venerdì 25 aprile 2014

L'uomo che cambiò il corso della storia




«Il vuoto antropologico della modernità è stato riempito con la ricchezza della concezione wojtyliana della persona umana»: così Joaquin Navarro Valls, portavoce di Giovanni Paolo II per 21 anni, descrive a La Nuova Bussola Quotidiana l'impatto sulla società conseguenza della santità del Papa polacco, che il 27 aprile verrà canonizzato insieme a papa Giovanni XXIII. E sullo speciale rapporto instaurato con i giovani, «una delle pagine più belle del Pontificato», Navarro Valls dice: «Lui diceva ai giovani non che cosa non dovevano fare ma che cosa potevano essere».
E in un videomessaggio alla nazione polacca, papa Francesco ricorda quella forza da gigante, «che gli veniva da Dio», con cui ha aperto la società e la cultura a Cristo, invertendo la tendenza secolarizzatrice che sembrava inarrestabile.

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Navarro Valls: i miei 21 anni con Papa Wojtyla
di Claudia Di Lorenzi

Intervista al Professor Joaquin Navarro-Valls, già direttore della Sala Stampa vaticana e portavoce di Papa Giovanni Paolo II, in occasione della canonizzazione di Karol Wojtyla, il prossimo 27 aprile 2014.
Professore, per circa ventuno anni lei è stato direttore della sala stampa della Santa Sede e portavoce di Papa Giovanni Paolo II, che fra pochi giorni la Chiesa riconoscerà ufficialmente come Santo. Quali tratti della sua persona e del suo modo di operare nella guida della Chiesa svelavano già allora la sua santità?
La sua persona era molto ricca umanamente: brillante intelligenza, memoria infallibile, capacità di lavoro straordinaria, una familiarità sorprendente con le correnti di pensiero moderne. E tutto questo, addobbato con un buon umore e  una allegria profondi e ragionati. Tutto questo, e anche altro, lo vedevi “utilizzato”, in azione, quando si confrontava con persone a cui doveva illuminare o problemi che doveva risolvere. Questi tratti della sua identità personale erano innati ma erano stati arricchiti e sviluppati con il suo sforzo continuo e con l’aiuto di Dio che lui cercava di continuo. È esattamente quello che oggi chiamiamo la sua santità.
Nei suoi ventisette anni di pontificato Giovanni Paolo II impresse un ritmo ed uno stile pastorale nuovo. Tutti ricordano quella visita da Pontefice neoeletto al vescovo polacco Andrzej Deskur, suo caro amico, ricoverato al policlinico Gemelli di Roma, che destò sorpresa fra i suoi collaboratori perché improvvisa e fuori dalle “regole” del protocollo. In seguito il Papa ci avrebbe “abituato” a linguaggi, gesti, scelte innovative. Ci parli della “novità” che rappresentò il Papa polacco per la Chiesa universale.
Sono convinto che Giovanni Paolo II ha fatto irrompere l’istituzione storica del Pontificato nella Modernità con straordinaria audacia ed efficacia. Non è tanto una questione di forme esterne ma piuttosto di contenuti. Il vuoto antropologico della modernità è stato riempito con la ricchezza della concezione wojtyliana della persona umana.  Viaggiando in tutto il mondo ha avvicinato il Vangelo a tutte le culture locali, dall’America Latina, alle isole del Pacifico; da Berlino ad Agrigento; da Parigi a Miami. A questa “vitalità” apostolica doveva per forza adattarsi le vecchia machina protocollare, troppo barocca, tropo formale e vuota.    
Karol Wojtyla succede nel ’78 a Papa Albino Luciani: è l’avvento di una Chiesa dal respiro universale, la curia romana non sarà più il baricentro?
La curia romana è una necessità ma non un fine in se stessa.   Quello che lui ha fatto è aiutare a rivolgere l’attenzione dei suoi collaboratori all’esterno della curia e non verso l’interno di essa.  La Chiesa non sta più qui, in Vaticano, che ad Antofagasta, nel deserto del nord del Cile.
La grande missione pastorale di Papa Giovanni Paolo II ha avuto importanti conseguenze politiche, sui regimi comunisti dell’Est e non solo. Eppure – lei ha detto in una intervista recente – Giovanni Paolo II non aveva un progetto politico ma un “progetto umano”. Cosa intende dire?
