mercoledì 16 novembre 2011

Gertrude di Helfta - "Le Rivelazioni" - Volume 2 - (Capp. 16-24)


S. Gertrude la GrandeLe Rivelazioni, II, Capitoli 16-20

Casella di testo: 16 – Manifestazioni del Signore nel giorno di Natale ed in quello della Purificazione

Nel santissimo giorno di Natale ti ricevetti dal Presepio, sotto forma di tenero bambino tutt’avvolto in fasce, e ti tenni stretto al mio cuore. Volevo fare di tutte le sofferenze causate dalle tue infantili necessità come un fascetto di mirra da tener sul mio petto onde trarne per l’anima abbondante balsamo di divina dolcezza. E mentre io pensavo di non poter ormai ricevere dono più grande di questo, Tu, che ad un primo favore ti compiaci di far seguire un altro più alto, ti sei degnato di variare per me, come ora ti dirò, la sovrabbondanza della tua salvifica grazia.

L’anno seguente, infatti, in questo stesso giorno di Natale, durante la Messa «Dominus dixit ad me [Il Signore mi ha detto]», ti ricevetti sotto la forma di un delicatissimo e tenerissimo bambino dal grembo della tua Vergine Madre e ti tenni per qualche tempo sul mio petto. Forse la compassione che alcuni giorni prima di questa festa avevo dimostrato ad una persona afflitta pregando per lei, aveva contribuito ad ottenermi questo favore. Confesso però che dopo averlo ricevuto non lo custodii con la dovuta devozione. Non so se ciò accadde per una disposizione della tua giustizia o per mia negligenza. Spero tuttavia che sia accaduto per disposizione insieme e della tua giustizia e della tua misericordia, al fine di farmi meglio comprendere la mia indegnità e farmi nello stesso tempo temere di esserne stata io la causa con la mia negligenza nell’allontanare i pensieri inutili.

Ma, se sia stato per questo o per quel motivo, rispondi Tu per me o Signore mio Dio.

Mi sforzavo dunque di riscaldarti con le mia affettuose carezze, ma avevo l’impressione di non riuscire fino a che non mi misi a pregare per i peccatori, per le anime del Purgatorio e per tutti quelli che si trovassero a quell’ora in qualche afflizione. Avvertii subito allora l’effetto della mia preghiera e l’avvertii in modo particolare una sera in cui presi la risoluzione di incominciare da allora in poi le mie preghiere per i defunti con l’Oremus: «Dio onnipotente ed eterno che mai supplichiamo senza speranza di misericordia, abbi pietà delle anime dei tuoi fedeli e degnati annoverare fra i tuoi Santi coloro che uscirono da questa vita confessando il tuo nome», in favore dei tuoi amici, anziché, come avevo fatto fino allora con l’Oremus: «O Dio che ci hai comandato di amare il padre e la madre…» [questo Oremus si trova ancora nel Messale Romano] in favore dei miei genitori. Mi parve che ciò tornasse più accetto.

Mi sembrò che anche Tu provassi soave compiacimento quando, cantando a piena voce le tue lodi, mi applicavo a fissare in Te, ad ogni nota, la mia attenzione, così come ci si applica a tenere gli occhi fissi sul libro quando non si sa bene la melodia a memoria. Ma ti confesso, o Padre pieno di bontà, che ho commesso molte negligenze in queste ed in alcune altre cose che capisco tornare a tua lode. Te lo confesso nell’amarezza della passione del tuo innocentissimo Figliuolo Gesù Cristo, nel quale hai detto di trovare tutte le tue compiacenze: «Questo è il mio Figliuolo diletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 17,5). Per mezzo suo ti offro il mio desiderio di emendazione affinché Egli supplisca alle mie negligenze.

Nel santissimo giorno della Purificazione, durante quella Processione in cui Tu, salvezza e redenzione nostra, volesti essere portato al Tempio insieme con le offerte, mentre si cantava l’Antifona «Cum inducerent…», la tua Vergine Madre mi ingiunse di renderle il Figliuolino diletto del suo seno, mostrandomi un volto molto severo quasi non ti avessi custodito come a Lei piaceva, Tu che sei la gloria ed il gaudio della sua immacolata verginità. Ricordandomi allora che per la grazia che ha trovato al tuo cospetto essa è chiamata la riconciliatrice dei peccatori e la speranza dei disperati, proruppi in queste parole: «O Madre di pietà, non ti è forse stato dato in figlio Colui che è la sorgente stessa della misericordia, perché tu ottenessi grazia a tutti coloro che ne son privi, e perché la tua sovrabbondante carità coprisse la moltitudine dei nostri peccati e difetti?». Mentre parlavo il suo volto prese un’espressione serena e benevola per farmi capire che, se le mie colpe l’avevano costretta a mostrarsi severa, Essa non ha tuttavia per noi che viscere di misericordia, essendo tutta penetrata dalla dolcezza della divina carità. E ne avevo certo in quel momento stesso, una chiarissima prova poiché alcune parole erano bastate a dissipare quell’espressione severa e a far apparire la sua innata serena dolcezza. La copiosa indulgente bontà della Madre tua interceda dunque per tutti i miei peccati presso la tua misericordia.

Mi facesti infine comprendere con luminosa evidenza che Tu non sai contenere la sovrabbondanza della tua dolcezza, perché l’anno seguente, nello stesso santissimo giorno di Natale, mi elargisti un dono simile a questo di cui ho parlato, ma ancora più belo. Ti comportasti come se il mio grande fervore dell’anno precedente avesse potuto meritarmelo, mentre invece, non un altro dono, ma un castigo mi sarebbe stato dovuto per la mia negligenza nel custodire il primo dono. Mentre infatti nel Vangelo venivano lette le parole: «Diede alla luce il suo Figliuolo primogenito…», la tua immacolata Madre con le sue purissime mani ti porse a me, o frutto benedetto del suo seno verginale. Sì, ti offrì a me piccolo ed amabile, mentre Tu con tutte le forze ti protendevi per farti prendere in braccio. Io ti presi – nonostante, ahimè, la mia estrema indegnità! – e tu circondasti con le tue braccine il mio collo e mi ristorasti tutta col soffio soavissimo del respiro che usciva dalle tue benedette labbra. Che la mia anima ti benedica, o Signore mio Dio, e che tutto ciò che è in me benedica il tuo santo nome.

Quando poi la tua beatissima madre ti avvolse nelle fasce, io avrei voluto chiederle di avvolgermi insieme con Te, per non essere separata neppure da un semplice pannolino da Colui le cui carezze vincono di gran lunga la dolcezza del miele. Mi parve allora che Tu fossi involto nel candido lino dell’innocenza e stretto nell’aurea fascia della carità; se dunque volevo essere avvolta e stretta insieme a Te, bisognava che mi applicassi, ben più di quanto avevo fatto fino allora, ad acquistare la purezza di cuore e a praticare le opere di carità.

