Barcellona ospiterà un congresso sulla pastorale nelle grandi città.
(Lluís Martínez Sistach, Cardinale arcivescovo di Barcellona) Nel corso del 2014 si terrà a Barcellona un congresso internazionale sulla pastorale nelle grandi città. L’iniziativa si articolerà in due fasi. La prima si svolgerà nei giorni 20, 21 e 22 maggio prossimi, attraverso conferenze affidate a esperti di sociologia, pastorale e teologia. Ogni mattina si terranno nove conferenze, e accanto ai relatori ci saranno esperti provenienti, come gli stessi relatori, da diversi Paesi del mondo.
La seconda fase, che si si svolgerà nei giorni 24, 25 e 26 novembre prossimi, sarà destinata solo a un gruppo di cardinali e arcivescovi provenienti da grandi città dei cinque continenti. Terminerà a Roma con un’udienza di Papa Francesco, durante la quale gli affideremo le conclusioni dei nostri lavori e riceveremo i suoi orientamenti per ottenere i frutti migliori da questa iniziativa.
La seconda fase, che si si svolgerà nei giorni 24, 25 e 26 novembre prossimi, sarà destinata solo a un gruppo di cardinali e arcivescovi provenienti da grandi città dei cinque continenti. Terminerà a Roma con un’udienza di Papa Francesco, durante la quale gli affideremo le conclusioni dei nostri lavori e riceveremo i suoi orientamenti per ottenere i frutti migliori da questa iniziativa.
Credo che fare un breve riassunto di quanto l’ha preceduta possa aiutare a situare meglio l’iniziativa. Si tratta di un’idea che ho concepito e che ho sviluppato conversando con Papa Francesco. Il 25 agosto 2011, l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio — ora nostro Santo Padre Francesco — ha pronunciato il discorso di apertura del primo Congresso regionale di pastorale urbana. Di quel discorso — riportato integralmente nel libro del teologo ed esperto di pastorale Carlos María Galli, dal titolo Dios vive en la ciudad (Buenos Aires, Ágape Libros, 2011, 390 pagine) — mi ha colpito il fatto che l’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio, di Buenos Aires parlasse come della «grande città, un nuovo segno dei tempi» e di ciò che il concilio Vaticano II, e in particolare la costituzione pastorale Gaudium et spes, aveva significato per la comprensione del fenomeno della crescente urbanizzazione.
L’allora arcivescovo Bergoglio, quel 25 agosto 2011, ha anche ricordato che sulla scia del concilio Vaticano II, precisamente nel 1965, nel mondo latinoamericano si tenne il primo Incontro sulla pastorale delle grandi città, a Barueri, San Paolo, convocato dall’Istituto pastorale latinoamericano (Ipla), divenuto poi Istituto teologico-pastorale del Celam (Itepal). In quel discorso, citando il documento di Aparecida — del quale, come si sa, Bergoglio è stato uno dei grandi redattori — ha detto che «la Chiesa all’inizio si formò nelle grandi città dell’epoca e si servi di esse per diffondersi».
In una conversazione che ricordo sempre, avuta con il cardinale arcivescovo di Buenos Aires durante le congregazioni generali previe al conclave del 2013, ho potuto constatare il suo interesse per la pastorale urbana, che è stata ed è anche una preoccupazione della mia arcidiocesi e mia personale. Ricordo con molto piacere un fatto che può sorprendere, ma che rivela la sollecitudine dell’arcidiocesi di Barcellona per la pastorale dei nostri fratelli del mondo latinoamericano. In una casa editrice di orientamento cristiano e popolare, chiamata Nova Terra, con sede a Barcellona, i testi di quel primo incontro sulla pastorale urbana di Barueri furono pubblicati in un libro preparato dal R. Caramurú intitolato La Iglesia al servicio de la ciudad.
