lunedì 5 settembre 2011

Preghiera Notturna - XXIII Settimana T.O. - Anno "A"



Di seguito i testi della preghiera notturna dei Certosini della XXIII settimana del T.O. - Anno "A"


Dal vangelo secondo Luca.

17,11-19

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la
Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i
quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi
pietà di noi".


Dai discorsi di san Bernardo.

Sermo XXVII De diversis, 5-6.8. PL 183, 614-616.


Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Come
ricorderete, sono queste le parole del Salvatore quando rimproverò
l'ingratitudine dei nove lebbrosi. Essi avevano saputo rivolgere a Dio
domande, suppliche, preghiere, come dice san Paolo, quando si erano messi a
gridare: Gesù maestro, abbi pietà di noi! Tuttavia mancò loro il rendimento
di grazie che conclude la suddetta enumerazione paolina, perché non
tornarono indietro, non vennero a ringraziare il Signore.

Anche oggi, molti chiedono con una certo accanimento ciò di cui si
riconoscono mancanti; però si direbbe che siano ben pochi quelli che
manifestano un'adeguata riconoscenza per i benefici ricevuti. Non vi è
nulla di male a chiedere con insistenza. Ma se ti mostri ingrato, in realtà
la tua domanda rimane inadempiuta.




Forse è anche per bontà che il Signore non accoglie le richieste degli
ingrati. Così ci evita di essere giudicati tanto più imperdonabili quanto
più tralasciamo di manifestare riconoscenza per un cumulo di benefici in
continuo aumento. In tal caso negare misericordia è proprio della
misericordia.

Beato invece quel Samaritano che riconobbe di non avere nulla che non
avesse ricevuto. Egli custodì il deposito ricevuto e fece ritorno nel
rendimento di grazie. Beato l'uomo che per ogni dono della grazia, ritorna
verso Cristo, nel quale si trova la pienezza di tutti i doni. Il fatto di
mostrarci riconoscenti a lui per i benefici ricevuti, significa creare in
noi lo spazio adeguato a riceverne ancora di più grandi. L'ingratitudine
sola impedisce in noi il progresso della crescita.




L'uomo felice è colui che si reputa Samaritano, cioè straniero e il
quale, magari per piccoli favori, ringrazia sempre con non piccola
gratitudine. Egli sa perfettamente che i doni del Regno che Dio gli
concede, si rivolgono nella sua persona a un estraneo, cioè a qualcuno che
non ha nessun titolo che lo raccomandi.

Quanto a noi, poveri e miseri come siamo, finché dura la nostra
consapevolezza di essere degli estranei, ci mostriamo timorosi, umili,
devoti. Ma poi dimentichiamo facilmente quanto poco ci erano dovuti i
benefici che Dio ci elargì. A torto presumiamo di essere gli intimi del
Signore, senza far attenzione fino a qual punto meriteremmo di sentirci
dire: I nemici di Dio saranno quelli della sua casa. Infatti, allora lo
offendiamo con più facilità, dimentichi che i nostri peccati meriteranno di
essere condannati con severità maggiore, secondo le parole del salmista: Se
mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato.




Fratelli, umiliamoci sempre di più sotto la potente mano di Dio e
mettiamo ogni sforzo a rigettare ben lontana l'ingratitudine, questo vizio
odioso, enorme. Invece, di tutto cuore dedichiamoci al rendimento di
grazie, in modo da attirare su di noi il favore del nostro Dio, l'unico che
ci possa salvare.

E la nostra non sia una riconoscenza solo a parole, a fior di labbro,
ma una riconoscenza capace di tradursi in opere, in realtà concreta.
Infatti un'azione di grazie, vale a dire un ringraziamento vissuto più che
parlato è quanto richiede il Signore nostro Dio, datore di ogni grazia, lui
che è benedetto nei secoli. Amen.