venerdì 18 aprile 2014

Storia di un condannato a morte




Iran: la donna che ferma il boia... sul patibolo schiaffeggia e grazia il killer di suo figlio


Le storie dei condannati a morte in Iran non finiscono bene neppure in un romanzo d'amore come "Underground Bazar" di Ron Leshem. Per questo vale la pena raccontare quella vera del giovane Balal Abdullah, perdonato dalla madre della sua vittima a pochi istanti dalla fine, quando aveva già la benda nera sugli occhi e il nodo scorsoio introno al collo. Balal era stato destinato alla pena capitale nel 2007 per aver ucciso a coltellate il coetaneo diciassettenne Abdollah Hosseinzadeh durante una rissa in strada a Noshahr, nel nord del paese. L'ora X era fissata per martedì e la piazza centrale della città aspettava muta l'ennesima prova dell'impermeabilità di Teheran all'affermazione dei diritti umani.
Secondo Amnesty International e gli osservatori Onu dall'elezione del presidente Hassan Rohani, lo scorso agosto, il lavoro del boia si è addirittura intensificato con almeno 537 esecuzioni negli ultimi 8 mesi, 200 delle quali dall'inizio del 2014 a oggi.
Il paese stagna in un perenne deprimente bivio, il passato e il futuro, la spietata ineluttabilità della legge di Dio e la resilienza degli uomini. La logica dell'occhio per occhio prevedeva che spettasse a mamma Samereh Alinejad scalciare via la sedia da cui Balal in piedi lanciava le sue ultime grida, abbandonandolo al vuoto. Invece lei, che dopo Abdollah aveva perso un figlio di 11 anni in un incidente di moto, ha detto no, ha schiaffeggiato l'assassino implorante perdono, si è calmata, ha guardato i concittadini ai quali poco prima aveva domandato "Sapete cosa vuol dire vivere in una casa vuota?", ha ascoltato i loro applausi e poi ha chiesto al marito Abdolghani di liberare il condannato dalla corda fatale.
Ora sconterà la pena in carcere. "Sono una credente, tre giorni fa ho sognato il mio ragazzo che mi diceva di essere in un bel posto e mi chiedeva di non cercare il regolamento dei conti così ho punito l'assassino schiaffeggiandolo" ha spiegato la donna ai giornalisti locali.
Un gesto irrazionale di segno opposto alla vendetta. Il consorte, un ex allenatore di calcio, ha aggiunto al "Guardian" che si è trattato di un incidente, che Balal non voleva uccidere suo figlio e che era "inesperto, non sapeva maneggiare il coltello da cucina". La Repubblica islamica dell'Iran è seconda solo alla Cina per il numero di condanne a morte eseguite pubblicamente ogni anno. Ementre il paese reale spera che il rallentamento del programma nucleare porti a un accordo internazionale il 20 luglio prossimo, quello ferale composto dagli ultraconservatori e dai Pasdaran tiene sotto pressione il presidente Rohani per il suo tentativo di concedere alcune minime libertà culturali, in particolare nel campo dei social network. Balal, per il quale nei mesi scorsi si erano spesi artisti e personaggi dello sport tra cui il popolare commentatore di calcio Adel Ferdosipour e l'ex calciatore internazionale Ali Daei, è tornato in prigione.
Il sistema della "qisas", una variante islamica della legge del taglione, stabilisce infatti che le famiglie delle vittime possano intervenire sulla pena di morte e non sulle sentenze carcerarie. Ma la sua storia vera ha galvanizzato i 140 mila firmatari della petizione per il perdono di Reyhaneh Jabbari, la 26enne in attesa della sentenza di morte per l'omicidio di un membro dei servizi segreti che, ripete lei, voleva violentarla.
di Francesca Paci

La Stampa, 18 aprile 2014

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Venerdì Santo in Pakistan: digiuno e preghiera per Asia Bibi, Sawan Masih e le vittime della blasfemia
di Jibran Khan 


Comunità cristiana e società civile vicine alle vittime della “legge nera”. La solidarietà del vescovo di Islamabad. Attivista musulmano: uniti ai “nostri fratelli e sorelle cristiani nelle celebrazioni del Venerdì Santo”. Appello al governo: “serie iniziative per combattere l’intolleranza e l’abuso”.



Islamabad (AsiaNews) - "Preghiamo in modo speciale per Sawan Masih e Asia Bibi, entrambi nel braccio della morte in base all'accusa di blasfemia. Ci rivolgiamo alla comunità dei fedeli, perché si uniscano a noi nella preghiera per gli emarginati e oppressi". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, che invita i fedeli a celebrare un Venerdì Santo di digiuno e preghiera per tutte le vittime della "legge nera". Le minoranze religione in Pakistan sono oggetto di persecuzione e discriminazione a causa della loro fede; oggi, in modo particolare, la comunità cristiana, assieme alla società civile e ai vertici della Chiesa, esprime la propria protesta pacifica contro condanne a morte basate su false accuse e dissapori personali. 
Asia Bibi, dal novembre 2010 nel braccio della morte, sottoposta a regime di isolamento in carcere per motivi di sicurezza, è ormai da tempo un simbolo della lotta contro la "legge nera". Il 26enne cristiano Sawan Masih, originario di Lahore, è stato invece condannato in primo grado, dietro false accuse che in realtà celano dissapori personali con la persona che lo ha denunciato. La sua vicenda aveva dato origine a un attacco mirato contro la minoranza residente nella Joseph Colony di Lahore, con centinaia di case e due chiese date alle fiamme dagli estremisti islamici.
Asia Bibi e Sawan Masih trascorreranno le feste di Pasqua lontani dalle loro famiglie, strappate ai loro affetti per una norma che è diventata nel tempo un pretesto per colpire le minoranze. 

Mirza Asad Khan, attivista musulmano, si unisce "ai nostri fratelli e sorelle cristiani nelle celebrazioni del Venerdì Santo, col digiuno e la preghiera per costruire assieme un cammino di pace". Chiediamo al governo, aggiunge, "serie iniziative per combattere l'intolleranza e l'abuso delle leggi sulla blasfemia".

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Asia Bibi: “Io credo, risorgerò”

Asia Bibi


La donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan vive l’assenza di un processo come “il suo venerdì santo” ma non perde la speranza. Come testimonia il messaggio inviato in esclusiva a Vatican Insider

PAOLO AFFATATOROMA

“Credo con tutto il mio cuore, con tutte le mie forze e la mia mente che risorgerò. La salvezza verrà presto anche per me”: io giorno del Venerdì santo, inchiodata alla sua croce di oltre 4 anni e mezzo di carcere da innocente, Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia, compie la sua professione di fede, e consegna in esclusiva a Vatican Insider un accorato messaggio di speranza.

Asia Bibi, in trepidante attesa della sua sorte, ha ricevuto ieri la notizia della cancellazione dell’udienza, prevista il 14 aprile, del suo processo di appello: il procedimento è stato rinviato sine die senza una motivazione plausibile. Solo perchè i giudici dell’Alta Corte di Lahore, intimiditi e intimoriti da possibili rappresaglie dei fondamentalisti islamici, finora si sono sottratti alla responsabilità di trattare il suo caso: decidere su Asia Bibi – soprattutto su una eventuale assoluzione - è una patata fin troppo bollente. Meglio declinare. Gli avvocati difensori, dal canto loro, hanno confermato che faranno tutti i passi necessari, come una istanza al presidente della Corte, perché il caso venga normalmente calendarizzato.

Raggiunta da Vatican Insider attraverso il suo avvocato e le persone che le sono più vicine, Asia Bibi ha espresso tutto il suo rammarico per quella che considera “una ulteriore discriminazione”. “Oggi per me non c’è posto in tribunale, non c’è occasione o luogo dove possa dimostrare la mia innocenza. Prego e spero che un giudice riceva luce da Dio e abbia il coraggio di vedere la verità”, ha detto fra le lacrime. Asia vive oggi il suo venerdì santo immersa nella preghiera: “Mi specchio nella croce di Cristo, nella certezza che tanti fratelli e sorelle nel mondo mi sono vicini e stanno pregando per me”.

Ma, nonostante la tragica situazione e la sofferenza che la tocca da quasi cinque anni, la speranza alberga ancora nel cuore della donna: “Quando Cristo risorgerà, nel giorno di Pasqua, Egli deciderà per me una nuova strada di giustizia, mi terrà con Lui in un regno dove non vi sono ingiustizia e discriminazione. Cristo ha promesso che risorgerò con Lui”. Ecco la Pasqua di Asia, che vive questi giorni in solitudine, in una cella del carcere femminile di Multan, aggrappata solo alla lettura della Bibbia.

Intanto si moltiplicano in Pakistan le iniziative e le veglie di preghiera, per Asia Bibi e per altre due recenti condanne a morte di cristiani per blasfemia: quella di Sawan Masih e quella dei coniugi Shafqat: Emmanuel, disabile, e sua moglie, Shagufta Kausar, colpevoli, secondo le accuse, di aver inviato “sms blasfemi”. Anche per loro si profila un lungo calvario giudiziario, come quello di Asia.

Asia Noreen Bibi è stata denunciata il 19 giugno 2009 dal mullah musulmano Qari Muhammad Sallam, che l’ha accusata di blasfemia, secondo l’articolo 295c del Codice Penale. Dopo le indagini, la polizia presentò il suo rapporto il 12 luglio e il caso andò a processo presso il tribunale di primo grado di Nankana Sahib. I fatti contestati ad Asia (aver insultato il Profeta Maometto, dopo un alterco con altre donne musulmane) sono avvenuti il 14 giugno 2009. Gli avvocati della difesa, nel processo di appello, intendono far leva sullo scarto di cinque giorni fra il verificarsi dei fatti (14 giugno) e la presentazione della denuncia (19 giugno) per dimostrare che le accuse sono del tutto montate. Asia è stata condannata a morte l’8 novembre 2010 dal tribunale di primo grado. L’appello è stato depositato davanti all’Alta Corte di Lahore l’11 novembre 2010. Ma, per motivi di opportunità e di contesto, per pressioni religiose e politiche, solo ora, quasi quattro anni dopo, è stato preso in considerazione e, inizialmente, calendarizzato. Da febbraio a oggi, il caso ha subito quattro rinvii, l’ultimo “a data da destinarsi”.