Ieri mattina, domenica 27 aprile 2014, ha avuto luogo la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Papa Francesco nell’omelia ha definito “San Giovanni Paolo II il Papa della famiglia”. Sono tanti i documenti che il papa polacco ha dedicato alla valorizzazione della famiglia naturale, ma oggi vogliamo ricordare una sua omelia tenuta in quel di San Marino nel lontano 1982, si tratta di una bella riflessione sul tema della libertà cristiana. Un testo di grande attualità che ben si inserisce nel dibattito aperto dall’intervento del Card. Kasper al concistoro del febbraio scorso. Interessante anche per orientarsi nel cammino che condurrà la Chiesa verso il Sinodo del prossimo ottobre. [i grassetti sono nostri, NdR]
Santa Messa nello Stadio di Serravalle – Repubblica di San Marino, 29/08/1982 – Omelia di Giovanni Paolo II
…3. In che consiste questo messaggio di libertà nel senso cristiano?
La domanda è molto importante, anzi essenziale ed ineludibile, perché si sa bene che esistono diverse ed opposte interpretazioni del valore della “libertà”, con conseguenze pratiche spesso in contrasto tra loro.
Per un genuino concetto cristiano di libertà, bisogna richiamarsi anzitutto alle parole di Gesù, rivolte a coloro che avevano creduto in lui: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi . . . In verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato . . . Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Gv 8, 31-36). Gesù fa dipendere l’autentica libertà prima di tutto dalla conoscenza della verità totale del mistero di Dio, da lui stesso annunziata e testimoniata, e poi, come conseguenza, dal distacco dal male, cioè dal peccato, trasgressione della legge morale.
San Paolo che ben conosceva la parola del Signore ed al tempo stesso il dramma di ogni uomo, a motivo dell’intimo dissidio tra il bene ed il male, inneggia alla grandezza ed alla ricchezza della libertà recataci da Cristo (cf. Gal 4, 31), che consiste nella emancipazione dalla schiavitù del peccato e della sua legge di morte (cf. Rm 6, 22; 8,2 et 2 Tm 4, 18) e nella capacità di vivere secondo la legge del bene, cioè secondo lo Spirito di Dio. L’Apostolo, infatti, afferma categoricamente: “Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2 Cor 3, 17).
Se dunque la libertà è il dono più grande da Dio fatto all’uomo, creato a propria immagine e quindi razionale e volitivo, essa è, altresì, il frutto più prezioso dell’opera redentrice di Cristo che ha reso possibile all’uomo l’interiore autonoma opzione del bene, anche se ciò non è sempre avvertito dall’esperienza esistenziale.
Tale dono della libertà comporta allora una grave responsabilità: l’altissimo ed imprescindibile compito di aderire alla legge di Dio, per cui l’uso pieno e perfetto della libertà è realizzato da colui che è capace di “ricavare” da essa il più grande amore per gli altri. San Paolo, ancora una volta ci è maestro autorevole, in proposito, con queste parole rivolte ai Galati: “Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5, 13-14).
Nella cornice fin qui delineata, consentitemi di ripetere ora quanto scrissi nella mia prima enciclica: “Le parole di Gesù: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” racchiudono una fondamentale esigenza ed insieme un ammonimento: l’esigenza di un rapporto onesto nei riguardi della verità, come condizione di autentica libertà; e l’ammonimento, altresì, perché sia evitata qualsiasi libertà apparente, ogni libertà superficiale e unilaterale, ogni libertà che non penetri tutta la verità sull’uomo e sul mondo” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 12).
L’uso della libertà alla luce della verità cristiana e con l’aiuto della grazia, deve diventare allora carità, amore, donazione; deve cioè recare i frutti dello Spirito che sono la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la bontà . . . (cf. Gal 5, 22). Con espressione di sapore agostiniano dirò: la verità ci ha resi liberi; la carità ci deve fare servitori gli uni degli altri!
4. Le minacce alla libertà.
La libertà cristiana, che è veramente “libertà perpetua” perché fondata sull’accoglimento ed il rispetto dell’eterno Assoluto personale: Dio, è però continuamente minacciata da errori e comportamenti opposti alle sue radici ed al suo dinamismo teleologico sopra delineati.
