venerdì 11 novembre 2011

Teodoro Studita

Oggi 11 novembre abbiamo ricordato anche:

TEODORO STUDITA

(759-826)

monaco

In questo stesso giorno, nell'826, conclude la sua radiosa parabola terrena Teodoro Studita, confessore della fede e riformatore della vita monastica in oriente. Nato nel 759 da una nobile famiglia della capitale bizantina, Teodoro entrò in un monastero dell'Asia Minore a 22 anni, assieme al padre e ai fratelli. Convinto testimone della fede apostolica, egli conobbe in vita esili e persecuzioni. In un tempo di lotte iconoclastiche difese infatti l'uso delle immagini nella liturgia, e contestò i comportamenti antievangelici degli imperatori, attirandosi ogni sorta di ostilità. Costretto dalle incursioni arabe a rientrare a Costantinopoli, Teodoro fu eletto igumeno del monastero di Studio. Mosso dal profondo desiderio di rinnovare la vita monastica in senso cenobitico, egli fece di Studio un centro monastico il cui irradiamento si estenderà nelle epoche successive. Il Typikón (la regola) di Studio ispirerà infatti numerosissimi ordinamenti comunitari dell'oriente bizantino. La testimonianza di fede di Teodoro è giunta a noi attraverso la collezione delle sue Catechesi, in cui ogni giorno l'igumeno di Studio spezzava il pane della Parola per i suoi fratelli, fortificandoli nella fede e invitandoli a una sequela radicale di Cristo. Il messaggio dei suoi scritti, profondamente umano e cristiano prima ancora che monastico ha nutrito spiritualmente intere generazioni di cristiani orientali.

TRACCE DI LETTURA

Fratelli, se anche noi desideriamo camminare sulle tracce dei santi, non limitiamoci ad osservare ciò che può giovare a noi stessi, ma preghiamo per il mondo intero, avendo compassione di quanti vivono una vita deviata, di coloro che si ostinano nell'eresia, di quanti sono trascinati alla perversione, di coloro che vivono nelle tenebre; in poche parole, per tutti gli uomini, secondo la raccomandazione dell'Apostolo, facciamo preghiere e suppliche. In questo modo, prima ancora di rendere servizio agli altri, gioveremo a noi stessi, poiché saremo penetrati e purificati dal dolore che sorge di fronte alla scoperta che anche in noi abitano le passioni malvage; purificati e liberati dalla passione, ci sia concesso di ottenere la vita eterna in Cristo nostro Signore, al quale appartengono la gloria e la potenza con il Padre e lo Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli.

Teodoro Studita, dalla Piccola catechesi 52

A Maria

Ave, o nube luminosa,
che nel deserto della vita
adombri il nuovo Israele
mediante la tua intercessione.
Grazie a te, vengono uditi
decreti di grazia
e da te è venuto
il Sole di giustizia
che tutto illumina
con i raggi dell'incorruttibilità.
Ave, o candelabro,
vaso aureo e solido della verginità,
il cui stoppino
è la grazia dello Spirito
e il cui olio è quel corpo santo
preso dalla tua carne illibata.
Da essa è nato Cristo,
luce che non conosce tramonto.

A coloro che siedono nell'oscurità

e nell'ombra della morte,
tu hai acceso
una luce di vita eterna.
Ave, o piena di grazia,
creatura e nome
spiritualmente più ricco
di ogni gaudio.
Da te è venuto al mondo Cristo,
gioia immortale e medicina
per la tristezza di Adamo.
Ave, o città risonante
del Grande Sovrano.
In te si apre la reggia dei cieli
e vivono nella gioia i terrestri
che vi sono iscritti come cittadini

* * *

Dall'Opera «Sulla Natività della Signora nostra Madre di Dio» di Teodoro Studita (†826)

