'opacità che gli impedisce di riflettere il divino.

Paisij e il chassidismo.

Permettete, a modo di conclusione, di considerare la grandezza della figura del nostro starets da un'angolatura insolita. Nella sua autobiografia Paisij rivela che suo nonno materno era ebreo. La sua terra d'origine come i territori circostanti, l'Ucraina e la Podolia, proprio negli anni della sua gioventù, videro sorgere il movimento chassidico che tanto fervore ha suscitato nelle comunità ebraiche. Non ci potrebbe essere qualche lontana forma di collegamento tra il rinnovamento chassidico e il rinnovamento paisiano? Evidentemente non intendo nemmeno alludere alla possibilità di un qualche collegamento diretto, d'altronde impensabile. Mi colpisce comunque la coincidenza temporale e geografica dei due fenomeni.

Per parte mia posso solo suggerire alcuni spunti di riflessione. Il movimento paisiano è un movimento mistico, non riformatore, proprio come il chassidismo. Paisij parla con tanta fede e amore della parola di Dio, dello scrutare le Scritture, parla così insistentemente dei comandamenti che non è difficile richiamare alla mente la devozione per la parola di Dio e per i maestri talmudici della tradizione ebraica. Ma due punti in particolare hanno attirato la mia attenzione.

Primo, il consiglio di Paisij di guardare ai testi dei Padri come si ascoltassero le loro parole vive. Non bisogna tanto leggere quanto sentire, ascoltare. Non è forse il principio basilare della tradizione ebraica?

Secondo, la grandezza di Paisij può essere definita allo stesso modo di uno tzaddik, la guida spirituale della comunità, l'intercessore potente presso Dio. A volte si firma 'paterno intercessore presso Dio'. In una sua lettera giunge a dire che se anche fosse condannato all'eterno castigo perché privo di opere buone, benedetto il Signore! Confida solo nella sua misericordia. Gli basterà poter vedere che i suoi figli godranno con Cristo, nel suo regno. E' la grandezza di un santo che si consuma nella potenza di intercessione, il sigillo più autentico della sua funzione di guida della comunità.

Pubblicato in N. KAUCHTSCHISCHWILI, A.-AI. N. TACHIAOS e AA.VV., “Paisij, lo starec”, Comunità di Bose 1997, ed. Qiqajon, p. 55-8

* * *

Agli avversari e denigratori della
«preghiera di Gesù»

Commento e apologia a cura dello starets Paisij

Io, cenere e polvere, prostrato con tutta la mia anima e tutto il mio cuore dinanzi all'inaccessibile splendore della gloria divina, ti prego o dolcissimo Gesù, Figlio unico e Verbo di Dio, splendore del Padre sovrano e figura della sua ipostasi, tu che hai restituito la vista al cieco, dissipa le tenebre del mio spirito, illumina i miei confusi pensieri, accorda la grazia alla mia anima traviata. Possa questo scritto glorificare il tuo nome santissimo e rendere servizio a coloro che vogliono unirsi a te, nostro Dio, nel loro santo esercizio della preghiera spirituale e portarti sempre nel cuore, tu che sei la perla inestimabile. Possano essi anche ricondurre sul retto cammino quella gente senza fede che osa maledire questo santo esercizio.

Quali motivi avete dunque per calunniare questa preghiera? Oserete giudicare vano l'invocare il Nome di Gesù? Oppure il cuore merita questi oltraggi, questo cuore sul quale come su una tavola d'altare il nostro spirito celebra la gloria di Dio e offre il mistero del suo sacrificio di lode?

Lo spirito e il cuore non sono forse creature di Dio e cose buone in se stesse, come tutto quanto il corpo umano? Che cosa si può dunque rimproverare all'uomo che, dal profondo del suo cuore e con tutto il suo spirito, eleva la sua preghiera verso il dolcissimo Signore per implorare la sua grazia? Oppure disprezzate e rigettate la preghiera spirituale perché pensate che Dio non ascolti una preghiera mormorata nel segreto del cuore e gradisca solo quella che pronunciano le labbra? Se è così, offendete Dio.