Quali sono le attuali minacce alla libertà cristiana? Gli errori di oggi e di sempre, cioè la visione atea, agnostica o solo illuministica della vita, inducono, talvolta per motivi inconfessati di potere, a rendere evanescenti nelle varie istituzioni della compagine sociale i valori trascendenti, fondamento della libertà e della dignità umana. In una parola, una visione areligiosa dell’uomo e della storia conduce alla violazione della legge divina, e quindi all’uso errato della libertà.
San Giacomo, nella lettura di oggi, ci raccomanda di “accogliere con docilità la parola che è stata seminata in noi” (Gc 1, 21), cioè la fede in Dio, che in Cristo ci è venuto incontro e ci ha redenti.
Questa fede occorre sempre più farla fruttificare, accettandone le esigenze concrete. Se tralasciando la divina semente della fede, se ne coltivano solo certe altre, queste si rivelano presto o tardi inadeguate ed insufficienti. Nel frutto, invece, che matura dalla fede, è contenuto e nobilitato quanto proviene anche da altri non illegittimi frutti.
Ciò vale in modo particolare ed emblematico, per la vita della famiglia, cellula fondamentale della società, basata sul matrimonio. Questo, infatti, è stato elevato da Cristo Gesù alla dignità di sacramento per rafforzare e santificare l’amore degli sposi, da Dio voluto indissolubile e fedele fin dalle origini dell’umanità, come l’istituto che ne deriva.
“L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 9). L’unione coniugale non può e non dev’essere intaccata da alcuna autorità umana; ciò è vero sia che si consideri il matrimonio sotto l’aspetto naturale che sotto quello sacramentale.
Per questi motivi, la Chiesa non può né mutare, né attenuare il proprio insegnamento sul matrimonio e la famiglia; essa deplora ogni attentato sia contro l’unità del matrimonio, sia contro la sua indissolubilità, come il divorzio.
La Chiesa afferma anche con chiarezza che il matrimonio, per sua natura, dev’essere aperto alla trasmissione della vita umana, quando la Provvidenza ne faccia dono, ed in ogni caso rispettoso di essa fin dal concepimento. Tale è la sublime missione procreatrice affidata da Dio agli sposi; essa comporta insieme ad un’altissima responsabilità un’eccelsa dignità garantita da Dio stesso.
Anche per quanto riguarda la scuola, è necessario offrire al giovane, cioè al cittadino di domani, una formazione che tenga conto di quelle sublimi verità che, già onorate dai padri, offrono una sicura ed esauriente risposta ai grandi interrogativi del cuore umano, liberandolo dalle spire dell’angoscia e della disperazione, ed offrendogli, altresì, il senso della utilità del dolore e del faticoso itinerario terrestre.
5. Cari Sammarinesi, la vostra Comunità deve rimanere fedele al patrimonio ideale costruito nei secoli sull’impulso del suo Fondatore.
È necessario sempre più, proprio per opporsi alle attuali minacce alla libertà, formare le coscienze secondo una morale cristiana non già superficiale ed esteriore, come quella che Cristo rifiuta con parole fortissime nell’odierno Vangelo (cf. Mt 7, 21-23), ma costruita sul rispetto della libertà propria e di quella degli altri e soprattutto sul rispetto della sacra Volontà di Dio, che è il Creatore ed il Datore della Libertà. Ciò richiede saggia austerità di vita e fedeltà nella preghiera, specie in quella comunitaria eucaristica.
Libertà e persona
*
La condanna di aborto ed eutanasia è una verità di fede
«L’uomo non può vivere senza amore. Rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore [...] rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso. Questa è [...] la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l’uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l’uomo diviene nuovamente “espresso” e, in qualche modo, è nuovamente creato. Egli è nuovamente creato! Non c'è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,28). L’uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve “appropriarsi” ed assimilare tutta la realtà dell’Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso».
