In previsione del prossimo Sinodo dei vescovi, la discussione sulla posizione dei divorziati risposati all’interno della comunità della Chiesa ha acquistato nuova urgenza. In tale contesto vengono citate una serie di testimonianze dell’era patristica che deporrebbero a favore di una ammissione di questo gruppo di persone all’Eucaristia. Ciò avviene soprattutto in un’opera di Giovanni Cereti, un sacerdote della diocesi di Genova che ha studiato patristica e teologia ecumenica e continua tutt’oggi a lavorare in questi campi.
Con il suo libro Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, del 1977 (riedito da Aracne nel 2013), Cereti intende perseguire un interesse ecumenico e pastorale: il riconoscimento delle seconde nozze dei divorziati da parte della Chiesa e il loro accesso alla comunione eucaristica. Egli ritiene che ciò sia stato una prassi già nella Chiesa primitiva. Pare che la riedizione del 2013 da parte di Aracne del volume sia stata intrapresa proprio in occasione del Sinodo dei vescovi, che si terrà in Vaticano nell’ottobre del 2014.
La tesi di fondo di Cereti è tuttavia insostenibile. Sebbene alcuni Padri abbiano manifestato una certa tolleranza in riferimento a singole situazioni difficili, né nell’Occidente, né nell’Oriente si può però parlare di un regolare riconoscimento delle seconde nozze dopo il divorzio e di una ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati. Nonostante gli Ortodossi riconoscano oggi un secondo e un terzo matrimonio di penitenza, si deve tener presente che nella Chiesa primitiva la possibilità di accedere a nuove nozze si verificava unicamente per i vedovi e non nel caso del matrimonio dopo un divorzio.
Cereti chiede molto suggestivamente che lo sguardo sulla Chiesa primitiva si liberi dalla severa prassi odierna, la quale non consente una riammissione dei divorziati risposati all’eucaristia. Nella Chiesa primitiva si parlava spesso di seconde e terze nozze e, secondo Cereti, con ciò si intendevano le nozze dopo un precedente divorzio. Certamente, è davvero necessario liberarsi della visione odierna nel guardare all’antichità: dobbiamo però stare bene attenti a non proiettare sulla Chiesa primitiva la disinvoltura con la quale la società odierna accetta il divorzio e le seconde nozze. Già l’antichità precristiana trattava il divorzio e le seconde nozze in modo molto restrittivo. Non si può assolutamente parlare nell’epoca dei Padri di una prassi generale di divorzio e di nuove nozze.
Un secondo matrimonio simultaneo, cioè contratto mentre era in vita il primo coniuge, veniva considerato come un adulterio perpetuo e mai era preso in considerazione come una scelta cristiana. Non risulta nessuna iniziativa dei Padri per regolare pastoralmente un tale matrimonio. Solo la separazione poteva essere, eventualmente, permessa. Quando invece nei testi ecclesiastici si parla di seconde, terze o quarte nozze, si intendono le nozze dei vedovi. Se ne parlava perché erano permesse, ma non viste di buon occhio. Dove i Padri o i Sinodi parlano di un divorzio permesso o addirittura dovuto, Cereti ne deduce inoltre il diritto di risposarsi mentre il coniuge è ancora in vita, ma da nessuna parte esiste una prova di ciò. Divorzio e seconde nozze sono due realtà completamente distinte. La separazione e l’adulterio venivano sanzionati e non si poteva affatto parlare di un permesso per un secondo matrimonio contratto durante la vita del primo coniuge.
Cereti ritiene che i Sinodi del quarto secolo, che riammettevano nella Chiesa i digamoi (coloro che contraevano un secondo matrimonio) dopo un periodo di penitenza, intendevano con ciò sia il caso delle seconde nozze simultanee (un secondo matrimonio mentre il primo coniuge è in vita) che di quelle successive (un secondo matrimonio dopo la morte del primo coniuge). In tal senso anche i divorziati risposati avrebbero potuto essere ammessi all’Eucaristia. Addirittura il Concilio ecumenico di Nicea (can. 8) lo avrebbe considerato un’ovvietà. In realtà, in nessun Padre della Chiesa si può trovare un riferimento alla parola digamoi nel senso di un’equiparazione tra le seconde nozze simultanee e quelle successive dei vedovi.
A maggior ragione nessun testo sinodale, che di per sé esigeva chiarezza giuridica, avrebbe mai potuto intendere con digamoi sia le seconde nozze simultanee che quelle successive. Con ciò si sarebbero messe sullo stesso livello le seconde nozze simultanee, che risultano sempre da un adulterio, con le seconde nozze successive dei vedovi, che venivano considerate dalla maggioranza dei Padri come indesiderate, ma non peccaminose.
A favore di una simile interpretazione del termine digamoi da parte dei Sinodi depone anche il canone 19 del Sinodo di Ancira (314), il quale prevedeva che chi infrange il voto di verginità doveva sottoporsi alla disciplina (penitenziale) dei digamoi. Infine, il Sinodo di Laodicea, nella seconda metà del quarto secolo, disponeva che ai digamoi che avessero celebrato un secondo matrimonio in modo libero e formale, e non in segreto, venisse imposto solo un breve tempo di penitenza.
Ma anche qui si tratta dei digamoi nel senso delle seconde nozze dei vedovi. Come risulta da quanto sinteticamente sopra esposto (ma criticamente documentato in modo più ampio e adeguato in altra sede: cfr. W. Brandmüller, Den Vätern ging es um die Witwen, "Die Tagespost", 27 febbraio 2014, p. 7; H. Crouzel, S.J.,L’Église primitive face au divorce: du premier au cinquième siècle, Paris 1971; G. Pelland, S.J., La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati,in: Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 99-131), un’interpretazione dei testi che voglia seguire correttamente le esigenze del metodo storico-critico, non permette di trarre le conclusioni alle quali Cereti arriva. Inoltre non pare superfluo ricordare che solo un consensus Patrum, un insegnamento consensuale dei Padri – e non una scelta arbitraria di testi – può pretendere di possedere autorità dottrinale e quindi avere valore probante in vista di una nuova prassi pastorale. Va infine ricordato che lo Spirito guida la Chiesa nella verità tutta intera (cfr.Gv 16,13). Ciò comporta che la Chiesa avanza in una comprensione sempre più approfondita della verità. Poiché d’altra parte lo Spirito Santo nel percorso della storia non può contraddirsi, ogni successiva acquisizione non può contraddire le precedenti.
Con il suo libro Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, del 1977 (riedito da Aracne nel 2013), Cereti intende perseguire un interesse ecumenico e pastorale: il riconoscimento delle seconde nozze dei divorziati da parte della Chiesa e il loro accesso alla comunione eucaristica. Egli ritiene che ciò sia stato una prassi già nella Chiesa primitiva. Pare che la riedizione del 2013 da parte di Aracne del volume sia stata intrapresa proprio in occasione del Sinodo dei vescovi, che si terrà in Vaticano nell’ottobre del 2014.
La tesi di fondo di Cereti è tuttavia insostenibile. Sebbene alcuni Padri abbiano manifestato una certa tolleranza in riferimento a singole situazioni difficili, né nell’Occidente, né nell’Oriente si può però parlare di un regolare riconoscimento delle seconde nozze dopo il divorzio e di una ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati. Nonostante gli Ortodossi riconoscano oggi un secondo e un terzo matrimonio di penitenza, si deve tener presente che nella Chiesa primitiva la possibilità di accedere a nuove nozze si verificava unicamente per i vedovi e non nel caso del matrimonio dopo un divorzio.
Cereti chiede molto suggestivamente che lo sguardo sulla Chiesa primitiva si liberi dalla severa prassi odierna, la quale non consente una riammissione dei divorziati risposati all’eucaristia. Nella Chiesa primitiva si parlava spesso di seconde e terze nozze e, secondo Cereti, con ciò si intendevano le nozze dopo un precedente divorzio. Certamente, è davvero necessario liberarsi della visione odierna nel guardare all’antichità: dobbiamo però stare bene attenti a non proiettare sulla Chiesa primitiva la disinvoltura con la quale la società odierna accetta il divorzio e le seconde nozze. Già l’antichità precristiana trattava il divorzio e le seconde nozze in modo molto restrittivo. Non si può assolutamente parlare nell’epoca dei Padri di una prassi generale di divorzio e di nuove nozze.
Un secondo matrimonio simultaneo, cioè contratto mentre era in vita il primo coniuge, veniva considerato come un adulterio perpetuo e mai era preso in considerazione come una scelta cristiana. Non risulta nessuna iniziativa dei Padri per regolare pastoralmente un tale matrimonio. Solo la separazione poteva essere, eventualmente, permessa. Quando invece nei testi ecclesiastici si parla di seconde, terze o quarte nozze, si intendono le nozze dei vedovi. Se ne parlava perché erano permesse, ma non viste di buon occhio. Dove i Padri o i Sinodi parlano di un divorzio permesso o addirittura dovuto, Cereti ne deduce inoltre il diritto di risposarsi mentre il coniuge è ancora in vita, ma da nessuna parte esiste una prova di ciò. Divorzio e seconde nozze sono due realtà completamente distinte. La separazione e l’adulterio venivano sanzionati e non si poteva affatto parlare di un permesso per un secondo matrimonio contratto durante la vita del primo coniuge.
Cereti ritiene che i Sinodi del quarto secolo, che riammettevano nella Chiesa i digamoi (coloro che contraevano un secondo matrimonio) dopo un periodo di penitenza, intendevano con ciò sia il caso delle seconde nozze simultanee (un secondo matrimonio mentre il primo coniuge è in vita) che di quelle successive (un secondo matrimonio dopo la morte del primo coniuge). In tal senso anche i divorziati risposati avrebbero potuto essere ammessi all’Eucaristia. Addirittura il Concilio ecumenico di Nicea (can. 8) lo avrebbe considerato un’ovvietà. In realtà, in nessun Padre della Chiesa si può trovare un riferimento alla parola digamoi nel senso di un’equiparazione tra le seconde nozze simultanee e quelle successive dei vedovi.
A maggior ragione nessun testo sinodale, che di per sé esigeva chiarezza giuridica, avrebbe mai potuto intendere con digamoi sia le seconde nozze simultanee che quelle successive. Con ciò si sarebbero messe sullo stesso livello le seconde nozze simultanee, che risultano sempre da un adulterio, con le seconde nozze successive dei vedovi, che venivano considerate dalla maggioranza dei Padri come indesiderate, ma non peccaminose.
A favore di una simile interpretazione del termine digamoi da parte dei Sinodi depone anche il canone 19 del Sinodo di Ancira (314), il quale prevedeva che chi infrange il voto di verginità doveva sottoporsi alla disciplina (penitenziale) dei digamoi. Infine, il Sinodo di Laodicea, nella seconda metà del quarto secolo, disponeva che ai digamoi che avessero celebrato un secondo matrimonio in modo libero e formale, e non in segreto, venisse imposto solo un breve tempo di penitenza.
Ma anche qui si tratta dei digamoi nel senso delle seconde nozze dei vedovi. Come risulta da quanto sinteticamente sopra esposto (ma criticamente documentato in modo più ampio e adeguato in altra sede: cfr. W. Brandmüller, Den Vätern ging es um die Witwen, "Die Tagespost", 27 febbraio 2014, p. 7; H. Crouzel, S.J.,L’Église primitive face au divorce: du premier au cinquième siècle, Paris 1971; G. Pelland, S.J., La pratica della Chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati,in: Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, LEV, Città del Vaticano 2010, pp. 99-131), un’interpretazione dei testi che voglia seguire correttamente le esigenze del metodo storico-critico, non permette di trarre le conclusioni alle quali Cereti arriva. Inoltre non pare superfluo ricordare che solo un consensus Patrum, un insegnamento consensuale dei Padri – e non una scelta arbitraria di testi – può pretendere di possedere autorità dottrinale e quindi avere valore probante in vista di una nuova prassi pastorale. Va infine ricordato che lo Spirito guida la Chiesa nella verità tutta intera (cfr.Gv 16,13). Ciò comporta che la Chiesa avanza in una comprensione sempre più approfondita della verità. Poiché d’altra parte lo Spirito Santo nel percorso della storia non può contraddirsi, ogni successiva acquisizione non può contraddire le precedenti.
Walter Brandmüller (Avvenire)
*
Baldisseri: al Sinodo di ottobre ascolteremo le famiglie
Il Segretario a un convegno sulla famiglia della Pontificia Università gregoriana (con servizio babysitting). Ci saranno coppie di sposi tra gli uditori
IACOPO SCARAMUZZICITTÀ DEL VATICANO
C’era anche il servizio di babysitting al forum sulla famiglia organizzato ieri e oggi alla Pontificia Università Gregoriana dei Gesuiti con il titolo “Ascoltando la famiglia. Incertezze a attese”. Obiettivo: permettere alle coppie di sposi di partecipare alla riflessione teologica sulla famiglia. Il convegno accademico si colloca all’interno del percorso sinodale voluto da papa Francesco, tanto che a presiedere la due-giorni all’ateneo affacciato sulla centralissima piazza della Pilotta è stato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo.
“C’è una partecipazione ampia di persona, una buona scelta di relatori, e ci sono testimonianze di coppie di sposi che testimoniano la loro storia”, spiega Baldisseri, diplomatico di lungo corso, evidenziando gli elementi di interesse dell’iniziativa in una pausa dei lavori. “È interessante la partecipazione perché sono persone qualificate per fare le relazioni, poi ci sono gruppi di studio che approfondiscono le varie tematiche e, alla fine, un relatore rende partecipi tutti i partecipanti delle riflessioni emerse. Questa mattina, per esempio, c’è stata una bellissima relazione sull’amore coniugale presentato non come un dovere ma come un incontro permanente, vivo, tra le due persone che si integrano nel tempo, con l’esperienza, andando l’uno va verso l’altro in una reciprocità che arricchisce ognuno. Bellissima, ancora, una relazione di ieri sulle relazioni, che non sono solo un vincolo giuridico ma un vincolo relazionale: gli sposi stanno insieme non solo per contratto ma per consenso permanente”.
L’approccio di questo convegno – l’ascolto delle famiglie, la partecipazione di coppie di sposi – è lo stesso del sinodo straordinario convocato dal Papa per il prossimo ottobre e di quello ordinario dell’anno prossimo?
“Certamente: l’ascolto lo avremo attraverso i membri che interverranno al Sinodo, i quali avranno raccolto le testimonianze e i suggerimenti della base, cominciando dalle parrocchie, dalle diocesi e dalla conferenze episcopali. Io sto ricevendo ancora in questi giorni i resoconti di alcune diocesi in cartaceo, quei resoconti che erano stati inviati alle conferenze episcopali perché ne fosse fatta una sintesi ma che alcune diocesi si sono preoccupate di inviare anche alla Segreteria generale. Poi abbiamo ricevuto le sintesi di lavori di gruppo di esperti. C’è un interesse molto, molto grande e questo indica che lo sforzo che dobbiamo fare al nostro ‘centro di raccolta’ è l’ascolto. Allora possiamo presentare suggerimenti ed eventualmente proposte che saranno poi risolutive, non in questa prima tappa del Sinodo straordinario di ottobre, che probabilmente non sarà sufficiente, ma grazie a un ulteriore approfondimento e studio in vista della seconda tappa del Sinodo ordinario del 2015”.
Qual è lo stato dell’arte della preparazione del Sinodo straordinario di ottobre: “Instrumentum laboris”, percentuali di risposta al questionario inviato a novembre a tutte le diocesi del mondo, partecipanti previsti?
“L’86% delle conferenze episcopali hanno risposto. Anche gli aventi diritto della Curia romana sono già un 60-70%. Bisogna tenere conto, al riguardo, che non tutti i dicasteri romani hanno una competenza che si riferisce specificamente al tema della famiglia; tutti sono stati però interpellati perché potessero dare la loro opinione e i loro suggerimenti. Quanto alle risposte individuali e di gruppo, siamo già quasi a ottocento: molto numerose specialmente le risposte di gruppo, che hanno dunque molta gente dietro. L’”Instrumentum laboris” è già in elaborazione. La prima bozza è stata già presentata il 24 di febbraio scorso alla presenza del Papa. Si tratta di una prima sintesi, ma poiché non tutte le risposte erano arrivate, ci dovrà essere una seconda bozza, probabilmente quella definitiva. A maggio potremmo avere un testo che, approvato dal consiglio di Segreteria, sarà inviato nel mese di giugno a tutti i membri dell’assemblea generale straordinaria. Per allora si saprà ufficialmente chi sono i membri. Già sappiamo che parteciperanno tutti i presidenti delle conferenze episcopali del mondo e i capi dicastero della curia romana. Non si sa ancora chi saranno i membri che saranno nominati dal Papa: c’è un congruo numero che il Papa designerà nel prossimo futuro. Poi ci saranno gli uditori, tra di loro ci saranno molte coppie di sposi, perché sono loro in prima linea in questo campo. E poi ci saranno anche esperti, i delegati fraterni che sono rappresentanti delle confessioni degli orientali e di altre confessioni cristiane. Anche questi avranno diritto di intervento ma non sono membri, parteciperanno come invitati. Il tutto verrà pubblicato prossimamente, quando saremo in condizioni di farlo”.
Affiora a volte, magari sulla stampa, qualche critica nei confronti dell’approccio in questo pontificato alle tematiche famigliari: divorziati risposati, nozze gay, contraccezione. Troppo mimetismo nei confronti della società moderna e post-moderna?
“È una questione di stile e di linguaggio. I temi del Sinodo sono molteplici, quelli del questionario. Si sottolineano alcuni aspetti perché magari sono quelli che attirano di più l’attenzione. Ma i grandi temi sono in primo luogo il valore del matrimonio, fondamento della famiglia e della società. Su questo ci sarà un grande approfondimento e apporto da parte di tutti i continenti: non c’è solo l’occidente, voi giornalisti occidentali dovete pensare che non siete soli! Che la Chiesa è universale! Il Santo Padre ha instaurato uno stile nuovo, parla con un linguaggio che colpisce, ricco di immagini. Forse molti non sono abituati, ma è il linguaggio col quale si può comunicare molto meglio alla gente. E siccome il Vangelo è per la gente, non per gli intellettuali, non è un corso universitario, allora effettivamente questo è un contributo formidabile in questo momento in cui soprattutto in Occidente si è stabilita una certa distanza, per ragioni che tutti conoscono della contemporaneità. Noi dobbiamo ristabilire questo contatto con la realtà. I primi a sentirsi rivalutati sono proprio i fedeli, le persone semplici, che forse cominciano a capire meglio, con un linguaggio così diretto, che tocca la mente e il cuore, il messaggio della Chiesa. Quando il Papa parla stabilisce un contatto diretto col popolo, molto bello, la gente si sente vicina. Direi che è anche un modello peri i parroci, i vescovi, gli operatori della pastorale. In questo senso, anche il sinodo avrà la tonalità della pastoralità”.
Il servizio babysitting alla Gregoriana è solo un dettaglio, che però la dice lunga su questo approccio di fondo del convegno – e del sinodo – che vuole essere quello di permettere alle famiglie di prendere parte attiva alla riflessione teologica sulla famiglia: “Siccome nel comitato scientifico ci sono uomini e donne sposati – spiega con semplicità padre Miguel Yáñez, direttore del dipartimento di Teologia morale della Gregoriana, gesuita argentino che ha avuto Jorge Mario Bergoglio come formatore – e la prima cosa che mi hanno detto è che c’era bisogno di un servizio di babysitting. Ieri c’erano sei bambini, oggi sedici”.
Senza l’esperienza delle famiglie, spiega il gesuita argentino, “non possiamo fare teologia del matrimonio”. È la lezione del Concilio Vaticano II, ed è l’indicazione di papa Francesco. Padre Yáñez però precisa: “Questa iniziativa viene dal basso. L’anno scorso, prima che Bergoglio diventasse Papa, abbiamo fatto una cosa simile, un pomeriggio di studio sul matrimonio post-moderno, ‘un legame debole?’. L’idea era nata dopo l’entusiasmo suscitato tra gli studenti di Teologia dalle lezioni della professoressa Maria Cruciani. Nel frattempo il Papa ha convocato un Sinodo straordinario sulla famiglia, in forza della sua preoccupazione particolare per la famiglia alla quale noi aderiamo. Poi gli ho raccontato cosa facciamo e lui è molto contento e interessato… ma non l’abbiamo fatto per fare complimenti a lui!”.
L’approccio, a ogni modo, è chiaro: “Di fatto nella Bibbia troviamo l’esperienza della famiglia nella sua realtà: non c’è una scelta solo di buoni modelli, ma c’è la vita come si presenta: la grazia, il peccato, raccontato con tutta naturalità. E anche qui vorremmo confrontarci con la realtà: le difficoltà della famiglia, la realtà che troviamo oggi, i diversi tipi di famiglia: anche lì scopriamo che c’è desiderio di essere felici, di amarsi. Vorremmo venire incontro a questa gente, offrire un servizio di accompagnamento, senza un giudizio previo, come ha detto il Papa. Ovviamente abbiamo dei criteri, non per giudicare le persone ma per guidare a un’esperienza che sia umanizzante. Criteri per aiutare a compiersi, non per escludere o catalogare le persone”.