Nuovo tweet del Papa: "Non dobbiamo mai lasciarci intrappolare dal vortice del pessimismo. La fede sposta le montagne!"(25 aprile 2014)
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di Luigi Negri*
E’ con profonda commozione e con grande gratitudine a Dio che riviviamo la grande testimonianza cristiana di magistero, di affezione agli uomini e al loro destino che si sintetizza nell’immagine dei 27 anni di pontificato del beato Giovanni Paolo II.
Si è presentato sulla scena del mondo con un amore incondizionato a Cristo presente nella Chiesa, un mistero di umiliazione che è diventato l’unica e reale possibilità di recupero dell’uomo e della sua dignità. Ma allo stesso tempo ha avuto una acutissima compassione dell’esperienza dell’umanità in quel triste passaggio dal secondo al terzo millennio che per la sua presenza e per il suo insegnamento sono stati un kairòs: una situazione eccezionale offerta da Dio alla fede dei cristiani, e offerta agli uomini nella temperie di una crisi della modernità che si era andata compiendo in modo inesorabile.
Giovanni Paolo II si è trovato di fronte al compito di dare una formulazione dell’incontro tra Cristo e il cuore dell’uomo. Questa fu la sua intuizione: la presenza della fede nel mondo non ha ragioni esclusivamente teologiche, ha ragioni profondamente antropologiche. L’affermazione della presenza di Dio in Cristo è la strada lungo la quale l'uomo Cristo rivela profondamente la sua verità e insieme insegna la verità di ogni uomo che vive in questo mondo.
A riaprire il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo è il cuore annichilito ma non distrutto dalle grandi tragedie del totalitarismo moderno contemporaneo. Giovanni Paolo II ebbe la capacità di scoprire questo livello profondo della vita umana nella storia, quella tensione inesorabile dell’uomo verso il compimento della sua esperienza umana. Egli condivideva con Pascal la certezza che l’uomo supera infinitamente l’uomo.
Giovanni Paolo II si è trovato di fronte al compito di dare una formulazione dell’incontro tra Cristo e il cuore dell’uomo. Questa fu la sua intuizione: la presenza della fede nel mondo non ha ragioni esclusivamente teologiche, ha ragioni profondamente antropologiche. L’affermazione della presenza di Dio in Cristo è la strada lungo la quale l'uomo Cristo rivela profondamente la sua verità e insieme insegna la verità di ogni uomo che vive in questo mondo.
A riaprire il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo è il cuore annichilito ma non distrutto dalle grandi tragedie del totalitarismo moderno contemporaneo. Giovanni Paolo II ebbe la capacità di scoprire questo livello profondo della vita umana nella storia, quella tensione inesorabile dell’uomo verso il compimento della sua esperienza umana. Egli condivideva con Pascal la certezza che l’uomo supera infinitamente l’uomo.
A quest’uomo cominciò a parlare. E cominciò a parlare nella concretezza della sua esistenzialità quotidiana, andando oltre ogni formulazione ideologica, ogni tentazione umanistica, ogni tentazione di ridurre la vita umana a un problema di giustizia sociale, economica e politica. Ha parlato all’uomo scendendo con lui nelle profondità di quel cuore umano su cui l’insegnamento conciliare ha scritto pagine di straordinaria profondità che hanno trovato il loro radicale compimento teorico e pratico nelle grandi pagine dellaRedemptor Hominis, il grande manifesto programmatico del cristianesimo del Terzo millennio.
In Cristo l’uomo ritorna ad essere di Dio e per Dio. E mentre torna ad essere di Dio e per Dio si rivela in maniera adeguata quell’impegno antropologico che fa grande l’esperienza umana sulla terra. Solo nel mistero di Cristo e della Chiesa l’uomo è introdotto a comprendere e sperimentare quella antropologia adeguata che si è definitivamente compiuta nella Passione, nella Morte e nella Resurrezione di Gesù di Nazaret.
Quest’uomo, le cui radici sono nel mistero di Cristo, realizza la propria vocazione umana sulla Terra, nella concretezza, addirittura nella lacerazione, di una esperienza umana che senza Cristo rimane incomprensibile a se stessa. Come afferma il numero 10 della Redemptor Hominis: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente».
Da qui la preoccupazione di rilanciare in maniera adeguata il mistero del matrimonio e il suo compimento nel matrimonio cristiano. La preoccupazione di insegnare agli uomini e ai cristiani una corretta grammatica dell’affezione, della sessualità, una corretta grammatica di quella paternità e maternità consapevoli e responsabili nella quale l’uomo esercita sulla terra il compito di reale e fondamentale collaborazione al mistero di Dio che genera ogni giorno figli all’umanità e alla Chiesa.
