Parla il cardinale Stanislaw Dziwisz. Gli è stato vicino per 39 anni e oggi racconta la santità del grande papa polacco nella vita di tutti i giorni
(Stefania Careddu) Parla con molta pacatezza e mentre si racconta è come se rivivesse ogni istante di una vita trascorsa accanto ad un Santo. Per quasi quarant’anni il cardinale Stanislaw Dziwisz, attuale arcivescovo di Cracovia, è stato segretario particolare di Karol Wojtyla, prima in Polonia e poi a Roma. Alla vigilia della canonizzazione di Giovanni Paolo II e nei giorni in cui si ricorda il nono anniversario della morte, lo storico segretario – testimone fedele ed attento - riavvolge il nastro della memoria per svelare il segreto della santità di un uomo venuto da lontano che, con il suo carisma e la sua fede, è riuscito a cambiare il corso della storia.
Eminenza, quale è il primo ricordo che ha di Giovanni Paolo II?
Il primo incontro avvenne quando ero seminarista, studente del primo anno. Lui era professore, ancora non vescovo, e insegnava introduzione alla filosofia e alla teologia. Abbiamo visto un uomo di Dio: questa immagine di uomo unito al Signore rimane nella mia memoria per sempre.
In concreto, quando finiva le lezioni o all’intervallo, stava sempre davanti al Signore nella Cappella e noi ragazzi lo spiavamo, volevamo vedere come pregava. L’impressione era che per lui non esistesse niente se non il Signore con cui parlava, era profondamente concentrato in preghiera. Quando poi tornava in aula, appariva cambiato, molto tranquillo: sembrava tornato da un incontro per lui molto impegnativo.
Se oggi vogliamo parlare di lui oggi, alla vigilia della canonizzazione, dobbiamo ricordare la sua preghiera, la sua santità, la sua contemplazione del Signore. Lui non divideva il tempo del lavoro da quello della preghiera, tutto quello che faceva passava per la preghiera.
Non doveva cambiare niente della sua vita: da giovane, da vescovo e poi da Papa, tutto maturava dentro di lui, ma questo amore per il Signore si vedeva dall’inizio, dagli anni della sua gioventù.
Sono certamente tanti gli aneddoti che potrebbe raccontare: ce n’è uno a cui è più legato?
Da un parte la sua santità era basata sulla contemplazione e la preghiera, dall’altra parte c’era il rispetto della persona. Non ho mai visto sgridare qualcuno, non è poco. Sono stato con lui 39 anni e non l’ho mai visto alzare la voce. Per lui era importante l’argomento, non la forza della voce.
C’è qualche altra curiosità?
In tema di cucina, non aveva preferenze. Penso che non sapesse nemmeno bene cosa mangiava. Due cose certamente apprezzava molto: il caffè e il dolce. Gli piaceva scherzare, ma mai di una persona, era attento a non dispiacere nessuno. E poi amava cantare, cantava al Signore da solo.
Il giorno del funerale in piazza san Pietro in molti gridavano: “Santo subito” e il 27 aprile Giovanni Paolo II salirà all’onore degli altari. Durante il pontificato, lei aveva già avvertito questa fama di santità?
Uno dei segreti di Giovanni Paolo II era la capacità di ascoltare. Chi andava da lui veniva sempre ascoltato. Questo non significava che il Papa condividesse sempre l’opinione che gli veniva proposta, ma lui ascoltava, lasciava che l’uomo si aprisse. Lungo questi anni ho visto tante persone che lo incontravano e che alla fine mostravano grande tranquillità interiore, soddisfazione. E gioia. C’era anche chi ne traeva un beneficio fisico, come un monsignore che soffriva di mal di testa e spesso si sentiva male ma quando incontrava il Papa tutto passava.
Quella di Papa Wojtyla era dunque una santità che aveva a che fare con la quotidianità… Era un uomo che trattava tutto con il Signore. Questo contatto gli dava tranquillità e sicurezza. Un cardinale mi raccontò di aver confidato al Papa di avere grossi problemi, per i quali non vedeva soluzione. Wojtyla gli rispose: anche io non ho soluzione perché non abbiamo pregato sufficientemente.
È noto che il Papa ha compiuto in vita diversi miracoli. Lei ne è stato testimone silenzioso…
Quando qualcuno parlava al Papa di un miracolo, lui subito rispondeva: l’uomo non fa miracoli, noi possiamo solo chiedere al Signore pregando, ma è lui che fa i miracoli. Sappiamo che la sua preghiera era molto efficace. Durante la vita ha compiuto tanti miracoli, la sua intercessione risultava utile, soprattutto in caso di matrimonio senza figli. Era per la vita, per la famiglia, ed era molto attaccato a queste tematiche. I problemi dei giovani e delle coppie gli stavano molto a cuore.
