sabato 5 aprile 2014

V Domenica del Tempo di Quaresima - Anno A

Immagine in linea 1

Nella quinta domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta il Vangelo della risurrezione di Lazzaro. Gesù dice a Marta: 

«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?».


La “domenica della risurrezione di Lazzaro” viene a noi con una notizia decisiva per il nostro cammino verso la Pasqua. Cristo annuncia: “Io sono la risurrezione e la vita”. Egli è colui che dona la risurrezione. A Gesù viene recata la notizia: “Signore, colui che tu ami è malato”. Questo amore entra in modo nuovo nella storia di ogni singola creatura per strapparla al non senso ultimo della sofferenza e della morte: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”. E a Marta, la sorella di Lazzaro, Gesù fa una domanda, che è per me e per te, oggi: “Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?". Questo è il tempo per rinnovare profondamente, insieme a Marta, la nostra fede nel Figlio di Dio: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”, per stabilire la propria vita sulla roccia della risurrezione dei morti, sulla speranza della vita eterna: Dio ha davvero creato l’uomo per la risurrezione e la vita. Per coloro che si trovano senza questa vita, la Quaresima è il tempo della riconciliazione con Dio e con la Chiesa, tempo di grazia per ricevere la Parola del Signore che grida: “Lazzaro, vieni fuori”, “Liberatelo e lasciatelo andare”, nella gioiosa esperienza della liberazione, del perdono dai peccati, per ricevere la “veste nuziale” che ci fa commensali di Cristo: dopo questa domenica è il tempo stesso a farsi breve, a correre verso il suo compimento nel Santo Triduo e nella Veglia Pasquale.

(don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)

*

Di seguito i testi della Liturgia e i commenti.

V DOMENICA DI QUARESIMA - A
(Domenica di Lazzaro)

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 42,1-2
Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa
contro gente senza pietà;
salvami dall'uomo ingiusto e malvagio,
perché tu sei il mio Dio e la mia difesa.



Colletta
Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Egli è Dio...

Oppure:
Eterno Padre, la tua gloria è l'uomo vivente; tu che hai manifestato la tua compassione nel pianto di Gesù per l'amico Lazzaro, guarda oggi l'afflizione della Chiesa che piange e prega per i suoi figli morti a causa del peccato, e con la forza del tuo Spirito richiamali alla vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
   
LITURGIA DELLA PAROLA
    
Prima Lettura  Ez 37, 12-14
Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete.

Dal libro del profeta Ezechièle
Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele.
Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio.
Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.
 
Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 129
Il Signore è bontà e misericordia.
  
Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica.

Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore.

Io spero, Signore.
Spera l’anima mia,
attendo la sua parola.
L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora.

Più che le sentinelle l’aurora,
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.
Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.

 

Seconda Lettura  
Rm 8, 8-11
Lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. 
 

Canto al Vangelo
  Cf Gv 11,25.26
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Io sono la risurrezione e la vita, dice il Signore,
chi crede in me non morirà in eterno.
Lode e onore a te, Signore Gesù!
   
   
Vangelo  Gv 11, 1-45 (forma breve: Gv 11,3-7.17.20)
Io sono la resurrezione e la vita.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 
] I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. ] Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». ]
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, 
si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 
] 

*

"Togliamo la pietra e gioiamo"

Commento al Vangelo della V Domenica del Tempo di Quaresima - Anno A


Siamo alle porte di Gerusalemme, la Pasqua è ormai vicina, tra pochi giorni vi entreremo anche noi con Gesù. Vivremo il suo mistero Pasquale accogliendolo ancora nella nostra vita rinnovando le promesse battesimali.
Ma prima dobbiamo passare da Betania, che è come la “presentazione” del Libro sulla Pasqua: Gesù vi scrive le parole e vi compie i gesti con cui prepara e spiega l’opera che avrebbe compiuto di lì a poco a Gerusalemme.
A Betania c’è la malattia, e poi la morte, il dolore e le domande. A Betania c’è il limite di ogni vita, è come la riva su cui si arrestò la corsa di Mosè e del popolo, il mare oscuro dinanzi, i carri del faraone alle spalle. A Betania ci sei tu e ci sono io.
E vicino c’è Gesù. A un passo dalla “casa del povero afflitto” che è la tua famiglia, il tuo lavoro, la tua stessa vita, c’è un “amico” che “desidera ardentemente mangiare la Pasqua con te”. Tutto quello che accade nell’episodio del Vangelo scorre su questo desiderio incontenibile di Gesù di fare Pasqua con noi, di rivelare “l’amore più grande, dare la vita per i propri amici”.
E la vita si dà innanzitutto lasciando libero l’amico. Anche di morire.  E questo Gesù fa quando sente che “Colui che Egli ama è infermo”. Gesù sa che la malattia dei suoi amici “non è per la morte, ma per la Gloria di Dio. Perché attraverso di essa il Figlio di Dio venga glorificato”. Per questo “rimane due giorni nel luogo dove si trovava”.
Questo ci scandalizza, non riusciamo a comprendere come Dio possa, tante volte, non intervenire: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che costui non morisse?”. Dio non mi ascolta, quando serve il suo aiuto non c’è mai: ho perso il lavoro, mio padre è ammalato, e quella sera, non poteva far sì che mio figlio non avesse quell’incidente?
Per vivere la Pasqua abbiamo bisogno che queste domande vengano alla luce e scoprire che, proprio “restando” lontano, Gesù si fa più vicino che mai. Lui è l’amico che non ci abbandona mai, l’unico che, lasciandoci liberi, ci accompagna nei suoi esiti più dolorosi, nel limite che il male fissa alla nostra esistenza.
Gesù, infatti, non guarendo Lazzaro prima che morisse anticipa profeticamente il suo cammino verso il compimento del mistero pasquale. Gesù non tocca nulla, si umilia scendendo nella stessa impotenza di Lazzaro; lascia che muoia esattamente come farà con se stesso, nonostante le tentazioni del Getsemani e le parole provocatorie che gli avrebbero rivolto da sotto la croce.
E’ lì che “doveva” arrivare, nella verità che è la realtà di ogni cuore. Il suo cammino nelle “dodici ore del giorno” conduceva alla “notte” di Lazzaro e di ogni uomo. Doveva operare “finché c’era la luce”, per illuminare il senso della sua missione, rivelare profeticamente il destino che ci attende; e offrire a tutti noi la chiave per entrare “nella notte” camminando senza “inciampare” alla “luce” del “giorno” senza tramonto, la fede adulta radicata nella Pasqua.
E la chiave è una parola sconvolgente: “Lazzaro, il nostro amico si è addormentato. Ma io vado a svegliarlo”. Gesù offre così al Padre lo sguardo umano perché si posi su ogni Lazzaro illuminandolo di speranza. Come il Padre del figlio prodigo, Dio non ha mai smesso di guardare ogni uomo, anche il più grande peccatore, come la sua opera più bella.
La fede è entrare in questo fascio di luce che scaturisce dagli occhi di Gesù, lasciarsi abbracciare dallo scorrere veemente delle sue parole per giungere a guardare il limite, la morte, perfino il peccato che contrista lo Spirito e ricaccia l’uomo nella corruzione della carne, con gli occhi di Dio.
Ma per arrivare a questa fede occorre passare per la porta che ci separa da Gerusalemme, la stessa che ha varcato Gesù prima di giungere a Betania. E’ dove gli vengono incontro prima Marta e poi Maria. E subito lo affrontano con un’affermazione che è un embrione di fede chiuso nel bozzolo del dolore.
Questo abbozzo di fede delle sorelle è come un controllo dei passaporti, Gesù sta andando da Lazzaro ed esibisce il suo documento: “Io sono”, cioè il nome di Dio. Solo io posso scendere da Lazzaro perché solo “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”.
Sulla soglia del più grande dolore, quell’amico svela finalmente la sua identità. E’ uomo, ma è anche Dio. La resurrezione si fa carne, ossa, sguardo e voce; è a un passo, non serve lanciarsi in un vuoto assurdo.
Sono amici, immagine della Chiesa che sempre si prende cura di noi; si sentono amate. Per questo, dicendo “Credi tu questo?” è come se chiedesse: “ti fidi ancora di me? Abbiamo mangiato, parlato, scherzato, sofferto, vissuto tante cose insieme. Mi avete accolto e sono diventato di casa. Ora è diverso, lo so; ora è accaduto l’irreparabile, ma se mi hai conosciuto un pochino, sai che puoi credermi”.
Con questo dialogo Gesù estrae dal bozzolo il seme di fede delle sorelle per poter passare alla risurrezione di Lazzaro: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. La Chiesa che ci accompagna ha professato la fede, ora Gesù può “passare” e scendere da Lazzaro.
E comincia dicendo di fare una cosa che nessuno vorrebbe mai: “Togliete la pietra”. Ma come, “è morto da quattro giorni! Manda già cattivo odore”… da Quattro giorni e manda cattivo odore.
E’ carne in via di putrefazione come il nostro matrimonio, il nostro rapporto con I figli. Ma è necessario che la verità venga alla luce. Quell’odore è dove Cristo desidera ardentemente celebrare la sua Pasqua.
Per questo chiede alla Chiesa di togliere la pietra, di non aver paura di far uscire l’odore di morte, perché se non c’è questa consapevolezza perdura l’inganno, che è l’autostrada per precipitare nella morte ultima e definitiva.
E piange con noi lo spettacolo della nostra vita ridotta in macerie. Chi ha pianto con noi i nostri peccati? Nessuno! Li hanno giudicati, ci hanno fatto moralismi per indurci a liberarcene, ci hanno esclusi. Forse hanno pianto le conseguenze. Ma piangere gratuitamente, solo per raggiungerci con la misericordia, nessuno tranne Gesù e il suo corpo che è la Chiesa.
Per questo Dio si è fatto uomo: per poter piangere i nostri peccati! Ma come, aveva detto che dormiva e che sarebbe andato a svegliarlo, si era presentato come la risurrezione e la vita, aveva chiesto fede in Lui, e ora, davanti alla pietra, scoppia in pianto?
Bene, senza quelle lacrime non ci sarebbe stato il miracolo. Senza la sua umanità non ci sarebbe stata per noi la possibilità di rivestirci della natura divina. Dio si è dovuto piegare a quelle lacrime per liberarci dalla fonte di ogni lacrima.
Per ridestare Lazzaro doveva infondere il potere alle uniche parole che avrebbe ascoltato: quelle umanissime del dolore e delle lacrime. Lacrime che, come le acque del battesimo, giungevano a bagnare di misericordia quel morto, per abbracciarlo nella sua vita. “Lazzaro vieni fuori!”, ha gridato Gesù, come sulla Croce quando ha sperimentato l’abbandono, la solitudine di ogni peccatore.
E Lazzaro sente, perché dorme. E tu, hai parlato mai con un morto? No, ecco il punto, hai dato per scontate tante, troppe cose. Con tua moglie non parli più perché per te, dentro il tuo schema, è morta!
Non hai speranza, hai giudicato, hai chiuso l’altro nella tomba da quattro giorni; sai che manda cattivo odore. Ti ha insultato proprio un minuto fa. Si è fatto l’ennesima canna rubandoti i soldi. Sono dieci anni che tua cognata, quell’arpia, ha rapito tuo fratello e lo ha messo contro di te, per quel pezzettino di terreno, neanche le galline ci potresti tenere, ma è il principio, e quella strega per me è morta, ha distrutto la mia famiglia.
Invece l’amore dell’amico parla ai morti che mandano cattivo odore. L’amore autentico, infatti, ci vede tutti addormentati, non morti. Credere nella risurrezione è allora amare con l’amore di Cristo che ci ha risuscitati.
E’ aprire il sepolcro, togliere la pietra, lasciarsi avvolgere dal fetore dell’altro per gridarci dentro, perché le parole si facciano largo nelle conseguenze dei peccati, e annunciare le semplici parole di fede che ha detto Gesù: Amore mio, vieni fuori! So che dormi, so che mi puoi ascoltare, ti ho perdonato, puoi uscire allo scoperto, non hai nulla di cui vergognarti, ero lì anch’io mille volte e il Signore con misericordia mi ha destato strappandomi alla paura. Coraggio, non temere, puoi ricominciare con Lui.
Allora davvero ogni sepolcro della nostra vita diviene un “memoriale”, secondo la radice della parola in greco. Possiamo allora entrare nella Pasqua accostandoci ai peccati, alle sofferenze, alle situazioni più dolorose come a un memoriale, ai luoghi dove il Padre compie di nuovo il miracolo del mare, e ci introduce nella notte in cui ha risuscitato il Figlio.
Per questo chiediamoci “dove è stato posto” il fratello, e, in questa Pasqua, andiamoci con Cristo. Togliamo la pietra e gioiamo, alziamo gli occhi al Cielo e gioiamo con Lui perché il Padre ci dà sempre ascolto, aspetta solo la nostra fede per farci passare dalla morte alla vita, “slegare le nostre bende”, cioè perdonare i peccati, e “lasciarci andare” liberi nella vita nuova.