Grazie ti siano rese, o creatore degli astri, che rivesti di splendore i luminari del cielo e di svariati colori i fiori di primavera. Tu non hai bisogno dei nostri doni e tuttavia nella seguente festa della Purificazione mi chiedesti di vestirti prima di essere presentato al Tempio e, aprendomi il segreto tesoro delle tue ispirazioni, me ne insegnasti il modo. Mi applicai dunque con ogni studio ad esaltare l’immacolata innocenza della tua umanità senza macchia con una devozione fedele e disinteressata da rinunciare personalmente, qualora mi fosse stato possibile averla, a tutta la gloria della tua dolce innocenza pur di vederla maggiormente esaltata in Te. Per questa mia intenzione Tu, la cui onnipotenza chiama tutto ciò che è come tutto ciò che non è (cf Rm 4,17) mi apparisti rivestito di una veste candida come quella di un bambino appena nato.

Ammirai poi con la stessa devozione l’abisso della mia umiltà e mi parve che su detta veste tu indossassi allora una tunica verde, quasi a significare che nella valle dell’umiltà la tua grazia verdeggia e fiorisce senza mai inaridire. Meditai ancora sul movente di ogni tua azione e ti vidi vestito di un purpureo manto che mi fece comprendere come la carità sia la veste senza la quale nessuno penetra nel regno dei Cieli.

Contemplai in seguito queste stesse virtù nella tua gloriosa Madre e la vidi vestita allo stesso tuo modo. Poiché dunque questa benedetta Vergine, rosa fiorita senza spine, candido giglio senza macchia, è ornata dei fiori di tutte le virtù, interceda Essa sempre, te ne preghiamo, per noi, onde per mezzo suo venga arricchita la nostra indigenza.

Casella di testo: 17 – Come Dio veli la sua divina presenza

Un giorno, dopo essermi lavata le mani per andare a mensa, in piedi al mio posto attendevo insieme alla comunità di entrare in refettorio, e intanto ammiravo la chiarezza del sole che in quel momento brillava in tutto il suo splendore, e pensavo fra me: Se il Signore che ha creato questo sole e che è Egli stesso un fuoco divorante di cui, come è detto, lo stesso sole e la luna ammirano la bellezza [Cuius pulchritudinem sol et luna mirantur – Antifona all’Ufficio di S. Agnese]; se il Signore, dico, fosse veramente con me come spesso mi pare che sia, come sarebbe mai possibile che il mio cuore rimanesse così freddo e che fossi così dura e cattiva nel trattare gli altri?

Ed ecco che Tu, la cui parola, pur sempre così dolce, mi riesce tanto più soave, quanto più è necessaria al mio cuore titubante, subito rispondesti: «Come potresti esaltare la mia onnipotenza se io non potessi velare, dovunque lo creda opportuno, la mia presenza, per non rivelarla e renderla percepibile se non nella misura che precisamente conviene a quel tempo, a quel luogo e a quella determinata persona? Dall’inizio della creazione del cielo e della terra, in tutta l’opera della redenzione, mi son servito più della sapienza dell’amore che della potenza della maestà; e questa mia sapienza di amore riluce soprattutto quando sopporto gli imperfetti al fine di attirarli nella pienezza del loro libero arbitrio sulla via della perfezione».

Casella di testo: 18 – Una paterna lezione

In un certo giorno di festa avevo visto accostarsi alla santa Comunione diverse persone che si eran raccomandate alle mie preghiere. Io invece, trattenuta da un’infermità, o piuttosto, come temo, respinta per disposizione divina a causa della mia indegnità, stavo ripensando tra me, o mio io, a tutti i benefici di cui mi hai colmata.

Cominciai ad un tratto a temere che il vento della vanagloria potesse essiccare il fiume della grazia divina e desideravo essere illuminata in qualche modo da te per potermene premunire in futuro. Ecco in qual modo la tua paterna bontà degnò istruirmi al riguardo.

Io dovevo raffigurarmi il tuo affetto per me come l’affetto di un padre che gode nel vedersi circondato da numerosi figli ammirati da tutti, in casa e fuori, per la loro grazia e la loro bellezza. Uno di questi figli però non ha ancora raggiunto il suo pieno sviluppo ed il padre, per questo motivo, pieno di affettuosa compassione, lo prende sulle ginocchia più spesso degli altri e lo colma di carezze e di piccoli doni.

Aggiungesti poi che se veramente con piena convinzione mi fosse ritenuta più imperfetta degli altri, il torrente delle tue divine consolazioni non avrebbe mai cassato di riversarsi nell’anima mia.

O Dio pieno di amore, che sei l’Amico dell’uomo, per questo e per tutti gli altri salutari ammaestramenti coi quali volesti istruire la mia insipienza, io ti offro il mio ringraziamento in unione alla mutua azione di grazie dell’adorabile tua Trinità. Deploro le innumerevoli negligenze con le quali ho spento in me il dolcissimo tuo Spirito, le deploro nell’amarezza della passione del Signore, offrendoti per esse le sue pene e le sue lagrime; mi unisco alla efficacissima orazione del diletto tuo Figlio e ti chiedo, in virtù dello Spirito Santo, l’emendazione di tutti i miei peccati e la compensazione di tutte le mie deficienza. Degnati di concedermi questa grazia per quell’amore che ritenne la tua collera, quando fu annoverato tra gli scellerati questo dilettissimo tuo Figliolo unigenito, delizia della tua paternità.

Casella di testo: 19 – Una paterna lode della degnazione divina

Rendo grazie, o Dio amantissimo, alla tua benigna misericordia e alla tua misericordiosa benignità per l’attenzione di amore con cui hai degnato confermare la mia anima incerta e vacillante, quando, come son solita, ti chiedevo con desideri importuni di liberarmi dal carcere di questa miserabile carne. Non che intendessi sottrarmi alle sue miserie: ma volevo veder sciolta la tua bontà dal debito di grazia che, nel tuo immenso divino amore, ti eri impegnato a pagarmi per la salvezza dell’anima mia. E questo non perché la tua divina onnipotenza e la tua eterna sapienza me la conferissero contro voglia, quasi fossi forzato a farlo, ma perché la tua liberalità e bontà infinita l’elargivano a me, indegnissima ed ingrata.

