mercoledì 30 aprile 2014

Diamante o carbone

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Il segretario di Stato all’Associazione di carità politica.

Donne e uomini che annunciano la Parola con la testimonianza della propria vita, capaci per questo di una continua conversione, instancabili nel cercare nuove strade. È l’identikit dell’evangelizzatore così come disegnato da Papa Francesco nell’Evangelii gaudium. E il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, lo ha riproposto oggi pomeriggio, 30 aprile, a Roma, offrendo una rilettura dell’esortazione apostolica pubblicata nel novembre dello scorso anno e subito divenuta una pietra miliare del magistero.

Invitato a parlarne dall’Associazione internazionale di carità politica, il porporato sottolinea anzitutto come novità nel pontificato di Bergoglio «la freschezza dell’annuncio e la capacità di parlare al cuore delle persone», caratteristiche entrambe presenti nel documento dedicato alla gioia. Da tale premessa il cardinale Parolin fa scaturire una riflessione sul legame tra gioia e annuncio del Vangelo. Nota innanzitutto che l’esortazione apostolica si apre con la constatazione «di un triste vuoto di senso», con una diffusa «incapacità di gustare la vita, che evidenzia una drammatica crisi spirituale e di significato del vivere». Per di più in un mondo che «paradossalmente sembra offrire sicurezza e possibilità materiali del tutto inedite alle generazioni precedenti». In tali preoccupazioni, secondo il porporato, si può individuare «una profonda continuità con il magistero dei Papi precedenti». E lo stesso Bergoglio, ricorda ancora il cardinale, «aveva trattato più volte il tema della gioia, definendola ora «condizione abituale dell’uomo o della donna di fede», ora «fonte della consolazione spirituale, ben diversa dall’euforia o dall’emozione del momento perché legata alla voce dello Spirito, che parla dal profondo del cuore e muove all’azione». Da qui l’invito a ritornare «sulle strade della vita», rivolto a tutti i cristiani «mettendo in secondo piano le difficoltà» e anche quei «meccanismi di difesa e di rifiuto, legati alla colpa, all’indegnità o alla paura di prendere sul serio qualcosa che a volta appare troppo distante dall’esperienza personale». «I cristiani — nota ancora il segretario di Stato — sembrano succubi delle medesime ansie e preoccupazioni di chi è senza speranza», vivendo in una «prospettiva appiattita sulla mera dimensione terrena». Mentre al contrario dovrebbero essere portatori di quella «gioia contagiosa che mette in movimento chi la sperimenta».
Ecco allora comparire sullo sfondo del documento pontificio gli evangelizzatori così come li vede Francesco: senza facce da funerale, ma con addosso l’odore delle pecore, fedeli al Vangelo che sono chiamati ad annunziare; immuni alla pigrizia dello spirito. Tutte caratteristiche che pur riguardando i cristiani in genere, devono essere ancor più evidenti nei sacerdoti, nei vescovi, nel Papa stesso.
Anche perché si tratta di dover affrontare non poche sfide. Tra queste il relatore pone al primo posto la corretta gerarchia delle verità di fede, poiché troppo spesso «la preminenza che la misericordia dovrebbe occupare» è come «oscurata da altre preoccupazioni» con il rischio di veder smarrito il cuore dell’annuncio. C’è poi da considerare, continua il cardinale, «il canale di trasmissione del messaggio», un elemento che può fare la differenza soprattutto nella nostra epoca. «Senza un annuncio efficace il Vangelo può apparire lontano dalla vita, privo di attrattiva» ha notato. E spesso la gente lo rifiuta «non perché lo ritiene falso, ma piuttosto noioso».
Tuttavia — mette in guardia il segretario di Stato — «la preoccupazione per l’efficacia della comunicazione può portare anche alla tentazione di annacquare il contenuto del Vangelo, o di ridurlo a comodi slogan, per ottenere facili consensi, scavalcando la centralità della croce, o rivestirlo di una serie di dettagli secondari». La vera sfida dell’evangelizzazione, è la conclusione del ragionamento, «richiede piuttosto l’accoglienza della propria fragilità e la docilità all’opera dello Spirito Santo». Insomma per dirla con Vladimir Sergeevič Solov’ëv, sebbene il diamante e il carbone siano fatti della stessa materia, ciò che fa la differenza è l’ordine degli elementi che li compongono, che li porta a diventare trasparenti od opachi nei confronti della luce. «Gli elementi del diamante sono presenti in ciascuno di noi — chiarisce infine il porporato — ma è necessario riordinarli, togliendo incrostazioni e detriti che ne hanno oscurato il fondo», attraverso un lavoro di purificazione.
Tra gli invitati all’incontro, moderato dal presidente dell’Associazione Alfredo Luciani, i diplomatici che hanno aderito al Consiglio di coordinamento per gli ambasciatori presso la Santa Sede istituito dalla Domus Carità Politica e approvato dal dicastero per i Laici.
L'Osservatore Romano