*
Commento di ENZO BIANCHI
La Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù.
“Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato”. Gesù amava molto questi amici, che frequentava nei periodi di sosta a Gerusalemme: nella casa di Betania trovava l’accoglienza premurosa di Marta, l’ascolto attento di Maria (cf. Lc 10,38-42) e l’affetto fedele di Lazzaro.
Le sorelle mandano ad avvertirlo della malattia di Lazzaro, ma egli è lontano, al di là del Giordano. Come può Gesù permettere che un suo amico si ammali, soffra e muoia? Che senso ha? Sono domande affiorate all’interno della rete di amicizie di Gesù, ma che ancora oggi risuonano quando nelle nostre relazioni appaiono la malattia e la morte; è l’ora in cui la nostra fede e il nostro essere amati da Gesù sembrano essere smentiti dalle sofferenze della vita.
Gesù, informato di tale evento, dice: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”, ovvero è un’occasione perché si manifesti il peso che Dio ha nella storia e così si manifesti la gloria del Figlio, gloria dell’amare “fino alla fine” (Gv 13,1). Egli parla un linguaggio che sembra contraddire l’evidenza: sempre nella malattia la morte si staglia all’orizzonte con la sua ombra minacciosa, eppure Gesù rivela che la malattia di colui che egli ama non significherà vittoria della morte su di lui.
E così – particolare a prima vista sconcertante – Gesù resta ancora due giorni al di là del Giordano. Solo il terzo giorno (allusione alla sua resurrezione!) annuncia la sua volontà di recarsi in Giudea. I discepoli non comprendono: “Rabbi, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. In risposta, Gesù espone loro una similitudine dal significato evidente: egli è intimamente convinto di dover vivere e operare come il Padre gli ha chiesto, e sa di doverlo fare nel poco tempo che gli resta, prima che giunga l’ora delle tenebre, quando non potrà più agire.
“Lazzaro, il nostro amico,” – continua Gesù – “si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Di fronte all’ennesimo fraintendimento della sua comunità (“pensarono che parlasse del riposo del sonno”), Gesù dichiara apertamente: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!”.
L’unico a reagire, in modo impulsivo, forse addirittura provocatorio, è Tommaso: “Andiamo anche noi a morire con lui!”. Al di là delle sue stesse intenzioni, egli afferma una profonda verità: seguire Gesù significa trovarsi dove lui è (cf. Gv 12,26), e se lui va verso la morte – come sarà manifesto alla fine di questo capitolo – anche i discepoli sono coinvolti nello stesso esito.
Gesù giunge con i suoi discepoli a Betania quando “Lazzaro è già da quattro giorni nel sepolcro”. Marta, saputo del suo arrivo, gli va incontro e gli rivolge parole che sono insieme una confessione di fede e un rimprovero: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Poi aggiunge: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, te la concederà”. Marta è una donna di fede e confessa che dove c’è Gesù non può regnare la morte, che la morte di Lazzaro è accaduta perché Gesù era lontano. Essa crede in Gesù e, sollecitata da lui, confessa la propria fede nella resurrezione finale della carne.
Ma Gesù la invita a compiere un passo ulteriore: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E Marta replica prontamente: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”.
Anche Maria, chiamata dalla sorella, corre incontro a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, esclama a sua volta: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. I toni sono più affettivi, Maria esprime con le lacrime il proprio dolore. Essa ama Gesù e si sa da lui amata, si mostra pronta a incontrarlo e si inginocchia davanti a lui, ma non dà segni di una fede che possa vincere la sua sofferenza: è interamente definita dal suo inconsolabile dolore. Le sue lacrime sono contagiose: piangono i giudei presenti e piange lo stesso Gesù.
Qui l’evangelista ci chiede di sostare sugli umanissimi sentimenti vissuti da Gesù. Innanzitutto egli si commuove, freme interiormente. Di fronte alla morte di un amico, di una persona da lui amata, la prima reazione è il fremito che nasce dal constatare l’ingiustizia della morte: come può morire l’amore? Perché la morte tronca l’amore, la relazione? Poi Gesù si turba: il fremito di indignazione diventa turbamento, esperienza del sentirsi ferito e del sentire dolore e angoscia. Gesù prova questa reazione emotiva anche di fronte alla prospettiva della propria morte imminente (cf. Gv 12,27), e quando nell’ultima cena annuncia ai suoi il tradimento di Giuda (cf. Gv 13,21). Infine, alla vista della tomba Gesù scoppia in pianto, reazione che i presenti leggono come il segno decisivo del suo amore per Lazzaro.
Giungiamo quindi al vero vertice del racconto: l’incontro tra Gesù e Lazzaro. Gesù, ancora una volta fremendo nel suo spirito, si reca alla tomba e vede la pietra che chiude il sepolcro: colui che è la vita (cf. Gv 14,6) comincia un duello, una lotta contro la morte. Il testo apre uno squarcio sulla relazione di profonda intimità tra Gesù e Dio. “Gesù alzò gli occhi e disse: ‘Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto’”, così come Gesù stesso ascolta sempre il Padre (cf. Gv 5,30).
È l’unica volta che prega prima di compiere un segno, ma la sua è una preghiera di ringraziamento al Padre, a colui che è il fine stesso della preghiera: Gesù desidera che i presenti giungano a credere che egli è l’Inviato di Dio, dunque un segno che rimanda alla realtà ultima, alla fonte di ogni bene, il Padre.
La risposta di Dio giunge immediata, percepibile nella parola efficace di Gesù, che compie ciò che dice: “Lazzaro, vieni fuori!”. Gesù aveva annunciato “l’ora in cui coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e ne usciranno” (cf. Gv 5,28-29). Ecco un’anticipazione: Lazzaro, morto e sepolto, esce dalla tomba ancora avvolto dalle bende, e con la sua resurrezione profetizza la resurrezione di Gesù.
Non solo, ma la resurrezione di Lazzaro, “colui che Gesù ama”, manifesta la ragione profonda per cui il Padre richiamerà Gesù dai morti alla vita eterna: nel duello tra vita e morte, tra amore e morte, vince la vita, vince l’amore vissuto da Gesù. Gesù è la vita, è l’amore che strappa alla morte le sue pecore, le quali non andranno perdute (cf. Gv 10,27-28); se Gesù ama e ha come amico chi crede in lui, non permetterà a nessuno, neppure alla morte, di rapirlo dalla sua mano!
Avvenuto il segno, la sua lettura e interpretazione spetta a quanti lo hanno visto. “Molti dei giudei credettero in lui”. La fede non fa certo sfuggire alla morte fisica: tutti gli esseri umani devono passare attraverso di essa, ma in verità per chi aderisce a Gesù, la morte non è più l’ultima, definitiva realtà. Chi crede in Gesù ed è coinvolto nella sua amicizia, vive per sempre e porta in sé la vittoria sulla malattia e sulla morte. Non solo, come si legge al termine del Cantico, “l’amore è forte come la morte” (Ct 8,6), ma l’amore vissuto e insegnato da Gesù è più forte della morte, è profezia e anticipazione per tutti gli amici del Signore, tutti destinati alla resurrezione.
Questa è la gloria di Gesù, gloria dell’amore, anche se all’apparenza egli sembra sconfitto: in cambio di questo gesto, infatti, riceve una sentenza di morte dalle autorità religiose, per bocca del sommo sacerdote Caifa (cf. Gv 11,46-53). Dare la vita a Lazzaro è costato a Gesù la propria vita: ecco cosa accade nell’amicizia vera, quella vissuta da Gesù, che ha donato la propria vita per gli amici (cf. Gv 15,13).
L’amore, l’amicizia di Gesù, dunque, vince la morte. Se siamo capaci di mettere la nostra fede-fiducia in lui, questa pagina ci rivela che non siamo soli e che anche nella morte egli sarà accanto a noi per abbracciarci nell’ora in cui varcheremo quella soglia e per richiamarci definitivamente alla vita con il suo amore.
Ecco il dono estremo fatto da Gesù a quanti si lasciano coinvolgere dalla sua vita: la morte non ha l’ultima parola, e chiunque aderisce a lui, lo ama e si lascia da lui amare, non morirà in eterno! Canta Gregorio di Nazianzo: “Signore Gesù, sulla tua parola tre morti hanno visto la luce: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro uscito dal sepolcro alla tua voce. Fa’ che io sia il quarto!”.
*

