venerdì 4 aprile 2014

Il Papa comunista....




Papa: intervista su ideologie e speranze rinnovamento, poi incontra Renzi    

(Salvatore Izzo) "Ho sentito, due mesi fa, che una persona ha detto: 'Ma, questo Papa e' comunista!'. E no! L'amore per i poveri e’ una bandiera del Vangelo, non del comunismo: del Vangelo!". 
Sono parole di Papa Francesco - ad un gruppo di ragazzi del Belgio, che ha avuto il privilegio di intervistarlo - e sono state diffuse dalla Radio Vaticana poco prima dell’incontro del Pontefice con il nuovo premier italiano, Matteo Renzi, ricevuto con moglie e figli in Vaticano per circa tre quarti d’ora (probabilmente alla Domus Santa Marta, ma nulla e’ stato precisato in merito trattandosi di un’udienza privata). Anche se Renzi comunista non lo e’ mai stato, queste esternazioni di Bergoglio le avra’ senz’altro lette con grande interesse per la presa di distanza, che contengono, da ogni ideologia (quella del Vangelo, ha spiegato il Papa, e’ "la poverta’ senza ideologia: i poveri sono al centro dell’annuncio di Gesu’. Basta leggerlo. Il problema e’ che poi questo atteggiamento verso i poveri alcune volte, nella storia, e’ stato ideologizzato"). Ma soprattutto per un ragionamento nel quale si sara’ senz’altro riconosciuto: Papa Francesco e’ preoccupato perche’ "in Italia la disoccupazione giovanile dai 25 anni in giu’ e’ quasi del 50 per cento". Ma guarda con fiducia a un rinnovamento della classe dirigente, e ricordando i suoi incontri con alcuni giovani politici argentini, ha affermato di avere fiducia in loro e nella loro voglia di concretezza. "Sono contento perche' loro, siano di sinistra, siano di destra, parlano una nuova musica, con una nuov a musica, un nuovo stile di politica. E quello a me da’ speranza. E io credo che la gioventu’ in questo momento deve prendere la luce e andare avanti. Che siano coraggiosi! Questo a me da’ speranza", ha spiegato. Il. recente passato non ha dato invece buoni frutti. Secondo Francesco, infatti, "in questo momento della storia, l’uomo e’ stato buttato via dal centro, e’ scivolato verso la periferia, e al centro, almeno in questo momento, e’ il potere, il denaro e noi dobbiamo lavorare per le persone, per l’uomo e la donna, che sono l’immagine di Dio". Oggi, ha proseguito il Papa, "siamo entrati in una cultura dello scarto": "sono cacciati via i bambini - non vogliamo bambini, meno, famiglie piccole: non si vogliono i bambini - sono cacciati via gli anziani: tanti anziani muoiono per una eutanasia nascosta, perche’ non si ha cura di loro e muoiono. E adesso sono cacciati via i giovani". Nel. dialogo con i ragazzi del Belgio, Francesco ha fatto anche alcune interessanti confidenze. "Assolutamente, assolutamente - ha detto - sono felice. Ho una certa pace interiore, una pace grande. E’ una felicita’ che viene con l’eta’ e anche con una strada... Nella mia vita e anche ora ho sempre avuto dei problemi, ma questa felicita’ non va via con i problemi". Di queste difficolta’ passate, Francesco ha fatto un esempio. "Sono stato nominato superiore - ha raccontato - molto giovane e ho fatto tanti sbagli con l’autoritarismo, per esempio. Io ero troppo autoritario a 36 anni. Poi ho imparato che si deve dialogare, si deve sentire cosa pensano gli altri. Ma non e’ stato imparato una volta per sempre! E’ lunga la strada". Gli errori, per Francesco, sono "grandi maestri: ti insegnano tanto. Anche ti umiliano, perche’ uno puo’ sentirsi un superuomo, una superdonna. E tu sbagli e questo ti umilia e ti mette al tuo posto". 

(AGI)

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Coccopalmerio: «Con il Papa la Chiesa non ricade in errori passati»

Intervista al Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi su libertà religiosa, laicità, significato della presenza a scuola di Religione, crocifisso e presepe

DOMENICO AGASSO JRTORINO
«Il diritto alla libertà religiosa non è caduto dal cielo, ma ha una lunga storia. Come succede e si verifica per tutti i diritti umani, di cui il diritto alla vita e il diritto alla libertà religiosa sono i primi ed essenziali, non è tanto il risultato di una deduzione, sia essa filosofica o teologica, quanto piuttosto una risposta concreta a una storia fatta di numerose sofferenze e, spesso, anche di vittime». Esordisce così il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, intervistato da Vatican Insider in occasione della presentazione torinese del libro di don Fabrizio Casazza “Libertà religiosa e laicità tra cronaca, leggi e Magistero”.

E come descrive il rapporto tra la religione cristiana e i diritti umani?
«Ogni religione, poiché pretende di essere vera su un piano universale, considera con molto scetticismo la conversione alle altre religioni. Il cristianesimo ha dovuto percorrere una strada abbastanza lunga, piena di giri tortuosi, prima di giungere a formulare le dichiarazioni “Dignitatis humanae” e “Nostra aetate”. Con esse, la Chiesa cattolica ha trovato un proprio modello per fondare i diritti umani e appropriarsene non in modo estrinseco a mo' di ratifica (come han fatto gli Stati secolari), ma basandosi sulla natura umana, sul diritto naturale e approfondendo l'”intellectus fidei” alla luce della sua vicenda storica: "la verità non si ha che per la forza della verità stessa (DH 7)». 