Ma ho altre domande da farvi! Disprezzate questa preghiera perché ne avete potuto costatare la funesta influenza? Avete mai visto o sentito che chi la pratica abbia subito qualche danno nella mente o nell'anima, oppure abbia scambiato l'illusione con la verità? E ne avete dedotto che causa di tutti questi mali era la preghiera spirituale? Non è affatto così. La santa preghiera spirituale, quella che la grazia di Dio rende efficace, allontana l'uomo dalle passioni, lo mantiene nella fervente fedeltà ai comandamenti di Dio e lo preserva contro tutte le frecce e gli attacchi del tentatore.

Convengo volentieri che se qualcuno, per semplice capriccio rifiuta di pregare ad alta voce, cosa questa raccomandata dai santi Padri, e non vuole sentire il consiglio di maestri esperti, costui si getta nella rete e nelle trappole del demonio. Ciò equivale forse a dire che, in questo caso, la preghiera deve essere messa in causa? Lungi da ciò! La testardaggine, l'orgoglio e la mancanza di umiltà sono piuttosto le cose che spiegano le seduzioni diaboliche, le illusioni spirituali di cui alcuni sono preda.

La divina preghiera spirituale ha le sue radici nella parola stessa di nostro Signore Gesù Cristo: « Ma tu, quando preghi, entra nella tua camera, chiudi dietro a te la porta e prega il Padre tuo che è là, nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te lo renderà» (Mt 6,6).

San Giovanni Crisostomo, questa bocca di Cristo, quest'astro dell'universo, questo maestro ecumenico, non ha voluto applicare tale testo alla preghiera delle labbra e della lingua, ma a una preghiera che sale dal profondo del cuore.

San Basilio il Grande, questa colonna di fuoco, questo ardente portavoce dello Spirito santo, afferma che l'uomo possiede nelle sue profondità una bocca spirituale che gli permette di nutrirsi della Parola divina. San Gregorio il Teologo dice della preghiera spirituale: «Il tuo spirito resti incessantemente un tempio di Dio perché tu conservi nel profondo del tuo cuore l'immortale presenza del re divino »

Bisogna sapere che secondo gli scritti dei santi Padri ci sono due tipi di preghiere spirituali: uno per i principianti, che può essere paragonato all'azione (praxis), e l'altro per i perfetti, che corrisponde alla contemplazione (theoria). La prima è l'inizio, la seconda il punto d'arrivo, poiché « agire » significa innalzarsi per « contemplare ». Proprio in questo sta infatti ogni sforzo ascetico quando si lotta con l'aiuto di Dio: si combatte per l'amore di Dio e del prossimo, per la dolcezza, la pazienza e l'umiltà e per adempiere tutte le altre leggi di Dio e dei Padri; si combatte per la perfetta obbedienza dell'anima e del corpo, per i digiuni, le veglie la contrizione le genuflessioni e tutte le altre mortificazioni della carne, per l’esatta osservanza delle prescrizioni riguardanti l'ufficio divino e la preghiera in cella, per l'esercizio spirituale della preghiera privata, per le lacrime e la meditazione sulla morte. Tutto questo è lotta fintanto che la nostra ragione umana è preda dei nostri capricci e della nostra testardaggine. Tutto questo, lo si sa bene, può essere chiamato « agire », « azione », praxis. Ma « vedere» e « contemplare », tutto ciò ancora non lo è.

Quando però, con l'aiuto di Dio, attraverso questo combattimento e soprattutto in grande umiltà, l'uomo è arrivato a lavare la sua anima e il suo cuore da ogni impurità spirituale e dai godimenti della carne, allora interviene la grazia divina, nostra comune madre: essa illumina la nostra ragione, la prende per mano come la madre fa con il suo bambino, la fa salire gradino per gradino e le rivela, a seconda del grado della sua purezza, i misteri indicibili e insondabili di Dio. Questa è la vera visione, la contemplazione (theoria).