Quaresima: domenica di Lazzaro

Lectio Divina per la V Domenica di Quaresima - Anno A



Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la V Domenica di Quaresima (Anno A).
***
Quaresima: domenica di Lazzaro

1) L’amore vince la morte.
Il brano del Vangelo che è proposto oggi dalla Liturgia della Messa ci invita a contemplare il miracolo della resurrezione di Lazzaro[1] come anticipo e profezia della resurrezione di Gesù che avverrà a Gerusalemme il giorno di Pasqua. Il fatto di Lazzaro risuscitato è anche “segno” che la vita, quando è vissuta nell’amicizia con Cristo, non è sconfitta dalla morte. Chi ama non muore, perché si dona e vive nell’altro. Di più, chi è amato da Cristo non muore, “dorme” ed è risvegliato da Cristo.
L’amore verso Lazzaro “strappa” ancora un miracolo a Gesù. Se nel Cantico dei cantici si dice che “l’amore è forte come la morte”(8,6), in questo gesto Gesù mostra che l’amore è più forte della morte, “risveglia” l’amico dal sonno mortale.
Molti sono gli aspetti che si possono sottolineare in questo episodio.
Penso sia utile iniziare dal luogo: la casa di Lazzaro, Marta e Maria a Betania[2]. Gesù va in questa casa perché queste tre persone sono “luogo” dell’amicizia, e quindi la loro dimora è “luogo” di condivisione e non solo di riposo o rifugio. Luogo di vita che vince la morte, che va oltre la morte è un rapporti di amicizia vera di comunione profonda.
Poi è importante notare la sovrapposizione di due fatti: Lazzaro è lasciato morire da Gesù come Gesù è lasciato morire in Croce dal Padre. Umanamente è scandaloso. Gesù ama Lazzaro (il Vangelo lo sottolinea ripetutamente) e tuttavia lo lascia morire: perché? E Dio Padre ama il Figlio indicandolo come l’Amato e tuttavia lo lascia morire in croce. Perché? Come credere che che la parola ultima non spetta alla morte, ma al Dio amore che dà la vita e non si interrompe con la fine della vita biologica? Chiedendo che Cristo aumenti la nostra fede e contemplando Cristo nella sua vita, morte e resurrezione
Ognuno comprende che si tratta del mistero dell'esistenza dell'uomo: una promessa di vita che poi pare smentita, una promessa di salvezza da parte do Dio che poi sembra contraddirsi. Un mistero inquietante, che in nessun modo va attenuato. Anche Gesù ha pianto di fronte alla morte dell'amico, come ha provato smarrimento di fronte all'imminenza della Croce. La morte, come la Croce, continua a rimanere qualcosa di incomprensibile: Dio dice di amarci e poi ci lascia morire, sembra proprio un abbandono.
2) Il Pianto di Dio e la “risurrezione” di Marta e Maria.           
Gesù piange, dimostrando in tal modo di amare Lazzaro profondamente. Ma ecco la domanda: “Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva far sì che questi non morisse?”. Fu la domanda dei presenti di allora ed è anche la nostra domanda, che siamo i presenti di oggi.
Ma la stessa domanda ci si impone davanti alla morte in Croce di Gesù. Se Gesù è Figlio di Dio, amato da Dio, perché è abbandonato alla Croce? Se Dio è con lui, non dovrebbe accadere diversamente? Eppure anche Dio ha pianto su Cristo e piange su di noi: “la Messa è il pianto di Dio” (San Pio da Pietrelcina) e “Anche Dio piange: il suo pianto è come quello di un padre che ama i figli”Papa Francesco alla messa del 5 febbraio 2014).
Non è facile vedere nella Croce un’epifania dell’amore, ma la Quaresima e la Settimana Santa che si avvicina ci sono date per contemplare questa manfestazione di carità imparando, ad “amare il dolore il quale ci rivela l'opera del suo amore” (San Pio da Pietrelcina) e fare notra la preghiera del salmo “È in te la sorgente della vita, alla tua luce noi vediamo la luce” (Sal 36).
Il mistero dell'esistenza dell'uomo, amato da Dio e tuttavia abbandonato alla morte, si rispecchia e si ingigantisce nel mistero della Croce di Gesù. Ma anche si risolve. Perché c'è vedere e vedere, e della Croce, come dell'esistenza dell'uomo, sono possibili due letture. C'è lo sguardo privo di fede di chi si arresta allo scandalo, e vede nella morte dell'uomo come nella Croce di Cristo il segno del fallimento. E c'è lo sguardo che si apre alla fede e supera lo scandalo, e vede che nella Croce di Gesù splende la risurrezione, come nella morte dell'uomo. E questo è davvero per i cristiani un punto fermo: se si vuol trovare nella storia e nella vita un senso, occorre saper vedere nella Croce di Cristo la gloria di Dio. Non è possibile diversamente.                                 
La risurrezione di Lazzaro, segno di un destino più generale che coinvolge chi è convocato intorno a questa tavola. Gesù chiama Lazzaro fuori dalla tomba. Ma Lazzaro risuscitato è il segno di quanto accade anche alle sorelle Marta e Maria. Marta infatti riconosce nell'amico il Signore della vita.
Credo sia corretto dire che la risurrezione è credere in Gesù, perché chi vive e crede in lui non muore in eterno (cf Gv 11,26), la “confessione di fede” di Marta è anche la risurrezione delle due sorelle.
Le Vergini consacrate ci danno un esempio di una “vita risorta” perche vivono la loro vocazione come cammino di risurrezione, l’amicizia sponsale con Cristo come relazione personale nell’amore, basata sulla dedizione completa Cristo noi e sul riconoscimento radicale di lui. A questa testimonianza d’amore queste donne ci mostrano l’importanza della contemplazione come capacità di saper vedere trasparire il Signore dagli eventi della nostra esistenza quotidiana e da quella di tutta l'umanità. In ciò mettono in pratica quanto la Congregazione per la Vita consacrata e le Società di Vita apostolica  scriveva: “La vita consacrata, nel continuo succedersi ed affermarsi di forme sempre nuove, è già in se stessa un'eloquente espressione di questa presenza di Cristo, quasi una specie di Vangelo dispiegato nei secoli. Essa appare infatti come «prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto».8 Da questa certezza le persone consacrate devono attingere un rinnovato slancio, facendone la forza ispiratrice del loro cammino. La società odierna attende di vedere in loro il riflesso concreto dell'agire di Gesù, del suo amore per ogni persona, senza distinzioni o aggettivi qualificanti. Vuole sperimentare che è possibile dire con l'apostolo Paolo «Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20).” (Istruzione Ripartire da Cristo:
un rinnovato impegno della vita consacrata
nel terzo millennio, 19 maggio 2002, n. 2).
*
NOTE
[1] Il nome Lazzaro viene dall’ebraico ‘El'asar = Dio ha aiutato, colui che è assistito da Dio.
[2] Betania: questo nome deriva dall'ebraico ed è composto da due parole di cui il primo è Beth (che è anche il nome della seconda lettera dell'alfabeto ebraico).
Beth” significa casa (o luogo), esprime l'idea di qualcosa che lo contiene è l'archetipo di tutte le case, la casa di Dio e uomo, il santuario.