Mi pareva che Tu, corona ed onore della celeste gloria, quasi lasciando per così dire il regale soglio della tua maestà, con lieve e soavissimo gesto ti inchinassi verso di me. E mi pareva che a questo tuo gesto di degnazione come dei torrenti di dolcezza si diffondessero per tutti gli spazi del cielo, e che tutti i Santi, inchinandosi con riconoscenza, come inebriati da questo torrente di soavità divina, prorompessero in un canto dolcissimo in lode di Dio.

Io intanto udivo queste parole: «Considera quanto sia dolce e gradita questa lode all’orecchio della mia maestà e come penetri e commuova le intime profondità del mio Cuore amantissimo. Cessa dunque di desiderare con tanta insistenza di essere sciolta dai lacci di questa carne a cui elargisco il dono della mia gratuita pietà; poiché quanto più indegno è colui verso il quale mi inchino, tanto maggiore è la riverenza con cui vengo esaltato, e ben a ragione, da ogni creatura».

E poiché questa tua consolazione mi veniva concessa nel momento in cui mi accostavo al Sacramento della vita e a questo, come era giusto, era rivolta ogni mia attenzione, aggiungesti al dono suddetto anche un altro ammaestramento. Mi dicesti infatti che tutti dovrebbero accostarsi alla Comunione del tuo sacratissimo Corpo e del tuo preziosissimo Sangue con tali disposizioni da non esitare per amore del tuo amore e della tua gloria a ricevere in questo Sacramento anche la propria condanna (se ciò fosse possibile) purché potesse maggiormente risplendere la tua divina bontà che non disdegna di comunicarsi a creatura tanto vile.

E volendo io addurre come scusa che chi si astiene dalla Comunione in considerazione della propria indegnità lo fa per non profanare con presuntuosa irriverenza un così eccelso Sacramento, ricevetti questa risposta benedetta: «Chi si accosta con l’intenzione che ho detto non può accostarsi con irriverenza». Te ne sian rese lode e gloria nei secoli dei secoli

Casella di testo: 20 – Gli speciali privilegi a lei concessi da Dio

Che il cuore e l’anima mia, che tutte le facoltà e i sensi del mio spirito e del mio corpo, insieme a tutte le creature dell’universo ti rendano lodi e grazie, o Dio dolcissimo, fedelissimo amico della nostra salvezza, per la tua immensa degnazione e misericordia. Non bastò alla tua pietà il dissimulare l’irriverenza con cui tante volte ho osato accostarmi senza la dovuta preparazione all’ineffabile convito del tuo santissimo Corpo e del preziosissimo tuo Sangue: volesti ancora elargire a me, il più inutile e il più vile degli strumenti di cui ti servi, un nuovo dono in aggiunta ai tuoi precedenti favori.

Tu volesti darmi la certezza che se un’anima, desiderosa di accostarsi al tuo Sacramento ma trattenuta dalla trepidazione della sua coscienza, umilmente viene a cercare conforto da me, l’ultima delle tue serve, Tu, per questa sua umiltà, nella tua ineffabile misericordia la giudicherai degna di tanto sacramento, ed essa lo riceverà veramente con frutto per la sua eterna salvezza. Ed aggiungesti ancora che se la tua giustizia non ti permettesse di giudicarla degna, non permetteresti neppure che essa si umiliasse a chiedermi consiglio.

O Dominatore eccelso, che abiti nell’alto dei cieli e volgi il tuo sguardo sulla nostra bassezza, a che cosa ma ti ha indotto la tua divina misericordia! Quante volte mi vedesti accedere indegnamente a questo divino Sacramento, meritando così dalla tua giustizia un severo giudizio! Ma Tu volevi che altri se ne rendesse degno con la virtù dell’umiltà e, pur potendo meglio riuscire in questo tuo intento senza il mio concorso, decretasti, per provvedere nella tua bontà alla mia indigenza, di servirti di me, affinché almeno così potessi aver parte ai meriti di coloro che, seguendo il mio consiglio, venissero a conseguire il frutto della salvezza.

Non bastava prò questo solo rimedio alla mia miseria e perciò non se ne accontentò la tua bontà, o benigno Signore! Volesti ancora assicurarmi che, pur indegna come sono, se alcuno con cuore contrito e con spirito di vera umiltà verrà a parlarmi con rammarico di qualche suo difetto, Tu lo giudicherai o colpevole o innocente secondo che io avrò stimato la sua colpa o grave o leggera. Per tua grazia, inoltre, e a suo sollievo, da quel momento mai più le sue cadute in tal difetto saranno così gravi come lo erano prima. Anche con ciò volesti venire incontro alla mia estrema indigenza, facendo sì che dopo essere sempre stata in tutti i giorni della mia vita tanto negligente da non riuscire mai, ahimè, a vincere del tutto neppure il più piccolo dei miei difetti, ora meritassi di aver almeno parte nella vittoria altrui. Sì, o Dio mio buono, Tu degnasti assumermi a tuo vilissimo strumento, onde potere per le mie parole concedere ad altri tuoi amici, più degni di me, la grazia della vittoria.

In una terza maniera la tua immensa liberalità volle arricchire la mia indigenza, assicurandomi cioè che a tutti coloro ai quali, confidando nella tua divina misericordia, avrò promesso qualche beneficio o il perdono di qualche peccato, il tuo misericordioso amore lo concederà secondo la mia volontà, come se Tu stesso glielo avessi giurato con la tua benedetta bocca. In prova di ciò aggiungesti che se il salutare compimento di questa promessa sembrasse loro protrarsi troppo a lungo, dovessero insistere nel ricordarti che io l’avevo loro promesso in tuo nome. E così provvedesti ancora una volta al mio proprio bene secondo il detto evangelico: «Con la stessa misura con cui misurate agli altri sarà misurato a voi» (Lc 6,38) poiché, non cessando io purtroppo di cadere in colpe gravi, almeno per questo privilegio che mi hai concesso, ti sia dato motivo di giudicarmi con minor severità.

Ancora un quarto beneficio mi concedesti con l’assicurazione che chiunque si raccomandasse alle mie preghiere con umile e devota intenzione, senza alcun dubbio conseguirà tutto il frutto che è lecito sperare da una intercessione. E anche che per questa via provvedesti alla mia negligenza poiché, assolvendo io assai male il dovere della preghiera sia pubblica che privata per la Chiesa – la quale ritornerebbe a mio proprio vantaggio secondo la parola del profeta: «La tua preghiera ritornerà nel tuo seno» (Sal 34,13) – Tu volesti supplirvi facendomi in qualche misura partecipe del merito di coloro a cui elargisci le tue grazie per la mia indegnissima intercessione.