Ave, o unica Madre ignara di uomo. Tu sola sei rimasta illibata tra tutte le madri e hai raggiunto i risultati delle madri pur vivendo da Vergine. O nuovo prodigio tra tutti i prodigi!
Ave, o Vergine che hai generato; tu sola tra le vergini hai partorito e hai perseguito gli obiettivi delle vergini, pur vivendo da madre. O miracolo arduo per tutti!
Ave, o impronta regale, che hai plasmato in forma simile al tuo corpo materno il Re di tutti, che ha preso da te la sua sostanza; cosicché quale era la genitrice, tale era anche il generato.
Ave, o libro stampato (cf. Is 29,11), esente da ogni pensiero libidinoso. Il Signore di quella legge che era stata impressa a caratteri divini, nascendo da te, ti ha conosciuto lui solo in modo verginale.
Ave, o volume del nuovo mistero (cf. Is 8,1), assolutamente immacolato a causa della incorruzione; in te il Verbo senza forma viene trascritto con lo stiletto della specie umana; assume cioè un corpo, divenendo in tutto simile a noi, eccetto nel peccato (cf. Eb 4,15).
Ave, o fontana sigillata (cf.Ct 4,12) che fa scaturire l'incorruttibilità. Tu hai dato alla luce il Cristo, che è sorgente della vita, senza che vengano minimamente lesi i sigilli della verginità. Resi immortali dalla comunione con lui, noi siamo nuovamente condotti a quel paradiso che non invecchia.
Ave, o giardino chiuso, fecondità giammai prima aperta alla verginità; il tuo profumo è come quello di un campo che il Signore, da te nato, ha benedetto.
Ave, o rosa immarcescibile, infinitamente olezzante. Il Signore, attirato dal tuo profumo, ha preso riposo dentro di te. Egli stesso, da te sbocciato, ha distrutto il profumo del mondo.



(AA.VV. Testi mariani del primo millennio
vol II, Città Nuova, Roma 1989, pp. 645-646)

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Sulla Natività della Madre di Dio di san Teodoro Studita.

Homilia II in Nativitatem B.V.Mariae,4.7. PG 96,683-686.690.

Che c'è di più puro e di più irreprensibile della Vergine Maria? Dio amo talmente questa luce cosi intensa e cosi pura, da unirsi sostanzialmente a lei, per opera dello Spirito Santo e da lei nascere, come uomo perfetto, senza ne mutamenti ne confusione delle proprietà.
Quale prodigio! Nel suo immenso amore per gli uomini, Dio non si è vergognato di prendere come Madre la propria ancella. Inaudita condiscendenza del Signore! Nella sua sconfinata bontà, egli non esitò a diventare figlio di colei che lui stesso aveva modellato.
Dio era talmente invaghito della più incantevole fra le sue creature che abbracciò colei che supera in dignità le stesse potenze del cielo. Di lei il profeta Zaccaria afferma: Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te. ( Zc 2,14 )
Ma anche il beato Gioele mi sembra che proclami più o meno la stessa cosa di Maria: Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore.( GI 2,21 )

12
Maria è la terra sulla quale colui che ha fondato la terra sulle sue basi ( Sal 103,5 ) viene plasmato nella carne, per opera dello Spirito Santo. Maria è la terra che, senza essere stata seminata, fa schiudere il frutto che da a ognuno il nutrimento.
Maria è la terra dalla quale non è nata la spina del peccato; al contrario, questo è stato da lei espulso grazie al suo germoglio. Maria non è la terra che fu maledetta come la prima, i cui frutti sono pieni di triboli e spine; su di lei invece si è posata la benedizione del Signore e il frutto del suo seno è benedetto.
Ave, o luogo del Signore, terra che Dio ha sfiorato con i suoi passi. Tu hai contenuto nella tua carne colui che come Dio sfugge a ogni limite spaziale. Da te quegli che è semplice è nato composto; l'eterno è entrato nel tempo, l'infinito si è lasciato circoscrivere. Ave, casa di Dio, dimora che brilla di splendori divini.