Volevo dire che la politica o è riempita e motivata da una sana e solida  visione dell’uomo o diventa un guscio vuoto e scomodo. O peggio ancora: una dittatura. Giovanni Paolo II aveva un’ “arma” unica in quegli anni prima della caduta del muro: predicare e insistere ancora sulla dignità trascendente della persona umana che ha il diritto di conformare il proprio futuro storico. Mentre Reagan in quegli anni parlava dell’ “impero del male”, Wojtyla parlava di “una Europa – di radici cristiane – dall’Atlantico agli Urali”.  Ovviamente erano due linguaggi distanti. Alla fine il cambiamento enorme è avvenuto non con confronti militari ma con la crescita in umanità.  Questo volevo dire quando affermavo che lui non aveva un progetto politico; aveva qualcosa di più grande: aveva un progetto umano.
Grande impulso diede Giovanni Paolo II al dialogo interreligioso: la sua dottrina chiarisce che il cristianesimo è la religione della vera comunione con Dio, ma riconosce anche gli elementi positivi delle altre religioni. Egli ha saputo dare con gesti e fatti concreti un volto e un metodo al dialogo con le altre religioni. Quale iniziativa del Pontefice lo ha colpito particolarmente?
Tutte, da quando ha depositato la sua preghiera tra le pietre del Muro del Pianto a Gerusalemme a quando è entrato nella Moschea  Omayadi a Damasco. 
Come Giovanni XXIII anche Giovanni Paolo II è stato un Papa “vicino” alla gente: fu lui a dare alimento alla tradizione delle visite nelle parrocchie romane e fu molto sensibile anche al tema del lavoro e dei diritti dei lavoratori. Si ricorda il sostegno al sindacato operaio Solidarność in Polonia.
Era un sostegno che aveva sempre come fondamento la visione biblica dell’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. L’economia non è vera crescita se non produce anche sviluppo. L’economia non è solo misurabile con parametri di bilancio ma anche con parametri umani: sviluppo è maggiore aspettativa di vita; migliore qualità della vita famigliare; possibilità di educare meglio i figli; possibilità di risparmiare un poco per assicurarsi il futuro… Tutto questo formava parte del suo messaggio ripetuto ai potenti del mondo. Lui diceva che il capitalismo ha bisogno di una profonda revisione etica. Poi la storia di questi giorni gli ha dato ancora ragione. 
Poi il rapporto con i giovani, che lo scelsero come padre, amico, guida spirituale: per loro decise di istituire la Giornata Mondiale della Gioventù, e loro risposero alla sua chiamata con entusiasmo e amore ancora oggi presenti. “Io vi ho cercato, voi siete venuti da me e per questo vi ringrazio” disse negli ultimi istanti in vita rivolto al popolo dei ragazzi riunito in preghiera sotto la finestra illuminata dalla sua stanza. Come spiega questo rapporto “speciale” fra i giovani e Karol Wojtyla?
Questo rapporto è, forse, una delle pagine più belle del suo Pontificato. Anche di tutti i Pontificati, perché non c’erano dei precedenti. Lui diceva ai giovani non che cosa non dovevano fare ma che cosa potevano essere. Non parlava mai dei rischi di una sessualità trivializzata, ma della bellezza dell’amore umano. Non parlava dell’ egoismo e la meschinità ma di come sarebbe stupendo un mondo dove le persone imparassero a pensare un poco di meno a se stessi e un poco di più agli altri. Apriva davanti ai giovani proprio gli orizzonti che la cultura e la educazione di oggi gli chiudevano.  Era propositivo. Affermava; non negava. E i ragazzi questo lo capivano. Anzi, non avevano alle volte trovato nessuno, né in famiglia, né nella scuola, né nelle loro società che proponessero loro questi traguardi etici. E i ragazzi lo seguivano affascinati. Anzi, lo amavano perché lo avevano capito.
Infine, qual è il ricordo più bello che conserva di Papa Giovanni Paolo II?
Per adesso non riesco ancora a staccare un singolo ricordo dall’ insieme che ho vissuto con lui. Certamente, ricordo ognuno di quei momenti: nel lavoro a Roma, nei viaggi, nei giorni mentre camminavamo insieme in montagna…. Ma quelli che sono più vivi nella mia memoria sono quelli in cui sorrideva oppure rideva apertamente. Perché lui era in fondo, un uomo molto, molto allegro.

