Il premier e Bergoglio. Preti amici e pochi cardinali. La fede low profile di Matteo
La Repubblica - Spogli
(Paolo Rodari) Una religiosità sentita, ma vissuta strettamente nel privato, volutamente tenuta ai margini dalla vita pubblica, quella dell’amministratore di città che quando decide di competere per la leadership del proprio partito di riferimento basa la campagna elettorale non solo sullo «ius soli», ma anche sui diritti civili, il riconoscimento delle coppie di fatto. Temi scomodi per le gerarchie ecclesiastiche che, non a caso, quando sono interrogate su di lui dicono: «È sfuggente, non sappiamo come prenderlo».
Matteo Renzi non ha in Vaticano le entrature che grazie a Gianni Letta e Federico Toniato avevano rispettivamente Silvio Berlusconi e Mario Monti. Eppure la sua vita religiosa è autentica, custodita nel silenzio di Pontassieve, nella chiesa di San Giovanni Gualberto, quella dell’amico don Luciano Santini. E anche in casa, nei gesti intimi di tutti i giorni, il segno della croce prima di mangiare, le preghiere della sera. «Che dici ho fatto bene?», chiese alla moglie Agnese una sera del 2009, scendendo dal palco su cui aveva appena annunciato la sua candidatura a sindaco di Firenze. «Sì, abbiamo pregato tanto», rispose lei. Preghiere sussurrate non solo fra le mura domestiche, ma anche in Sardegna, durante un ciclo di esercizi spirituali guidati dal gesuita padre Enrico Deidda. Tra Cagliari e Villa Simius, Matteo e la moglie Agnese siedono periodicamente assieme alla scuola di sant’Ignazio di Loyola, il santo fondatore dell’Ordine dei gesuiti. Giorni di ritiro assoluto, per discernere il proprio posto nel mondo alla luce delle indicazioni di Dio, nella consapevolezza però dell’autonomia della coscienza.
Meno gerarchie, più fede vissuta. Tanto che non è un caso che fra le sigle dell’associazionismo cattolico più legate a Renzi ci sia l’Agesci, l’associazione low profile di guide e scout cattolici italiani. Seppure, negli anni giovanili, ci fu una breve “sbandata” per un gruppo seguace di una fede più decisa e incidente, ovvero Gs, la costola studentesca di Comunione e Liberazione guidata da don Paolo Bargigia, oggi missionario in Perù. Si devono a questa frequentazione le citazioni del premier di Chesterton, Dostojevskij e del poeta francese Charles Peguy. E frequentazioni cielline ha avuto il suo grande amico Marco Carrai, attualmente presidente della società che gestisce l’aeroporto di Firenze, manager con contatti eterogenei. È di Carrai un libro sulle «falsità» di Dan Brown, bugie e falsi storici, scritto con Franco Cardini, Maurizio Seracini e John Paul Wauck, curatore di “Un cammino attraverso il mondo di San Josemaria Escriva”, fondatore dell’Opus Dei.
Cl e l’Opus Dei, un movimento ecclesiale e una prelatura a cui Renzi non ha mai aderito. Seppure contatti ve ne siano stati non pochi. Non molto tempo fa gli chiesero dei suoi rapporti con la Compagnia delle Opere. Rispose: «Trovo stravagante l’atteggiamento della sinistra verso la Compagnia. L’unico politico che ha chiuso il Meeting di Rimini si chiama Pierluigi Bersani. Se Bersani può parlare con la Cdo, non vedo perché non ci possa parlare qualcun altro».
Certo, con qualche esponente della gerarchia i rapporti sono più ravvicinati. Ex scout è Renato Boccardo, attuale arcivescovo di Spoleto, per anni guida spirituale dell’Agesci, segretario del Governatorato vaticano e organizzatore dei viaggi di papa Wojtyla. Fra i due i rapporti sono buoni. Così anche con l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, seppure la scorsa estate qualcosa non andò per il meglio. Renzi rispose in modo piccato a un’omelia di Betori dedicata al degrado morale del capoluogo toscano. Disse che l’intervento di Betori era di matrice ruiniana, «un linguaggio della scuola della vecchia Conferenza episcopale italiana » . Anche se poi, lo scorso gennaio, in occasione di un incontro pubblico, i due si sono abbracciati e hanno dichiarato «reciproca stima e rispetto dei ruoli ».
