Renzo Allegri racconta tanti aneddoti che rendono evidenti le similitudini tra il pontificato di papa Bergoglio e quello del beato Giovanni XXIII
Una volta, fece 800 chilometri per andare a festeggiare una piccola comunità cristiana. Alle cerimonia in chiesa, c’erano undici persone.
Appena arrivò in Vaticano cambiò la consuetudine di donare un santino con l’effige del Papa come ricordo e come ringraziamento per un servizio fatto al Santo Padre.
Quando si presentava l’occasione per ringraziare qualche operaio che aveva fatto un lavoretto, papa Giovanni XXIII diceva al Segretario: “Mi raccomando, gli dia un santino, ma di quelli che servono per comprare un mazzo di fiori per la moglie”. E questo significava che il “Santino del papa” doveva essere un biglietto da cinque o diecimila lire.
Questi sono due degli aneddoti che il giornalista, scrittore e critico musicale Renzo Allegri racconta nell’intervista che segue
Renzo Augusto Allegri ha studiato alla "Scuola superiore di Scienze Sociali" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha lavorato con il settimanale Gente per 24 anni. È stato caporedattore per la rubrica Spettacolo del settimanale Noi e del settimanale Chi.
Come scrittore ha pubblicato più di cinquanta di libri in lingue e paesi differenti.
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Lei ha scritto diversi libri su Papa Giovanni, vero?
Come giornalista, ho cominciato a scrivere su Papa Giovanni nel 1967. Lungo il corso degli anni, ho scritto decine di articoli e quattro libri. Ho sempre lavorato con settimanali laici e con case editrici laiche. E l’argomento “Papa Giovanni” è sempre stato molto gradito in queste case editrici laiche perché interessava il grande pubblico.
L’ultimo mio libro su Papa Giovanni è uscito il 2 aprile, con il titolo La storia di Papa Giovanni, raccontata da chi gli è stato vicino, e questa volta con una casa editrice cattolica,Ancora.
Il contenuto del libro, come indica il titolo, è costituito da racconti, in presa diretta, fatti da persone che gli sono state vicine e che ho intervistato nel corso degli anni, a cominciare dal 1967, quando il Papa era morto da poco ed erano ancora vivi i suoi fratelli, alcuni suoi compagni di scuola, collaboratori e amici.
Ha conosciuto personalmente papa Roncalli? Lo ha frequentato? Che tipo era dal punto di vista umano? E come Papa?
L’ho visto una sola volta, quando era patriarca di Venezia e gli ho baciato la mano insieme a tante altre gente che lui salutava. Non ho alcun ricordo personale. Se chiudo gli occhi e penso a quel breve incontro, vedo una persona anziana, serena, che sorride.
In seguito, attraverso i racconti delle persone che ho intervistato, mi sono fatto l’idea che, dal punto di vista umano, Roncalli era una persona di grande sensibilità, nobile nel profondo del cuore, saggio, prudente, che cercava sempre di valutare le cose e le vicende con ponderazione, illuminata dalla sua fede in Dio.
Di Giovanni XXIII sono state dette tantissime cose; certe vere, altre false. Proviamo a chiederle a proposito del fatto che fosse un "Papa socialista".
Sì, certamente era socialista, ma nel senso evangelico del termine. Era cioè consapevole di essere una persona come tutte le altre esistenti al mondo, persone che hanno una dignità altissima, in quanto sono “figli di Dio”, da lui create a propria immagine e somiglianza. Quindi, era aperto al sociale con amore grandissimo ed ha trascorso la vita pensando agli altri, lavorando per gli altri, cercando sempre il bene degli altri, nell’ottica della vita eterna alla quale tutti gli esseri viventi sono destinati. Il suo “sociale”, si estendeva con straordinaria e sorprendente naturalezza anche all’aldilà, che per lui non era una “categoria” lontana, spirituale al punto di essere evanescente, ma una realtà con la quale conviveva tutti i giorni. Pregava sempre per le persone che aveva conosciuto e che erano morte. Nella sua camera, da Papa, aveva molte foto delle persone care esposte su un tavolino che gli ricordavano un mondo invisibile, ma realissimo.