E un quinto modo trovasti per operare la mia salvezza e fu lo speciale dono per cui nessuno che voglia con buona volontà, retta intenzione e umile fiducia parlarmi dei suoi interessi spirituali, potrà mai partirsi da me senza essere stato edificato e consolato. Tu vedevi quanto questo dono convenisse alla mia indigenza, poiché spesso, ahimè, perdendomi in parole inutili, sciupo il talento dell’eloquenza naturale, concessomi, benché tanto indegna, dalla tua liberalità. In questo modo almeno, spendendolo a servizio degli altri, ne ricaverò qualche frutto spirituale.

Il sesto dono della tua liberalità, o Dio benignissimo, fu un dono a me necessario sopra ogni altro. Tu mi assicurasti che chiunque mi userà la carità di pregare con viva fiducia per me, vilissima fra tutte le creature di Dio, o si adopererà con parole od opere buone ad emendarmi dai peccati e dalle ignoranze della mia gioventù e a correggermi della mia malizia e cattiveria, riceverà come premio dalla tua liberalissima misericordia di non uscire da questa vita senza aver conseguito la grazia di esserti tanto accetto, da meritare la dolcezza della tua particolarissima familiarità.

Con questo dono la tua paterna tenerezza volle venire incontro alla mia estrema necessità. Tu non ignoravi infatti quanto bisogno avessi di emendarmi dai miei innumerevoli difetti e negligenze. Il tuo amore misericordioso non voleva a nessun costo lasciarmi perire, e d’altra parte la tua ammirabile giustizia non poteva in alcun modo permettere che io mi salvassi con tante imperfezioni. Provvedesti dunque al mio bene facendo sì, che dividendo il merito fra più persone, crescesse il profitto di ciascuna.

Per ultimo, la tua incontenibile liberalità, o benignissimo Iddio, volle ancora elargirmi questo dono: se alcuno dopo la mia morte, ricordando la divina condiscendenza con cui durante la vita ti chinasti verso la mia pochezza, vorrà raccomandarsi umilmente alle mie benché indegne orazioni, Tu lo esaudirai senz’altro purché, in riparazione della sua negligenza passata, ti ringrazi con umile devozione per cinque particolari benefici a me conferiti:

Il primo è l’amore con il quale la tua gratuita misericordia ha degnato eleggermi da tutta l’eternità. E questo è veramente, lo confesso, il più gratuito dei tuoi doni! Pur prevedendo infatti il susseguirsi delle mie cattive azioni e la mia malizia, nequizia e nera ingratitudine, per cui avresti dovuto giudicarmi indegna, anche fra i pagani, del privilegio della ragione, volesti tuttavia superare nella tua tenerezza tutte le mie miserie ed eleggermi a preferenze di altri cristiani, alla dignità dello stato religioso.

Il secondo beneficio è quello di avermi attirata a te per la mia salvezza, e anche questo, lo confesso in tutta giustizia, lo devo alla mansuetudine e benignità che ti son proprie per natura. Per essa il mio cuore indomabile (a cui meglio sarebbero convenute delle catene di ferro) fu da te attirato con soavissima tenerezza, come se, riconoscendomi partecipe della tua stessa mansuetudine, Tu provassi nell’unirti a me, ogni possibile diletto.

Il terzo beneficio fu la tua familiare unione con me, che allo stesso modo devo, per giustizia, attribuire alla tua immensa incontenibile liberalità. Come se il numero dei giusti non fosse sufficiente per accogliere l’abbondanza della tua divina misericordia, ti degnasti di chiamare anche la più sprovvista di meriti, affinché il miracolo della tua degnazione meglio rilucesse in che meno era preparato ad accoglierlo.

Il quarto beneficio è che tu abbia voluto trovare in me le tue delizie e questo, come non ha disdegnato di affermare, devo attribuirlo, se posso esprimermi così, alla follia del tuo amore – a meno che la tua onnipotente sapienza trovi la sua delizia nel potersi unire, in qualche inconcepibile modo, a un essere così dissimile da te e sotto ogni riguardo così inetto a tale unione!

Il quinto beneficio è che ti degni consumarmi tutta in te. E questo beneficio, benché indegnissima, umilmente e fermamente spero di riceverlo, secondo la tua fedele verace promessa, dalla dolcissima misericordia del tuo amore. E nella carità che me ne rende certa, lo accolgo fin d’ora con gratitudine, riconoscendolo, non già da alcun merito mio, ma soltanto dalla tua gratuita clemenza e misericordia, o mio sommo, o mio solo, o mio unico, eterno Bene!

Tutti questi tuoi benefici sono effetto di una degnazione così stupenda e sono così sproporzionati alla mia bassezza, che in nessun modo potrei mai bastare a rendertene grazie. Ma anche in questo volesti sovvenire alla mia indigenza inducendo, con le più dolci promesse, altre anime, a farlo per me, affinché dai loro meriti potesse venire completata e supplita la mia pochezza. Ti rendano degne lodi e grazie per questa degnazione tutte le creature del cielo, della terra e degli abissi.

Il tuo amore onnipotente degnò poi confermare tutte queste grazie nel modo seguente: Un giorno ripensavo fra me a questi tuoi benefici, e – misurando dalla mia malvagità la tua paterna misericordia la cui sovrabbondanza mi riempie di gioia – giunsi a tanto di presunzione da rimproverarti di non aver confermato le tue promesse dandomi la tua mano, come è d’uso fra quelli che si promettono qualcosa.

La tua condiscendente dolcezza mi promise di soddisfare questo desiderio dicendo: «Non volgi oche tu abbia motivo di pena, vieni e ricevi la conferma del mio patto». E subito dal fondo del mio nulla, vidi che mi aprivi con entrambe le mani quell’arca della divina fedeltà e della verità infallibile che è il tuo Cuore divino, e invitavi me, che perversa ti chiedevo come i Giudei un segno, ad introdurvi la mia mano destra. Chiudesti allora l’apertura, trattenendovi dentro la mia mano e mi dicesti: «Ecco, ti prometto di mantenere intatti i doni che ti ho conferito, e se accadrà che per qualche tempo ritenga opportuno di sottrartene l’effetto, mi impegno a restituirteli in seguito triplicati in nome dell’onnipotenza, della sapienza e della bontà della Trinità santissima in seno alla quale vivo e regno, Dio vero, nei secoli dei secoli».

Dopo queste parole di soavissima pietà, ritirando la mano la vidi ornata di sette cerchietti d’oro a guisa di anelli, uno per ciascun dito e tre nell’anulare, in fede che i sette predetti privilegi mi venivano confermati secondo il mio desiderio.

E nella tua incontenibile bontà aggiungesti ancora: «Ogni volta che ripensando alla tua miseria ti riconoscerai indegna dei miei doni e ti abbandonerai con fiducia alla mia bontà, tu mi offrirai il tributo che mi devi per tutti i beni che ti ho elargito».

E con quanta sapienza la tua paterna bontà sa provvedere ai suoi figli caduti in un abisso di degenerazione, quando, non potendo essi più offrirti per la perduta innocenza l’omaggio di una perfetta devozione, ti degni di gradire da parte loro almeno il riconoscimento della loro propria indegnità, la cui misura non potrebbe d’altronde rimanere nascosta ad alcuno! O Datore supremo da cui procede ogni bene, e senza cui nulla è valido, nulla è santo, concedimi di sapere, a tua lode e a mia salvezza, riconoscere in ogni tuo dono materiale o spirituale la mia estrema indegnità, ma fa insieme che in ogni cosa io sempre confidi, con fiducia pienissima, nella tua misericordia!

21 - Gli effetti della visione di Dio

Riterrei ingiusto, ripensando ai gratuiti benefici della tua amorosa clemenza verso di me indegna creatura, il lasciar cadere in ingrata dimenticanza il favore che, per un’ammirabile degnazione della tua amorosissima pietà, ricevetti durante la Quaresima di un certo anno. Nella seconda domenica, mentre alla Messa che precede la Processione si cantava il responsorio «Vidi Dominum facie ad faciem: Vidi il Signore faccia a faccia», Tu illuminasti la mia anima con un incredibile fulgore di luce divina e in questa luce vidi, quasi applicato al mio volto, un altro volto, quello di cui Bernardo dice: «Non formato, ma formante, non tale da colpire gli occhi del corpo, ma da infondere letizia nel cuore, accetto e gradevole non per lo splendore dell’incarnato ma per l’amore che spira» (S. Bernardo, Sermo XXXI, In Cantica).

Tu solo conosci, o Soavità ineffabile, la dolcezza di cui penetrasti non solo la mia anima, ma il mio cuore e tutte le mie membra in questa visione in cui i tuoi occhi, ma due soli, parevano fissarsi proprio nei miei. Possa io finché vivo rendertene grazie col servizio pi devoto.

Benché la rosa piaccia assai più in primavera quando tutta in fiore olezza rigogliosa, che non in inverno quando avvizzita da un pezzo rammenta soltanto il passato profumo, tuttavia anche allora, col richiamare il piacere altra volta provato, sempre ci arrechi un certo diletto. Desidero perciò, a lode del tuo amore, esprimere con qualche immagine ciò che la mia piccolezza ha provato in questa deliziosa visione. Se chi leggerà queste parole avrà sperimentato un favore simile o anche maggiore sarà eccitato, nel ricordarlo, a renderne grazie. Ed io stessa, rievocandolo più di frequente, forse riuscirò a diradare alquanto la caligine della mia negligenza, rendendone grazie a quel Sole divino che ha riflesso su di me i suoi raggi.

Quando dunque, come ho già detto, applicasti contro il mio indegno volto il tuo volto desideratissimo spirante tanta copia di beatitudine, sentii che dai tuoi occhi si infondeva nei miei una luce ineffabile e soavissima, che pervadendo l’intimo del mio essere, sembrava penetrare tutte le mie membra con un’inesprimibile virtù. Parve dapprima che essa mi privasse del midollo delle ossa, poi che consumasse le mie ossa stesse insieme alla carne e che tutto il mio essere si immedesimasse con questo splendore divino che, cangiando in se stesso con ineffabile giuoco, tutta mi penetrava di una giocondissima serenità.

O che altro posso dire di questa dolcissima visione? Ma la chiamerò visione? Credo infatti che l’eloquenza di tutte le creature si sarebbe invano affaticata a descrivermi, per lo spazio di una vita intera, questo sublime modo di contemplarti se, per tua degnazione, o mio Dio, unica salvezza dell’anima mia, non ne avessi fatto la felice esperienza. Una cosa tuttavia voglio aggiungere. Se accade delle cose divine come delle umane, se cioè la virtù del bacio divino sorpassa ancora, come bene credo, l’efficacia di questa visione, mai, senza il soccorso di Dio, potrebbe rimanere unita al suo corpo un’anima a cui tale dono fosse concesso sia pur per un breve momento. Ma non ignoro che la tua inscrutabile onnipotenza e la tua immensa misericordia ti fanno mirabilmente adattare così le visioni come gli amplessi ed i baci e le altre attenzioni di amore alle circostanze di luogo, tempo e di persona, come io stessa ho potuto sperimentare più volte.

Sì, ti rendo grazie in unione al tuo mutuo amore che regna nella tua adorabile Trinità, di aver spesso degnato concedermi anche il tuo soavissimo bacio. Spesso mentre, seduta in coro, tutta raccolta in te, leggevo le Ore canoniche o l’Ufficio dei Defunti, dieci volte e anche più nel corso di uno stesso Salmo, il tuo soavissimo bacio si posò sulle mie labbra: bacio divino, la cui dolcezza sorpassa quella di tutti gli aromi e del miele. Molte volte pure sentii posarsi su di me il tuo sguardo pieno di amore, e spesso ancora avvertii nella mia anima la fortissima stretta del tuo amplesso. Confesso tuttavia che, per quanto grande sia stata la dolcezza di questi favori, mai sperimentai in alcuno l’effetto profondo che operò in me il sublime sguardo di cui sopra ho parlato. Per questo, come per tutti gli altri favori di cui Tu solo conosci l’efficacia, io ti offro quel gaudio superiore ad ogni senso che in seno alla Divinità le tre Persone si comunicano a vicenda.

Casella di testo: 22 - Azione di grazie per un grandissimo segreto dono

E così pure ti sieno rese grazie e anche maggiori, se è possibile, per un certo altissimo dono a Te solo noto. La sua eminente dignità fa sì che io non lo possa esprimere a parole, e non mi permette d’altra parte di passarlo del tutto sotto silenzio. Se l’umana fragilità – mai sia! – dovesse un giorno farmene perdere il ricordo, questo scritto mi permetterebbe almeno di richiamarlo alla memoria onde eccitare la mia gratitudine. Ma la tua benignissima misericordia, o mio Dio, impedisca alla più indegna delle tue creature di giungere a tanta demenza! Mai, neppure per un istante, possa sottrarsi al mio ricordo e alla mia gratitudine il dono che mi concedesti in questa gaudiosa tua visita – dono che la tua incontenibile liberalità mi ha così gratuitamente elargito e permesso di conservare per tanti anni senza alcun mio merito.

Benché sia l’ultima delle tue creature confesso che questo dono supera tutto ciò che è possibile all’uomo ottenere quaggiù.