Preghiera contemplativa - la «preghiera pura » di Isacco il Siro - sguardo rispettoso su Dio stesso: ecco cos'è. Che nessuno abbia ad avventurarsi in questa contemplazione con le sue proprie forze o di testa propria, senza che Dio lo visiti e lo guidi con la sua grazia. « Se, ciò nonostante, qualcuno avesse la pretesa di innalzarvisi senza la luce della grazia divina, sappia che, dice san Gregorio il Sinaita, le sue visioni sono solo chimere proiettate in lui dall'inganno del maligno ».

Bisogna anche sapere che Gregorio il Sinaita ha distinto otto tipi di contemplazione. « Possiamo contare, dice, otto principali oggetti di contemplazione. Primo: Dio, la Causa invisibile, eterna e increata di ogni cosa, l'unità della Trinità in tre persone e la Divinità soprannaturale. Secondo: l'ordine e la gerarchia delle potenze spirituali. Terzo: il piano divino della creazione. Quarto: L'incarnazione del Verbo di Dio. Quinto: la resurrezione dell'universo. Sesto: la seconda e terribile venuta di Cristo. Settimo: le pene eterne. Ottavo: il regno dei cieli e la sua infinità eterna ».

Si sappia bene anche che la santa azione della preghiera spirituale ha rappresentato la costante occupazione dei nostri Padri ripieni di Dio e che essa ha rischiarato come il sole la vita dei monaci: sul Sinai, nel deserto di Scete, sul monte Nitria, a Gerusalemme e nei nostri monasteri: in una parola, in tutto l'Oriente; a Costantinopoli, sulla santa Montagna dell'Athos, sulle isole, e, in tempi più recenti, per grazia di Cristo, anche in tutta la Russia. I nostri Padri ebbri di Dio, tutti ardenti del fuoco serafico dell'amore di Dio e del prossimo, hanno avuto il privilegio di diventare, grazie a questo spirituale raccoglimento, fedelissimi custodi dei comandamenti di Dio e vasi dello Spirito santo. Essi infatti avevano purificato il loro cuore e la loro anima e cancellato in se stessi le tare dell'uomo vecchio. In una santa esaltazione e poiché lo Spirito comunicava loro la sapienza, a proposito della preghiera spirituale hanno scritto pagine tutte ispirate dall'Antico e Nuovo Testamento. Era disegno della Provvidenza che la loro santa occupazione non cadesse dopo di loro nella dimenticanza. Tra le file dei veri credenti nessuno ha mai denigrato questa pratica spirituale, questa sorveglianza del paradiso del cuore; la si è sempre stimata, rispettata come portante in sé il più alto profitto spirituale.

Ma Satana, artefice di ogni malizia, nemico di ogni buona azione, si è accorto che questa occupazione spirituale permetteva ai monaci di restare ai piedi di Cristo nell'amore e di progredire nella perfezione con una sempre più totale fedeltà ai comandamenti divini. Ha usato allora tutti i suoi artifici per discreditare agli occhi degli uomini questa attività così salutare per l'anima ed estirparla per sempre dalla terra. Così il Maligno ha reclutato in terra d'Italia l'eresiarca Barlaam, la vipera calabrese, e, rintanandosi in lui con tutta la sua potenza malefica, gli ha ispirato di venire a diffamare la nostra fede ortodossa.

Il Signore Gesù Cristo stesso, dalle origini della fede ortodossa e fino ai nostri giorni, è stato pietra d'inciampo per gli increduli e salvezza dell'anima per i credenti; lo stesso succede per la preghiera di Gesù: sebbene sia stata una pietra d'inciampo e un'occasione di scandalo per qualche fedele e qualche scettico nessuno tuttavia, prima di questo eresiarca, aveva osato denigrare tale ascesi e sparlare di quelli che la praticano.

Barlaam, questo rettile sfuggito dall'inferno, si è dunque recato dalla Calabria in Grecia e ha posto la sua prima residenza a Tessalonica, non lontano dal monte Athos Proprio qui, tra i monaci aghioriti, sentì parlare della santa preghiera spirituale. Allora, forte del suo sapere filosofico e delle sue conoscenze astrologiche, cominciò a distillare il suo veleno contro i monaci contro la preghiera, contro la stessa Chiesa di Dio e la sua dottrina. La luce divina di Cristo, lo splendore increato ed eterno che sul monte Tabor è rifulso sui suoi santi discepoli ed apostoli, costui ha preteso fosse stata creata.

