Episodi e personaggi dei Vangeli hanno validità universale. Erodi, Pilati, Nicodemi, Giuda… ce ne saranno sempre. E forse ogni cristiano è alternativamente un po’ l’uno e un po’ l’altro, un po’ Erode, un po’ Pilato, un po’ Giuda…. Ebbene, all’epoca di Gesù, tra i suoi principali avversari, ci sono anche i Farisei, una categoria anch’essa dello spirito umano. Ci sono al tempo di Cristo, ci sono oggi, ci saranno domani: il loro modo di comportarsi rappresenta una tentazione anche per chi non appartiene alla loro setta.
Farisei significa “separati”: costoro si tengono separati, scrive Giuseppe Ricciotti nella sua Vita di Gesù Cristo, “da tutto ciò che non era giudaico e per tale ragione era anche irreligioso ed impuro, giacché giudaismo, religione e purità non si potevano staccare l’uno dall’altro”. I Farisei sono legati a tutti gli innumerevoli precetti della loro tradizione, conoscono alla perfezione tutte le complicate norme per il sacrificio, per il pasto, e sanno con precisione se sia lecito o meno mangiare un frutto caduto spontaneamente dall’albero, o sciogliere il nodo di una fune, in giorno di sabato.
Attentissimi al formalismo, alla casistica, ma incapaci di cogliere il cuore delle regole, il loro significato più profondo, vivono godendo della loro separatezza, della loro condizione di giusti, di puri, di conoscitori della Legge. Si nutrono di vanagloria.
Rispetto ai Farisei, Gesù è molto severo: imputa loro, anzitutto, una pratica, una vita assai diversa dalla teoria. Non si lascia impressionare dal loro sapere, ma li definisce “ipocriti” e “sepolcri imbiancati”. E i Farisei lo odiano e lo inseguono, con un solo scopo: non per ascoltarlo, per cercare di capire, ma per coglierlo in fallo. Nel loro cuore hanno già giudicato, compreso, deciso. Devono solo trovare il pretesto: vivono in cerca del pretesto per condannare. Non interessa loro se Cristo compie un miracolo: lo vedono, ma non ci danno alcun peso, perché lo pedinano, lo sorvegliano, solo per vedere se lo ha compiuto in giorno di sabato, secondo le regole della loro tradizione farisaica. Sono troppo impegnati a cercare nel prossimo un motivo di giudizio malevolo, sempre e comunque. I farisei, insomma, sono quei fratelli che usano la legge, la più sacrosanta e venerabile, per ergersi a giudici; quelli che godono di poter condannare; quelli che fanno della conoscenza della legge non un motivo di maggior responsabilità, un richiamo anzitutto a se stessi, ma uno strumento di potere.
Non è la conoscenza in sé della legge, che Gesù non approva: lui stesso la rispetta, portandola a compimento; è la loro superbia che condanna, quella per cui essi passano il tempo a scandalizzarsi se Gesù mangia con i pubblicani e i peccatori, se Gesù entra nelle case degli impuri, se i suoi discepoli, invece di digiunare, mangiano… Ricciotti prosegue ricordando che il loro vanto sta nel sentirsi i “più rigorosi e i più intransigenti”, i duri e i puri dell’epoca, ma non tanto con se stessi, quanto a parole, e con gli altri. Ai farisei piace commentare, giudicare, soprattutto calunniare: nella condanna, nella maldicenza, senza nessun amore, senza nessun tentativo di comprendere gli altri, trovano motivo per sentirsi migliori, puri (“catari” si dirà, più avanti nella storia). Per condannare gli basta poco: il dettaglio è sufficiente. E sono pronti a piegarlo, a manipolarlo, così come manipolano le Scritture, perdendone, di commento in commento, il significato. Fossero cristiani, i Farisei non farebbero come quegli eretici che negano o svuotano l’Inferno, ma amerebbero giocare a riempirlo, a stivarlo, e a sostituirsi a Dio per decidere chi debba andarci, e perché. Fossero predicatori, renderebbero Dio un giudice senza Misericordia, spogliandolo della sua umanità, della sua pazienza, della sua bontà di pastore e di medico. Fossero medici, osserverebbero attentamente le piaghe purulente, per catalogarle con perizia, dimenticandosi del piagato.
Ecco il significato dell’invettiva di Gesù, nell’èlenchos di Matteo. Invettiva che ogni cristiano deve tener presente, essendo sempre in pericolo di cadere nel relativismo senza Verità che tutto distrugge, o nel fariseismo senza Carità che tutto avvelena: “Sulla cattedra di Mosè si sedettero gli Scribi e i farisei. Perciò tutte quante le cose che vi dicano fate e osservate, ma conforme alle loro opere non fate, giacché dicono e non fanno. Legano infatti carichi pesanti e li impongono sulle spalle degli uomini, ma essi con il loro dito non vogliono rimuoverli”. E ancora: “Guai a voi Scribi e Farisei ipocriti, perché rinserrate il regno dei cieli in faccia agli uomini: voi infatti non entrate, né gli entranti lasciate entrare. Guai a voi Scribi e Farisei ipocriti, perché girate per mare e per terra per fare un solo proselita, e quando sia divenuto tale lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi… Guide cieche che filtrate il moscerino e inghiottite il cammello… sepolcri imbiancati, i quali al di fuori appaiono belli, al di dentro invece sono ripieni d’ossa di morti e di ogni impurità. Così anche voi all’esterno apparite giusti agli uomini, all’interno invece siete colmi di ipocrisia e di iniquità”.
Francesco Agnoli
Il Foglio