martedì 29 aprile 2014

La fontana del villaggio



Papa Giovanni e la profezia del Vaticano II. 

Padre del mondo. Il testo qui pubblicato, scritto nel 1983, è inserito in una raccolta di articoli e poesie di David Maria Turoldo curata da Espedito D’Agostini in occasione della canonizzazione di Angelo Giuseppe Roncalli: Padre del mondo. Testi in memoria di Papa Giovanni (Milano, Viator, 2014, pagine 89, euro 12, prefazione di Loris Francesco Capovilla).
(David Maria Turoldo) Per quasi cinque anni, quanto durò il suo inatteso pontificato, Papa Giovanni ci ha dato il più provocatorio “scandalo” evangelico: la coesistenza, al vertice della Chiesa, dell’istituzione e della profezia.
Oggi [nel 1983], a vent’anni dalla sua “morte ecumenica”, davanti a non poche contraddizioni ed esitazioni ecclesiali, al vertice come alla base, viene legittima una domanda: la profezia di Roncalli è morta con lui, o è semplicemente scesa nel solco della storia come il “seme” evangelico, diventando, sia pure in tempi e ritmi diversi dai nostri, fiore di speranza e frutto di libertà?

Io non sono pessimista, credo nella speranza nonostante tutto, e ritengo che in questo momento quanto di profetico era rappresentato da Papa Giovanni (e dal “suo” concilio e da quella Chiesa che con lui s’era risvegliata, sorta di nuovo in piedi e rimessa in cammino sulle strade del mondo) debba essere considerato come un’acqua che da un certo momento, invece che scorrere in superficie, scorre sotterranea, ma intatta. È un momento in cui il letto del suo fiume può apparirci arido e pieno di ciottoli e sterpaglie, ma l’acqua che vi scorre sotto cresce nel procedere e riemergerà presto in superficie, non importa in quale fiume o in quale mare aperto. O, se si preferisce un’altra immagine, direi che quella profezia è un fuoco sotto la cenere: cova nascosto, ma non è spento.
È vero che in questo momento siamo tutti molto stanchi. Come è stato anche quel mondo che dice di non credere, ma che, proprio perché il più deluso, non si rassegna a non credere ed è una lezione anche per noi che crediamo. La profezia di Papa Giovanni interpellò e coinvolse anche quel mondo, e gli offrì la Chiesa quale «fontana del villaggio» (una delle più belle definizioni mai date alla famiglia dei cristiani). Può ancora essere attinta a quella fontana, con la stessa umiltà e semplicità di cui Papa Giovanni fu esempio, la risposta religiosa alla domanda dell’uomo del nostro tempo? O non piuttosto proprio lui, il Papa che rifiutò di dare ascolto ai “profeti di sventura”, che iniziò, con tutta la Chiesa, insieme a tutte le chiese e a tutti gli «uomini di buona volontà», un «nuovo ordine di rapporti umani», non c’insegnò a fare prima di tutto le domande fondamentali, per «render conto alla speranza che è in noi»?
Con Papa Giovanni siamo passati a un’epoca planetaria e dobbiamo rivedere tutte le nostre categorie culturali e religiose; pensando e cercando ormai in dimensioni universali, cosmiche; ma proprio per essere capaci di questo “salto” di fede, lui ci ha dato l’esempio di restare fedeli alle eterne, fondamentali aspirazioni dell’uomo, e solo in questo modo a essere tutti quanti, simultaneamente, una ricerca e una risposta.
Non dobbiamo avere paura. È come nell’ora della sepoltura di Cristo, cioè dell’apparente sconfitta. C’è il sepolcro sigillato, ci sono le guardie, tanto tranquille che «giocano a dadi». Ma la pietra che chiude il sepolcro a un certo punto si ribalta, mentre nessuno se l’aspetta. I soldati che custodiscono il sepolcro sono l’avvenire (le sicurezze umane), la pietra che ribalta è il futuro (le sorprese della fede). Accadrà per il vescovo Oscar Romero («Risorgerò nel mio popolo salvadoregno»). Accadrà anche per Papa Giovanni e per la sua profezia. Ha ragione Ernst Bloch: «La risurrezione di Cristo non è che la causa dell’uomo che vince».
L'Osservatore Romano