Il volume di Casazza parla di libertà religiosa e laicità: ma come definirebbe la laicità?
«Utilizzo alcune parole del libro: è anzitutto “dare a Cesare quel che è di Cesare”, senza tralasciare “quel che è di Dio" (Mt 22,21); è distinguere ciò che è oggetto di fede da ciò che è oggetto di ragione; è visione positiva della ragione e della religione, fondata su una giusta autonomia tra l'ordine temporale e l'ordine spirituale, che favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa».

E la libertà religiosa?
«Essa ha avuto uno sviluppo storico fino ad arrivare alla consapevolezza della piena uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e del fatto che le religioni lecite sono tutte “egualmente” libere dinanzi allo Stato, il che non implica che siano tutte “uguali” fra loro».

Come si tutela la libertà religiosa?
«Con un sano realismo, non chiudendo gli occhi di fronte a fatti spiacevoli; neppure bisogna vincolare la propria tolleranza a quella praticata dall'altro, cercando sempre “una giustizia superiore”, non ipocrita, mediante la pedagogia della carità per non lasciare l'altro da solo nel suo errore o nell'intolleranza. L'invito a un dialogo franco e sereno fra le religioni, l'allargamento della ragione, la comprensione storica per giungere all'oggi, il giusto rapporto fra pubblico e privato sono gli strumenti per tutelare e radicare il fondamentale diritto alla libertà religiosa richiesto da una “sana laicità” voluta dalla Chiesa e da molti Stati, a favore dello sviluppo integrale dell'uomo».

Come commenta le polemiche che spesso nascono sull’ora di Religione a scuola, la rappresentazione del presepe e la presenza del crocifisso nelle scuole pubbliche? Lo Stato come dovrebbe comportarsi?
«Sull’insegnamento della Religione c’è sempre stato un equivoco, perché in realtà non dev’essere intesa come catechesi, bensì come cultura religiosa. Nella scuola si parla di tante cose che devono essere conosciute per cultura generale, e così vale anche per Religione. Però deve essere condotta da chi conosce la materia, e dunque avviene che la insegnino dei sacerdoti che hanno studiato, oltre che i laici. Sul crocifisso e il presepe ci si chiede: la Chiesa e gli utenti della scuola hanno il diritto di esporre questo segno? E dunque lo Stato deve astenersi dall’impedirlo? Nell’idea che mi sono fatto è che lo Stato deve riconoscere questo diritto e quindi deve astenersi dall’intervenire a meno che la vista del crocifisso o del presepe leda un diritto delle persone di cui lo Stato deve essere garante. Se si dimostra che la vista del crocifisso determina per esempio danni alla salute, o la lesione di un altro diritto soggettivo che però deve essere dimostrato, lo Stato deve intervenire vietando l’esposizione del crocifisso. Ma se così non è, non si capisce perché lo Stato debba vietare il diritto alla manifestazione della propria religiosità. Altrimenti lederebbe la libertà religiosa, si cadrebbe dal diritto alla libertà religiosa al diritto di essere liberi da qualsiasi forma di religiosità, ma questo diritto non ha fondamenti. E comunque, con queste polemiche in alcuni casi si arriva davvero all’assurdo. Allora provocatoriamente dico: non si possono portare simboli religiosi, però ci sono le chiese. In Francia io credo che dovrebbero mettere sulla cattedrale parigina di “Notre Dame” qualcosa che ne impedisca la vista: se vieti di portare un simbolo religioso, devi anche impedire la vista di strutture religiose. Oppure lo Stato dovrebbe impedire l’accesso al “Louvre” perché ci sono opere con soggetto religioso».

Quale contributo sta portando papa Francesco a questi temi?
«C’è un aspetto del suo pontificato che va sottolineato: il Pontefice è portato a valorizzare tutto quello che c’è nelle singole persone. Lui sostiene che dobbiamo riconoscere che anche in quelle più “lontane” – non solo geograficamente ma anche spiritualmente – c’è qualcosa di positivo. E così nella sensibilità e nel modo di pensare del popolo di Dio noi dobbiamo scoprire, essere in ascolto di, alcuni messaggi: sulla libertà religiosa, si può dire che anche coloro che la contestano probabilmente hanno un messaggio da trasmettere. Potrebbe essere che un atteggiamento contrario alla libertà religiosa derivi da un’esperienza di invadenza da parte delle religioni. La Chiesa cattolica adesso è molto rispettosa, ma non è così per altre religioni, specie per quelle religioni in cui non è possibile cambiare appartenenza e, se lo fai, sei perseguitato. O comportamenti similari. Di fronte a questi fenomeni che fanno parte della legislazione di certi Stati si capisce anche una reazione contro la libertà religiosa perché si teme che si arrivi a questi eccessi. Dunque ascoltare anche questi atteggiamenti può portare a essere più attenti a non compiere anche noi cristiani delle invasioni illegittime nella libertà delle persone. Ci insegna a non imporre la nostra religione, cosa che la Chiesa nel passato ha fatto (senza colpa di qualcuno in particolare, ma per la mentalità dell’epoca): siamo a Torino e pensiamo spontaneamente ai Valdesi e a certi atteggiamenti della Chiesa. Quante cose del genere hanno determinato ferite ancora aperte oggi. Comportandoci come ci indica il Pontefice, è più probabile che non ricadiamo in errori compiuti nel passato».