Il magistero di Giovanni Paolo II era sull’uomo, sul matrimonio, sulla sacralità della vita, sulla responsabilità della paternità e della maternità, sulla vocazione a realizzare nel mondo quel matrimonio cristiano che - come ricordava don Luigi Giussani in una delle sue ultime interviste - è la cosa più alta cui l’uomo possa accedere sulla terra, reale immagine ed esperienza della Trinità nel cuore dell’uomo e nei rapporti che caratterizzano la sua vita, personale e sociale.
La Chiesa riscoprì la grandezza dell’essere famiglia, famiglia di Dio per l’uomo, e la famiglia riscoprì la grandezza di essere Chiesa, di essere esperienza viva di quella comunione con Cristo e fra i fratelli che costituisce la novità della vita cristiana, cioè della vita umana redenta.
L’insegnamento sull’uomo, sulla sua vocazione matrimoniale si è articolato poi nella grande lezione della dottrina sociale, in cui l’identità dell’uomo e la sua dignità vennero insegnati nel concreto esercizio di quei fondamentali diritti umani che solo la fede cristiana rivela adeguatamente e solo l’educazione ecclesiale rende esperienza di vita nuova nel mondo.
La Veritatis Splendor, l’Evangelium Vitae, la Fides et Ratio, la Laborem Exercens, la Centesimus Annus, tutto il corpo delle encicliche sociali del Papa Giovanni Paolo II hanno ampiamente insegnato la responsabilità del cristiano e della Chiesa a calarsi dentro la storia e a costruire dentro la storia la novità umana e cristiana che il papa definì «la Civiltà della verità e dell’amore».
Rispondendo alle mie condoglianze il giorno della morte del beato Giovanni Paolo II, l’allora segretario del Papa e oggi cardinale Stanislao Dziwisz mi disse: «Giovanni Paolo II ha insegnato ai cristiani ad essere autenticamente cristiani, agli uomini ad essere uomini di buona volontà, aperti al Mistero che non escludono più dall’ambito della loro vita ma verso il quale anche misteriosamente muovono i passi in attesa dell’incontro gratificante e pacificante con il mistero di Dio che in Cristo si è fatto presenza umana, storica».
I 27 anni del pontificato di Giovanni Paolo II hanno chiuso in maniera irreversibile ogni tentazione di dualismo, estrema conseguenza del grande sbandamento del modernismo all’inizio del secolo XX. La fede genera nel cuore dell’uomo una cultura adeguata, consente la conoscenza profonda del mistero di Dio, del mistero dell’uomo nella realtà della storia, del loro reciproco connettersi ed articolarsi. Il cristiano di Giovanni Paolo II è un cristiano che è consapevole della grazia che gli è stata fatta, e che vive la fede non solo per se stesso ma per il mondo. Ecco la grande intuizione per cui la missione costituisce – come ebbe a definirla nei primi anni ’80 – l’identità e il movimento della Chiesa. La Chiesa non fa la missione come una delle possibili azioni, la Chiesa è missione, la Chiesa si autorealizza nella missione, perché nella missione la Chiesa diventa sempre più se stessa, «la fede si irrobustisce donandola», scrisse nella Redemptoris Missio.
La canonizzazione di Giovanni Paolo II è l’acquisizione definitiva nella Chiesa, di fronte a Dio e di fronte all’umanità, di un cammino cristiano e umano del quale tutto ciò che era stato operato contro Dio è stato inesorabilmente giudicato. Tutto ciò che era tensione al mistero di Dio è stato valorizzato, ma soprattutto è stata testimoniata la pienezza della fede, le condizioni della pienezza di libertà e di umanità per cui la redenzione è l’unica autentica possibilità di una antropologia adeguata, di una storia compiutamente vissuta, di una attesa piena di sacrificio e di letizia per l’instaurarsi di quel regno di Dio che nel mistero della Chiesa viene continuamente riproposto e autenticamente iniziato, portato di generazione in generazione verso il suo compimento. «Quel regno celesto – come diceva Iacopone da Todi – che compie omne festo che il cuore ha bramato».
I cristiani che hanno seguito il Magistero e la testimonianza del Papa, hanno recuperato il senso del proprio essere uomini nuovi nel mondo, destinati proprio da questa novità a praticarla autenticamente e a comunicarla irresistibilmente, perché ogni uomo che incontra la testimonianza della Chiesa di Cristo, la testimonianza che ogni cristiano è chiamato a dare, possa se vuole accettare di inserire anche lui la sua vita e la sua libertà nel grande mistero della Chiesa in cui Cristo è continuamente presente, incontra l’uomo, riempie la sua vita di una proposta irresistibile. Soprattutto lo accompagna in quella azione educativa per cui le parole, le grandi parole della Chiesa, diventano carne e sangue, diventano esperienza reale, diventano una irresistibile fede in Dio e passione per ogni uomo che viene a questo mondo.
* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio