giovedì 3 aprile 2014

Il volto di Cristo nelle donne vittime di violenza.



(Gualterio Bassetti)
La recente condanna dei vili aggressori di Lucia Annibali, a cui è stato devastato il viso con l’acido, interroga profondamente la coscienza di ogni persona e non può lasciare muta la Chiesa di fronte a tali atti miserabili. È bene dirlo con estrema chiarezza e semplicità: noi tutti siamo Lucia Annibali. E siamo anche Tanya St. Arnauld, Kate Piper, Patricia Lefranc, Zakia Parveen, per ricordare solo alcuni nomi in un drammatico elenco di giovani donne vittime in ogni parte del mondo della stessa violenza.
Nel volto di queste donne noi vediamo il volto di Dio. Nelle piaghe di queste sofferenze, nella carne di queste persone noi troviamo il corpo di Cristo. Deriso, calunniato, umiliato, flagellato, crocifisso, Gesù ci ha insegnato l’amore. Un amore sconfinato e gratuito, concreto e generoso, che ci possiede totalmente, che «riempie i vuoti» — dice Papa Francesco — e «le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia».
Un amore che, invece, in queste storie atroci di violenza, viene irrimediabilmente negato da un’atavica concezione nella quale la donna è ridotta a oggetto da possedere e da disprezzare. Concezione resa ancor più violenta da una diffusa mentalità maschilista e individualista che finisce per indurire i cuori. Ecco allora esistenze alienate in cui l’essere umano tragicamente smarrisce la gioia ed è sempre più incapace di amare l’altro. Incapacità che paralizza lo spirito, riduce l’eros a puro atto consumistico, mercifica gli affetti e arriva a compiere violenze indicibili.
Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium scrive che sono «doppiamente povere» quelle «donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti». Oggi guardiamo con fiducia alla giustizia dei tribunali civili e nello stesso tempo ci rivolgiamo allo Spirito creatore perché induca un cambiamento profondo nel cuore di chi ha compiuto questi atti abbietti.
Certamente le difficoltà e le ingiustizie subite fanno amara la vita di ogni persona. Le violenze possono addirittura renderla insopportabile e difficile da comprendere. Tuttavia, il senso profondo della nostra esistenza non si può smarrire se seguiamo la bussola della vita: è Gesù, sempre, l’ago calamitato che indica la direzione nel vortice di un mare in burrasca ed è lui a indirizzarci verso il Padre.
Con Gesù di Nazareth il Verbo di Dio si è incarnato ed è entrato nella storia dell’umanità. Senza la consapevolezza di questa presenza carnale si rischia di ridurre il cristianesimo a una religiosità dal vago sapore sociale o, all’opposto, si arriva a costringerlo in un angusto orizzonte di valori e di precetti morali. I valori e i precetti, invece, acquistano senso compiuto solo se incarnati in una persona.
Mai come oggi, infatti, è fondamentale «andare verso l’uomo» perché, come scriveva Emmanuel Mounier, è l’essere umano «l’unica realtà che ci sia dato di conoscere e, in pari tempo, di costruire dall’interno». E mai come oggi è doveroso, oltre che necessario, difendere le persone più deboli. A partire da quelle donne che hanno subito una violenza cieca e odiosa che, inesorabilmente, recide la comunione di Dio con l’intera umanità.
L'Osservatore Romano