Prego dunque la dolcezza della tua pietà che, con la stessa degnazione con cui me lo conferisti senza alcun mio merito, ti degni ancora di conservarmelo a gloria tua, e di operare in me per questo dono un’azione così profonda da esserne in eterno lodato da ogni creatura. Quanto più evidente infatti è la mia indegnità, tanto più grande è la gloria di cui rifulge la tua condiscendente misericordia.

Casella di testo: 23 – Azione di grazie, e relazione dei divini benefici che era solita leggere devotamente a epoche determinate insieme con le preghiere che la precedono e la seguono

Che la mia anima ti benedica, o Signore Iddio, che lamia anima ti benedica, o mio Creatore, e che dall’intimo dell’essere proclami le liberalissime e gratuite misericordie con cui mi hai prevenuta, o mio dolcissimo Amico. Ne rendo grazie come posso alla tua immensa misericordia, e lodo e glorifico la longanime pazienza che ti fece come dimenticare gli anni della mia infanzia, della mia adolescenza e della mia gioventù. Li trascorsi infatti, fino al mio venticinquesimo anno, in un tale accecamento di mente che sarei stata capace, come ora ben comprendo, di pensare, dire o fare senza alcun rimorso tutto ciò che mi fosse piaciuto e dovunque avessi potuto, se tu non mi avessi prevenuta, sia con un insito orrore del male ed una naturale inclinazione per il bene, sia con la vigilanza esterna degli altri. Mi sarei comportata come una pagana che vive in ambiente pagano, come se non avessi mai capito che la tua giustizia rimunera il bene e punisce il male – e ciò che pur avendo Tu voluto che fin dall’infanzia e cioè dal mio quinto anno di età, abitassi nel santuario benedetto della religione per esservi educata fra i tuoi amici più devoti.

Benché la tua beatitudine, o mio Dio, non possa crescere dé diminuire, e benché Tu non abbia alcun bisogno dei nostri beni, pure in un certo senso la mia vita piena di colpe e di negligenze ha sottratto qualcosa alla tua gloria, dal momento che in ogni istante e senza alcuna interruzione il mio essere come quello di ogni altra creatura, avrebbe dovuto cantar le tue lodi. Tu solo sai ciò che il mio cuore, sul quale hai degnato chinarti per scuoterlo fin nel profondo, ora provi a questo pensiero!

Compresa di questi sentimenti ti offro in riparazione dei miei peccati, o Padre amantissimo, la passione del diletto tuo Figlio a cominciare dal momento in cui deposto nel presepio emise il primo vagito, su su attraverso le privazioni dell’infanzia, e alle sofferenze dell’adolescenza e della giovinezza, fino all’ora in cui, chinato il capo sulla croce, con un gran grido emise lo spirito.

E ti offro pur, o Padre amatissimo, per tutte le mie negligenze l’intera santissima vita del tuo Unigenito, perfetta nei pensieri, nelle parole, nelle azioni dal primo momento in cui, scendendo dall’eccelso suo trono, entrò per il «fiat» della Vergine nella terra del nostro esilio, fino all’ora in cui si presentò al tuo paterno sguardo nella gloria della sua carne vittoriosa.

Ma è giusto che il cuore dei tuoi amici risenta e ripari ogni ingiuria a te fatta. Ti prego perciò per il tuo Unigenito e nella virtù dello Spirito Santo, di voler applicare quest’offerta della vita e della passione del tuo Figliuolo diletto anche alla remissione delle colpe di coloro che, o pregati da me o indotti a farlo per altra via, (sia durante la mia vita, sia dopo la mia morte) vorranno, a tua lode, supplire in qualche misura al mio difetto, anche con un solo sospiro o con qualsivoglia altro benché minimo atto.

Rimanga valido presso di te, te ne supplico, questo mio desiderio fino alla consumazione dei secoli, anche quando per la tua grazia già regnerò con Te nei cieli.

Ti rendo dunque grazie dall’abisso della mia umiltà, e lodo e adoro quella bontà dolcissima per cui Tu, Padre delle misericordie, volesti avere verso di me, che vivevo una vita così insensata, pensieri di pace e non di afflizioni. Ti lodo, perché degnasti esaltarmi con la grandezza e la moltitudine dei tuoi favori, come se, superiore agli altri mortali, avessi condotto fino allora una vita angelica.

Cominciasti durante un certo Avvento, prima di quella festa dell’Epifania in cui ricorreva il mio venticinquesimo compleanno, toccandomi il cuore con un misterioso turbamento per il quale ogni follia giovanile prese a venirmi a noia. Così cominciasti a preparare il mio cuore. Al principio poi del ventiseiesimo anno, un certo lunedì precedente la festa della Purificazione, all’ora del crepuscolo dopo Compieta, Tu, vera luce che splendi nelle tenebre, mettesti termine così alla notte di quel mio turbamento come al giorno della mia leggerezza giovanile oscurato fa tanta tenebra di ignoranza spirituale.

In quell’ora infatti degnasti farmi avvertire chiaramente la tua presenza in modo mirabile e oltre ogni dire soave, e con una riconciliazione piena di bontà mi unisti a Te nella conoscenza e nell’amore. Mi insegnasti a raccogliermi nell’interno della mia anima, fino allora per me inesplorata, e cominciasti a trattar con me in modo mirabile e misterioso, come se ti compiacessi di abitare con l’amico, anzi lo sposo con la sposa.

Continuasti poi per questa tua misericordia a visitarmi in altri momenti e in diversi modi, soprattutto nella vigilia di una certa festa dell’Annunciazione, e poi ancora in un altro giorno prima dell’Ascensione, in cui cominciasti affettuosamente a visitarmi fin dal mattino e compisti lo stupendo dono che ogni creatura dovrà in eterno ammirare. Da quel momento infatti fino ad ora – eccetto una sola volta , in cui non ti sentii per lo spazio di undici giorni – mai, neppure per un istante, ti allontanasti dal mio cuore, ché ogni volta che mi raccolgo nell’intimo dell’anima sempre ti sento presente.

Io non so ridire quanti altri eminenti doni volesti unire a questo della tua salutare presenza in me. Concedimi dunque, o Datore di ogni bene, di offrirti in spirito di umiltà un’ostia di giubilo per tutti i tuoi favori, ma soprattutto per esserti preparata, secondo il tuo e il mio desiderio, una così gioconda abitazione nel mio cuore! Tutto ciò che ho detto o udito, infatti, intorno al Tempio di Salomone o alle sale del banchetto di Assuero non potrebbero essere paragonato al luogo di delizie che con la tua grazia Tu stesso ti sei preparato nell’anima mia, e che mi hai concesso, se pure indegnissima, di condividere con Te, quasi regina col re.