Altri hanno detto che era un "super-conservatore".
Con la qualità delle sue convinzioni religiose, umane e sociali, non poteva essere un conservatore, nel senso che si dà comunemente a questo termine. Proveniva da una famiglia povera. I suoi non erano contadini, come in genere si dice, ma erano “mezzadri”, cioè lavoravano la terra di altri e avevano in cambio una parte del raccolto. Avevano in gestione tre ettari di terra, una miseria, per sfamare una famiglia che comprendeva, complessivamente, una trentina di persone.
Roncalli è cresciuto sperando in un avvenire migliore, in un progresso positivo ed evangelico anche per i poveri. Aveva forte dentro di sé la speranza del cambiamento, del miglioramento. E lo ebbe sempre anche in campo spirituale, come cristiano. Da giovane sacerdote sostenne il sindacato dei lavoratori, appena sorto a Bergamo, e difese il diritto di sciopero, inimicandosi i benpensanti religiosi e civili. Fu anche accusato di modernismo, e dovette scrivere a Roma una lunga lettera per difendersi e chiarire le proprie idee. Quando era vescovo in Bulgaria, come delegato della Santa Sede, amava seguire le cerimonie religiose nelle chiese degli ortodossi, cercava l’amicizia con gli ortodossi, dei quali si sentiva doppiamente fratello, come persona e come credente in Cristo, e fu accusato e rimproverato da Roma. Da cardinale e da Papa, la sua condotta e i suoi documenti dottrinali non sono certo impregnati di idee conservatrici.
Alcuni hanno sostenuto che lui ha iniziato il Concilio senza sapere bene cosa andasse a fare.
È una affermazione superficiale e non corrispondente al vero. Viveva in perfetta comunione con Dio e quindi sempre attento alle ispirazioni che sorgevano nel suo cuore e nella sua mente come conseguenza delle sue preghiere, dei suoi colloqui con Dio. Valutava le ispirazioni e quando “sentiva” che erano autentiche le metteva in atto, con fiducia serena che era frutto della sua fede. È stato un docile e perfetto servo del Signore. Anche per il Concilio Vaticano, che, si potrebbe dire, fu il sogno della sua vita, fin da quando era giovane.
Al contrario altri hanno detto che aveva un'idea molto chiara della necessità del Concilio ed anche il coraggio e la lungimiranza di capire che sarebbe stato un gran bene per la Chiesa.
Sono d’accordo. La storia infatti gli ha dato ragione. Ed ha anche dimostrato che coloro che non hanno creduto, come aveva fatto lui, che quella iniziativa provenisse da Dio, si sono resi responsabili di averne frenato l’attuazione nel corso degli anni, di averne snaturato il senso, provocando un danno grande alla Chiesa e alla società, come, a distanza di mezzo secolo, stiamo constatando.
Nonostante avesse svolto la maggior parte della sua attività come diplomatico, dicevano che fosse molto pastorale, è vero?
A guardar bene la vita di Roncalli, si constata che fu soprattutto e sempre uno straordinario pastore. In Bulgaria, dove fu rappresentante della Santa Sede dal 1925 al 1935, la sua attività diplomatica era quasi inesistente. I cattolici erano lo 0.90% della popolazione. Mentre gli ortodossi erano 85 per cento. Ma tra le due comunità non c’era nessuna comunicazione, se non quella dell’odio. Anche in quell’ambiente, Roncalli fu soprattutto pastore, nel senso che viveva come testimone di Cristo aiutando tutti, interessandosi dei poveri, senza tener conto se fossero cattolici o ortodossi o di altre fedi religiose. Qualcuno ha scritto che dalla Curia Romana era stato inviato in Bulgaria con un compito preciso: combinare il matrimonio tra Re Boris, ortodosso, e Iolanda di Savoia, cattolica, con il fine di avere dei principini di fede cattolica, estendendo in questo modo l’influenza politica italiana in quello Stato e di conseguenza anche l’influenza vaticana. Ma, se questo progetto fu caldeggiato a Roma, in pratica fallì. Roncalli si interessò del matrimonio di Re Boris. Riuscì a convincere Re Boris, ortodosso, a celebrare un matrimonio cattolico con l’impegno di educare i figli nella religione cattolica. E questa vittoria diede fama e gloria a Roncalli. A Roma, tutti cambiarono atteggiamento e gli portavano ammirazione e rispetto. Ma solo per pochi mesi. Re Boris non mantenne le promesse. Dopo il matrimonio con rito Cattolico ad Assisi, ne celebrò subito un altro con rito ortodosso in Bulgaria, scatenando le ire di Pio XI e quelle della Curia romana che voleva la testa di Roncalli. Ma Pio XI aveva stima profonda di quel vescovo e attese qualche anno e poi lo trasferì alla Nunziatura di Turchia.
Se aveva fallito come diplomatico, Roncalli aveva però riportato grande successo come pastore. Tutti gli volevano bene. Compreso Re Boris che, poi, durante la guerra, perse il trono e la vita per seguire le richieste di Roncalli.
Come reagì Roncalli a quelle vicende?
Dopo quella sconfitta, Roncalli come diplomatico era fallito. Ne soffriva, ma offrì le proprie sofferenze a Dio. Volle fare un lungo pellegrinaggio per l’Europa, sostando in preghiera nei principali santuari. Andò a visitare la Cecoslovacchia, fermandosi a Praga, poi la Polonia con tappa alla Madonna nera di Czestokowa, quindi in Germania, dove conobbe Eugenio Pacelli, Futuro Pio XII, che era nunzio apostolico a Berlino. Andò infine in Francia, a Parigi e a Lourdes.
Nel 1934 fu nominato Delegato apostolico in Turchia e Grecia. Si trasferì a Istanbul, dove rimase per oltre dieci anni. I cattolici in Turchia erano pochissimi, meno dello 0.2 per cento della popolazione. Alla messa nella cattedrale, alla domenica, arrivavano, sì e no, una ventina di persone. Ma Roncalli si comportava come se la cattedrale fosse piena. Scriveva i discorsi e li leggeva. Annotò nel suo diario: “Prima di salire sul pulpito, mi rivolgo agli angeli custodi di tutti i fedeli del vicariato e li supplico di portare la mia parola a tutti, anche a quei fedeli che non sono mai venuti in chiesa”.
Una volta, fece 800 chilometri per andare a festeggiare una piccola comunità cristiana. Alle cerimonia in chiesa, c’erano undici persone.
Dedicava tutto il suo tempo ai poveri, agli ammalati, ai derelitti, a qualunque religione appartenessero. Non attendeva che i bisognosi si rivolgessero a lui, li precedeva: quando veniva a sapere che una persona aveva bisogno, correva a portare aiuto. Padre Giorgio Montico, che era superiore dei Francescani conventuali in Turchia e fu grande amico di Roncalli, mi diceva che si toglieva letteralmente il pane di bocca per aiutare i poveri che in quel periodo erano molto numerosi in Turchia. Certe settimane stava giorni interi senza avere di che mangiare.
Ha salvato ebrei?
Migliaia. Nel 1971 padre Cairoli, che era postulatore della causa, mi disse: “Non è possibile stabilire quanti ebrei abbia salvato dalla morte in quegli anni monsignor Roncalli. Si calcola che abbia salvato 40-50 mila ebrei”.
Nel 1943, circa 23 mila ebrei Slovacchi si erano rifugiata in Bulgaria. Hitler chiese a Re Boris, suo alleato, di rispedirli indietro. Significava mandarli a morire nei Lager. Roncalli si inserì nella vicenda riuscendo a convincere Re Boris a farli proseguire per la Turchia. Re Boris venne chiamato a rapporto da Hitler. Quando tornò a casa, misteriosamente morì all’improvviso.
Un giorno nel porto di Istanbul arrivò una nave carica di bambini ebrei. Erano circa 25 mila. La nave proveniva dalla Romania ed era riuscita a superare il blocco tedesco. La Turchia non voleva grane con Hitler e decise di riconsegnare la nave ai tedeschi. Monsignor Roncalli cominciò a interessarsi febbrilmente della vicenda. Contattò autorità turche, rumene, tedesche. Alla fine, la nave ottenne il permesso di attraversare lo stretto di Dardanelli e portare i bambini in salvo.