In questo tempo di globalizzazione in cui viviamo, nelle grandi città del mondo dobbiamo confrontarci con le stesse sfide, difficoltà e possibilità per l’annuncio del Vangelo e per la presenza e il compimento della missione della Chiesa. Ho sempre pensato che noi pastori delle grandi città dovessimo aiutarci a vicenda, condividendo la riflessione pastorale e le esperienze ecclesiali che viviamo nelle nostre diocesi. Spesso, nelle nostre riunioni, noi cardinali parliamo di questo tema e diciamo che dovremmo incontrarci per condividere esperienze, visto che oggi i problemi sono in gran parte comuni. A tal fine, con i miei collaboratori più stretti, ho organizzato una riunione di lavoro a Barcellona con gli arcivescovi di Bordeaux e di Marsiglia.
Durante una pausa tra le congregazioni generali che hanno preceduto il conclave, ho offerto al cardinale Bergoglio una copia del mio libro Cristianos en la sociedad del diálogo e de la convivencia (pubblicato in italiano dalla Libreria editrice vaticana) in cui mi soffermo su alcuni aspetti della pastorale della Chiesa nelle grandi città. Ho potuto constatare con piacere che condivideva la mia preoccupazione. Ricordo che mi ha detto: «Sono molto interessato alla pastorale della Chiesa nelle grandi città».
Quella conversazione con il cardinale Bergoglio è continuata, e forse si è intensificata, dopo che è stato eletto Vescovo di Roma e successore di Pietro. Frutto di quegli scambi di opinioni, che esprimevano una comune preoccupazione pastorale per il tema, è stata la decisione di organizzare un Congresso internazionale sulla pastorale delle grandi Città che, riunendo figure di spicco a livello mondiale — sociologi, pastoralisti, teologi ed esperti di altre materie complementari — permettesse di riflettere sulla realtà, le sfide, i bisogni, le difficoltà e le speranze che presentano oggi le grandi città rispetto all’annuncio del Vangelo, e anche sulla presenza e sul compimento della missione della Chiesa nelle case, nelle strade, nelle piazze e nelle periferie urbane.
Il Papa ha mostrato interesse per questo congresso di Barcellona e, se mi è consentito dirlo, ha anche collaborato alla sua organizzazione, il che per me significa molto. Il 6 settembre 2013 Papa Francesco mi ha ricevuto nella sua residenza di Santa Marta. «Ho una cosa per te», mi ha detto, cercando tra le sue carte. E mi ha dato un resoconto che aveva ricevuto dalla Grande Buenos Aires, proprio sulla pastorale urbana, che è il tema del congresso di Barcellona. Un documento indubbiamente molto interessante. In quell’udienza privata gli ho potuto esporre più in dettaglio il programma del congresso e ascoltare i suoi interessanti suggerimenti.
Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium afferma: «È interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città», facendo riferimento alla nuova Gerusalemme. Il Papa ci invita a contemplare le grandi città con uno sguardo di fede, scoprendo la presenza di Dio nelle case, nelle strade e nelle piazze. Nella loro vita quotidiana, i cittadini molte volte «lottano per sopravvivere e, in questa lotta, si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso religioso».
Il sinodo dei vescovi dell’ottobre 2012 ha osservato che oggi le trasformazioni nelle grandi città e la cultura che esprimono sono un ambito privilegiato della nuova evangelizzazione. Occorre un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e nello spazio, e che promuova i valori fondamentali. È particolarmente necessario giungere là dove nascono i nuovi messaggi e paradigmi, e raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città.
Non possiamo neppure dimenticare che attualmente più della metà dell’umanità abita in città e che l’evangelizzazione ebbe inizio in questi spazi urbani. Il congresso dovrebbe aiutarci a realizzare questo desiderio di Papa Francesco: «La proclamazione del Vangelo sarà una base per ristabilire la dignità della vita umana in questi contesti, perché Gesù vuole spargere nelle città vita in abbondanza».
Nei suddetti tre giorni del mese di maggio le conferenze si terranno la mattina e saranno aperte a tutti coloro che desidereranno assistervi. Se mi è permesso dirlo con uno schema classico nella riflessione cristiana, il congresso si muoverà nelle tre direzioni già indicate dalla costituzione pastorale Gaudium et spes del concilio Vaticano II: vedere, giudicare e agire. Le prime tre giornate s’incentreranno soprattutto sul “vedere”, ossia su quanto ci dicono i sociologi, i pastoralisti e i teologi circa i compiti che corrispondono all’attuale civiltà umana. Ecco i temi di questa prima fase: «Le grandi città del XXI secolo, come luogo della vita globale»; «Centro e periferie delle grandi città. Geografia umana e urbana»; «Forme di aggregazione e di separazione nelle grandi città». Saranno questi i tre temi della prima giornata del Congresso.