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Papa Francesco: grazie alla Polonia per questo dono
di Massimo Introvigne

Il videomessaggio di Papa Francesco alla nazione polacca, trasmesso nella serata del 24 aprile, contiene spunti di grande interesse per situare storicamente il prossimo santo Giovanni Paolo II (1920-2005), anche in una chiave squisitamente sociologica.
Giovanni Paolo II, afferma Papa Francesco, è stato «un dono» della Polonia alla Chiesa e al mondo. Lo è stato, certo, anzitutto per la sua vita spirituale, per la testimonianza di fede e di santità che è poi l'elemento decisivo di cui la Chiesa tiene conto nelle canonizzazioni. «Sono grato a Giovanni Paolo II - continua Francesco - come tutti i membri del Popolo di Dio, per il suo instancabile servizio, la sua guida spirituale, per aver introdotto la Chiesa nel terzo millennio della fede e per la sua straordinaria testimonianza di santità».
Il Pontefice ha detto di «identificarsi pienamente» con l'analisi del pontificato di Giovanni Paolo IIproposta il 1° maggio 2001 da Benedetto XVI in occasione della beatificazione, che ha in parte citato e in parte riassunto. Giovanni Paolo II chiedeva ai cattolici «di non avere paura e di spalancare le porte a Cristo», e lo ha «fatto per primo». «Ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile».
Non si tratta solo di un'azione che ha favorito la caduta dell'impero comunista sovietico. Dopo la caduta del Muro di Berlino, Giovanni Paolo II è stato Papa per altri sedici anni. Quando fu eletto, la sociologia delle religioni era dominata dalla teoria classica della secolarizzazione, secondo cui la religione in genere e la Chiesa Cattolica in particolare erano destinate a diventare sempre meno presenti e rilevanti nella società e nella storia. Come qualcuno diceva, il loro futuro evolutivo era l'estinzione. Alla fine del pontificato di Papa Wojtyla le cose erano completamente cambiate: non era la Chiesa ma la sociologia della secolarizzazione a trovarsi a rischio di estinzione. Sociologi come Peter Berger - di cui curiosamente in Italia molti continuano a citare i primi lavori, ignorando la sua successiva e radicale autocritica - ammettevano di essersi semplicemente sbagliati, e che il Papa polacco aveva innescato un processo di «desecolarizazzione» e di ritorno alla rilevanza della religione su scala mondiale. Rodney Stark, un grande sociologo che non aveva mai creduto alle teorie «crude» della secolarizzazione, parlava del «ritorno di Dio». Giovanni Paolo II mostrava che, mentre gli imperi ideologici avevano pensato di far crollare la religione, era la religione a far crollare gli imperi.
Valeva per l'Unione Sovietica, ma con la caduta del Muro di Berlino la battaglia per rovesciare «la tendenza che poteva sembrare irreversibile» non era finita. Nuove ideologie si presentavano sulla scena della storia, non meno anticristiane delle precedenti. Se sarebbe spettato a Benedetto XVI proporre una mappa accurata di queste ideologie - riassunta nella formula della «dittatura del relativismo», assunta e fatta sua da Papa Francesco nel primo incontro con il Corpo Diplomatico -, già Giovanni Paolo II aveva indicato la strada per resistere con la formula della nuova evangelizzazione e con l'invito a non avere paura di proclamare apertamente la propria fede e il legame costitutivo, contro ogni deriva relativistica, tra verità e libertà. Lo mostra, in modo sistematico, Marco Invernizzi nel suo libro «San Giovanni Paolo II. Un'introduzione al suo Magistero» (Sugarco, Milano 2014), e lo riassume così Papa Francesco, citando Benedetto XVI: «Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà».
Il segreto di Giovanni Paolo II, ha detto Papa Francesco, sta nell'avere vissuto personalmente il dramma delle ideologie nel suo ministero pastorale ed episcopale in Polonia. Non aveva bisogno di farsi raccontare come stavano le cose: ne aveva fatto esperienza in prima persona, così come aveva fatto esperienza del Concilio Vaticano II e della sua applicazione in terra polacca in chiave di evangelizzazione, lontano dalle polemiche occidentali. Ma, a un livello più profondo, ha concluso Francesco, il suo segreto era la santità. «Giovanni Paolo II continua ad ispirarci. Ci ispirano le sue parole, i suoi scritti, i suoi gesti, il suo stile di servizio. Ci ispira la sua sofferenza vissuta con speranza eroica. Ci ispira il suo totale affidarsi a Cristo, Redentore dell’uomo, e alla Madre di Dio». Sono queste, non gli ideologi, le figure che davvero cambiano la storia.