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San Teodoro Studita: Piccola Catechesi 23 - Per la vigilia della Dormizione della Madre di Dio


Fratelli e padri, qua e là, a seconda dei periodi, si celebrano fiere, come anche adesso a Nicomedia: gli uomini vi accorrono e vi si radunano per vendere e comprare; ma esse durano per breve tempo, e poi giungono al termine. La panéghyris che si celebra nell'anima, invece, è una sola e non ha termine, ma dura quanto la vita di ciascuno: in essa non si contratta né oro, néargento, né vestiario, né altre cose periture e corruttibili, ma la salvezza dell'anima, la vita eterna ed il regno dei cieli, a cui gli uomini dovrebbero dedicare tutto il proprio impegno, mentre i più vi prestano assai poca attenzione, spendendo tutto il proprio impegno ed il proprio entusiasmo in cose vane e destinate alla corruzione. Ma noi, fratelli, guardiamo di non fallire in questo scopo ed in questo buon affare, ma, ascoltando il Signore che dice: Il regno dei cieli è dentro di voi (Lc 17,21), impegniamoci in esso con zelo ogni giorno, non per ricavare oro ed argento, ma fede retta, vita purificata, obbedienza, perseveranza, umiltà, pazienza, e la carità che è il vincolo della perfezione (Col 3, 14). E' ciò che ha spiegato anche il Signore negli evangeli dicendo: Il regno dei cieli è simile a un mercante in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra (Mt. 13, 45-46). Ma se è vero che la fiera è un tempo di allegria, in cui si sta ben svegli senza addormentarsi, anche noi, fratelli, siamo allegri e vigilanti in questa fiera, poichè contrattiamo la nostra salvezza! E' un bravo uomo d'affari, del resto, colui che per prudenza è timoroso in ogni cosa e mai avventato; è un buon compratore colui che scambia le umiliazioni con le lodi; è un buon commerciante colui che versa il sangue e riceve in cambio lo Spirito, attraverso la perseveranza con la quale svolge i servizi. Ma, giacchè siamo venuti a parlare del servizio, dobbiamo ammirare coloro che ogni giorno compiono il loro servizio in cucina, perchè faticano più di tutti, portano i pesi gli uni degli altri ed adempiono così la legge dell'amore; dobbiamo ammirare anche coloro che si occupano dei bisogni indispensabili della comunità, come buoni e provati amministratori ne Signore; ed infine dobbiamo ammirare anche coloro che nelle salmodie cantano con intelligenza (cfr. Sal 46, 8) e attenzione, poichè meritano una ricompensa più grande! [cfr. nota n. 1 alla fine della catechesi] Ecco quale è la nostra vita, il nostro modo di condurci, e l'affare fortunato in cui si sono impegnati i nostri santi padri con molto zelo; e se anche noi ci impegneremo in esso fino a concluderlo, ritorneremo a casa nella gioia, secondo quanto è stato detto dal beato David: Ritorna, anima mia, alla tua pace, perchè il Signore ti ha beatificato(Sal 114, 7). A noi tutti sia concesso di pronunciare queste parole prima di partire al momento della morte, e di ottenere la vita eterna in Cristo Gesù Signore nostro, al quale appartengono la gloria e la potenza, con il Padre e lo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amìn.