Secondo lei, cosa è rimasto nel cuore dei polacchi e dei fedeli del mondo intero?
Si può constatare che la sua memoria è ancora molto forte. La gente non lo ha dimenticato, anzi vuole conoscerlo ancora di più come persona, non solo a livello di dottrina. Anche se ha lasciato una grande eredità, è la sua persona ad essere attraente.
Quale è il segreto della santità di Papa Wojtyla?
La sua unione con Dio e il grande amore per l’uomo. La gente cerca sempre tutto ciò che è vero, autentico, sincero e bello. In lui trovano questo.
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Un Centro per conoscere meglio Wojtyla
Nella zona dell’ex fabbrica chimica Solvay, dove il giovane Karol lavorò per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania, oggi sorge il Centro “Non abbiate paura” dedicato proprio a Giovanni Paolo II. La costruzione, voluta dal cardinale Stanislaw Dziwisz, si erge non lontano il Santuario della Divina Misericordia, ben conosciuto da Wojtyla che, al termine del lavoro, era solito andare a pregare sulla tomba di suor Faustina Kowalska, grande mistica polacca.
L’orientamento dell’edifico è altamente simbolico: il Papa polacco ci indica il cammino verso la Divina Misericordia. Il Centro, spiega il cardinale, “non è un monumento, ma un importante luogo di incontro con il personaggio di Giovanni Paolo II, con la sua mente, il suo spirito, la sua santità”. Far conoscere e diffondere gli insegnamenti di Papa Wojtyla è infatti l’obiettivo del Centro che svolgerà un ruolo chiave in occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, in programma a Cracovia dal 26 al 31 luglio 2016.
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Il ricordo di un amico
“Allo skipass facevamo la fila insieme agli altri, senza usare alcuna corsia preferenziale. Poi mentre sciavamo, lui si fermava a contemplare la natura: le nubi, il sole, le cime”. Marcello Bedeschi, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per la Gioventù e organizzatore di moltissimi eventi papali, torna con la mente a quelle giornate trascorse sulle montagne innevate con Giovanni Paolo II. “Portavamo con noi il pranzo al sacco e il Papa amava prepararsi da solo i panini”, racconta.
“Un giorno – sorride Bedeschi – sulla pista ci raggiunsero dei ragazzini. Ci guardarono incuriositi, poi uno di loro disse: ‘che strano, quello mi sembra tanto il Papa!’”.
Bedeschi ricorda anche le “numerose coppie di sposi accompagnate dal Papa perché non riuscivano ad avere figli”. “Dopo qualche tempo dall’incontro con Giovanni Paolo II - conferma – quelle stesse famiglie venivano allietate dall’arrivo di un bimbo”.
Eminenza, quale è il primo ricordo che ha di Giovanni Paolo II?
Il primo incontro avvenne quando ero seminarista, studente del primo anno. Lui era professore, ancora non vescovo, e insegnava introduzione alla filosofia e alla teologia. Abbiamo visto un uomo di Dio: questa immagine di uomo unito al Signore rimane nella mia memoria per sempre.
In concreto, quando finiva le lezioni o all’intervallo, stava sempre davanti al Signore nella Cappella e noi ragazzi lo spiavamo, volevamo vedere come pregava. L’impressione era che per lui non esistesse niente se non il Signore con cui parlava, era profondamente concentrato in preghiera. Quando poi tornava in aula, appariva cambiato, molto tranquillo: sembrava tornato da un incontro per lui molto impegnativo.
Se oggi vogliamo parlare di lui oggi, alla vigilia della canonizzazione, dobbiamo ricordare la sua preghiera, la sua santità, la sua contemplazione del Signore. Lui non divideva il tempo del lavoro da quello della preghiera, tutto quello che faceva passava per la preghiera.
Non doveva cambiare niente della sua vita: da giovane, da vescovo e poi da Papa, tutto maturava dentro di lui, ma questo amore per il Signore si vedeva dall’inizio, dagli anni della sua gioventù.
Sono certamente tanti gli aneddoti che potrebbe raccontare: ce n’è uno a cui è più legato?
Da un parte la sua santità era basata sulla contemplazione e la preghiera, dall’altra parte c’era il rispetto della persona. Non ho mai visto sgridare qualcuno, non è poco. Sono stato con lui 39 anni e non l’ho mai visto alzare la voce. Per lui era importante l’argomento, non la forza della voce.
C’è qualche altra curiosità?
In tema di cucina, non aveva preferenze. Penso che non sapesse nemmeno bene cosa mangiava. Due cose certamente apprezzava molto: il caffè e il dolce. Gli piaceva scherzare, ma mai di una persona, era attento a non dispiacere nessuno. E poi amava cantare, cantava al Signore da solo.
