Bergoglio e Vera
Lotta a tratta, sfruttamento della prosituzione, lavoro in schiavitù, spaccio e narcotraffico
di Alver Metalli
Pianifica una riunione con le gente della baraccopoli 20 mentre concorda per telefono dove ricoverare una vittima di tratta; apre un file per scrivere un rapporto da cui dipendono degli aiuti economici ma lo abbandona rassegnato dopo un certo numero di messaggi che i collaboratori gli passano in silenzio e che richiedono una pronta risposta. Le giornate di Gustavo Vera sono frenetiche come la sua vita. Ma non rimpiange i tempi più tranquilli, i 27 anni da maestro in una scuola elementare di Villa Lugano. Fino a quando la sua strada non si è incrociata con quella di Bergoglio un pomeriggio di giugno del 2008.
«In quel periodo Jorge – Vera chiama il Papa per nome – denunciava la tratta di persone nelle sue omelie. Anche noi dell’associazione “La Alameda” lo stavamo facendo e le denunce ci tiravano addosso insulti, minacce e attentati». L’aria era molto pesante ricorda Gustavo Vera, cinquant’anni appena compiuti, festeggiati con una canzone rock composta appositamente per lui proprio su suggerimento di Borgoglio. «Decidemmo di scrivere una lettera per chiedergli un incontro. Passò pochissimo tempo e ci diede un appuntamento. Parlammo a lungo di quello che stava succedendo in Argentina con le varie mafie, della tratta, del lavoro schiavo, del narcotraffico. Raccontammo quello che sapevamo; lui ascoltò attentamente, con quella sua capacità di immedesimarsi che gli è tipica. Domandò, commentò, aggiunse cose che sapeva. Gli chiarimmo che non eravamo un’organizzazione cattolica, che andavamo da lui perché ci trovavamo in una situazione di grande vulnerabilità. Le nostre denunce toccavano da vicino il potere politico, quello giudiziario, le forze di sicurezza, eravamo molto, molto esposti e gli chiedemmo che ci accompagnasse e ci proteggesse perché correvamo il rischio di finire nel Río de la Plata. E’ rimasto in silenzio per un po’, poi ha proposto la famosa messa in favore delle vittime della tratta».
L’iniziativa di ricorre a lui è stata vostra.
Di cercarlo sì. Avevamo notato che in due omelie Jorge aveva menzionato il tema della tratta; con Juan Grabois, del movimento dei cartoneros, gli abbiamo scritto la lettera…
Cosa venne fuori da quell’incontro?
Si è messo subito in moto; pochi giorni dopo –era il primo luglio – ha celebrato una prima Messa nella parrocchia “Los Inmigrantes”, nel quartiere La Boca, per denunciare il flagello della tratta e della schiavitù. Nella Messa si è riferito esplicitamente al lavoro di organizzazioni come la nostra, La Alameda. Di omelie ce n’è stata tutta una serie che è durata fino a luglio del 2012. Ci ha meravigliati sin dall’inizio, un intervento decisivo il suo.
Ricorda qualcosa dell’omelia, la prima?
Commentò a lungo la parabola evangelica del paralitico che viene portato sino alla casa dove c’era Gesù e calato dal tetto perché non c’era altro modo per passare. Disse che, in fondo, anche organizzazioni come la nostra, o i cartonerosorganizzati, salgono sul tetto, smuovono le tegole e calano nell’agenda della Chiesa temi che devono essere al primo posto e che hanno a che vedere con la tratta, il narcotraffico, l’esclusione. Da quel momento in poi il rapporto non ha fatto altro che intensificarsi.
Perché dice che è stato un intervento decisivo?
Decisivo, sì, e non solo per quel che si riferisce alla tratta a sfondo sessuale. E’ stato decisivo anche in tanti casi di lavoro infantile, di schiavitù, di corruzione nella polizia federale…
Corruzione dentro la polizia?
Sì, ha protetto un’agente, Nancy Miño Velázquez, che denunciò il reparto di polizia che doveva investigare su delitti di tratta di persone e che, anziché intervenire, prendevano tangenti per lasciare in libertà i trafficanti. La Velázquez fece nomi, indicò cifre, circostanze, modalità operative. La denuncia fu molto pesante, gli schizzi arrivarono in alto nella polizia federale. Venne minacciata, lei e il figliolino, ci fu persino un tentativo di sequestro. Jorge non esitò a farsi fotografare con lei per proteggerla.
La notorietà come forma di protezione… E’ una tecnica che Bergoglio ha usato anche in altri casi.
Proprio così. L’ha fatto con Karina Ramos, con Lorena Martins che denunciava una rete di postriboli che godevano della protezione dei servizi di intelligenza…
Nel 2011 l’ha anche fatto con un sacerdote della Villa 21 che era stato minacciato di morte dai narcotrafficanti…
Ricordo bene quel caso, del sacerdote Pepe di Paola. E’ vero, anche lì Jorge (Bergoglio) si comportò così, rese pubbliche le minacce e in questo modo stese la sua protezione sul minacciato. Non ha mai avuto paura di ricevere privatamente e farsi fotografare con persone che erano vittime di talleres clandestini, o casi di lavoro infantile in ambito rurale; tante volte ha facilitato l’uso di locali parrocchiali perché le persone potessero organizzarsi, e ha anche favorito la ricerca di posti dove delle vittime potessero avere ricovero perché erano perseguitate.
Un caso?
