di Dario Citati
Ricorre quest'anno l'anniversario dei 700 anni dalla nascita del monaco russo venerato dagli ortodossi come modello di vita contemplativa e impegno nel mondo
Il 3 maggio 2014 in Russia si festeggeranno i 700 anni dalla nascita di Sergej di Radonezh, una delle più importanti figure religiose delle storia russa. Venerato come santo dalla Chiesa ortodossa russa, questo monaco d’epoca medievale sarà commemorato in tutto il Paese attraverso numerose manifestazioni alla presenza delle massime autorità civili ed ecclesiastiche. Da oltre un anno si è costituito un comitato che coordina tutte le eparchie sparse sull’immenso territorio della Federazione Russa, al fine di moltiplicare le iniziative di festeggiamento che ovviamente avranno il loro fulcro nel prossimo mese di maggio (1).
Chi era Sergej di Radonezh? Nella cultura cattolica italiana, egli è noto soprattutto grazie alle meritoria opera di don Divo Barsotti, che nel secondo dopoguerra iniziò a far conoscere con passione e competenza la tradizione russo-ortodossa approfondendo in particolar modo proprio i suoi santi (2). La data di nascita di Sergej, 3 maggio 1314, è in realtà convenzionale a causa dell’incertezza delle fonti su questo punto. La maggior parte delle informazioni sulla sua vita derivano dalla biografia del discepolo Epifanio il Saggio, recentemente tradotta anche in lingua italiana (3).
Nato nei pressi della città di Rostov, nella Russia Meridionale, fu battezzato con il nome di Varfolomej (Bartolomeo) e presto si trasferì con i genitori nel villaggio di Radonezh non distante da Mosca. Attratto sin da piccolo dalla spiritualità ascetica, verso i vent’anni cominciò a condurre vita eremitica nei boschi per poi ricevere la tonsura monastica e assumere il nome di Sergej all’età di ventiquattro anni. Insieme ad altri laici e religiosi che si erano riuniti intorno a lui, Sergej divenne egumeno di una comunità cenobitica riconosciuta dal Patriarca Filoteo di Costantinopoli. Organizzata in base a regole mutuate dal Monastero di Studion, sotto la sua guida questa comunità iniziò la costruzione di una struttura chiesastica divenuta di rilievo mondiale.
La Lavra della Trinità di San Sergio, inaugurata tra il 1337 e il 1342, è infatti a tutt’oggi il più grande monastero stauropegico (cioè dipendente direttamente dal Patriarcato e non dalla diocesi locale) di Russia. L’intera località in cui essa è situata ha preso il nome dal fondatore: Sergiev Posad, che significa letteralmente «insediamento di Sergio», è oggi città capoluogo della Federazione Russa. Meta di pellegrinaggi da parte di tutto il mondo ortodosso, non soltanto slavofono, consta attualmente di una spettacolare serie di cattedrali, torri, campanili, giardini e chiostri all’interno di un insieme architettonico sviluppatosi nei secoli e riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.
La figura di Sergej di Radonezh è venerata soprattutto per la grande mitezza, l’umiltà, la devozione mariana e lo spirito di carità verso il prossimo, nonché per l’abnegazione nell’ascesi individuale che, come notava proprio Barsotti, è «un cammino che importa la lotta contro le potenze, il combattimento» (4). Soggetto caratteristico delle icone russe, Sergej è stato sovente fonte d’ispirazione anche per molti artisti profani: in particolare, il pittore Michail Nesterov (1862-1942) gli dedicò numerose tele di raffinata qualità artistica e di differente ambientazione tematica.
Nella memoria del popolo russo, Sergej di Radonezh è venerato però anche come il santo protettore nella resistenza nazionale agli invasori, a motivo del contesto storico in cui operò, il XIV secolo, nonché di una suggestiva circostanza legata al periodo della Seconda Guerra Mondiale. Già dal Duecento l’antica Rus’, civiltà slavo-orientale che aveva accolto il cristianesimo prima dell’anno Mille con il battesimo di Vladimir di Kiev (958-1015), era caduta sotto la dominazione mongola. L’affrancamento finale dal conquistatore straniero avvenne nel settembre 1380, quando nella battaglia di Kulikovo, nei pressi del fiume Don, il Gran Principe Dmitrij di Mosca (da allora detto Donskoj, cioè appunto «del Don») sconfisse definitivamente i Tatari.
Secondo la tradizione, Sergej sostenne spiritualmente il principe Dmitrij, esortandolo ad avere coraggio nella battaglia ma anche ad esercitare prudenza, conformemente all’insegnamento di Gesù nella parabola del Re guerriero: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per la pace» (Lc, 14, 31-32).
Quasi sei secoli dopo, nel 1932, il celebre pittore Nikolaj Roerich dipinse un quadro intitolato San Sergio (Svjatoj Sergij), che ritrae Sergej di Radonezh a figura intera mentre tiene fra le mani una cattedrale in miniatura. In basso, in caratteri stilizzati antico-slavi, si può leggere una scritta che col senno di poi fu da tutti giudicata profetica: «A Sergej è stato concesso tre volte di salvare la Terra Russa. La prima con il principe Dmitrij. La seconda con Minin e Poarskij. La terza è adesso». Dieci anni dopo, nel settembre 1942, con l’Operazione Barbarossa la Germania nazista invadeva l’Unione Sovietica. Per il popolo russo, che nonostante l’ideologia anticristiana dei vertici al potere rimaneva intrinsecamente religioso, l’affidamento allo spirito insieme attivo e contemplativo di Sergej di Radonezh fu insieme rammemorazione degli antenati e speranza di vittoria e resistenza in una guerra sanguinosa che costò milioni di vittime.
Sergej di Radonezh incarna per i Russi un modello di monachesimo in cui l'ascetismo e la povertà non implicano la fuga dal mondo, bensì si affiancano al coraggio di testimoniare la fede sino al martirio. Anche nella Tradizione cattolica, d’altronde, non mancano esempi consimili. Basti pensare a S. Giovanni di Capestrano (1386-1456), quasi contemporaneo del religioso russo e venerato come patrono dei cappellani militari e dei giuristi: monaco dell’ordine francescano, anch’egli si distinse sia per una vita contemplativa di studio, preghiera e penitenza, sia per il conforto spirituale all’esercito cristiano del Regno d’Ungheria che nella battaglia di Belgrado del 1456 si difese eroicamente dall’assalto turco respingendo l’invasore. La venerazione dei santi si dimostra ancora una volta uno degli aspetti che maggiormente accomuna cattolicesimo e ortodossia, rappresentando uno dei campi ove è possibile un dialogo autentico che nulla tolga alla propria specifica e irrinunciabile identità.
Dario Citati è Direttore del Programma di ricerca «Eurasia» dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) [www.istituto-geopolitica.eu] e redattore della rivista Geopolitica [www.geopolitica-rivista.org].
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NOTE
2) Cfr. D. Barsotti, Cristianesimo russo, Firenze 1948.
3) Epifanio il Saggio, Vita di San Sergio di Radonezh, Milano 2013.
4) D. Barsotti, La vita di Sergio di Radonezh, in Id., Nella comunione dei Santi, Milano 1970, p.191.