sabato 11 luglio 2015

Recita dei Vespri nella Cattedrale di Asunción. Omelia di Papa Francesco

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Recita dei Vespri nella Cattedrale di Asunción. Papa Francesco: "Se la divisione tra noi provoca la sterilità, non c’è dubbio che dalla comunione e dall’armonia nasca la fecondità, perché sono profondamente consonanti con lo Spirito Santo"
Sala stampa della Santa Sede
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Poco dopo le 18 di oggi, il Santo Padre è giunto alla Cattedrale di Asunción e sul sagrato ha ricevuto dal Sindaco le Chiavi della Città, mentre un’orchestra di duecento arpe paraguayane eseguivano musiche tradizionali. Entrato in Cattedrale, Papa Francesco guida la recita dei Vespri con i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i membri di movimenti cattolici. Nel corso della Celebrazione, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:
Che bello è pregare tutti insieme i Vespri! Come non sognare una Chiesa che rifletta e ripeta l’armonia delle voci e del canto nella vita quotidiana? E lo facciamo in questa Cattedrale, che tante volte ha dovuto ricominciare di nuovo; questa Cattedrale è segno della Chiesa e di ognuno di noi: a volte le tempeste da fuori e da dentro ci obbligano a buttar giù ciò che abbiamo costruito e cominciare di nuovo, ma sempre con la speranza riposta in Dio; e se guardiamo questo edificio, senza dubbio non ha deluso i paraguayani, perché Dio non delude mai e per questo lo lodiamo con gratitudine.
La preghiera liturgica, con la sua struttura e la sua forma ritmata, vuole esprimere la Chiesa tutta, sposa di Cristo, che cerca di conformarsi al suo Signore. Ognuno di noi nella nostra preghiera vogliamo diventare più somiglianti a Gesù.
La preghiera fa emergere quello che stiamo vivendo o che dovremmo vivere nella vita quotidiana, almeno la preghiera che non vuole essere alienante o solo decorativa. La preghiera ci dà impulso per mettere in atto o verificarci in ciò che recitavamo nei salmi: siamo noi le mani di Dio che «dall’immondizia rialza il povero» (Sal 112[113],7) e siamo noi a lavorare perché la tristezza della sterilità si trasformi nella gioia di un campo fertile. Noi che cantiamo che “è preziosa agli occhi del Signore la vita dei suoi fedeli” (cfr Sal 116,15), siamo quelli che lottiamo, ci diamo da fare, difendiamo il valore di ogni vita umana, dalla nascita fino a che gli anni sono molti e la forza poca. La preghiera è riflesso dell’amore che sentiamo per Dio, per gli altri, per il mondo creato; il comandamento dell’amore è la miglior configurazione con Gesù del discepolo missionario. Stare attaccati a Gesù dà profondità alla vocazione cristiana, che, coinvolta nel “fare” di Gesù – che è molto più che delle attività –, cerca di assomigliare a Lui in tutto ciò che compie. La bellezza della comunità ecclesiale nasce dall’adesione di ciascuno dei suoi membri alla persona di Gesù, formando un “insieme vocazionale” nella ricchezza della varietà armonica.
Le antifone dei cantici evangelici di questo fine settimana ci ricordano l’invio dei Dodici da parte di Gesù. Sempre è bene crescere in questa coscienza di lavoro apostolico in comunione. E’ bello vedervi collaborare pastoralmente, sempre a partire dalla natura e dalla funzione ecclesiale di ogni vocazione e ogni carisma. Desidero esortare tutti voi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e seminaristi ad impegnarvi in questa collaborazione ecclesiale, specialmente intorno ai piani pastorali delle diocesi e alla missione continentale, cooperando con tutta la vostra disponibilità al bene comune. Se la divisione tra noi provoca la sterilità (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 98-101), non c’è dubbio che dalla comunione e dall’armonia nasca la fecondità, perché sono profondamente consonanti con lo Spirito Santo.
Tutti abbiamo limiti, e nessuno può riprodurre nella sua totalità Gesù Cristo nella sua totalità, e sebbene ogni vocazione si configura principalmente con alcuni raggi della vita e dell’opera di Gesù, ce ne sono alcuni comuni e irrinunciabili. Abbiamo appena lodato il Signore perché «non ritenne un privilegio essere come Dio» (Fil 2,6), e questa è una caratteristica di ogni vocazione cristiana: chi è chiamato da Dio non si vanta, non va in cerca di riconoscimenti né di applausi effimeri, non sente di esser salito di categoria e non tratta gli altri come se fosse su un piedestallo.
Il primato di Cristo è descritto chiaramente nella liturgia della Lettera gli Ebrei; noi abbiamo appena letto quasi il finale di tale Lettera: “Renderci perfetti come il pastore grande delle pecore” (cfr 13,20-21) e questo comporta riconoscere che ogni consacrato si configura a Colui che nella sua vita terrena, tra «preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime» (Eb 5,7) raggiunse la perfezione quando imparò, soffrendo, che cosa significava obbedire; e ciò fa parte anche della nostra chiamata.
Terminiamo di recitare i nostri Vespri; il campanile di questa Cattedrale è stato rifatto più volte; il suono delle campane precede e accompagna in molte occasioni la nostra preghiera liturgica: fatti nuovi da Dio ogni volta che preghiamo, saldi come un campanile, gioiosi di suonare a festa le meraviglie di Dio, condividiamo il Magnificat e lasciamo che il Signore compia, mediante la nostra vita consacrata, grandi cose nel Paraguay.