Quello di una donna che era scappata da una serie di postriboli VIP, di alto livello. Aveva denunciato spaccio di droga, prostituzione, tratta. Era stata minacciata pesantemente e lui ha cercato e trovato una parrocchia dove potesse rifugiarsi in attesa che lo stato le desse garanzie di protezione. Un altro caso che conosco è quello di una ragazza che era stata assunta per fare le pulizie in una casa del quartiere di Liniers, una ragazzina giovane e carina: venne sequestrata, violentata e chiusa in un postribolo. Scappò ed ebbe un incontro commovente con Bergoglio che ottenne l’interessamento dei competenti organismi dello stato perché si facessero carico della situazione della ragazza. Jorge voleva sempre incontrare le vittime personalmente e ascoltarle.
Negli anni ha notato cambiamenti in Bergoglio, nel tono, nel modo di intervenire?
Se si confrontano le omelie su questi problemi, dal 2008 al momento dell’elezione, si può notare come siano andate caricandosi via via di aspetti nuovi.
Per esempio?
Comincia denunciando la tratta e lo sfruttamento del lavoro, poi associa a questi fenomeni la corruzione, le tangenti, il riciclaggio, introducendo osservazioni su come si connettano queste reti perverse tra di loro; infine parla di mafia. E’ come se lui stesso avvesse acquisito conoscenze e consapevolezze nuove grazie agli incontri personali con le vittime.
Sente la mancanza di Bergoglio adesso che è lontano?
Noi lo sentiamo molto vicino. Continua ad aiutarci molto.
Da Roma?
C’è una comunicazione regolare.
Nei due sensi immagino?
Sì, anche noi ci facciamo presenti. Abbiamo collaborato con il Colloquio su Tratta e Traffico che c’è stato al Santa Marta la prima settimana di novembre.
E incontri diretti ne avete avuti?
Due incontri con lui; un terzo ce l’avremo a maggio.
Il vostro lavoro, il suo, quello dell’Associazione che ha fondato, in che modo ha risentito dell’elezione di Bergoglio a Papa?
Il suo aiuto è stato inestimabile. Gli dobbiamo la vita e glielo abbiamo detto. Se avessimo continuato con le denunce che stavamo facendo senza nessun tipo di protezione potremmo aver sofferto attentati molto più gravi di quelli che abbiamo avuto.
C’è una “Lista di Bergoglio” che è diventata nota dopo l’elezione, fatta di tanti casi di desaparecidos o perseguitati dai militari di cui non si sapeva nulla. Adesso viene fuori una “vita nascosta” di Bergoglio…
Non so se si possa chiamare così. Lui non ha mai fatto le cose per la stampa, anzi, non gli faceva piacere la notorietà, salvo che la vittima ne beneficiasse o che volesse mandare un messaggio chiaro alla società. In generale Jorge cercava di preservare l’anonimato.
Nel tempo continueremo a scoprire episodi, momenti, attenzioni di Bergoglio verso gente emarginata o a rischio che ancora non conosciamo.
Si, sarà così. Prenda il suo barbiere, qui vicino (l’intervista avviene nell’ufficio di Vera a poca distanza da Plaza de Mayo, ndr): so che ha avuto problemi di lavoro e che Jorge gli ha trovato un posto da autista… le giornate di Bergoglio erano piene di queste cose e non avevano una risonanza pubblica.
Ma anche con lei c’è voluto il Papa perché si sapesse che due terzi del suo stipendio lo distribuisce tra diverse organizzazioni sociali…
Si riferisce alla lettera di Jorge?
Quella che le ha mandato il Papa in marzo per felicitarla per la decisione di dare parte del suo salario da parlamentare ad alcune associazioni sociali.
Dice una cosa molto giusta, che “donare lo stipendio non è solo un atto di carità ma anche di giustizia”.
E che “spera” dai politici “che agiscano con l’esempio, che armonizzino le parole con i fatti”.
La mia proposta è che i politici ricevano uno stipendio equivalente a quello di un direttore di scuola; so che il Papa è attento a quello che succederà.
Nota che con Bergoglio Papa sia aumentata una presa di coscienza generale su questioni come il lavoro schiavo e la tratta?
Ha dato visibilità a questi temi a livello di massa. Penso a tanti cattolici che non includevano queste problematiche nel proprio impegno: milioni di persone oggi si sentono provocate dalla testimonianza di Bergoglio-Papa. Quello che ha fatto Jorge in un certo senso è rivoluzionare il sentire comune, ha rimesso il buon senso al suo posto.
C’è ritardo a livello politico su queste cose?
Un ritardo molto grande. Il messaggio e la testimonianza di Bergoglio va controcorrente rispetto agli atteggiamenti di gran parte della classe politica del nostro Paese, che interpreta il potere come impunità. Lavorare per il bene comune è un’altra cosa.
E la canzone rock composta per il suo compleanno?
(Ride). Quando ho giurato come deputato sono arrivato in moto e per fare prima l’ho posteggiata davanti alla porta della Cattedrale. L’ho scritto al Papa e lui mi ha risposto con queste righe: “Me encanta il racconto del tuo giuramento. Non sarà mancato chi l’avrà trovato troppo ‘postmoderno’. Dì al tuo Cappellano di fatto che scriva una canzone che potrebbe intitolarsi ‘La moto en la puerta de la Catedral’: non è una battura ma una ispirazione. Può essere una bomba con un messaggio molto forte E grazie che hai pensato alla porta della cattedrale per lasciare la tua moto”.
Il “cappellano di fatto” si chiama padre Cesar. E’ un sacerdote che ama il rock e suona nel gruppo musicale “Los pecadores”. Ha composto e musicato una canzone con lo stesso titolo suggerito da Bergoglio: “La moto y la Catedral” e l’ha cantata il giorno del compleanno di Gustavo Vera il 24 marzo.