martedì 22 aprile 2014

Due Papi un’unica santità 2

Giovanni Paolo II e Martini

«Martini non era contrario a Wojtyla santo»


Il postulatore Oder lo ha detto in una conferenza sulle canonizzazioni dei due Pontefici: il suo «era un discorso sulla opportunità di proclamare santi i papi»

DOMENICO AGASSO JRROMA

«Con dispiacere ho letto sulla stampa stralci della testimonianza del cardinale Carlo Maria Martini interpretati in chiave di una sua opposizione alla santità di Giovanni Paolo II: si tratta sicuramente di una chiave di lettura non giusta e non vera». Ad affermarlo è il postulatore della causa di canonizzazione di Karol Wojtyla, monsignor Slawomir Oder, nel corso della conferenza sulle canonizzazioni di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, tenuta insieme al responsabile della causa di Papa Roncalli, padre Giovanni Giuseppe Califano, nell'aula Giovanni Paolo II in Vaticano. «Dobbiamo semplicemente essere tutti consapevoli – ha spiegato ancora Oder - che esistono modi di pensare diversi sulla opportunità di canonizzare i Papi. Ma questo – ha sottolineato - è un ragionamento più generale», dunque non applicabile al caso specifico di Giovanni Paolo II.

Anche padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, intervenendo alla conferenza ha precisato che «il cardinale Martini ricordava che esiste una discussione più ampia sul fatto della canonizzazione dei papi e dunque sulla opportunità di proclamare santo un papa. Ma questa non era una sua presa di posizione», né sul tema in questione né tanto meno sul caso specifico della canonizzazione di Giovanni Paolo II.

Nel corso dell’incontro, parlando del Papa polacco, Oder ha affermato: «Karol Wojtyla aveva la percezione del peso di santità che doveva dare egli stesso alla sua vita e questo veniva percepito dalla gente e dai fedeli». «Era molto riflessivo – ha aggiunto - con una grande attitudine alla preghiera e alla meditazione. La sua vita – osserva - doveva essere organizzata in modo tale che fosse la manifestazione della gloria di Dio».       

Oder ha ricordato che Wojtyla «si è formato alla scuola della sofferenza e la sua spiritualità ha un forte elemento mariano. Il seminario è stata la sua “casa” familiare: l'eredità più preziosa avuta dai suoi padri spirituali è stata la semplicità della fede».       

Oder ha anche detto che «papa Giovanni Paolo II aveva quella profondità mistica di chi ha trovato in Dio la fonte della sua vita. Fiducioso nei confronti dell'animo umano, si rendeva anche conto dei limiti dell'umanità, incarnati dai regimi nazista e comunista che egli conobbe da vicino».

Su Roncalli, Califano ha messo in evidenza che «i fedeli hanno immediatamente riconosciuto il profumo di santità in Papa Giovanni XXIII, che negli scritti come nelle azioni, da seminarista e da sacerdote, da vescovo e da papa, si è sempre proposto con uno spirito di santità autentico».

«I tratti particolari della sua santità – ha proseguito - sono la semplicità, la mitezza e l'abbandono alla Provvidenza Divina. L'espressione “pastore e padre” condensa la sua spiritualità: un misto di bontà, di cordialità, di mitezza, di letizia e di generosità si uniscono nella espressione “Papa buono” con la quale era riconosciuto da tutte le genti», dai fedeli come dai non credenti.       

Per Califano, «un altro binomio che sintetizza la santità di papa Giovanni XXIII è “obbedienza e pace”, scelto anche come motto del suo pontificato. Obbedienza è svolgere nella Chiesa il servizio che gli veniva richiesto, in ogni luogo e in ogni circostanza. Pace è la radice della sua santità che ha portato in tutto il mondo».

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Roncalli durante la guerra: «Si potrebbe gridare più forte. Ne verrebbero altri guai»


Giovanni XXIII

Il diplomatico vaticano, futuro Giovanni XXIII, in un appunto dei suoi diari di cui parla un nuovo saggio di M. Roncalli mostra di comprendere l'atteggiamento della Santa Sede

ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO

Di monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, arcivescovo e delegato apostolico a Istanbul, viene sempre citato quel passaggio dei diari nel quale riferiva di un incontro con Pio XII avvenuto il 10 ottobre 1941: in quella occasione Papa Pacelli aveva chiesto a Roncalli che cosa ne pensasse del suo «silenzio» circa «il contegno del nazismo». Ma ora, dai diari del futuro Giovanni XXIII, tra qualche giorno santo, emerge anche un altro appunto interessante. Lo sottolinea Marco Roncalli, saggista e storico, nel volume «Papa Giovanni. Il Santo» (San Paolo Edizioni, pp. 216, euro 9,90).

È passato un anno da quell'udienza con Pio XII, e monsignor Roncalli, scrive il suo biografo, «è anche consapevole che la tragedia in corso avrebbe diritto a reazioni più dure anche da parte della Santa Sede. E tuttavia, come documentano le righe scritte dopo la lettura di un cifrato vaticano del 19 ottobre 1942 che lo affligge, scrive sul diario: "Oh, le pene della Santa Sede! Spesso non c’è che il gemito dinanzi alle ingiustizie subite. Si potrebbe gridare più forte. Ne verrebbero altri guai"». Un passaggio, sottolinea l'autore della biografia a Vatican Insider, che «fino ad oggi non è stato mai evidenziato», nel quale il futuro Papa e futuro santo mostra di far sua la controversa motivazione secondo la quale la denuncia non avrebbe portato risultati ma avrebbe potuto persino peggiorare la già tragica situazione.

Nel libro di Roncalli, a proposito dell'atteggiamento di Giovanni XXIII verso gli ebrei, si ricordano le diffidenze della Curia romana quando il Papa ricevette Maurice Fischer, rappresentante del ministero degli Esteri israeliano, in Vaticano per sondare un possibile riconoscimento diplomatico di Israele. «Voi avreste immediata soddisfazione se io ascoltassi il mio cuore», si sente dire dal Pontefice bergamasco con parole analoghe a quelle indirizzate l’anno dopo a Jules Isaac, ma con un’appendice: «lei deve comprendere che l’essere Papa non significa poter prendere decisioni da solo». Di lì a poche settimane, nelle celebrazioni pasquali del marzo 1959, qualcosa comincia a cambiare. Giovanni XXIII decide infatti di modificare la controversa preghiera del Venerdì santo facendo cadere dal testo i termini «perfidi» e «perfidia», restando immutato tutto il resto dell’«Oratio pro Judaeis». «Un primo passo - osserva Roncalli - cui seguiranno meno note iniziative personali del Papa tese a eliminare da altre formule accenni anche solo velatamente offensivi nei confronti degli ebrei: dal riferimento al deicidio nella formula di consacrazione del genere umano al Sacro Cuore, introdotta da Leone XIII, a quelli relativi alla "Iudaica perfidia" e alla "Hebraica superstitio" presenti nel Rituale Romano, durante il rito di conversione degli ebrei per il momento del battesimo».

«Una "grande delicatezza" quella "dimostrata verso i non Cattolici" da Giovanni XXIII, serenamente ammessa da Civiltà Cattolica in un bilancio a un anno dall’elezione. Una "delicatezza" che troviamo anche nel battesimo chiesto al Papa da un giovane amico ebreo e che Giovanni XXIII gli somministra in Vaticano nel massimo riserbo, chiedendo al neoconvertito di non informare i familiari più anziani di questa scelta».

«Papa Giovanni. Il Santo», di Marco Roncalli, San Paolo Edizioni, pp. 216, euro 9,90.