Quelli della seconda giornata saranno: «L’integrazione del cristianesimo nella grande città: l’origine urbana del cristianesimo (secoli I-IV)»; «Il tessuto ecclesiastico e i tessuti urbani (sociali, economici, culturali e religiosi)»; «Individuo, persona, collettività-comunità nella grande città».
I temi della terza giornata ci presenteranno le preoccupazioni e le esperienze sul Vangelo comunicato alla grande città: «L’impatto del Vangelo di Gesù nella grande città»; «La comunicazione del Vangelo nelle grandi città: ambiti, attori, media»; «La misericordia materna e pastorale verso i poveri e i “dimenticati” delle periferie».
I relatori e gli esperti si riuniranno il pomeriggio per riflettere — e in qualche modo giudicare — su quanto è stato esposto nelle conferenze e su quanto desiderano aggiungere gli esperti, al fine di segnalare i punti fermi, i principi, gli aspetti centrali, innovativi e importanti che a loro giudizio i pastori dovranno tener presente nel loro lavoro della fase conclusiva del congresso, a novembre 2014.
Questo lavoro, insieme ai testi delle conferenze, sarà inviato a tutti i cardinali e gli arcivescovi delle grandi città del mondo invitati (circa venticinque) affinché possano conoscerlo, riflettere e preparare i loro interventi come pastori per i giorni 24, 25 e 26 novembre a Barcellona. Si vuole far sì che il lavoro dei conferenzieri e degli esperti aiuti noi pastori nell’esercizio del nostro ministero episcopale con la partecipazione della propria diocesi.
In questa fase conclusiva del Congresso si riuniranno solo i pastori al fine di “giudicare” alla luce dei contenuti offerti precedentemente dai relatori e dagli esperti. L’“agire” viene lasciato a ogni pastore con la propria Chiesa. Sarebbe opportuno che noi pastori giungessimo a conclusioni in grado di illuminare la pastorale che va attuata nelle grandi città. Vorremmo poter offrire a Papa Francesco tali conclusioni con un atteggiamento di servizio, ringraziandolo fin d’ora per l’aiuto che ci offrirà quando ci riceverà a Roma in udienza.
Con questo congresso si vuole contribuire a migliorare il servizio che la Chiesa deve prestare al mondo in ogni momento e in ogni situazione sociale, a cominciare dalla nostra realtà attuale. Si vuole anche rispondere a quanto auspicato dal nostro Papa Francesco: «Una Chiesa povera e per i poveri»; che non ci chiudiamo in una Chiesa autoreferenziale o narcisista; che usciamo nelle strade per offrire in libertà la fede e per prestare il nostro servizio agli uomini e alle donne di oggi, anche a quanti vivono immersi in quelle che Francesco chiama le «enormi geografie umane» o culture urbane, «dove il cristiano non suole più essere promotore o generatore di senso, ma che riceve da esse altri linguaggi, simboli, messaggi e paradigmi che offrono nuovi orientamenti di vita, spesso in contrasto con il Vangelo di Gesù» (Evangelii gaudium, n. 73).
Il Papa vuole che siamo «pastori con odore di pecora», ossia che c’incarniamo nella realtà e, per farlo, dobbiamo conoscerla, aiutati da quanti sono dediti al suo studio, e che siamo anche «un ospedale da campo» per le anime, per «servire e non per essere serviti» (cfr. Luca, 22, 27), seguendo così in qualche modo, nonostante i nostri limiti personali e istituzionali, l’esempio di nostro Signore Gesù Cristo.