Vuol dire un luogo di santità sulla terra.
Il secondo termine ebraico “ania” sarebbe venuto da una parola ebraica che significa sia palma, sia povertà o poveri o misericordia, grazia o benedizioni. Cristo va dall’amico Lazzaro a Betania e, pochi giorni dopo, lascia Betania e va a Gerusalemme (tra i due luoghi ci sono circa 3 chilometri) su un asino, accompagnato dalla folla che lo saluta con rami di palme. Questo dato conferma la presenza di palme in questo luogo e conferma l’etimologia del nome. Simbolicamente la palma è segno di fertilità e di cibo con i datteri, ma è anche il simbolo della giustizia, giustizia di riparazione per il sapore amaro che è suggerito dal suo nome ebraico “tamar”.
 “Ania” può anche venire da “Anania” = Yahweh è stato misericordioso o Hannah, grazia, benedizione. Quindi si può interpretare
“Betania” come la casa della misericordia, della grazia e della benedizione.

*

Lettura Patristica
S.Agostino d’Ippona
La risurrezione di Lazzaro.
COMMENTO AL VANGELO DI SAN GIOVANNI OMELIA 49 
La risurrezione di Lazzaro.
E' cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia il Signore si è degnato creare e risuscitare: li ha creati tutti e ne ha risuscitati alcuni. Se avesse voluto, certamente avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. E questo farà alla fine del mondo.
1. Fra tutti i miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, quello della risurrezione di Lazzaro è forse il più strepitoso. Ma se consideriamo chi è colui che lo ha compiuto, la nostra gioia dovrà essere ancora più grande della meraviglia. Risuscitò un uomo colui che fece l'uomo; egli infatti è l'Unigenito del Padre, per mezzo del quale, come sapete, furon fatte tutte le cose. Ora, se per mezzo di lui furon fatte le cose, fa meraviglia che per mezzo di lui sia risuscitato uno, quando ogni giorno tanti nascono per mezzo di lui? E' cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia egli si degnò creare e risuscitare: creare tutti e risuscitarne alcuni. Infatti, benché il Signore Gesù abbia compiuto molte cose, non tutte sono state scritte; lo stesso san Giovanni evangelista afferma che Cristo Signore disse e fece molte cose che non furono scritte (cf. Gv 20, 30); ma furono scelte quelle che si ritenevano sufficienti per la salvezza dei credenti. Tu hai udito che il Signore Gesù risuscitò un morto: ciò ti basti per convincerti che, se avesse voluto , avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. Del resto si è riservato di far questo alla fine del mondo; poiché verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno; così dice colui che, come avete sentito, con un grande miracolo risuscitò uno che era morto da quattro giorni. Egli risuscitò un morto in decomposizione; ma benché in tale stato, quel cadavere conservava ancora la forma delle membra. Nell'ultimo giorno, ad un cenno, ricostituirà il corpo dalle ceneri. Ma bisognava che intanto compisse alcune cose, che a noi servissero come segni della sua potenza per credere in lui, e prepararci a quella risurrezione che sarà per la vita, non per il giudizio. E' in questo senso che egli ha detto: Verrà l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno, quelli che hanno agito bene per la risurrezione della vita, quelli che hanno agito male per la risurrezione del giudizio (Gv 5, 28-29).
2. Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore, e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni, oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa; e trovare il significato di questi fatti è alquanto più impegnativo che leggerli o ascoltarli. Abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta come Lazzaro riebbe la vita, pieni di ammirazione come se quello spettacolo meraviglioso si svolgesse davanti ai nostri occhi. Se però rivolgiamo la nostra attenzione ad opere di Cristo più meravigliose di questa ci rendiamo conto che ogni uomo che crede risorge; se poi riuscissimo a comprendere l'altro genere di morte molto più detestabile, (quello cioè spirituale), vedremmo come ognuno che pecca muore. Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell'anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L'uomo destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l'uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita! Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita. Chi pur di continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per vivere, preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, esiterà forse a farlo? Se a uno si dice: se non vuoi morire devi lavorare, si lascerà forse prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell'obbedire. Dio non ti dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo quando l'avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non vogliamo, ci colpirà.
3. Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede. Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora in casa (cf Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova, che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15); risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la morte dell'anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore, per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori, e sei un morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato, pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa, che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al caso più grave, che è l'abitudine perversa. Una cosa infatti è peccare, un'altra è contrarre l'abitudine al peccato. Chi pecca, ma subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora prigioniero dell'abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca abitualmente, è già sepolto, e ben si può dire che già mette fetore, nel senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a diffondersi come un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono abituati a tutto e rotti ad ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di costoro: non fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto terra, corrotto, oppresso dal peso dell'abitudine? Né tuttavia la potenza di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così. Abbiamo conosciuto, abbiamo visto, e ogni giorno vediamo uomini che, cambiate le loro pessime abitudini, vivono meglio di altri che li rimproveravano. Tu, ad esempio, avevi molto da ridire sulla condotta del tale: ebbene, guarda la sorella stessa di Lazzaro (ammesso che sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore, e glieli asciugò con i suoi capelli dopo averglieli lavati con le sue lacrime); la sua risurrezione è più prodigiosa di quella del fratello, perché è stata liberata dal grave peso dei suoi cattivi costumi inveterati. Era infatti una famosa peccatrice, e di lei il Signore disse: Le sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto (Lc 7, 47). Abbiamo visto e conosciamo molti di questi peccatori: nessuno disperi, nessuno presuma di sé. E' male disperare, ed è male presumere di sé. Non disperare e scegli dove poter collocare la tua speranza.
4. Dunque il Signore risuscitò anche Lazzaro. Avete sentito in che condizioni si trovava, cioè avete capito cosa significa questa risurrezione di Lazzaro. Cominciamo a leggere, e siccome in questa lettura molte cose sono chiare, non ci soffermeremo a spiegare ogni dettaglio, onde poter dedicare l'attenzione a ciò che lo richiede. S'era ammalato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e della sorella di lei Marta (Gv 11, 1). Dalla lettura precedente ricorderete che il Signore sfuggì dalle mani di coloro che volevano lapidarlo, e si ritirò oltre il Giordano dove Giovanni battezzava (cf. Gv 10, 39-40). Ora, mentre il Signore stava in quel luogo, Lazzaro si era ammalato in Betania, un villaggio che era vicino a Gerusalemme.
