sabato 19 aprile 2014

Diego Fabbri - "Processo a Gesù"


La Passione in alcuni testi teatrali

Rappresentato per la prima volta nel 1955 [1], il capolavoro di Diego Fabbri (1911-1980), scritto dopo una lunga gestazione dal 1952 al 1954, ha trionfato sui palcoscenici di tutto il mondo. L’idea nacque in Fabbri dal processo «politico» che un gruppo di giuristi anglosassoni aveva fatto nel 1933 a Gerusalemme e che si era concluso con l’assoluzione di Gesù. Da tale spunto l’opera di Fabbri divenne un’indagine serrata ed emozionante su una società che aveva perso la speranza della salvezza, la fiducia nei propri valori, soprattutto la fiducia nella condivisione e nell’amore, rifugiandosi nell’individualismo e nell’edonismo. La visione cattolica del drammaturgo non ha nulla di consolatorio e pietistico, ma nasce e si nutre della drammaticità di Dostoevskij, di Pascal, di Manzoni, e dei grandi scrittori francesi come Bernanos, Mauriac, Péguy, Claudel; Fabbri arriva a realizzare, in quest’opera come in molte altre, il documento di un’epoca confusa ed inquieta, dove l’uomo tanto più sente il bisogno di Dio quanto più se ne allontana, cercandolo, per paradosso, per tutte le strade possibili, dagli amori disordinati alle esperienze angoscianti, fino alle improvvise folgorazioni del soprannaturale.
Il dramma è diviso in due tempi con un intermezzo; la scena è semplice e si presenta a sipario alzato. Prendendo spunto dal teatro pirandelliano più tipico, i personaggi, non casualmente con nomi biblici (Elia, Rebecca, Sara e Davide), si presentano agli spettatori, tra i quali è già nascosto qualche attore che in un secondo tempo interverrà direttamente nell’azione scenica, annunciando la messa in scena di un processo a Gesù, una sorta di sacra rappresentazione che cerca di scoprire se Gesù fosse innocente o colpevole, se fu condannato ingiustamente o meno. I quattro, a cui si aggiunge poi un giudice occasionale, sembrano ripetere parti prestabilite: alcuni si mettono alla difesa, altri all’accusa. Il dibattito è però serrato e polemico, tanto da far supporre qualche personale implicazione dei personaggi, tutti ebrei e quindi tutti implicati nell’antico processo al Cristo. Piano piano vengono chiamati a deporre coloro che furono direttamente coinvolti in quel processo: Caifa, Pilato, Maria, Giuseppe e poi alcuni discepoli, Pietro, Giovanni, Giuda; tutti attori moderni che interpretano una parte, ma nello stesso tempo personaggi autentici che difendono un ruolo, una scelta, una posizione pro o contro Gesù. L’amara conclusione a cui si giunge è “ tutti lo misero a morte con nascosto rammarico, ma con un sospiro di sollievo…”Illuminanti, per la continuazione del dramma, le parole che, ad un certo punto, dice Elia: “… noi non fingiamo niente, noi non ripetiamo niente, come tu credi; noi, al contrario, facciamo ogni giorno del nuovo, perché se quello che succede quassù, tra noi, è quasi sempre lo stesso dibattito, quel che invece cambia sempre, ogni sera, è ciò che accade attorno a noi, tra la gente che ci ascolta…”Ed infatti, dopo l’intermezzo, in cui si rivela il profondo dramma che lega Sara e Davide, il secondo tempo è un dialogo aperto e coinvolgente con il «pubblico»: intervengono un sacerdote, un intellettuale, una «bionda» e poi una povera donnetta, ognuno dichiarando i motivi della propria adesione a Gesù o del proprio profondo odio.
La conclusione è travolgente, anche se forse un poco “scontata”, perché il vero pregio di quest’opera è nel suo svolgimento dialettico e serrato:” … chi è - chi è – per voi, Gesù di Nazareth?... Perché non lo gridate forte, dovunque e sempre, quel che avete detto stasera? Tutti dovete gridarlo! Tutti! Perché altrimenti si ripete anche per voi, quello che accadde per noi, allora. Di rinnegare… di condannare… di crocifiggere Gesù. Io debbo ormai proclamare… alto… e al cospetto di tutti… che non so ancora se Gesù di Nazareth sia stato quel Messia che noi aspettavamo… non lo so… ma è certo che Lui, Lui solo, alimenta e sostiene da quel giorno tutte le speranze del mondo! E io lo proclamo innocente… e martire… e guida…” 
Roda Anna

[1] Diego Fabbri, Processo a Gesù, Roma, 1994
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Processo a Gesù

www.mecweb.it/wp-content/uploads/2014/03/Processo_a_Gesu.pdf

Diego Fabbri ... celebreremo ancora il processo a Gesù di Nazareth. .... getta l'occhio, ma evidentemente conosce il testo a memoria) «Gesù di Nazareth, prima.

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"Il Quinto Evangelista" di Mario Pomilio

Mario Pomilio (1921- 1990) nel 1975 scrisse un breve ma suggestivo dramma intitolato Il Quinto Evangelista [1], testo poi raccolto con altri di genere diverso, ma tutti inerenti la riflessione sul cristianesimo e su Gesù, poi raccolti con il titolo Il Quinto Evangelo.
Apparentemente il dramma ricalca quello di Fabbri, ma i toni e lo svolgimente sono meno prevedibile dell'illustre precedente.
L'azione è ambientata nel 1940 in Germania. In una sala parrocchiale un sacerdote sta svolgendo una conversazione sul tema di Gesù, ma ad un certo punto, essendo giunto alla fine del suo intervento, chiede se ci siano domande ed osservazioni e da qui prende avvio l'azione scenica. Subito si delineano i personaggio del dramma: l'avvocato Schimmel è il caparbio razionalista, che pone domande provocatorie e non si lascia convincere da ingenue motivazioni, il dottor Ehrart è il protestante riformato che di continuo fa riferimento all'autorità stessa delle Scritture, la signora Kuyper rappresenta il fedele cattolico semplice, certo delle verità che la tradizione della Chiesa gli ha insegnato, da ultimo lo studente Toepfer, che rappresenta le nuove generazioni scettiche rispetto a tutto ciò in cui credono i padri.
La discussione verte su chi sia Gesù, sulla personalità e sulla vicenda umana del Cristo riportata a noi dagli evangelisti, di cui talvolta si notano le incongruenze e le diversità in una lettura affrontata e critica. I fatti che più animano i protagonisti sono proprio quelli della Passione. "… (Dottor Ehrart) questo confronto fra i quattro testi evangelici si potrebbe non solo portarlo avanti, ma animarlo al modo in cui è gia accaduto poco fa. Scegliamo, ecco, un'intera parte, la Passione, per esempio… e designiamo alcuni di noi perché s'assumano il ruolo dei personaggi che compaiono nella Passione e vengano a dire le loro ragioni, obiettino, contestino… sarebbe una verifica in concreto, dal vivo, delle diverse versioni della Passione di Gesù, e in definitiva della credibilità stessa dei quattro evangelisti…"Per ovvii motivi di essenzialità della nostra analisi non ci inoltriamo nell'accesa discussione, nella quale i precedenti protagonisti ora interpretano i personaggi evangelici (lo stesso studente interpreta Giuda), ma facciamo rilevare che, ad un certo momento, si materializza un misterioso personaggio che si fa chiamare «quinto evangelista» che si presenta così: "E voi chi dite che io sia?". Questo strano personaggio interviene nella lettura dei Vangeli della Passione precisando, approfondendo, portando considerazioni che costringono tutti ad andare oltre i propri schemi e pregiudizi sulla figura del Cristo.
Uno dei punti di maggior discussione è la parte di Giuda e il rapporto tra libertà umana e prescienza divina: "… la verità è che io non fui affatto il traditore: fui piuttosto la vittima d'un curioso piano di salvezza, esteso a tutti gli uomini, che per essere perfetto avrebbe escluso me. D'un amore infinito, esteso a tutti gli uomini, che per esplicitarsi perfettamente doveva escludere me…" Parole dure, estreme, provocatorie, ma il punto discriminante del tradimento di Giuda non è tanto il tradimento, anche Pietro lo tradì, ma il non amore, il suo ritirarsi dall'amore di Cristo che lo avrebbe salvato.
L'incalzare delle osservazioni porta ad un finale a sorpresa, in uno scambio tra finzione e realtà, dove il «gioco» iniziale, la sacra rappresentazione diventa drammatica ed attuale realtà. 

[1] Mario Pomilio, Il Quinto Evangelista, in Il Quinto Evangelo, Milano, 2000

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"La ricotta" di Pier Paolo Pasolini

La sceneggiatura de La ricotta [1], scritta nel 1962 da Pasolini (1922- 1975) può essere accostata ad un testo teatrale, benché poi realizzata con il linguaggio filmico.
La ricotta è, a nostro avviso, una moderna Passione, non solo per il suo contenuto (narra le vicende di un set cinematografico dove si sta realizzando un film sulla Passione di Gesù), ma soprattutto per gli squarci di vita e di miseria dei suoi personaggi e del protagonista in particolare, Stracci, che deve interpretare il Buon Ladrone.
L’atmosfera, pur comica e grottesca in molti dettagli (Stracci che ruba un cestino della colazione e lo porta alla famiglia che lo segue sul set, Stracci che mangia e si muove con ritmo accelerato) risulta alla fine tragica ed irreale: da una parte la povertà ed estrema prosaicità di chi sta interpretando i personaggi della Passione (un Gesù che dalla croce bestemmia in romanesco, la Maddalena che fa lo spogliarello per divertire le comparse) e i pretestuosi impossibili atteggiamenti del regista, un «artista» incompreso che insegue le vette dell’arte e dell’ispirazione.
Pasolini è riuscito con molta efficacia, anche nello scritto, a rendere la vacuità del set cinematografico, il vociare della troupe, gli effetti speciali che, qui, di speciale hanno ben poco, considerata l’essenziale miseria dell’insieme, e l’aggirarsi quasi famelico di un giornalista in cerca di scoop e interviste sensazionali per il suo giornale.
Il nulla della finzione cinematografica, a cui Stracci si adatta – vittima consenziente di questa situazione – contrasta con la vita, con la realtà: Gesù è un poco di buono, la Maddalena anche, i figli di Stracci sono dei teppistelli, l’antica Gerusalemme non è altro che il suburbio di Roma, arido, malsano, polveroso.
Tale contrasto è tutto giocato nel finale: in visita sul set giunge anche il produttore, tutti seguono trattenendo il respiro il regista, tutto è pronto per la ripresa clou, Gesù che parla con il Buon Ladrone sulla croce “… Il produttore, che fuma pacifico il suo sigaro, il regista, l’aiuto, le dive, la corte, tutti, tutti in semicerchio, come visti dalle croci, schiacciati contro terra, aspettano. (Regista) Azione! Ma la testa di Stracci resta a penzolare come un prosciutto, immobile.(Esseri umani della troupe) Se sente male. Che cià? È morto!” 

[1] Pier Paolo Pasolini, La ricotta, in Alì dagli occhi azzurri, Milano, 1992