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George Weigel, una nuova evangelizzazione per l'Europa
di Maria Claudia Ferragni

George Weigel, già docente di teologia, Distinguished senior fellow del prestigioso Ethics and Public Policy Center di Washigton, autorevole giornalista e scrittore cattolico, insignito di numerosi Dottorati Honoris Causa, è considerato il più importante biografo del Beato Papa Giovanni Paolo II. Dando seguito a una promessa fatta al Pontefice stesso solo quattro mesi prima della sua morte, ha di recente pubblicato il libro The End and the Beginning: Pope John Paul II - The Victory of Freedom, the Last Years, the Legacy.
Lo abbiamo incontrato a Roma, in occasione della storica canonizzazione congiunta dei due più amati Papi del Ventesimo Secolo e gli abbiamo chiesto di parlarci della crisi di fede e politica europea.
Professor Weigel, che fine ha fatto il desiderio di Papa Giovanni Paolo II della riscoperta delle radici cristiane dell'Europa, soprattutto di fronte alla crisi ucraina che riapre scenari di conflitto che ricordano la Guerra Fredda?
Il fatto che oggi l'Europa sia sempre più chiusa su se stessa, incapace di prendere importanti e serie decisioni dal punto di vista politico, è proprio indice del fatto che si è creato un enorme vuoto spirituale e morale, quello di cui parlava con lungimiranza il Beato Papa Giovanni Paolo II. Questo ci dice anche dell'attuale incapacità europea di sostenere il popolo ucraino che desidera essere libero e vivere in una società aperta e giusta. Il movimento del Maidan avrebbe dovuto, infatti, dare una profonda ispirazione a tutta l'Europa a recuperare i suoi valori costituivi, quelli cristiani, ma questo finora purtroppo non è successo.
Quale può essere il ruolo della Chiesa Cattolica oggi, adesso in Europa?
Prima di tutto deve predicare il Vangelo. Questo é il suo compito. Dobbiamo infatti smetterla di dire che bisogna "ricristianizzare" l'Europa, perché va invece "cristianizzata": infatti l'Europa ha completamente dimenticato la fede. Ciò significa quindi che la Chiesa deve assumere un vigoroso atteggiamento missionario e deve assolutamente cominciare a farlo là dove si trova il suo centro: cioè in Europa. Però la Chiesa, proprio come diceva Giovanni Paolo II, deve proporre qualcosa di nuovo. Papa Wojtyla ha infatti letteralmente chiamato e spinto la Chiesa ad abbandonare le "acque basse" e la superficialità rappresentate dalla semplice conservazione del cattolicesimo istituzionale, a favore della ricerca della profondità data dalla nuova evangelizzazione. E ciò deve accadere in primo luogo e prioritariamente in Europa.
Quale può essere il ruolo della Chiesa statunitense anche verso l'Europa?
Sicuramente la Chiesa cattolica americana ha molti problemi, ma può assumere un ruolo estremamente importante perché é nella forma migliore fra tutti paesi occidentali. Sta vivendo un momento di grande vitalità evangelica: ci sono stati centinaia di migliaia di nuovi Battesimi nella Chiesa cattolica durante le recenti festività Pasquali e questa è una grande notizia.
Quindi la Chiesa in America ha imboccato la strada della nuova evangelizzazione e può essere di esempio per la Chiesa in Europa, in Occidente e in tutto il mondo su come si deve muovere la Chiesa nel mondo moderno.

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"Ho sentito la voce di Giovanni Paolo II che mi diceva: Alzati, non aver paura!"

Intervista a Floribeth Mora Diaz, la donna del Costa Rica guarita per intercessione di Wojtyla da un aneurisma cerebrale che l'avrebbe portata alla morte in meno di un mese