5. Maria era colei che unse di unguento profumato il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli. Era suo fratello Lazzaro ch'era ammalato. Dunque, le sorelle mandarono a dire a Gesù (Gv 11, 2-3). Sappiamo già dove mandarono il messaggio a Gesù, poiché sappiamo dove egli era: era assente e si trovava al di là del Giordano. Mandarono a dire al Signore che il loro fratello era ammalato, e per pregarlo di venire a liberarlo dalla malattia. Egli ritardò a guarirlo, per poterlo risuscitare. Che cosa dunque gli mandarono a dire le sorelle di Lazzaro? Signore, vedi, colui che tu ami è malato (Gv 11, 3). Non dissero: Vieni subito! A lui che amava era sufficiente la notizia. Non osarono dire: Vieni a guarirlo; oppure: Qui comanda e là sarà fatto. Perché non dissero così anch'esse, dal momento che la fede del centurione era stata tanto lodata per essersi espressa così? Quello infatti disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Mt 8, 8). Le sorelle di Lazzaro non gli mandarono a dire niente di tutto questo, ma soltanto: Signore, vedi, colui che tu ami è malato. E' sufficiente che tu lo sappia; poiché non puoi abbandonare quelli che ami. Qualcuno dirà: come può Lazzaro rappresentare il peccatore ed essere quindi amato dal Signore? Ascolti la sua parola: Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori (Mt 9, 13). Se infatti Dio non avesse amato i peccatori, non sarebbe disceso dal cielo in terra.
6. Udendo ciò, Gesù rispose: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per essa sia glorificato il Figlio di Dio (Gv 11, 4). Questa glorificazione del Figlio di Dio, non aumentò la sua gloria, ma giovò a noi. Disse che non era per la morte, perché la morte stessa non era per la morte, ma l'occasione di un miracolo, grazie al quale gli uomini avrebbero creduto in Cristo, evitando così la vera morte. Osservate come il Signore in modo indiretto dice che è Dio per quanti negano che il Figlio è Dio. Ci sono infatti degli eretici i quali sostengono che il Figlio di Dio non è Dio. Ascoltino costoro le sue parole:Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Per quale gloria? e di quale Dio? Ascolta quanto segue: affinché sia glorificato il Figlio di Dio. Questa malattia - dice -non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa - cioè appunto per mezzo di questa malattia - sia glorificato il Figlio di Dio.
7. Gesù voleva bene a Marta e alla sorella di lei, Maria, e a Lazzaro (Gv 11, 5). Lazzaro era malato, esse erano tristi, tutti erano amati: chi li amava era il salvatore degli infermi, colui che risuscita i morti, il consolatore degli afflitti. Com'ebbe, dunque, sentito che egli era ammalato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov'era (Gv 11, 6). Ricevuta la notizia, rimane dov'era, lasciando passare quattro giorni. E non senza un motivo: forse, anzi certamente, il numero dei giorni racchiude un significato. Poi disse di nuovo ai suoi discepoli: Torniamo in Giudea (Gv 11, 7), dove per poco non era stato lapidato, e da dove sembrava essersi allontanato proprio per sfuggire alla lapidazione. Come uomo si era allontanato; ma ritornandovi, egli sembrava quasi dimenticare la debolezza umana, per mostrare la sua potenza. Torniamo - disse - in Giudea.
8. Notate lo spavento dei discepoli di fronte a questa risoluzione. I discepoli gli dissero: Rabbi, i Giudei cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà? Gesù rispose: Non sono forse dodici le ore del giorno? (Gv 11, 8-9). Qual è il senso di questa risposta? I discepoli gli avevano fatto osservare: I Giudei cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà, cioè vuoi tornare là per farti lapidare? E il Signore rispose: Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte inciampa perché la luce non è in lui (Gv 11, 9-10). Egli parla qui del giorno, ma nella nostra intelligenza fa ancora notte. Invochiamo il giorno affinché cacci via la notte e con la sua luce rischiari il nostro cuore. Che cosa ha voluto dire il Signore? Mi sembra, per quanto appare dall'altezza e profondità di queste parole, che abbia voluto rimproverare la loro esitazione e la loro poca fede. Essi infatti pretendevano consigliare il Signore a evitare la morte, mentre egli era venuto a morire per sottrarre loro alla morte. In altra circostanza san Pietro, che era pieno d'amore per il Signore, ma che ancora non aveva ben capito il motivo della sua venuta, temette per la sua morte e dispiacque alla Vita, cioè al Signore. Il Signore aveva annunciato ai discepoli che avrebbe dovuto patire a Gerusalemme da parte dei Giudei, e Pietro, parlando a nome anche degli altri, disse: Dio ti scampi, o Signore; questo non ti accadrà. E il Signore gli rispose: Indietro, Satana! perché non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini. E dire che poco prima Pietro, confessando il Figlio di Dio, si era meritato questo elogio: Beato sei tu, Simone figlio di Jona, perché non carne e sangue te l'ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli (Mt 16, 16-23). A quello cui aveva detto Beato sei tu, ora dice: Indietro, Satana!, in quanto Pietro non era beato da sé. Ma da parte di chi? Perché non carne e sangue te l'ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Ecco perché sei beato, non da te, ma da me. Non perché io sia il Padre, ma perché tutto ciò che appartiene al Padre è mio (cf. Gv 16, 15). Se l'esser beato, Pietro lo deve al Signore, a chi deve l'esser satana? Ecco che il Signore glielo dice. Gli ha indicato il motivo per cui è beato: perché non la carne e il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli, ecco perché sei beato; ma ascolta anche perché ti ho detto: Indietro, satana!: perché non hai il senso delle cose di Dio ma di quelle degli uomini. Nessuno s'illuda: di per se stesso, ogni uomo è Satana; se è beato, è dono di Dio. Che vuol dire "di per se stesso" se non in forza del proprio peccato? Se togli il peccato, che rimane di tuo? La giustizia è, dice, roba mia. Infatti, che cos'hai che tu non abbia ricevuto (cf. 1 Cor 4, 7)? Siccome avevano la pretesa, essi che erano uomini, di dare consiglio a Dio, e pretendevano i discepoli insegnare al maestro, i servi al Signore, i malati al medico, egli li rimproverò dicendo: Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa. Come a dire: seguitemi, se non volete inciampare; non vi mettete a darmi consigli, proprio voi che dovreste riceverli da me. Qual è dunque il senso della frase: Non sono forse dodici le ore del giorno? Il Signore si scelse dodici Apostoli per mostrare che egli era il giorno. Se io sono il giorno - dice - e voi le ore, forse le ore possono dare consigli al giorno? Sono le ore che seguono il giorno, non viceversa. Se però essi erano le ore, Giuda che cosa rappresentava? Faceva parte anch'egli delle dodici ore? Se era un'ora, risplendeva; se risplendeva, come ha potuto consegnare il giorno alla morte? Ma il Signore con queste parole non si riferiva a Giuda, bensì al suo successore, che già egli aveva presente. Mattia infatti prese il posto di Giuda, e così gli Apostoli rimasero dodici (cf. At 1, 26). Non senza motivo dunque il Signore aveva scelto dodici Apostoli: perché egli era il giorno in senso spirituale. Le ore, dunque, seguano il giorno, le ore annuncino il giorno, e dal giorno ricevano luce e splendore, di modo che attraverso l'annuncio che ne danno le ore il mondo creda nel giorno. Questo in sostanza vuol dire il Signore con la sua esortazione: Seguite me, se non volete inciampare.
9. Così parlò, poi soggiunse: Lazzaro, l'amico nostro, dorme; ma io vado a svegliarlo (Gv 11, 11). Era la verità. Per le sorelle Lazzaro era morto, ma per il Signore egli dormiva. Per gli uomini, che non potevano risuscitarlo, era morto; ma il Signore poteva farlo uscire dal sepolcro più facilmente di quanto tu non possa svegliare e far scendere dal letto uno che dorme. Tenendo, dunque, conto della sua potenza, disse che Lazzaro stava dormendo. Spesso, del resto, nella Scrittura si parla di tutti gli altri morti come di coloro che dormono; come quando l'Apostolo dice: Noi non vogliamo, fratelli, che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, onde non vi rattristiate alla maniera degli altri che non hanno speranza (1 Thess 4, 12). Parla dei morti come di coloro che dormono, in ordine alla risurrezione che egli annunzia. Dormono tutti i morti, tanto i buoni come i cattivi. Ma come tutti noi ci addormentiamo e ci rialziamo, ciascuno però con il suo sogno (alcuni fanno sogni lieti, altri invece sogni angosciosi, tanto che svegliandosi vorrebbero non riaddormentarsi per non ricadere in balia di essi), così tutti moriamo e risorgiamo ma ciascuno col suo giudizio particolare. Ed ancora: differiscono i generi di detenzione a cui ciascuno è sottoposto in attesa di essere giudicato; il tipo di detenzione è proporzionato alla gravità del delitto: alcuni vengono affidati ai littori, che esercitano il loro ufficio in modo umano, mite e civile; altri vengono consegnati alle guardie, altri ancora vengono gettati in carcere; e anche in carcere non tutti occupano il medesimo luogo, ma più sotterraneo se più grave è il delitto. Ora come in questo mondo differiscono secondo la sorveglianza i generi di detenzione, così differiscono per i morti, come pure differiscono le retribuzioni per i risorti. Viene accolto il povero e viene accolto il ricco; ma il primo nel seno di Abramo, il secondo dove patirà la sete e non troverà neppure una goccia d'acqua (cf. Lc 16, 22-24).