Papa Francesco, ricevendo ieri in udienza privata Renzi e la sua famiglia, sembra abbia voluto assecondare questo tratto non politico del credere del premier. Che non a caso è entrato in Vaticano da una porta laterale, quella del Perugino, dove hanno accesso i fattorini di Santa Marta, i domestici, cuochi e donne di servizio. I consueti canali diplomatici sono stati tagliati fuori nell’organizzazione dell’udienza. Renzi si è fatto vivo direttamente con la casa pontificia, la «famiglia» del Papa. Il tutto, insomma, all’insegna di un profilo tenuto volutamente basso, una linea in un certo senso «subìta» dalle gerarchie vaticane, con papa Francesco però consenziente.
fonte: Spogli
Matteo Renzi non ha in Vaticano le entrature che grazie a Gianni Letta e Federico Toniato avevano rispettivamente Silvio Berlusconi e Mario Monti. Eppure la sua vita religiosa è autentica, custodita nel silenzio di Pontassieve, nella chiesa di San Giovanni Gualberto, quella dell’amico don Luciano Santini. E anche in casa, nei gesti intimi di tutti i giorni, il segno della croce prima di mangiare, le preghiere della sera. «Che dici ho fatto bene?», chiese alla moglie Agnese una sera del 2009, scendendo dal palco su cui aveva appena annunciato la sua candidatura a sindaco di Firenze. «Sì, abbiamo pregato tanto», rispose lei. Preghiere sussurrate non solo fra le mura domestiche, ma anche in Sardegna, durante un ciclo di esercizi spirituali guidati dal gesuita padre Enrico Deidda. Tra Cagliari e Villa Simius, Matteo e la moglie Agnese siedono periodicamente assieme alla scuola di sant’Ignazio di Loyola, il santo fondatore dell’Ordine dei gesuiti. Giorni di ritiro assoluto, per discernere il proprio posto nel mondo alla luce delle indicazioni di Dio, nella consapevolezza però dell’autonomia della coscienza.
Meno gerarchie, più fede vissuta. Tanto che non è un caso che fra le sigle dell’associazionismo cattolico più legate a Renzi ci sia l’Agesci, l’associazione low profile di guide e scout cattolici italiani. Seppure, negli anni giovanili, ci fu una breve “sbandata” per un gruppo seguace di una fede più decisa e incidente, ovvero Gs, la costola studentesca di Comunione e Liberazione guidata da don Paolo Bargigia, oggi missionario in Perù. Si devono a questa frequentazione le citazioni del premier di Chesterton, Dostojevskij e del poeta francese Charles Peguy. E frequentazioni cielline ha avuto il suo grande amico Marco Carrai, attualmente presidente della società che gestisce l’aeroporto di Firenze, manager con contatti eterogenei. È di Carrai un libro sulle «falsità» di Dan Brown, bugie e falsi storici, scritto con Franco Cardini, Maurizio Seracini e John Paul Wauck, curatore di “Un cammino attraverso il mondo di San Josemaria Escriva”, fondatore dell’Opus Dei.
Cl e l’Opus Dei, un movimento ecclesiale e una prelatura a cui Renzi non ha mai aderito. Seppure contatti ve ne siano stati non pochi. Non molto tempo fa gli chiesero dei suoi rapporti con la Compagnia delle Opere. Rispose: «Trovo stravagante l’atteggiamento della sinistra verso la Compagnia. L’unico politico che ha chiuso il Meeting di Rimini si chiama Pierluigi Bersani. Se Bersani può parlare con la Cdo, non vedo perché non ci possa parlare qualcun altro».
Certo, con qualche esponente della gerarchia i rapporti sono più ravvicinati. Ex scout è Renato Boccardo, attuale arcivescovo di Spoleto, per anni guida spirituale dell’Agesci, segretario del Governatorato vaticano e organizzatore dei viaggi di papa Wojtyla. Fra i due i rapporti sono buoni. Così anche con l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, seppure la scorsa estate qualcosa non andò per il meglio. Renzi rispose in modo piccato a un’omelia di Betori dedicata al degrado morale del capoluogo toscano. Disse che l’intervento di Betori era di matrice ruiniana, «un linguaggio della scuola della vecchia Conferenza episcopale italiana » . Anche se poi, lo scorso gennaio, in occasione di un incontro pubblico, i due si sono abbracciati e hanno dichiarato «reciproca stima e rispetto dei ruoli ».