L'Osservatore Romano
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Per vincere la paura. Dio abita nella città
(Alberto Fabio Ambrosio) La città da sempre impaurisce. Quella dove vivo da oltre dieci anni, Istanbul, conta quindici milioni di abitanti, ma ho scolpite nella memoria le immagini di quando, da ragazzino, ritornavo dopo l’estate a Milano. Al casello di Bologna dell’Autosole la periferia offriva già uno spettacolo che non diceva più nulla né del sole né del mare estivi, ma arrivati alle porte di Milano l’angoscia sembrava calare come il cielo grigio già offuscato dall’inquinamento.Ognuno di noi ha un ricordo inquietante e un suo racconto dello spazio urbano, ma ci deve essere posto per una riflessione più ampia. In un piccolo libro Marco Filoni (Lo spazio inquieto. La città e la paura, Palermo, Edizioni di Passaggio, 2014) riprende e riassume temi che la grande filosofia ci ha abituato a trattare: cioè il rapporto così intimo tra la paura e lo spazio cittadino. L’interesse di questa lettura è dato dal fatto che vengono tratteggiate in breve tutte le sorgenti della paura connesse con il vivere urbano, con la città in quanto tale e con l’immaginario a essa legato.
E forse basta riflettere un poco sull’esperienza che ciascuno di noi fa della città per convenire che la città incute paura e la produce in tutte le sue dimensioni. Nell’ultimo capitolo l’autore scrive: «Abbiamo provato a vedere dove esattamente è la paura nella città. E verso chi si rivolge. L’abbiamo vista per la prima volta sulle mura della città antica, su possenti fortificazioni, una paura che si rivolgeva all’esterno, una paura di ciò che era fuori. Il nemico al di là del muro. Ma non solo. La paura era ed è anche dentro, si annida nella città: è paura del nostro essere diversi, del nostro non essere tutti uniti nel momento in cui si deve decidere».
La città induce un estraniamento che è tanto interno a noi stessi quanto esterno. Una storia, narrata da Andrea Staid nel suo racconto antropologico I dannati della metropoli. Etnografia dei migranti ai confini della legalità (Milano, Milieu, 2014), mette in scena una città legale che coesiste accanto a quella illegale. Si parla addirittura di una città oscura: come tutto ciò che è oscuro, fa paura.
Questo non sembra sorprendere eccessivamente il credente, abituato da sempre al delirio d’onnipotenza umana: «Anche le immagini del sogno infranto di Babele, la città autosufficiente che porta al cielo, dell’anti-città consolidata che si estende sulla terra, Babilonia, esprimono (e, se si vuole, aiutano a esorcizzare) le paure e le angosce dell’uomo nel percepire che partecipa alla costruzione della stessa anti-città che lo divora». Così Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, una delle più grandi metropoli del mondo, si esprimeva, in un piccolo libro (Dio nella città, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2013) più breve, ma forse ancora più potente di quello sopra citato.
Papa Francesco conosce il tessuto delle città, probabilmente al corrente delle relative teorie filosofiche e antropologiche. E sfida la realtà della paura urbana con una teologia della città dove c’è spazio proprio per colui che ne sembra escluso, Dio. Questo suo libro, vero e proprio manifesto per una teologia della città, commenta anche alcuni passi del documento finale della quinta conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, svoltasi nel 2007 ad Aparecida.
Il cardinale Bergoglio indica la via per superare con lo sguardo della fede la paura della città. Il documento di Aparecida lo dice a chiare lettere «Dio vive nella città», e il futuro Papa lo riprende e lo commenta: «La città attuale è relativista: tutto va bene, e magari cadiamo anche nella tentazione di ritenere che, per non discriminare e includere tutti, sentiamo come necessaria la relativizzazione della verità. Non è così. Il nostro Dio, che vive nella città e si coinvolge nella sua vita quotidiana, non discrimina né relativizza. La sua verità è quella dell’incontro che scopre dei volti, e ogni volto è unico».
Questo atteggiamento del cuore e della mente è l’unico possibile per vincere la paura della città. I vescovi dell’America latina hanno dimostrato audacia nell’affermare che Dio vive nella città e Bergoglio, oggi Papa, lo ribadisce. È lo sguardo di una fede viva e coerente che permette di scoprire nei volti dei vicini, numerosi ma unici, la bellezza interiore delle città.