10. Profitto dell'occasione per ricordare alla vostra Carità che le anime uscendo da questo mondo non trovano tutte la medesima accoglienza. Vanno incontro al gaudio se sono buone, ai tormenti se sono malvagie. Dopo la risurrezione, il gaudio dei buoni sarà maggiore, e i tormenti dei malvagi saranno più terribili allorché ai tormenti delle anime si aggiungerà quello dei corpi. I santi Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i martiri, i buoni fedeli sono stati accolti nella pace; ma tutti dovranno aspettare la fine dei tempi per ricevere ciò che Dio ha promesso: egli infatti ha promesso anche la risurrezione della carne, la distruzione della morte, la vita eterna insieme con gli angeli. Questo lo dovremo ricevere tutti insieme. Il riposo concesso dopo questa vita a chi lo merita, lo riceve ciascuno appena muore. I primi a conseguirlo sono stati i Patriarchi (pensate da quanto tempo essi riposano in pace!); poi è stata la volta dei Profeti, più vicini a noi gli Apostoli, più vicini ancora i santi martiri, e ogni giorno i buoni fedeli. Alcuni si trovano in questo riposo da molto tempo, altri non da molto tempo, altri da pochi anni e altri infine da pochissimo tempo. Ma quando si sveglieranno dal loro sonno, tutti insieme riceveranno ciò che è stato loro promesso.
11. Lazzaro, l'amico nostro, dorme; ma vado a svegliarlo. Allora i discepoli gli dissero...Risposero secondo quanto avevano compreso: Signore, se dorme guarirà! (Gv 11, 12). Il sonno dei malati infatti viene interpretato come un sintomo di guarigione. Ora, Gesù aveva parlato della morte di lui, mentre essi avevano creduto che parlasse dell'assopimento nel sonno. Allora Gesù disse loro apertamente... In maniera velata aveva detto: dorme, in maniera aperta disse: Lazzaro è morto e sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate (Gv 11, 13-15). So che è morto, e io non c'ero. Infatti gli era stato detto solamente che era malato, non che era morto. Ma che cosa poteva rimanere nascosto a colui che lo aveva creato, e alle cui mani era emigrata l'anima del defunto? Egli dice: Sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate; perché cominciassero a meravigliarsi del fatto che il Signore sapeva che Lazzaro era morto senza aver visto né sentito che era morto. Questo serve a ricordare che la fede degli stessi discepoli, che già credevano in lui, aveva ancora bisogno di essere sostenuta dai miracoli; non perché mancasse e dovesse ancora nascere, ma perché c'era già e doveva crescere; anche se l'espressione che ha usato può far pensare che essi dovevano ancora cominciare a credere. Infatti egli non dice: Sono contento per voi perché così la vostra fede crescerà, o sarà rafforzata; dice: affinché crediate; il che si deve intendere: affinché crediate di più e con maggior fermezza.
12. Ma andiamo da lui. Disse allora Tommaso, chiamato Didimo, agli altri discepoli: Andiamo anche noi per morire con lui. Arrivato, dunque, Gesù trovò Lazzaro già da quattro giorni nella tomba (Gv 11, 15-17). Molto si potrebbe dire su questi quattro giorni, come di altri passi oscuri della Scrittura, che consentono diverse interpretazioni secondo la diversa capacità di chi legge. Diremo anche noi quello che ci sembra voglia significare il morto di quattro giorni. Come infatti nel cieco dalla nascita vedemmo rappresentato tutto il genere umano, così in questo morto possiamo vedervi rappresentati molti; poiché una medesima cosa può esser rappresentata in più modi. Quando l'uomo nasce, nasce già con la morte; perché eredita da Adamo il peccato. E' per questo che l'Apostolo dice: Per causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il peccato la morte, e in tal modo la morte passò in tutti gli uomini in cui tutti hanno peccato (Rm 5, 12). Ecco il primo giorno della morte, che l'uomo deriva dalla sua triste origine. Poi cresce, comincia a toccare l'età della ragione per cui prende coscienza della legge naturale che tutti gli uomini portano scritta nel cuore: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Forse che questo s'impara sui libri, e non si legge invece nelle pagine della natura stessa? Vuoi forse essere derubato? Certamente non lo vuoi. Ecco la legge scolpita nel tuo cuore: Non fare ciò che non vuoi per te. Ma gli uomini trasgrediscono anche questa legge: ed ecco il secondo giorno della morte. Dio promulgò la legge per mezzo di Mosè suo servo; in essa sta scritto: Non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, onora il padre e la madre, non desiderare la roba del tuo prossimo, non desiderare la donna del tuo prossimo (Es 20, 12-17). Questa è la legge scritta, ed anch'essa viene disprezzata: ecco il terzo giorno della morte. Che cosa rimane? Viene il Vangelo, viene annunciato il Regno dei cieli, ovunque si predica Cristo; si minaccia l'inferno, si promette la vita eterna; ma anche questa legge viene disprezzata; gli uomini trasgrediscono il Vangelo: ecco il quarto giorno della morte. A ragione si può dire che ormai il morto emana fetore. Non ci sarà dunque misericordia per costoro? Non è possibile. Il Signore non disdegna di accostarsi anche a tutti questi morti per risuscitarli.
13. Molti Giudei erano venuti da Marta e da Maria per consolarle del loro fratello. Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli andò incontro, mentre Maria restò a casa. Marta disse a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; ma anche adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà (Gv 11, 19-22). Non disse: Ti prego di risuscitare subito mio fratello. Come poteva sapere infatti che a suo fratello giovasse risorgere? Quindi disse soltanto: So che puoi farlo, se vuoi; ma sei tu che devi giudicare se è il caso di farlo, non io. Ma anche adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà.
14. Gesù le disse: Tuo fratello risorgerà. L'espressione era ambigua, perché non le disse: Ora risusciterò tuo fratello; ma le disse: Tuo fratello risorgerà. Marta gli rispose: So che risorgerà, nella risurrezione, nell'ultimo giorno (Gv 11, 23-24). Era come dire: Di quella risurrezione sono sicura, di questa no. Le disse Gesù: Io sono la risurrezione. Tu dici che tuo fratello risorgerà nell'ultimo giorno. Questo è vero. Però colui per mezzo del quale risorgerà, può farlo risorgere anche adesso, perché Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11, 25). Ascoltate, fratelli, ascoltate ciò che dice. Tutti i circostanti erano nell'attesa di veder Lazzaro, un morto di quattro giorni, rivivere. Ebbene, ascoltiamo e risorgiamo. Quanti in questa folla sono oppressi dal peso della cattiva abitudine! Forse tra quelli che mi ascoltano ci sono taluni ai quali vien detto: Non vogliate inebriarvi di vino, che è causa di dissolutezza(Ef 5, 18). Essi rispondono: non possiamo farne a meno! Forse mi ascoltano alcuni che si sono lasciati corrompere da ogni disordine e vizio, ai quali vien detto: non fate così, se non volete perdervi. Ma essi rispondono: non riusciamo a liberarci dalle nostre abitudini. O Signore, risuscita costoro! Io sono - egli dice - la risurrezione e la vita. E' la risurrezione perché è la vita.
15. Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno (Gv 11, 25-26). Che vuol dire questo? Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro, vivrà, perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: Io sono il Dio di Abramo, il Dio d'lsacco e il Dio di Giacobbe; non sono Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi (Mt 22, 32; Lc 20, 37-38). Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi. Proviamolo. Ad un tale che indugiava a seguirlo e diceva: Permettimi prima di andare a seppellire mio padre, il Signore rispose:Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu vieni e seguimi (Mt 8, 21-22). Vi era là un morto da seppellire, e vi erano dei morti intenti a seppellirlo: questi era morto nel corpo, quelli nell'anima. Quando è che muore l'anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo? Quando viene a mancare l'anima. La fede è l'anima della tua anima. Chi crede in me - egli dice - anche se è morto nel corpo, vivrà nell'anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. Cioè: chi crede in me, anche se morirà vivrà. E chiunque vive nel corpoe crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per la immortalità della risurrezione. Questo è il senso delle sue parole: E chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu? - domanda Gesù a Marta -; Ed essa risponde: Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo (Gv 11, 26-27). E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la risurrezione, che tu sei la vita; ho creduto che chi crede in te, anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in eterno.
16. Detto questo, andò a chiamare Maria, sua sorella, dicendole in silenzio: IL maestro è qui e ti chiama (Gv 11, 28). E' da notare che "in silenzio" significa sottovoce: come infatti avrebbe potuto dire, rimanendo in silenzio: IL maestro è qui e ti chiama? E' da notare altresì che l'evangelista non ha detto né dove né come né quando il Signore aveva chiamato Maria: per amore di brevità preferisce farcelo sapere solo attraverso le parole di Marta.
17. Ella, udito questo, si alza in fretta e va da lui. Gesù, però, non era ancora entrato nel villaggio, ma stava sempre nel luogo dove gli era venuta incontro Marta. I Giudei che erano in casa con lei a consolarla, al vedere Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando che sarebbe andata al sepolcro a piangere (Gv 11, 29-31). Perché l'evangelista si preoccupa di raccontarci questo particolare? Per informarci della circostanza che aveva raccolto tanta gente, quando Lazzaro fu risuscitato. I Giudei, pensando che Maria corresse al sepolcro per cercare nelle lacrime sollievo al suo dolore, la seguirono, e così il grande miracolo della risurrezione di uno che era morto da quattro giorni ebbe moltissimi testimoni.
18. Maria, giunta al luogo dov'era Gesù, al vederlo gli si gettò ai piedi ed esclamò: Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Gesù, vedendola piangere, e con lei piangere i Giudei che l'accompagnavano, fremette nello spirito, si turbò e disse: Dove l'avete deposto? (Gv 11, 32-34). Non so cosa abbia voluto indicarci il Signore con questo fremito e con questo suo turbamento. Chi poteva turbarlo, se non era lui a turbare se stesso? Perciò, fratelli miei, tenete ben presente la sua potenza prima di cercare il significato del suo turbamento. Tu puoi essere turbato senza volerlo; Cristo invece si turbò perché volle. E' vero che Gesù ha sentito la fame, è vero che si è rattristato ed è altrettanto vero che è morto; ma tutto questo perché l'ha voluto lui: era in suo potere soffrire questo o altro o non soffrire affatto. Il Verbo ha assunto l'anima, ma anche la carne, armonizzando, nell'unità della sua persona, la natura dell'uomo tutto intero. La luce del Verbo, è vero, illuminò l'anima di Pietro e l'anima di Paolo, illuminò le anime degli altri apostoli e dei santi profeti; di nessuna però si poté dire: Il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14); di nessuna si può dire: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 20, 30). L'anima e la carne di Cristo formano col Verbo di Dio una sola persona, un solo Cristo. C'è in lui la massima potenza, e perciò la debolezza umana obbediva in tutto alla sua volontà. Ecco il senso dell'espressione: egli si turbò.
19. Ho parlato della potenza; ora vediamo il significato del suo turbamento. Lazzaro morto da quattro giorni e chiuso nel sepolcro è simbolo di un grande peccatore. Perché si turba il Cristo, se non per insegnarti che tu devi metterti in agitazione quando ti vedi oppresso e schiacciato da tanta mole di peccati? Ti sei esaminato, ti sei riconosciuto colpevole, ti sei detto: ho fatto quel peccato e Dio mi ha perdonato; ho commesso quell'altro e Dio ha differito il castigo; ho ascoltato il Vangelo e l'ho disprezzato; sono stato battezzato e sono ricaduto nelle medesime colpe; che faccio? dove vado? come posso uscirne? Quando parli così, già il Cristo freme perché in te freme la fede. Negli accenti di chi freme si annuncia la speranza di chi risorge. Se dentro di te c'è la fede, dentro di te c'è Cristo che freme: se in noi c'è fede, in noi c'è Cristo. Lo dice l'Apostolo: Per mezzo della fede, Cristo abita nei vostri cuori (Ef 3, 17). La presenza di Cristo nel tuo cuore è legata alla fede che tu hai in lui. Questo è il significato del fatto che egli dormiva nella barca: essendo i discepoli in pericolo, ormai sul punto di naufragare, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si levò, comandò ai venti e ai flutti, e si fece gran bonaccia (cf. Mt 8, 24-26). E' quello che avviene dentro di te: mentre navighi, mentre attraversi il mare tempestoso e pericoloso di questa vita, i venti penetrano dentro di te; soffiano i venti, si levano i flutti e agitano la barca. Quali venti? Hai ricevuto un insulto e ti sei adirato; l'insulto è il vento, l'ira è il flutto; sei in pericolo perché stai per reagire, stai per rendere ingiuria per ingiuria e la barca sta per naufragare. Sveglia Cristo che dorme. E' per questo che sei agitato e stai per ricambiare male per male, perché Cristo nella barca dorme. Il sonno di Cristo nel tuo cuore vuol dire il torpore della fede. Se svegli Cristo, se cioè la tua fede si riscuote, che ti dice Cristo che si è svegliato nel tuo cuore? Ti dice: Io mi son sentito dire indemoniato (Gv 7, 20), e ho pregato per loro. Il Signore ascolta e tace; il servo ascolta e si indigna? Ma, tu vuoi farti giustizia. E che, mi son forse fatto giustizia io? Quando la fede ti parla così, è come se si impartissero comandi ai venti e ai flutti: e viene la calma. Risvegliare Cristo che dorme nella barca è, dunque, scuotere la fede; allo stesso modo Cristo frema nel cuore dell'uomo oppresso da una grande mole e abitudine di peccato, nel cuore dell'uomo che trasgredisce anche il santo Vangelo; Cristo frema, cioè l'uomo rimproveri se stesso. Ascolta ancora: Cristo ha pianto, l'uomo pianga se stesso. Per qual motivo infatti Cristo ha pianto se non perché l'uomo impari a piangere? Per qual motivo fremette e da se medesimo si turbò se non perché la fede dell'uomo, giustamente scontento di se stesso, impari a fremere condannando le proprie cattive azioni, affinché la forza della penitenza vinca l'abitudine al peccato?
20. E disse: dove l'avete deposto? Sapevi che era morto, e non sapevi dove era stato sepolto? Questo significa che Dio quasi non conosce più l'uomo che si è perduto in questa maniera. Non ho osato dire: non conosce. Ho detto quasi, perché in effetti non c'è nulla che Dio non conosca. La prova che Dio quasi non conoscerà più l'uomo perduto si trova nelle parole che il Signore pronuncerà nel giudizio: Non vi conosco; allontanatevi da me! (Mt 7, 23). Che significa non vi conosco? Significa: non vi vedo nella mia luce, non vi vedo nella giustizia che io conosco. Così anche qui, come se egli non conoscesse più un così grande peccatore, dice: Dove l'avete deposto? Così si era espressa la voce di Dio nel paradiso dopo che l'uomo peccò: Adamo dove sei? (Gn 3, 9). Gli dicono: Signore, vieni e vedi. Che vuol dire: vedi? Vuol dire: abbi pietà. Il Signore infatti vede allorché usa misericordia. Per questo col salmista gli diciamo: Vedi la mia miseria, la mia pena, e perdona tutti i miei peccati (Sal 24, 18).
21. E Gesù pianse. Dissero allora i Giudei: Guarda come l'amava! (Gv 11, 35-36). Che vuol dire lo amava? Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori al pentimento (Mt 9, 13). Ma alcuni di loro soggiunsero: Non poteva costui, che ha aperto gli occhi al cieco, fare altresì che questo non morisse? (Gv 11,37). Colui che non ha impedito che un malato morisse, farà molto di più: risusciterà un morto.