Due di questi favori mi sono cari sopra ogni altro: le stimmate delle tue salutari piaghe che mi imprimesti, quasi preziosi monili, nel cuore, e la profonda e salutare ferita d’amore con cui mi segnasti. Tu mi inondasti con questi Tuoi doni di tanta beatitudine che, anche dovessi vivere mille anni senza nessuna consolazione né interna né esterna il loro ricordo basterebbe a confondermi, illuminarmi, colmarmi di gratitudine.

Volesti ancora introdurmi nella inestimabile intimità della tua amicizia, aprendomi in diversi modi quel sacrario nobilissimo della tua Divinità che è il tuo Cuore divino. Tu mi facesti trovare in esso l’abbondanza di tutte le tue delizie, ora offrendomelo spontaneamente, ora, in segno ancor più manifesto di mutua amicizia, dandomelo in cambio del mio. Mi elargisti così la conoscenza dei tuoi segreti giudizi e l’esperienza delle tue più nascoste delizie e mi inondasti spesso l’anima di tanta dolcezza che, se non conoscessi la tua ineffabile degnazione, sarei stupita di vederti prodigare queste testimonianze di amore anche alla più degna di tutte le creature: la tua stessa Madre che con Te regna nei cieli.

Spesso poi mi inducesti con soave delicatezza alla salutare conoscenza dei miei difetti. Me ne risparmiasti con tanta delicatezza la confusione da sembrare, se fosse lecito esprimersi così, che avresti preferito perderla metà del tuo regno piuttosto che spaventare la mia puerile timidezza. Con abile diversione Ti mi rivelavi quanto ti dispiacessero i difetti di talune persone. Rientrata in me stessa, io mi ritrovavo al riguardo ben più colpevole di loro: eppure nessun segno da parte tua mi aveva fatto neanche lontanamente sospettare che questo mio difetto ti avesse in qualche modo rattristato.

Mi attirasti inoltre a Te con la promessa delle grazie di cui volevi colmarmi e in vita e in morte; e certo, anche se non avessi avuto alcun altro dono, questo solo basterebbe a farmi anelare a Te con la più ardente speranza.

Ma neppure così esauristi l’oceano della tua incontenibile misericordia. Volesti ancora esaudire spesse volte le mie preghiere elargendomi incredibili grazie, sia per i peccatori sia per altre anime, e ancora in altre circostanze; e grazie così grandi che mai ho trovato un amico a cui senza esitazione osassi comunicarle, per l’esperienza che ho fatta della pusillanimità del cuore umano.

A questo cumulo di benefici aggiungesti quello di darmi per Avvocata la santissima Vergine Maria Madre Tua, e di avermi spesso raccomandata al suo affetto come il più fedele degli sposi potrebbe raccomandare alla propria madre la sposa sua diletta.

Hai poi spesso deputato al mio speciale servizio, o Dio pieno di bontà, i più nobili Principi della tua corte, scegliendo, non solo fra gli Angeli e gli Arcangeli, ma anche tra le stesse gerarchie più alte, quelli che, per il particolare ministero loro affidato, la tua misericordia giudicava più atti per incoraggiarmi a renderti, in questo o quell’esercizio di pietà, un ossequio più conveniente.

A volte, per mio maggior bene, mi sottraevi, in parte e per qualche tempo, la tua consolazione sensibile io, con vergogna ingratitudine, subito dimenticavo tutti i tuoi doni come se non avessero avuto alcun valore. Ma quando poi, per tua grazia, me ne pentivo e te li richiedevo, Tu all’istante me li restituivi intatti, come se con diligentissima cura te li avessi affidati per custodirli.

C’è un’altra grazia ancora più meravigliosa: ed è quella che mi concedesti una volta nel santissimo giorno di Natale, e poi ancora nella Domenica «Esto mihi» e in un’altra dopo la Pentecoste, quando mi rapisti ad una così intima unione con Te da ritener più che un miracolo l’aver potuto, dopo, continuare a vivere sulla terra come creatura umana fra le creature umane. Ben più atto però a suscitare stupore e orrore insieme è il fatto che dopo, ahimè, io non mi sia emendata, come avrei dovuto, dei miei difetti!

Ma non per questo la sorgente delle tue misericordie si inaridì, o Signore Gesù che ami come nessuno sa amar, e solo veramente ami, e ami gratuitamente, anche i più indegni!

Dopo un po’ di tempo infatti – vilissima, indegnissima e perciò anche sommamente ingrata qual sono – cominciai a non trovare più gusto in questi doni che cielo e terra dovrebbero magnificare con indicibile tripudio, per la degnazione con cui l’infinitamente grande si è chinato su di una creatura infinitamente piccola. Tu allora, Datore, rinnovatore e Conservatore di ogni bene, per scuotere il mio torpore e rieccitarmi alla gratitudine rivelasti ad alcune persone, che so esserti devote e familiari, i doni che mi avevi elargito. Questi tuoi servi non potevano aver appreso queste cose da altri, poiché io non le avevo rivelate a nessuno; eppure dalle loro labbra io udii le parole che mi avevi detto nel segreto del cuore.

Con queste parole e con altre ancora che spesso mi ricorrono alla memoria, io ti rendo ciò che è tuo, o mio Dio. Io le sento come risuonare, in virtù dello Spirito Santo, sull’organo dolcissimo del tuo Cuore divino, e canto: o mio Signore e mio Dio, Padre adorato, sian lodi e grazie a Te, in cielo, in terra e negli abissi, da parte di tutte le creature che sono, che furono e che saranno!

Ma poiché lo splendore dell’oro riceve maggior rilievo se è messo a confronto coi diversi colori, e specialmente col nero per la maggior dissomiglianza, aggiungerò qui, a contrasto con gli innumerevoli doni che hai fatti divinamente rifulgere in me, quel che veramente mi appartiene in proprio, e cioè la tenebrosità della mia vita sconoscente ed ingrata.

Tu mi elargivi i doni a Te convenienti, secondo la liberalità della tua regale, o meglio divina natura, e io, secondo la mia ingenita rozzezza, non li ricevevo altrimenti che guastando da creatura vilissima ogni tuo dono. La tua regale mansuetudine pareva però ignorarlo e non cessavi per questo di elargirmeli. Ma mentre Tu, che nell’amore del Padre tuo riposi in una celeste dimora, degnavi di cercar ricovero nella mia povera casa, io, ospite tua vilissima, rozza e negligente, trascuravo di occuparmi di Te, e ti trattavo come certo non avrei dovuto trattare per puro senso di umanità, un lebbroso che mi avesse colmata di ingiurie e di oltraggi, e fosse poi stato spinto dalla necessità a chiedermi di ospitarlo sotto il mio tetto.