Il giorno del funerale in piazza san Pietro in molti gridavano: “Santo subito” e il 27 aprile Giovanni Paolo II salirà all’onore degli altari. Durante il pontificato, lei aveva già avvertito questa fama di santità?
Uno dei segreti di Giovanni Paolo II era la capacità di ascoltare. Chi andava da lui veniva sempre ascoltato. Questo non significava che il Papa condividesse sempre l’opinione che gli veniva proposta, ma lui ascoltava, lasciava che l’uomo si aprisse. Lungo questi anni ho visto tante persone che lo incontravano e che alla fine mostravano grande tranquillità interiore, soddisfazione. E gioia. C’era anche chi ne traeva un beneficio fisico, come un monsignore che soffriva di mal di testa e spesso si sentiva male ma quando incontrava il Papa tutto passava.
Quella di Papa Wojtyla era dunque una santità che aveva a che fare con la quotidianità… Era un uomo che trattava tutto con il Signore. Questo contatto gli dava tranquillità e sicurezza. Un cardinale mi raccontò di aver confidato al Papa di avere grossi problemi, per i quali non vedeva soluzione. Wojtyla gli rispose: anche io non ho soluzione perché non abbiamo pregato sufficientemente.
È noto che il Papa ha compiuto in vita diversi miracoli. Lei ne è stato testimone silenzioso…
Quando qualcuno parlava al Papa di un miracolo, lui subito rispondeva: l’uomo non fa miracoli, noi possiamo solo chiedere al Signore pregando, ma è lui che fa i miracoli. Sappiamo che la sua preghiera era molto efficace. Durante la vita ha compiuto tanti miracoli, la sua intercessione risultava utile, soprattutto in caso di matrimonio senza figli. Era per la vita, per la famiglia, ed era molto attaccato a queste tematiche. I problemi dei giovani e delle coppie gli stavano molto a cuore.
Secondo lei, cosa è rimasto nel cuore dei polacchi e dei fedeli del mondo intero?
Si può constatare che la sua memoria è ancora molto forte. La gente non lo ha dimenticato, anzi vuole conoscerlo ancora di più come persona, non solo a livello di dottrina. Anche se ha lasciato una grande eredità, è la sua persona ad essere attraente.
Quale è il segreto della santità di Papa Wojtyla?
La sua unione con Dio e il grande amore per l’uomo. La gente cerca sempre tutto ciò che è vero, autentico, sincero e bello. In lui trovano questo.
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Un Centro per conoscere meglio Wojtyla
Nella zona dell’ex fabbrica chimica Solvay, dove il giovane Karol lavorò per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania, oggi sorge il Centro “Non abbiate paura” dedicato proprio a Giovanni Paolo II. La costruzione, voluta dal cardinale Stanislaw Dziwisz, si erge non lontano il Santuario della Divina Misericordia, ben conosciuto da Wojtyla che, al termine del lavoro, era solito andare a pregare sulla tomba di suor Faustina Kowalska, grande mistica polacca.
L’orientamento dell’edifico è altamente simbolico: il Papa polacco ci indica il cammino verso la Divina Misericordia. Il Centro, spiega il cardinale, “non è un monumento, ma un importante luogo di incontro con il personaggio di Giovanni Paolo II, con la sua mente, il suo spirito, la sua santità”. Far conoscere e diffondere gli insegnamenti di Papa Wojtyla è infatti l’obiettivo del Centro che svolgerà un ruolo chiave in occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, in programma a Cracovia dal 26 al 31 luglio 2016.
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Il ricordo di un amico
“Allo skipass facevamo la fila insieme agli altri, senza usare alcuna corsia preferenziale. Poi mentre sciavamo, lui si fermava a contemplare la natura: le nubi, il sole, le cime”. Marcello Bedeschi, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per la Gioventù e organizzatore di moltissimi eventi papali, torna con la mente a quelle giornate trascorse sulle montagne innevate con Giovanni Paolo II. “Portavamo con noi il pranzo al sacco e il Papa amava prepararsi da solo i panini”, racconta.
“Un giorno – sorride Bedeschi – sulla pista ci raggiunsero dei ragazzini. Ci guardarono incuriositi, poi uno di loro disse: ‘che strano, quello mi sembra tanto il Papa!’”.
Bedeschi ricorda anche le “numerose coppie di sposi accompagnate dal Papa perché non riuscivano ad avere figli”. “Dopo qualche tempo dall’incontro con Giovanni Paolo II - conferma – quelle stesse famiglie venivano allietate dall’arrivo di un bimbo”.
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