Papa Francesco, ricevendo ieri in udienza privata Renzi e la sua famiglia, sembra abbia voluto assecondare questo tratto non politico del credere del premier. Che non a caso è entrato in Vaticano da una porta laterale, quella del Perugino, dove hanno accesso i fattorini di Santa Marta, i domestici, cuochi e donne di servizio. I consueti canali diplomatici sono stati tagliati fuori nell’organizzazione dell’udienza. Renzi si è fatto vivo direttamente con la casa pontificia, la «famiglia» del Papa. Il tutto, insomma, all’insegna di un profilo tenuto volutamente basso, una linea in un certo senso «subìta» dalle gerarchie vaticane, con papa Francesco però consenziente.
fonte: Spogli
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Papa Francesco, il comunismo e Dio
La Repubblica - Spogli
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(Adriano Sofri) Le parole di un Papa vogliono almeno una doppia lettura: per quello che dicono, e per il luogo da cui sono dette. Un luogo comune, o il balcone di San Pietro. L’abito fa (e disfa) il monaco.
«In fondo, non ha detto che: Buonasera». Per esempio, sulla vita famigliare, «le tre parole chiave del Santo Padre sono: Permesso, grazie, scusi». L’altro giorno, a giovani intervistatori belgi, credenti e no, ha detto che qualcuno pensa che «il Papa sia comunista, ma no, questo è il Vangelo». L’amore per i poveri è il cuore del Vangelo. Ha guadagnato i titoli d’apertura: eppure è un pensiero molto semplice — banale, dirà qualche malcontento.
Più o meno come inaugurare il pontificato dicendo Buonasera. Un po’ di tempo fa aveva detto: «Non ho mai condiviso l’ideologia marxista, perché non è vera, ma ho conosciuto tante brave persone che professavano il marxismo».
Buongiorno. Era ora di svegliarsi. Il mondo è stato pieno di persone bravissime che hanno professato — e a volte professano ancora — il marxismo, e non di rado l’hanno pagata cara, oltre che ad opera dei loro nemici, per mano dei loro confratelli di fede. Nella provincia d’Italia si è continuata la crociata contro i comunisti mentre al Quirinale ne sedeva, signorilmente, uno. (Gli unici comunisti buoni sono quelli morti, o almanco molto vecchi). È la coda lunghissima dell’ipocrisia a dare all’affabilità del Papa questa risonanza e a riscattarla dall’ovvietà o, peggio, al sospetto di una popolarità a buon prezzo. Ora, una volta riconosciuta la buona volontà e il calore umano delle frasi del Papa su marxisti e comunisti brave persone, conviene riconoscere anche che il punto è un altro, molto più impegnativo per lui e la sua Chiesa: la rivendicazione del Vangelo.
Il Papa dichiara un’intenzione di prendere sul serio il Vangelo. Prendere sul serio il Vangelo — “sul serio”, non “alla lettera” — è molto difficile per un cristiano: impossibile, secondo Freud, secondo il Grande Inquisitore, e secondo secoli di dotti gesuiti. Ancora più difficile, si direbbe, per un Papa. Un Papa può condannare o approvare il santo o il pazzo di Dio che si voglia mettere sulla strada della fedeltà al Vangelo: Francesco d’Assisi, per esempio. Oppure, non so, il vecchio Tolstoj — lui non aveva il Papa a scomunicarlo, ma il Santo Sinodo ortodosso. Ma che il Papa si metta di persona su quella strada, ecco un proposito temerario. La Chiesa è cresciuta ed è sopravvissuta fino a oggi — fenomeno, per chi non evochi lo Spirito e la Provvidenza, comunque formidabile — perché è riuscita a proclamarsi fedele ed erede di Gesù e del suo Vangelo persuadendo se stessa e il resto del mondo dell’impossibilità di realizzarne l’insegnamento.
Disinnescare la carica rivoluzionaria del Vangelo e governarne il compromesso col mondo senza arrendersi del tutto al mondo è stata l’impresa tentata dalla Chiesa, cristiana e soprattutto cattolica. Ora, il Papa pretende di provarci lui a prendere sul serio il Vangelo, benché lo faccia con quella affabilità domesticissima, telefonando attorno, e prendendosi il nome di Francesco. Francesco d’Assisi teneva molto a che il suo Papa lo autorizzasse, ma probabilmente si sarebbe allarmato se l’avesse visto denudarsi della veste pontificale come si era denudato lui dei panni paterni. Neanche un secolo dopo il monaco Pietro da Morrone arrivò bensì al papato da una sua grotta e indosso un saio, col nome di Celestino V, ma durò quattro mesi prima di rinunciare e finire prigioniero del suo successore. Gli avversari di papa Bergoglio diffidano anche di una sua propensione al misticismo che, congiunta col pauperismo, lo allontanerebbe dalla dottrina — e dal razionalismo di Ratzinger — per inclinarlo al populismo. Troppi ismi, comunque. In realtà papa Francesco, ammiratore di mistiche e mistici, sembra avere predilezioni opposte, e si può immaginare che gli appartamenti vaticani somiglino alla solinga grotta di Pietro da Morrone più che il Bed and Breakfast di Santa Marta.