Note

Nota num. 1: Spesso nelle sue catechesi, Teodoro si sofferma con particolare benevolenza nei confronti dei cuochi del monastero per il loro duro ed umile servizio, sino a dedicare proprio ai cuochi uno dei suoi Giambi il num. 14 per la precisione: "Cuoco, figlio mio, chi no ti ritiene degno di una corona, tu che sopporti una così grande fatica? Il tuo incarico è servile, ma grande sarà la ricompensa. Il tuo servizio è sporco, ma lava i peccati. Ora il fuoco ti brucia, ma non ti punirà quello futuro! Avanza dunque deciso verso la cucina e fin dal mattino spezza la legna, lava le pentole, cuoci gli alimenti dei miei figli, come se fosse per Dio: condiscili con le preghiere come fai con il sale, per essere benedetto come Giacobbe un tempo; e sii contento di compiere in questo modo la tua corsa". Poco dopo il nostro padre parla del salmodiare con intelligenza. Ci viene in aiuto san Basilio il Grande che ci spiega questo versetto tratto dei salmi nelle sue Regole brevi 279: " Che cosa significa: Cantate i salmi con intelligenza? Ciò che per i cibi è la capacità di percepire il gusto di ciascuno, è l'intelligenza riguardo alle parole della Scrittura. E' detto infatti: Il palato gusta i cibi, e la mente discerne le parole (Gb 12,11). Se, dunque, uno accorda la sua anima al senso di ogni parola, così come accorda il gusto alla qualità di ogni cibo, questo tale adempie il comando che dice: Cantate i salmi con intelligenza"

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Dai «Discorsi» di san Teodoro Studita, abate

(Disc. sull'adorazione della croce; PG 99, 691-694, 695. 698-699)



La croce di Cristo, nostra salvezza


O dono preziosissimo della croce! Quale splendore appare alla vista! Tutta bellezza e tutta magnificenza. Albero meraviglioso all'occhio e al gusto e non immagine parziale di bene e di male come quello dell'Eden.
E' un albero che dona la vita, non la morte, illumina e non ottenebra, apre l'adito al paradiso, non espelle da esso.
Su quel legno sale Cristo, come un re sul carro trionfale. Sconfigge il diavolo padrone della morte e libera il genere umano dalla schiavitù del tiranno. Su quel legno sale il Signore, come un valoroso combattente. Viene ferito in battaglia alle mani, ai piedi e al divino costato. Ma con quel sangue guarisce le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso.
Prima venimmo uccisi dal legno, ora invece per il legno recuperiamo la vita. Prima fummo ingannati dal legno, ora invece con il legno scacciamo l'astuto serpente. Nuovi e straordinari mutamenti! Al posto della morte ci viene data la vita, invece della corruzione l'immortalità, invece del disonore la gloria.
Perciò non senza ragione esclama il santo Apostolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14).
Quella somma sapienza che fiorì dalla croce rese vana la superba sapienza del mondo e la sua arrogante stoltezza. I beni di ogni genere, che ci vennero dalla croce, hanno eliminato i germi della cattiveria e della malizia. All'inizio del mondo solo figure e segni premonitori di questo legno notificavano ed indicavano i grandi eventi del mondo. Stai attento, infatti tu, chiunque tu sia, che hai grande brama di conoscere. Noè non ha forse evitato per sé, per tutti i suoi familiari ed anche per il bestiame, la catastrofe del diluvio, decretata da Dio, in virtù di un piccolo legno? Pensa alla verga di Mosè. Non fu forse un simbolo della croce? Cambiò l'acqua in sangue, divorò i serpenti fittizi dei maghi, percosse il mare e lo divise in due parti, ricondusse poi le acque del mare al loro normale corso e sommerse i nemici, salvò invece coloro che erano il popolo legittimo. Tale fu anche la verga di Aronne, simbolo della croce, che fiorì in un solo giorno e rivelò il sacerdote legittimo. Anche Abramo prefigurò la croce quando legò il figlio sulla catasta di legna.
La morte fu uccisa dalla croce e Adamo fu restituito alla vita. Della croce tutti gli apostoli si sono gloriati, ogni martire ne venne coronato, e ogni santo santificato. Con la croce abbiamo rivestito Cristo e ci siamo spogliati dell'uomo vecchio. Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, siamo stati radunati in un unico ovile e siamo destinati alle eterne dimore.

PREGHIERA

O Dio,
che per mezzo del santo abate Teodoro
hai dato nuovo impulso
e splendore alla vita cenobitica,
fa' che noi,
conformandoci alla passione di Cristo
nella perseveranza,
possiamo divenire partecipi del suo regno.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell'unità dello Spirito santo,
per tutti i secoli dei secoli.