Insieme al suo discepolo Akindin ha fatto lo stesso discorso a proposito degli altri attributi divini propri, per essenza e natura, alla sola e stessa essenza della santa Trinità così come i raggi, lo splendore e la luce sono propri al sole; tali attributi sono: l'efficienza, la potenza, la grazia, la luce e lo splendore, i doni, le perfezioni e tutto ciò che in Dio non si può misurare né numerare. Tutti i cristiani ortodossi i quali confessano che in Dio non ci può essere nulla di creato e che in lui tutto è increato ed eternamente esistente, li hanno riguardati come gli adoratori di due o più dèi, ma in realtà essi erano dei senza Dio.

Per questo i Padri aghioriti della santa Montagna dell'Athos si sono riuniti in concilio locale. Hanno dichiarato anatema le calunnie di Barlaam, dopo che questi aveva respinto tutte le esortazioni orali e scritte che gli vennero fatte. Più tardi, i quattro grandi concili tenuti a Costantinopoli nella chiesa della divina Sapienza (Haghia Sofia), estesero l'anatema a tutti gli eretici e ai loro seguaci. Ai primi due di questi concili aveva assistito Gregorio Palamas, all'epoca ancora semplice monaco; fu anche presente al terzo concilio nella sua qualità di vescovo di Tessalonica. Quanto al quarto concilio, ebbe luogo solo dopo la sua morte. In tutte queste assemblee, la Chiesa pronunciò l'anatema contro tutti gli eretici che rifiutavano di fare penitenza e di abiurare i loro errori, mentre i monaci dell'Athos furono lodati da tutta la Chiesa per la purezza della loro fede, riconosciuta esente da ogni errore, diffamazione o menzogna. Così la preghiera di Gesù, pronunciata non soltanto dalle labbra, ma dal fondo del cuore illuminato dalla ragione, venne sottratta ai colpi degli eretici e glorificata da tutta la nostra santa Chiesa come un'opera divina.

E ora, ve ne prego e prego anche Dio: frequentate con un santo ardore, con una fede a tutta prova gli scritti dei Padri e l'insegnamento che vi consegnano. Questo insegnamento è in accordo con la Sacra Scrittura, con le dichiarazioni dei Dottori ecumenici della Chiesa e con la santa Chiesa stessa, poiché in tutte queste fonti di verità, chi agisce è sempre lo Spirito. E lo Spirito che istruisce i Padri quali nostri maestri nella vita monastica. E poiché la loro fedeltà è stata gradita a Dio, i misteri del regno di Dio sono stati loro rivelati; Dio ha svelato loro il senso profondo della Sacra Scrittura e per questo gli scritti dei Padri contengono il vero insegnamento per i monaci che vogliono assicurare la loro salvezza. Rimanete saldamente attaccati a questo insegnamento, ma tenetevi lontani da ogni controversia e fuggite ogni discussione quando i detrattori della preghiera spirituale vogliono guadagnarvi alla loro causa. Né loro, né altri infatti possono presentare una sola testimonianza in favore della loro falsa sapienza; non possono fondarla che sulla sabbia di una ragione empia e traviata.

Quanto a voi che sostenete la verità, quali fedeli e sinceri figli della Chiesa ortodossa di Dio, costruite sulla salda roccia della fede! Non mancate infatti di testimoni per l'autentica osservanza dei co­mandamenti di Dio e per la pratica della santa preghiera di Gesù: ci sono tutti i nostri santi ebbri di Dio che posso citarvi qui... Seguite bene i loro santi insegnamenti; sforzatevi con il corpo e con l'anima di praticare tutte le opere buone e gradite a Dio. Fate ciò che potete con l'aiuto della grazia di Dio.

Amen

(tratto da IGOR SMOLITSCH, Santità e preghiera, ed. Gribaudi).