Quanto al pauperismo, che ha una ricca e preziosa storia nel cristianesimo — e in quell’apostolato socialista per il quale Gesù era “il primo socialista” — nel caso nostro si misurerà prima di tutto sulle unghie tagliate ai finanzieri vaticani. Scacciare un po’ di mercanti dal tempio, non è ancora un prendere sul serio il Vangelo: una premessa, diciamo.
Per il resto, sentir evocare polemicamente il pauperismo fa rizzare i capelli, con la povertà che c’è in giro e il fanatismo della ricchezza da cui veniamo. L’unica accezione deplorevole del pauperismo è l’oculato amore per i poveri che tiene a conservare la povertà. («Per fare una buona dama patronessa / fate la maglia in color cacca d’oca / ciò che permette, la domenica, alla messa / di riconoscere ciascuna i propri poveri» — Jacques Brel). Ma una simile critica è un gran lusso, in tempi di ricchismo. C’è un amore sviscerato per la ricchezza, e un rancore irresistibile per i ricchi. Non è facile capire dove si collocherà Francesco fra il Grande Inquisitore e il Prigioniero silenzioso della meravigliosa Leggenda di Dostoevskij: se riuscirà a stare dalla parte del prigioniero, sarà rivendicando, con la libertà di ciascuno, l’indulgenza, la misericordia. Forse solo attraverso la misericordia diventa possibile prendere sul serio il Vangelo. Misericordioso si considerava il Grande Inquisitore, e ogni suo successore, per la disposizione sacrificale a prendere su sé il peso insostenibile della libertà delle persone e in cambio saziarne la fame. Questo Papa propone un Vangelo in cui Gesù è l’avvocato difensore. Eugenio Scalfari l’aveva sollecitato fino all’abolizione del peccato e dell’inferno. Se non l’inferno di là, in terra Francesco l’ha abolito, l’ergastolo, quello che la laica repubblica italiana si tiene caro in barba ai principi della sua Costituzione. «Per quanto l’uomo possa cadere in basso, non potrà` mai cadere al di sotto della misericordia di Dio». Anche questo forse è ovvio per un cristiano, ma resta notevole quel: Mai. (La formula giudiziaria decreta: “Fine pena: Mai”). Gli ortodossi chiedono: «Ma da che cosa si deve salvare l’uomo se si predica o si lascia intendere che l’inferno non esiste o, se esiste, e` vuoto?» Dal proprio inferno.
fonte: Spogli
«In fondo, non ha detto che: Buonasera». Per esempio, sulla vita famigliare, «le tre parole chiave del Santo Padre sono: Permesso, grazie, scusi». L’altro giorno, a giovani intervistatori belgi, credenti e no, ha detto che qualcuno pensa che «il Papa sia comunista, ma no, questo è il Vangelo». L’amore per i poveri è il cuore del Vangelo. Ha guadagnato i titoli d’apertura: eppure è un pensiero molto semplice — banale, dirà qualche malcontento.
Più o meno come inaugurare il pontificato dicendo Buonasera. Un po’ di tempo fa aveva detto: «Non ho mai condiviso l’ideologia marxista, perché non è vera, ma ho conosciuto tante brave persone che professavano il marxismo».
Buongiorno. Era ora di svegliarsi. Il mondo è stato pieno di persone bravissime che hanno professato — e a volte professano ancora — il marxismo, e non di rado l’hanno pagata cara, oltre che ad opera dei loro nemici, per mano dei loro confratelli di fede. Nella provincia d’Italia si è continuata la crociata contro i comunisti mentre al Quirinale ne sedeva, signorilmente, uno. (Gli unici comunisti buoni sono quelli morti, o almanco molto vecchi). È la coda lunghissima dell’ipocrisia a dare all’affabilità del Papa questa risonanza e a riscattarla dall’ovvietà o, peggio, al sospetto di una popolarità a buon prezzo. Ora, una volta riconosciuta la buona volontà e il calore umano delle frasi del Papa su marxisti e comunisti brave persone, conviene riconoscere anche che il punto è un altro, molto più impegnativo per lui e la sua Chiesa: la rivendicazione del Vangelo.