L'Osservatore Romano(Alberto Fabio Ambrosio) La città da sempre impaurisce. Quella dove vivo da oltre dieci anni, Istanbul, conta quindici milioni di abitanti, ma ho scolpite nella memoria le immagini di quando, da ragazzino, ritornavo dopo l’estate a Milano. Al casello di Bologna dell’Autosole la periferia offriva già uno spettacolo che non diceva più nulla né del sole né del mare estivi, ma arrivati alle porte di Milano l’angoscia sembrava calare come il cielo grigio già offuscato dall’inquinamento.Ognuno di noi ha un ricordo inquietante e un suo racconto dello spazio urbano, ma ci deve essere posto per una riflessione più ampia. In un piccolo libro Marco Filoni (Lo spazio inquieto. La città e la paura, Palermo, Edizioni di Passaggio, 2014) riprende e riassume temi che la grande filosofia ci ha abituato a trattare: cioè il rapporto così intimo tra la paura e lo spazio cittadino. L’interesse di questa lettura è dato dal fatto che vengono tratteggiate in breve tutte le sorgenti della paura connesse con il vivere urbano, con la città in quanto tale e con l’immaginario a essa legato.
E forse basta riflettere un poco sull’esperienza che ciascuno di noi fa della città per convenire che la città incute paura e la produce in tutte le sue dimensioni. Nell’ultimo capitolo l’autore scrive: «Abbiamo provato a vedere dove esattamente è la paura nella città. E verso chi si rivolge. L’abbiamo vista per la prima volta sulle mura della città antica, su possenti fortificazioni, una paura che si rivolgeva all’esterno, una paura di ciò che era fuori. Il nemico al di là del muro. Ma non solo. La paura era ed è anche dentro, si annida nella città: è paura del nostro essere diversi, del nostro non essere tutti uniti nel momento in cui si deve decidere».
La città induce un estraniamento che è tanto interno a noi stessi quanto esterno. Una storia, narrata da Andrea Staid nel suo racconto antropologico I dannati della metropoli. Etnografia dei migranti ai confini della legalità (Milano, Milieu, 2014), mette in scena una città legale che coesiste accanto a quella illegale. Si parla addirittura di una città oscura: come tutto ciò che è oscuro, fa paura.
Questo non sembra sorprendere eccessivamente il credente, abituato da sempre al delirio d’onnipotenza umana: «Anche le immagini del sogno infranto di Babele, la città autosufficiente che porta al cielo, dell’anti-città consolidata che si estende sulla terra, Babilonia, esprimono (e, se si vuole, aiutano a esorcizzare) le paure e le angosce dell’uomo nel percepire che partecipa alla costruzione della stessa anti-città che lo divora». Così Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, una delle più grandi metropoli del mondo, si esprimeva, in un piccolo libro (Dio nella città, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2013) più breve, ma forse ancora più potente di quello sopra citato.
Papa Francesco conosce il tessuto delle città, probabilmente al corrente delle relative teorie filosofiche e antropologiche. E sfida la realtà della paura urbana con una teologia della città dove c’è spazio proprio per colui che ne sembra escluso, Dio. Questo suo libro, vero e proprio manifesto per una teologia della città, commenta anche alcuni passi del documento finale della quinta conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, svoltasi nel 2007 ad Aparecida.
Il cardinale Bergoglio indica la via per superare con lo sguardo della fede la paura della città. Il documento di Aparecida lo dice a chiare lettere «Dio vive nella città», e il futuro Papa lo riprende e lo commenta: «La città attuale è relativista: tutto va bene, e magari cadiamo anche nella tentazione di ritenere che, per non discriminare e includere tutti, sentiamo come necessaria la relativizzazione della verità. Non è così. Il nostro Dio, che vive nella città e si coinvolge nella sua vita quotidiana, non discrimina né relativizza. La sua verità è quella dell’incontro che scopre dei volti, e ogni volto è unico».
Questo atteggiamento del cuore e della mente è l’unico possibile per vincere la paura della città. I vescovi dell’America latina hanno dimostrato audacia nell’affermare che Dio vive nella città e Bergoglio, oggi Papa, lo ribadisce. È lo sguardo di una fede viva e coerente che permette di scoprire nei volti dei vicini, numerosi ma unici, la bellezza interiore delle città.