Tu, che rivesti di splendore le stelle, mi imprimesti nel gaudio dello spirito le stimmate delle tue santissime piaghe, mi rivelasti i tuoi segreti, mi ammettesti alla dolcezza della tua più affettuosa intimità, colmandomi di maggior copia di gaudio spirituale di quella che mai avrei potuto procurarmi nell’ordine sensibile se avessi percorso il mondo dall’Oriente all’Occidente. E io ingrata, facendoti ingiuria, tutto ho disprezzato e, avida di diletti esteriori, ho anteposto alla tua manna celeste gli agli e le cipolle dell’Egitto.

Diffidando, o Dio verace, delle tue promesse, quasi fossi stato un mentitore infedele alla sua parola, ho impedito alla speranza di portare in me il suo frutto. Non solo, ma, mentre Tu benignamente condiscendevi alle mie indegne orazioni, ho spesso indurito il mio cuore alla tua volontà e son giunta (lo dovrei dire piangendo) fino a fingere di non comprenderla per non essere istigata a compiere la voce della coscienza.

Tu mi avevi concesso il patrocinio della gloriosa tua Madre e degli Spiriti beati, e io, miserabile, ho spesso impedito loro di soccorrermi col cercare l’aiuto degli amici terreni, invece di contare soltanto su di Te. La tua benignità, fra tutte queste negligenze, mi conservava infatti i tuoi doni e io, invece di essertene ancora più grata e di guardarmi da ogni trascuratezza, rendendo con malizia diabolica male per bene, sembravo prenderne incitamento a vivere senza cautela.

Ma la colpa mia più grave sta in questo: che dopo l’unione così incredibile con Te che Tu solo conosci, non ho temuto di macchiare di nuovo l’anima mia con quei difetti che Tu mi avevi lasciato solo per darmi occasione, lottando, di vincerli col tuo aiuto e di averne eternamente con Te una maggior gloria nel cielo. E sta ancora in quest’altro: che avendo Tu, per eccitarmi a maggior gratitudine, svelato ai tuoi amici i miei segreti, io, dimenticando il fine che ti proponevi, ne trassi qualche volta una soddisfazione del tutto umana, trascurando di rendertene la dovuta azione di grazie.

E ora,o Signore che hai creato il mio cuore, lascia che, per tutte queste offese e per altre ancora che mi possono tornare in mente, salga a Te il gemito del mio cuore! Accetta la deplorazione che ti offro di tutte queste mie infedeltà – troppe, invero, di fronte alla tua magnanima divina clemenza! Salga a Te questo gemito da parte di tutte le creature del cielo, della terra e degli abissi, e sia da Te accolto con quella nobile compassione ed indulgenza che ci hai fatte conoscere per mezzo del Figliuolo tuo dilettissimo, nello Spirito Santo!

Nella mia impotenza a produrre, o Signore dolcissimo che tanto mi ami: ispira nella tua pietà a coloro il cui cuore devoto e fedele può placarti, di supplire con gemiti, orazioni e buone opere, alla mia insufficienza, e di renderti così la lode che a Te solo è dovuta, o Dio e Signore nostro! Tu vedi il mio cuore, Tu conosci con chiarezza che solo il puro amore della tua lode, di fronte a tanta tua immensa bontà, mi ha indotto a scrivere queste cose, onde molti, leggendole dopo la mia morte, siano tocchi dalla grandezza della tua misericordia. Ma infatti per amore della nostra salute scendesti così in basso come quando volesti permettere che innumerevoli e immensi tuoi doni fossero da una tua creatura tenuti a vile e profanati, come io purtroppo ho fatto.

Ma rendo grazie come posso alla tua misericordiosa clemenza, o mio Signore e mi oDio, mio Creatore e mio Redentore, per avermi resa certa, nell’abisso della tua pietà, che chiunque, sia pur peccatore, vorrà con l’intenzione che ho detto e con la maggior devozione possibile ricordarsi a loda tua di me, sia pregando per i peccatori, sia rendendo grazie per gli eletti o facendo qualsiasi altra opera buona, non uscirà da questo mondo prima che Tu lo abbia ricompensato con una tal grazia speciale da renderti accetta la sua vita e farti trovar diletto a dimorare nel suo cuore.

Per tanto dono ti sia resa quella lode eterna che, procedendo dall’Amore increato, eternamente in Te rifluisce.

Casella di testo: 24 – Offerta del presente libro

Ecco, o amantissimo Signore: per amore del tuo amore e ad accrescimento della tua gloria, io ti rendo qui, con quanto ho scritto sia nella prima che nella seconda parte di questo libro (1), il talento di quel commercio familiare con Te che con immensa degnazione hai voluto affidare a questa tua creatura indegna, la più vile tra le vili.

Spero fermamente infatti, osa anzi per tua grazia affermare con certezza, che nessun altro fine mi ha indotto a scrivere o dire tali cose se non quello di consentire alla tua volontà, e il desiderio della tua lode e lo zelo per le anime. Tu mi sei testimone di questo desiderio di lodarti e ringraziarti per l’incontenibile pietà che ti ha indotto a non sottrarti a me, benché indegna; e ancora del mio desiderio che altri, leggendo queste pagine, presi dalla dolcezza del tuo amore, siano attratti a sperimentare nella tua intimità grazie grandi. Chi si dà agli studi comincia dall’alfabeto e arriva talvolta alla filosofia; possano molti allo stesso modo per queste descrizioni e queste immagini esser condotti a gustare quella nascosta manna che non comporta in sé alcun elemento sensibile e di cui solo può avere fame chi già se ne è cibato.

Di questa manna, o Dio onnipotente elargitore di ogni bene, degnati di pascerci sempre lungo il cammino del nostro esilio, fino al giorno in cui, contemplando faccia a faccia la gloria del Signore, siam trasformati nella stessa immagine, di gloria in gloria (2Cor 3,18) per opera del tuo soavissimo Spirito.

Intanto, secondo la tua fedele promessa e l’umile mio intento e desiderio, fa che tutti coloro che con umiltà leggeranno questo scritto condividano con me il gaudio di tanta tua degnazione, compatiscano la mia indegnità e ricevano una grazia di compunzione a loro profitto. E possa salire a Te, dall’aureo incensiere del loro cuore ardente di carità, tale soave profumo che valga a compensare abbondantemente ogni mia negligenza ed ogni mia ingratitudine. Amen.

(1) Prima, cioè, e dopo l’interruzione di cui alla nota del capitolo quinto.