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Di seguito il testo della catechesi del Papa dedicata a san Teodoro Studita, del 27 maggio 2009.


San Teodoro Studita

Cari fratelli e sorelle!

Il Santo che oggi incontriamo, san Teodoro Studita, ci porta in pieno medioevo bizantino, in un periodo dal punto di vista religioso e politico piuttosto turbolento. San Teodoro nacque nel 759 in una famiglia nobile e pia: la madre, Teoctista, e uno zio, Platone, abate del monastero di Sakkudionin Bitinia, sono venerati come santi. Fu proprio lo zio ad orientarlo verso la vita monastica, che egli abbracciò all’età di 22 anni. Fu ordinato sacerdote dal patriarca Tarasio, ma ruppe poi la comunione con lui per la debolezza dimostrata nel caso del matrimonio adulterino dell’imperatore Costantino VI. La conseguenza fu l’esilio di Teodoro, nel 796, a Tessalonica. La riconciliazione con l’autorità imperiale avvenne l’anno successivo sotto l’imperatrice Irene, la cui benevolenza indusse Teodoro e Platone a trasferirsi nel monastero urbano di Studios, insieme alla gran parte della comunità dei monaci di Sakkudion, per evitare le incursioni dei saraceni. Ebbe così inizio l’importante “riforma studita”.

La vicenda personale di Teodoro, tuttavia, continuò ad essere movimentata. Con la sua solita energia, divenne il capo della resistenza contro l’iconoclasmo di Leone V l’Armeno, che si oppose di nuovo all’esistenza di immagini e icone nella Chiesa. La processione di icone organizzata dai monaci di Studios scatenò la reazione della polizia. Tra l’815 e l’821, Teodoro fu flagellato, incarcerato ed esiliato in diversi luoghi dell’Asia Minore. Alla fine poté tornare a Costantinopoli, ma non nel proprio monastero. Egli allora si stabilì con i suoi monaci dall’altra parte del Bosforo. Morì, a quanto pare, a Prinkipo, l’11 novembre 826, giorno in cui il calendario bizantino lo ricorda. Teodoro si distinse nella storia della Chiesa come uno dei grandi riformatori della vita monastica e anche come difensore delle sacre immagini durante la seconda fase dell’iconoclasmo, accanto al Patriarca di Costantinopoli, san Niceforo. Teodoro aveva compreso che la questione della venerazione delle icone chiamava in causa la verità stessa dell’Incarnazione. Nei suoi tre libriAntirretikoi (Confutazioni), Teodoro fa un paragone tra i rapporti eterni intratrinitari, dove l’esistenza di ciascuna Persona divina non distrugge l’unità, e i rapporti tra le due nature in Cristo, le quali non compromettono, in Lui, l’unica Persona del Logos. E argomenta: abolire la venerazione dell’icona di Cristo significherebbe cancellare la sua stessa opera redentrice, dal momento che, assumendo la natura umana, l’invisibile Parola eterna è apparsa nella carne visibile umana e in questo modo ha santificato tutto il cosmo visibile. Le icone, santificate dalla benedizione liturgica e dalle preghiere dei fedeli, ci uniscono con la Persona di Cristo, con i suoi santi e, per mezzo di loro, con il Padre celeste e testimoniano l’entrare della realtà divina nel nostro cosmo visibile e materiale.

