mercoledì 30 aprile 2014

Sempre connessi



Il magistero della Chiesa è un flusso continuo.

San Pio V. Il 30 aprile la Chiesa celebra la memoria di san Pio V Papa. Il Pontefice, Antonio Michele Ghislieri, è anche il patrono della Congregazione per la Dottrina della Fede. Pubblichiamo quasi per intero l’omelia tenuta per la ricorrenza dal cardinale prefetto della congregazione.
(Gerhard Ludwing Muller) «Raramente in un Papa il principe è passato in seconda linea di fronte al prete come nel figlio di san Domenico, che ora sedeva sulla cattedra di san Pietro. Una cosa soltanto stavagli a cuore: la salute delle anime. A servizio di questa missione egli pose tutta la sua attività e sulle esigenze della medesima egli calcolava il valore di ogni istituzione e azione». Così lo storico Ludwig von Pastor ricordava Pio V, del quale il 30 aprile la Chiesa celebra la memoria.

Il Papa santo cominciò dalla sua stessa persona quell’opera di riforma della curia romana che il Concilio di Trento aveva affidato al Pontefice. Se non poté avere la collaborazione del cardinal Carlo Borromeo nel fronteggiare sul posto le opposizioni che subito gli si presentarono, fu solo perché il santo vescovo di Milano si appellò al proprio dovere di rimanere presso il gregge affidatogli.
Intraprese molte iniziative per difendere e propagare la fede. Insistette perché i vescovi rispettassero l’obbligo di residenza e di frequenti visite pastorali, favorendo la fondazione di seminari e la riunione di sinodi. Convinto che l’opera del Concilio di Trento dovesse esprimersi con la dimostrazione pratica dell’unità della tradizione dogmatica delle Chiese dell’Oriente, dell’Occidente e dell’epoca medioevale con l’antichità, decretò per i quattro Dottori greci gli stessi onori liturgici già tributati ai quattro Dottori latini. Ed estese il concetto di Dottore della Chiesa per poterlo attribuire anche a san Tommaso d’Aquino. Fece pubblicare il Catechismo Romano (1566), il Breviario (1568) e il Messale (1570). Tra le diverse commissioni cardinalizie che istituì, una fu deputata a dirigere l’evangelizzazione dei popoli d’America, d’Africa e d’Asia. E se, per evitare l’ulteriore defezione di fedeli provocata dalla Riforma protestante, adottò l’Inquisizione quale mezzo ritenuto a ciò conveniente, fu sempre guardingo nei confronti di quelle espressioni del potere politico che, come nel caso eclatante di Filippo II di Spagna, se ne servivano per la piena realizzazione dei loro interessi cesaropapisti.
Si capisce bene, da un punto di vista storico, perché san Pio V, nella fedeltà alle indicazioni consegnate dal Concilio di Trento, proseguì nell’opera avviata da Paolo III nel 1542, quando volle la Santa Romana e Universale Inquisizione, con l’intento di vigilare affinché «dappertutto la fede cattolica fiorisca e si sviluppi e ogni eretica perversità sia cacciata via dai fedeli cristiani» (bolla Licet ab initio). E si capisce bene perché, nel 1965, Paolo VI, dopo le precedenti modifiche apportate alla primitiva istituzione da parte di san Pio X e Benedetto XV all’inizio del XX secolo, abbia voluto caratterizzarla altrimenti, così che sull’intento punitivo della condanna prevalesse quello positivo della correzione degli errori, in base al principio secondo cui «la fede si difende meglio, promuovendo la dottrina» (Integrae servandae).
Nella comprensione della realtà della Chiesa, il concilio Vaticano II ha delineato un’ecclesiologia di comunione e ha così favorito il superamento di una concezione meramente legalistica, clericale e autoritaria della Chiesa, scongiurando l’estremo opposto del congregazionalismo: l’idea errata della Chiesa come di una comunità religiosa sorretta dall’iniziativa umana. Il compito che oggi ci attende consiste nel tradurre in atto questa rinnovata concezione della Chiesa e nel promuovere una mentalità che insegni di nuovo a scorgere l’unità sacramentale originaria tra società esteriore e comunione interiore della grazia, tra carismi e ministeri e uffici sacramentali, tra clero e laici. La collaborazione di tutti alla missione della Chiesa non pregiudica la missione specifica del ministero sacramentale, così come la collegialità dei vescovi non sminuisce la preminenza del Papa.
Nel 1958, i cardinali riuniti in conclave scelsero Angelo Giuseppe Roncalli per la sua età avanzata, perché fosse un Papa di transizione. Nei suoi brevi anni di pontificato, Giovanni XXIII operò la più importante transizione che la Chiesa abbia conosciuto negli ultimi secoli.
Quanto a Karol Wojtyła, il cardinale Joseph Ratzinger testimoniò così in rapporto all’attentato subito dal Pontefice il 13 maggio 1981: «Non poteva essere che questo grande Papa — veramente un uomo di quest’ora, donatoci da Dio — ci venisse preso proprio in quel momento in cui egli, con tutta la forza della fede e delle sue esperienze, aveva appena incominciato ad aprire alla Chiesa, alla cristianità, anzi all’umanità, di nuovo la via verso Dio e, da qui, alla dignità dell’uomo. Noi avevamo bisogno di lui, semplicemente; le potenze delle tenebre non potevano essere così forti da portarcelo via» («L’Osservatore Romano», 27 aprile 2014).
«San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto». Le sue piaghe «sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede». Chi assume le piaghe di Gesù nella propria carne mortale, perché la sua Chiesa possa esserne edificata, diventa testimone credibile della fede in lui. È questo il marchio distintivo della santità cristiana. «Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli» (Papa Francesco, Omelia del 27 aprile 2014).
Ha scritto Papa Francesco nell’enciclica Lumen fidei: «Come servizio all’unità della fede e alla sua trasmissione integra, il Signore ha dato alla Chiesa il dono della successione apostolica. Per suo tramite, risulta garantita la continuità della memoria della Chiesa ed è possibile attingere con certezza alla fonte pura da cui la fede sorge. La garanzia della connessione con l’origine è data dunque da persone vive, e ciò corrisponde alla fede viva che la Chiesa trasmette. Essa poggia sulla fedeltà dei testimoni che sono stati scelti dal Signore per tale compito. Per questo il Magistero parla sempre in obbedienza alla Parola originaria su cui si basa la fede ed è affidabile perché si affida alla Parola che ascolta, custodisce ed espone. Nel discorso di addio agli anziani di Efeso, a Mileto, raccolto da san Luca negli Atti degli apostoli, san Paolo testimonia di aver compiuto l’incarico affidatogli dal Signore di annunciare “tutta la volontà di Dio” (20, 27). È grazie al Magistero della Chiesa che ci può arrivare integra questa volontà, e con essa la gioia di poterla compiere in pienezza» (n. 49).
Nello strutturarsi armonico di questo corpo ben compaginato e connesso nelle sue varie membra e giunture (cfr. Efesini, 4, 16), al Magistero ordinario del Successore di Pietro partecipa in modo diretto la Congregazione per la Dottrina della fede. Operando in stretta connessione e dialogo con gli altri dicasteri della Curia Romana, con i vescovi e le conferenze episcopali, così come con vari teologi di tutto il mondo, essa offre al Papa un sostegno indispensabile nel compito da lui ricevuto dal Signore di confermare i fratelli nella fede (cfr. Luca, 22, 32).
L'Osservatore Romano