È giunta a Roma Floribeth Mora Diaz, la 51enne donna del Costa Rica guarita inspiegabilmente da un aneurisma cerebrale per intercessione di Giovanni Paolo II. È grazie al suo miracolo che domenica il Papa polacco verrà elevato agli onori degli altari. E Floribeth è venuta di persona dall’altra parte del mondo per dire ancora grazie a Wojtyla per averla salvata. Incontrata da ZENIT, la donna ha raccontato molti particolari della sua vita, da quando i medici le dissero che a causa della sua malattia non c’era più nulla da fare fino alla sorpresa degli stessi dottori nel vedere gli esami “dopo il miracolo”.
Ieri pomeriggio, inoltre, Floribeth ha raccontato ai giornalisti la sua commossa testimonianza in un briefing nell’atrio dell’Aula Paolo VI, a cui ha preso parte anche suor Adele Labianca che assistette la consorella Caterina Capitani, guarita per intercessione di Giovanni XXIII. Di seguito l’intervista alla “miracolata” di Giovanni Paolo II.
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Come reagì quando i medici le dissero che aveva un aneurisma alla base del cervello che la avrebbe portata alla morte in meno di un mese?
Floribeth Mora: Quando mi dissero la diagnosi rimasi sorpresa perché non me lo aspettavo per nulla, mi sono sempre considerata una persona sana. In ospedale sono andato migliaia di volte giusto per partorire i miei quattro figli. Il peggio però è stato nei giorni dopo, quando mi dissero che avevo un mese di vita. Quello fu il momento più drammatico…
Addirittura i medici le dissero di tornare a casa perché non c’era più nulla da fare…
Floribeth Mora: Si, fu incredibile, mai mi sarei aspettata una notizia così forte. Tuttavia sono rimasta aggrappata alla mando di Dio. Chiedevo al Signore che mi desse la forza, perché avevo tanta tanta paura, ma Gli dicevo anche che ero disposta a fare la Sua volontà e non la mia.
E ha poi chiesto l’intercessione di Giovanni Paolo II…
Floribeth Mora: Nonostante non fosse stato ancora beatificato, ho sempre pensato che Giovanni Paolo II fosse un santo, già da quando era in vita lo consideravo una persona speciale, non solo adesso che viene canonizzato.
Perché si rivolse a Giovanni Paolo II e non ad un altro Santo?
Floribeth Mora: Io ho sempre ammirato Padre Pio da Pietrelcina e creduto nella sua intercessione, però con Wojtyla era diverso… Fu il primo Papa che venne in Costa Rica e colpì tutti noi. All’epoca avevo 19 anni. Lo vidi passare per strada ed ebbi poi la possibilità di partecipare alla Messa che celebrò a La Sabana, dove c’erano parecchi giovani. E anche se l’ho visto solo da lontano l’ho sempre sentito vicino.
Quando ha capito di aver ricevuto il miracolo?
Floribeth Mora: Quando sentii una voce nella mia stanza che mi disse: “Alzati!”, e poi ancora: “Alzati, non avere paura!”. Avevo lì vicino una rivista con in copertina una foto di Giovanni Paolo II con le mani alzate come se mi sollevassero; allora mi alzai con calma, senza paura, senza dolore, con una pace incredibile e la consapevolezza che ero guarita. Da quel giorno sto in piedi per gloria di Dio.
In che lingua le parlò questa "voce"?
Floribeth Mora: In spagnolo, era la sua voce forte, non ebbi il minimo dubbio, e tuttora non ho mai dubitato di quello che ho ascoltato, sono sicurissima: era Giovanni Paolo II che mi parlava.
Quanti esami medici affrontò prima? Consultò anche medici di altri paesi?
Floribeth Mora: In altri paesi no, perché non avevamo i mezzi economici sufficienti. Fui comunque visitata da vari neurologi del Costa Rica. Per prima cosa mi fecero una TAC, poi una risonanza magnetica e la artereografía.
L’aneurisma è stato riscontrato nell’artereografia o in altri esami?
Floribeth Mora: In tutti gli esami si vedeva l’aneurisma. Da parte mia ero sicura di una cura immediata, nonostante non avessimo tanti soldi che lo garantissero. La cura, però, la vidi soltanto sei mesi dopo quando mi fecero la risonanza magnetica. Ho chiaramente impressa nella mia mente l’espressione del medico che correva da una parte all’altra per controllare se gli esami fossero corretti. Non riusciva a credere a questi ultimi esami, consultava ogni angolo dell’archivio, perché diceva che una donna con un problema cerebrale come il mio non poteva stare così bene. Io gli rispondevo: “Sì, sono sana, sono guarita per intercessione di Giovanni Paolo II”. E gli esami medici perché provavano quello che io dicevo.
Poi cosa successe?
Floribeth Mora: Dopo mi visitarono diversi neurologi del Costa Rica ed esperti del settore. Rimanevano sempre tutti sbalorditi. Risi molto quando alcuni mi dissero  addirittura: “Signora, ma a lei chi ha detto che aveva un aneurisma?”. In seguito, fui ricoverata qui a Roma, nel Policlinico Gemelli, nell’ottobre 2012. Anche lì mi visitarono tanti medici, neurologi, e mi fecero sempre gli stessi esami: risonanza magnetica, artereografia e via dicendo.
E ora non ha nessuna traccia, nessuna cicatrice?
Floribeth Mora: Questa è la cosa più importante, non c’era traccia in nessun esame che indicava che in qualche momento avevo avuto un aneurisma. Tantomeno ho avuto conseguenze sul mio fisico, né subii danni o una paraplegia al lato sinistro come avevano predetto i dottori.