Durante la guerra, Istanbul era neutrale. Divenne centro frenetico di attività diplomatiche, ma anche di oscuri intrighi di spionaggio. Tutti sapevano che Roncalli, con le sue amicizie, riusciva ad arrivare ovunque. Per questo era sorvegliato dai servizi segreti di mezzo mondo. Ma egli era diventato astuto e riusciva sempre a seminarli e confonderli. Viaggiava di notte, in borghese, ricorrendo a strani travestimenti. Un autentico 007. Si sa che per aiutare il prossimo, in quegli anni fece di tutto, rischiando continuamente la vita.
Ha aperto nuove relazioni con gli Ortodossi?
Più volte egli manifestò ai suoi collaboratori la sua viva e precisa convinzione: “La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo. Dividendo quel corpo, si uccide Gesù”.. Ovunque, in Bulgaria, in Turchia, in Grecia, in quegli anni, ha sempre cercato contatti con le varie religioni, in particolare con gli ortodossi, discutendo, favorendo il dialogo e l’amicizia. I suoi sforzi, volti a dissipare pregiudizi e a migliorare reciproche relazioni, furono un ottimo allenamento per quell’ecumenismo che sarebbe diventato l’anima del Concilio Vaticano II.
Chi erano i profeti di sventura di cui si lamentava?
Raramente si lamentava. E quando lo faceva, non personalizzava mai, non faceva nomi. Solo nelle pagine del suo diario ha lasciato indicazioni inequivocabili, come questa: “Come mi era facile prevedere, il mio ministero doveva recarmi molte tribolazioni. Ma, cosa singolare, queste non mi vengono dai bulgari per i quali lavoro, bensì dagli organi centrali dell’amministrazione ecclesiastica. È una forma di mortificazione e di umiliazione che non mi attendevo e che mi fa molto soffrire”.
Quali secondo te le ragioni per cui è stato beatificato e ora verrà canonizzato?
Per tutta la vita ha esercitato in forma veramente eroica tutte le virtù evangeliche, con una dedizione assoluta a Dio e al prossimo, vivendo in povertà, in umiltà, ma con il cuore gonfio di amore e di tenerezza per gli altri. Un santo evangelico totale. Alla sua morte, la fama di santità era così grande, così diffusa, che alcuni Padri Conciliari avevano proposto che fosse proclamato santo per acclamazione, durante un’assemblea conciliale.
C'è qualche altro aneddoto che vorrebbe raccontare?
Tutta la vita di Roncalli è piena di aneddoti divertenti. Era un maestro del sorriso, della gentilezza, delle serenità, del rispetto amoroso per il prossimo. Aiutava le persone bisognose facendo pervenire loro somme di dinaro accompagnate sempre da un biglietto in cui era scritto: “Da parte di un ignoto benefattore che chiede di essere ricordato nelle preghiere”.
Quando, in Turchia, andava nelle parrocchie, o in qualche istituto a celebrare la Messa, poi gli offrivano una busta con dentro una generosa offerta, ma lui, conoscendo le ristrettezze economiche di quei preti, rifiutava sempre e diceva: “Chissà quale trabocchetto c’è lì dentro: non mi fido di prenderla”.
Quando, in Turchia, andava nelle parrocchie, o in qualche istituto a celebrare la Messa, poi gli offrivano una busta con dentro una generosa offerta, ma lui, conoscendo le ristrettezze economiche di quei preti, rifiutava sempre e diceva: “Chissà quale trabocchetto c’è lì dentro: non mi fido di prenderla”.
In Vaticano c’era l’abitudine di dare un santino con l’effige del Papa benedicente, come ricordo e come ringraziamento per un servizio fatto al Santo Padre. Appena arrivato, Papa Giovanni cambiò quella consuetudine. E quando si presentava l’occasione per ringraziare qualche operaio che aveva fatto un lavoretto, diceva al Segretario: “Mi raccomando, gli dia un santino, ma di quelli che servono per comprare un mazzo di fiori per la moglie”. E questo significava che il “Santino del papa” doveva essere un biglietto da cinque o diecimila lire.