Teodoro e i suoi monaci, testimoni di coraggio al tempo delle persecuzioni iconoclaste, sono inseparabilmente legati alla riforma della vita cenobitica nel mondo bizantino. La loro importanza già si impone per una circostanza esterna: il numero. Mentre i monasteri del tempo non superavano i trenta o quaranta monaci, dalla Vita di Teodoro sappiamo dell’esistenza complessivamente di più di un migliaio di monaci studiti. Teodoro stesso ci informa della presenza nel suo monastero di circa trecento monaci; vediamo quindi l’entusiasmo della fede che è nato nel contesto di questo uomo realmente informato e formato dalla fede medesima. Tuttavia, più che il numero, si rivelò influente il nuovo spirito impresso dal fondatore alla vita cenobitica. Nei suoi scritti egli insiste sull’urgenza di un ritorno consapevole all’insegnamento dei Padri, soprattutto a san Basilio, primo legislatore della vita monastica e a san Doroteo di Gaza, famoso padre spirituale del deserto palestinese. L’apporto caratteristico di Teodoro consiste nell’insistenza sulla necessità dell’ordine e della sottomissione da parte dei monaci. Durante le persecuzioni questi si erano dispersi, abituandosi a vivere ciascuno secondo il proprio giudizio. Ora che era stato possibile ricostituire la vita comune, bisognava impegnarsi a fondo per tornare a fare del monastero una vera comunità organica, una vera famiglia o, come dice lui, un vero “Corpo di Cristo”. In tale comunità si realizza in concreto la realtà della Chiesa nel suo insieme.

Un’altra convinzione di fondo di Teodoro è questa: i monaci, rispetto ai secolari, assumono l’impegno di osservare i doveri cristiani con maggiore rigore ed intensità. Per questo pronunciano una speciale professione, che appartiene agli hagiasmata (consacrazioni), ed è quasi un “nuovo battesimo”, di cui la vestizione è il simbolo. Caratteristico dei monaci, invece, rispetto ai secolari, è l’impegno della povertà, della castità e dell’obbedienza. Rivolgendosi ai monaci, Teodoro parla in modo concreto, talvolta quasi pittoresco, della povertà, ma essa nella sequela di Cristo è dagli inizi un elemento essenziale del monachesimo e indica anche una strada per noi tutti. La rinuncia alla proprietà privata, questa libertà dalle cose materiali, come pure la sobrietà e semplicità valgono in forma radicale solo per i monaci, ma lo spirito di tale rinuncia è uguale per tutti. Infatti non dobbiamo dipendere dalla proprietà materiale, dobbiamo invece imparare la rinuncia, la semplicità, l’austerità e la sobrietà. Solo così può crescere una società solidale e può essere superato il grande problema della povertà di questo mondo. Quindi in questo senso il radicale segno dei monaci poveri indica sostanzialmente anche una strada per noi tutti. Quando poi espone le tentazioni contro la castità, Teodoro non nasconde le proprie esperienze e dimostra il cammino di lotta interiore per trovare il dominio di se stessi e così il rispetto del proprio corpo e di quello dell’altro come tempio di Dio.

Ma le rinunce principali sono per lui quelle richieste dall’obbedienza, perché ognuno dei monaci ha il proprio modo di vivere e l’inserimento nella grande comunità di trecento monaci implica realmente una nuova forma di vita, che egli qualifica come il “martirio della sottomissione”. Anche qui i monaci danno solo un esempio di quanto sia necessario per noi stessi, perché, dopo il peccato originale, la tendenza dell’uomo è fare la propria volontà, il principio primo è la vita del mondo, tutto il resto va sottomesso alla propria volontà. Ma in questo modo, se ognuno segue solo se stesso, il tessuto sociale non può funzionare. Solo imparando ad inserirsi nella comune libertà, condividere e sottomettersi ad essa, imparare la legalità, cioè la sottomissione e l’obbedienza alle regole del bene comune e della vita comune, può sanare una società come pure l’io stesso dalla superbia di essere al centro del mondo. Così san Teodoro ai suoi monaci e in definitiva anche a noi, con fine introspezione, aiuta a capire la vera vita, a resistere alla tentazione di mettere la propria volontà come somma regola di vita e di conservare la vera identità personale - che è sempre una identità insieme con gli altri - e la pace del cuore.