Il Papa dichiara un’intenzione di prendere sul serio il Vangelo. Prendere sul serio il Vangelo — “sul serio”, non “alla lettera” — è molto difficile per un cristiano: impossibile, secondo Freud, secondo il Grande Inquisitore, e secondo secoli di dotti gesuiti. Ancora più difficile, si direbbe, per un Papa. Un Papa può condannare o approvare il santo o il pazzo di Dio che si voglia mettere sulla strada della fedeltà al Vangelo: Francesco d’Assisi, per esempio. Oppure, non so, il vecchio Tolstoj — lui non aveva il Papa a scomunicarlo, ma il Santo Sinodo ortodosso. Ma che il Papa si metta di persona su quella strada, ecco un proposito temerario. La Chiesa è cresciuta ed è sopravvissuta fino a oggi — fenomeno, per chi non evochi lo Spirito e la Provvidenza, comunque formidabile — perché è riuscita a proclamarsi fedele ed erede di Gesù e del suo Vangelo persuadendo se stessa e il resto del mondo dell’impossibilità di realizzarne l’insegnamento.
Disinnescare la carica rivoluzionaria del Vangelo e governarne il compromesso col mondo senza arrendersi del tutto al mondo è stata l’impresa tentata dalla Chiesa, cristiana e soprattutto cattolica. Ora, il Papa pretende di provarci lui a prendere sul serio il Vangelo, benché lo faccia con quella affabilità domesticissima, telefonando attorno, e prendendosi il nome di Francesco. Francesco d’Assisi teneva molto a che il suo Papa lo autorizzasse, ma probabilmente si sarebbe allarmato se l’avesse visto denudarsi della veste pontificale come si era denudato lui dei panni paterni. Neanche un secolo dopo il monaco Pietro da Morrone arrivò bensì al papato da una sua grotta e indosso un saio, col nome di Celestino V, ma durò quattro mesi prima di rinunciare e finire prigioniero del suo successore. Gli avversari di papa Bergoglio diffidano anche di una sua propensione al misticismo che, congiunta col pauperismo, lo allontanerebbe dalla dottrina — e dal razionalismo di Ratzinger — per inclinarlo al populismo. Troppi ismi, comunque. In realtà papa Francesco, ammiratore di mistiche e mistici, sembra avere predilezioni opposte, e si può immaginare che gli appartamenti vaticani somiglino alla solinga grotta di Pietro da Morrone più che il Bed and Breakfast di Santa Marta.
Quanto al pauperismo, che ha una ricca e preziosa storia nel cristianesimo — e in quell’apostolato socialista per il quale Gesù era “il primo socialista” — nel caso nostro si misurerà prima di tutto sulle unghie tagliate ai finanzieri vaticani. Scacciare un po’ di mercanti dal tempio, non è ancora un prendere sul serio il Vangelo: una premessa, diciamo.
Per il resto, sentir evocare polemicamente il pauperismo fa rizzare i capelli, con la povertà che c’è in giro e il fanatismo della ricchezza da cui veniamo. L’unica accezione deplorevole del pauperismo è l’oculato amore per i poveri che tiene a conservare la povertà. («Per fare una buona dama patronessa / fate la maglia in color cacca d’oca / ciò che permette, la domenica, alla messa / di riconoscere ciascuna i propri poveri» — Jacques Brel). Ma una simile critica è un gran lusso, in tempi di ricchismo. C’è un amore sviscerato per la ricchezza, e un rancore irresistibile per i ricchi. Non è facile capire dove si collocherà Francesco fra il Grande Inquisitore e il Prigioniero silenzioso della meravigliosa Leggenda di Dostoevskij: se riuscirà a stare dalla parte del prigioniero, sarà rivendicando, con la libertà di ciascuno, l’indulgenza, la misericordia. Forse solo attraverso la misericordia diventa possibile prendere sul serio il Vangelo. Misericordioso si considerava il Grande Inquisitore, e ogni suo successore, per la disposizione sacrificale a prendere su sé il peso insostenibile della libertà delle persone e in cambio saziarne la fame. Questo Papa propone un Vangelo in cui Gesù è l’avvocato difensore. Eugenio Scalfari l’aveva sollecitato fino all’abolizione del peccato e dell’inferno. Se non l’inferno di là, in terra Francesco l’ha abolito, l’ergastolo, quello che la laica repubblica italiana si tiene caro in barba ai principi della sua Costituzione. «Per quanto l’uomo possa cadere in basso, non potrà` mai cadere al di sotto della misericordia di Dio». Anche questo forse è ovvio per un cristiano, ma resta notevole quel: Mai. (La formula giudiziaria decreta: “Fine pena: Mai”). Gli ortodossi chiedono: «Ma da che cosa si deve salvare l’uomo se si predica o si lascia intendere che l’inferno non esiste o, se esiste, e` vuoto?» Dal proprio inferno.
fonte: Spogli