22. Intanto Gesù, fremendo di nuovo in se stesso, giunse al sepolcro. Egli fremerà anche in te, se sei disposto a rivivere. Per ognuno che sia sotto il peso di un'abitudine perversa vien detto che Cristo si reca al sepolcro. Era una grotta, contro la quale era stata posta una pietra (Gv 11, 38). Il morto sotto la pietra rappresenta il colpevole sotto la legge. Sapete infatti che la legge data ai Giudei fu scritta sulla pietra (cf. Es 31, 18). Tutti i colpevoli sono sotto la legge, mentre quelli che vivono bene sono con la legge. La legge non serve per il giusto (cf. 1 Tim 1, 9). Che significa dunque la parola del Signore: Levate via la pietra (Gv 11, 39)? Significa: Proclamate la grazia. L'apostolo Paolo infatti dice di essere ministro del Nuovo Testamento, non della lettera ma dello spirito, poiché la lettera uccide - egli dice -mentre lo spirito vivifica (2 Cor 3, 6). La lettera che uccide, è come la pietra che opprime.Levate via la pietra! egli dice. Cioè togliete il peso della legge, e proclamate la grazia. Se si fosse data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe dalla legge; la Scrittura invece ha rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché venisse data la promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli che credono (Gal 3, 21-22). Dunque:Levate via la pietra!
23. Gli dice Marta, la sorella del morto: Signore, già puzza, perché son quattro giorni che è là. Gesù le dice: Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? (Gv 11, 39-40). Le dice che vedrà la gloria di Dio perché sta per risuscitare un morto di quattro giorni che già puzza. Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3, 23); e ancora:Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia (Rm 5, 20).
24. Tolsero, allora, la pietra. Gesù levò gli occhi al cielo e disse: Padre, ti ringrazio di avermi ascoltato. Io però sapevo che tu mi ascolti sempre, ma l'ho detto per il popolo che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato. E, detto questo, con gran voce gridò(Gv 11, 41-43). Fremette, pianse, con gran voce gridò. Quanto è difficile che si alzi chi è oppresso dal peso delle cattive abitudini! E tuttavia si alza: una grazia occulta interiormente lo vivifica e al suono della voce potente si alza. Che cosa è avvenuto? Con gran voce gridò:Lazzaro, vieni fuori! Il morto uscì con i piedi e le mani legate da fasce e la faccia avvolta in un sudario (Gv 11, 43-44). Ti meravigli che abbia potuto camminare con i piedi e le mani legati, e non ti meravigli che sia risorto un morto di quattro giorni? L'una e l'altra sono dovute alla potenza del Signore, non alla forza del morto. Esce ancora legato; è ancora avvolto, eppure viene fuori. Che significa? Quando disprezzi la grazia di Dio, giaci morto; e se la disprezzi al punto che ho detto, giaci sepolto. Ma quando confessi il tuo peccato, vieni fuori. Che significa infatti venir fuori, se non manifestarsi uscendo come da un nascondiglio? Perché tu abbia a riconoscere la tua colpevolezza, Dio ti chiama a gran voce, cioè con una grazia straordinaria. E siccome il morto era uscito ancora legato, come un reo confesso non ancora assolto, affinché fosse sciolto dai suoi peccati, il Signore disse ai servitori:Scioglietelo e lasciatelo andare (Gv 11, 44). Che significa scioglietelo e lasciatelo andare? Ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli (cf. Mt 16, 19).
25. Molti dei Giudei venuti da Maria, e che avevano visto ciò che egli aveva fatto, credettero in lui. Ma alcuni di essi si recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù(Gv 11, 45-46). Non tutti i Giudei che erano venuti da Maria credettero, però in gran numero.Ma alcuni di essi, cioè alcuni dei Giudei che erano venuti, oppure anche di quelli che avevano creduto, si recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù, per recare un annuncio che convincesse anche i farisei a credere, o più probabilmente per fare una denuncia che provocasse il loro furore. Comunque fossero le intenzioni di chi andò a riferire, i farisei furono informati.
26. I gran sacerdoti e i farisei radunarono allora un consiglio e dicevano: Che facciamo?(Gv 11, 47). Non dicevano mica: Crediamo! Quegli uomini perversi infatti erano più impegnati a infierire su di lui fino a eliminarlo che non a cercare la loro salvezza. E tuttavia erano perplessi e si consultavano. Infatti dicevano: Che facciamo? perché quest'uomo fa molti prodigi! Se lo lasciamo continuare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e ci distruggeranno città e nazione (Gv 11, 47-48). Temevano di perdere le cose temporali e non si preoccupavano della vita eterna, e così perdettero l'una e l'altra. I Romani infatti, dopo la passione e la glorificazione del Signore, distrussero la loro città e la loro nazione, espugnando la città e deportando la popolazione. Si realizzò così la profezia: I figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre (Mt 8, 12). Temevano che se tutti avessero creduto in Cristo, non sarebbe rimasto nessuno a difendere la città e il tempio di Dio contro i Romani. Erano infatti convinti che la dottrina di Cristo fosse contraria al tempio e alle leggi dei loro padri.
27. Uno di essi, però, Caifa, che era sommo sacerdote di quell'anno, disse loro: Voi non ci capite nulla, né riflettete che è nel vostro interesse che un uomo solo muoia e non perisca la nazione intera. Ora, questo non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote di quell'anno, profetò (Gv 11, 49-51). Apprendiamo qui che lo spirito di profezia può annunciare il futuro anche per bocca di un uomo indegno; la qual cosa l'evangelista l'attribuisce a un'occulta disposizione di Dio, per il fatto che Caifa era pontefice, cioè sommo sacerdote. Può sembrare strano che l'evangelista dica di Caifa che era sommo sacerdote per quell'anno, dato che Dio aveva stabilito che un sommo sacerdote dovesse restare in carica fino alla sua morte. Ma è risaputo che in seguito, per soddisfare ambizioni ed evitare contese, si stabilì che fossero più di uno fra i Giudei, e che ciascuno a turno esercitasse la carica per un anno. Anche di Zaccaria si dice che mentre prestava servizio sacerdotale nel turno della sua classe, innanzi a Dio, secondo l'uso del sacro ministero, gli toccò in sorte di entrare nel santuario del Signore per bruciare l'incenso (Lc 1, 8-9). Questo dimostra che vi era più di un sommo sacerdote, e che prestavano il loro servizio a turno, poiché solo al sommo sacerdote spettava bruciare l'incenso (cf. Es 30, 7). E probabilmente anche durante il medesimo anno prestavano servizio in diversi, ai quali si avvicendavano altri nell'anno successivo, e tra questi veniva sorteggiato chi doveva bruciare l'incenso. E cosa profetò Caifa? Profetò che Gesù sarebbe morto per la nazione, e non per quella nazione soltanto, ma anche per radunare insieme i figli di Dio dispersi (Gv 11, 51-52). Questo lo ha aggiunto l'evangelista, in quanto la profezia di Caifa si limitava alla nazione dei Giudei, nella quale si trovavano quelle pecore di cui il Signore aveva detto: Sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d'lsraele (Mt 15, 24). Ma l'evangelista sapeva che esistevano altre pecore che non erano di quell'ovile, e che dovevano essere radunate, in modo che vi fosse un solo ovile, e un solo pastore (cf. Gv 10, 16). Tutto questo, però, l'evangelista lo dice tenendo conto della predestinazione, in quanto quelli che non credevano in lui, non erano ancora né sue pecore né figli di Dio.
28. Da quel giorno, dunque, decisero di farlo morire. Gesù non si faceva più vedere in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella regione prossima al deserto, in una città chiamata Efraim, e là soggiornò con i suoi discepoli (Gv 11, 53-55). Non gli era certo venuto meno il suo potere, perché, se avesse voluto, avrebbe ben potuto rimanere pubblicamente in mezzo ai Giudei senza che essi potessero fargli del male. Egli volle invece offrire ai discepoli l'esempio di come si possa vivere accettando la debolezza umana; e mostrare loro che i suoi fedeli, che sono le sue membra, possono, senza commettere peccato, sottrarsi ai loro persecutori; e che si deve cercare di sfuggire al furore degli iniqui, anziché provocarli maggiormente col mettersi nelle loro mani.