È questo uno dei passaggi più alti della prima lettera enciclica di san Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis (04/03/1978, n. 10). La prima enciclica di un papa ha un alto valore simbolico: illustra le linee portanti di un pensiero ed è un programma di azione. Perciò tutto il magistero e l’impegno pastorale di Giovanni Paolo II vanno letti alla luce di questa enciclica e in particolare alla luce del rapporto tra redenzione, liberazione dal peccato e santificazione operate da Gesù Cristo morto e risorto – da un lato – e persona umana e amore – dall’altro.
Ogni persona è amata ed è chiamata a scoprire di essere amata innanzitutto da Gesù Cristo. Facendo esperienza di questo amore ricevuto in modo inatteso, ognuno sarà reso capace di riamare Gesù Cristo e il proprio prossimo. Ordinariamente ognuno di noi fa esperienza dell’amore di Cristo attraverso le membra del corpo di Cristo, cioè la comunità dei credenti, la Chiesa. Questa Chiesa vivente, che siamo noi, riceve l’amore di Cristo e a sua volta lo comunica ai propri contemporanei. Il corpo di Cristo, che è la Chiesa, ci fa scoprire il suo amore, ci inserisce in esso, ci fa crescere nella carità, e ci difende anche da tutte quelle realtà che contraddicono l’amore di carità.
«La Chiesa deve essere consapevole della “situazione” dell’uomo, delle sue possibilità, che prendono sempre nuovo orientamento e così si manifestano; deve essere allo stesso tempo consapevole delle minacce che si presentano all’uomo. Deve essere consapevole, altresì, di tutto ciò che sembra essere contrario allo sforzo perché “la vita umana divenga sempre più umana”, perché tutto ciò che compone questa vita risponda alla vera dignità dell’uomo» (Redemptor Hominis, n. 14). Proprio perché consapevole delle gravi e radicali minacce all’uomo e alla carità Giovanni Paolo II è intervenuto su molti temi. Per amore di brevità mi limito solo a quelli relativi al primo principio “non negoziabile”, cioè la vita fisico-corporea è un bene non disponibile.
Sono interventi magisteriali di singolare solennità e sono contenuti nella lettera enciclica Evangelium Vitae (25/03/1995), all’inizio della quale Giovanni Paolo II ricorda che: «I cardinali, con voto unanime, mi hanno chiesto di riaffermare con l’autorità del Successore di Pietro il valore della vita umana e la sua inviolabilità, in riferimento alle attuali circostanze ed agli attentati che oggi la minacciano» (n. 5).
Poi a proposito dell’aborto diretto insegna: «Con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i vescovi - che a varie riprese hanno condannato l’aborto e che nella consultazione precedentemente citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa dottrina - dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal magistero ordinario e universale» (n. 62).
E a proposito dell’eutanasia: «In conformità con il magistero dei miei Predecessori e in comunione con i vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal magistero ordinario e universale. Una tale pratica comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell’omicidio» (n. 65).
In ragione delle parole usate, e cioè l’esplicito riferimento all’autorità di Pietro e dei suoi successori, che hanno il compito di confermare nella fede i fratelli, alla comunione episcopale, al fondamento della legge naturale e della Parola di Dio, questi due insegnamenti sono enunciati di fede, cioè verità proposte dalla Chiesa in modo definitivo e infallibile. Riprendendo le parole della Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio Fidei (29/06/1998, n. 6), si tratta di verità che «non sono formalmente rivelate, ma che sono necessarie per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede [...]. Ogni credente è tenuto a prestare a queste verità il suo assenso fermo e definitivo, fondato sulla fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero della Chiesa e sulla dottrina cattolica dell’infallibilità del magistero in queste materie. Chi le negasse assumerebbe una posizione di rifiuto di verità della dottrina cattolica e pertanto non sarebbe in piena comunione con la Chiesa cattolica».
Quindi la condanna della gravità dell’aborto diretto e dell’eutanasia è necessaria «per custodire ed esporre fedelmente il deposito della fede». Di fatti queste due pratiche, anche se spesso sono giustificate da scelte di pietà, oltre a negare il principio dell’uguaglianza tra gli esseri umani, impoveriscono i rapporti interpersonali, minano la convivenza civile e sono la negazione fattuale della carità che sa farsi dono all’altro.
La nuova bq