Per Teodoro Studita una virtù importante al pari dell’obbedienza e dell’umiltà è la philergia, cioè l’amore al lavoro, in cui egli vede un criterio per saggiare la qualità della devozione personale: colui che è fervente negli impegni materiali, che lavora con assiduità, egli argomenta, lo è anche in quelli spirituali. Non ammette perciò che, sotto il pretesto della preghiera e della contemplazione, il monaco si dispensi dal lavoro, anche dal lavoro manuale, che in realtà è, secondo lui e secondo tutta la tradizione monastica, il mezzo per trovare Dio. Teodoro non teme di parlare del lavoro come del “sacrificio del monaco”, della sua “liturgia”, addirittura di una sorta di Messa attraverso la quale la vita monastica diventa vita angelica. E proprio così il mondo del lavoro va umanizzato e l’uomo attraverso il lavoro diventa più se stesso, più vicino a Dio. Una conseguenza di questa singolare visione merita di essere ricordata: proprio perché frutto di una forma di “liturgia”, le ricchezze ricavate dal lavoro comune non devono servire alla comodità dei monaci, ma essere destinate all’aiuto dei poveri. Qui possiamo tutti cogliere la necessità che il frutto del lavoro sia un bene per tutti. Ovviamente, il lavoro degli “studiti” non era soltanto manuale: essi ebbero una grande importanza nello sviluppo religioso-culturale della civiltà bizantina come calligrafi, pittori, poeti, educatori dei giovani, maestri di scuole, bibliotecari.

Pur esercitando un’attività esterna vastissima, Teodoro non si lasciava distrarre da ciò che considerava strettamente attinente alla sua funzione di superiore: essere il padre spirituale dei suoi monaci. Egli sapeva quale influsso decisivo avevano avuto nella sua vita sia la buona madre che il santo zio Platone, da lui qualificato col significativo titolo di “padre”. Esercitava perciò nei confronti dei monaci la direzione spirituale. Ogni giorno, riferisce il biografo, dopo la preghiera serale si poneva davanti all’iconostasi per ascoltare le confidenze di tutti. Consigliava pure spiritualmente molte persone fuori dello stesso monastero. Il Testamento spirituale e le Lettere mettono in rilievo questo suo carattere aperto e affettuoso, e mostra come dalla sua paternità sono nate vere amicizie spirituali in ambito monastico e anche fuori.

La Regola, nota con il nome di Hypotyposis, codificata poco dopo la morte di Teodoro, fu adottata, con qualche modifica, sul Monte Athos, quando nel 962 sant’Atanasio Athonita vi fondò la Grande Lavra, e nella Rus’ di Kiev, quando all’inizio del secondo millennio san Teodosio la introdusse nella Lavra delle Grotte. Compresa nel suo significato genuino, la Regola si rivela singolarmente attuale. Vi sono oggi numerose correnti che insidiano l’unità della fede comune e spingono verso una sorta di pericoloso individualismo spirituale e di superbia spirituale. E’ necessario impegnarsi nel difendere e far crescere la perfetta unità del Corpo di Cristo, nella quale possono comporsi in armonia la pace dell’ordine e le sincere relazioni personali nello Spirito.

E’ forse utile riprendere alla fine alcuni degli elementi principali della dottrina spirituale di Teodoro. Amore per il Signore incarnato e per la sua visibilità nella Liturgia e nelle icone. Fedeltà al battesimo e impegno a vivere nella comunione del Corpo di Cristo, intesa anche come comunione dei cristiani fra di loro. Spirito di povertà, di sobrietà, di rinuncia; castità, dominio di sé stessi, umiltà ed obbedienza contro il primato della propria volontà, che distrugge il tessuto sociale e la pace delle anime. Amore per il lavoro materiale e spirituale. Amicizia spirituale nata dalla purificazione della propria coscienza, della propria anima, della propria vita. Cerchiamo di seguire questi insegnamenti che realmente ci mostrano la strada della vera vita.